00 16/05/2004 20:03
3. CRISTO NELLA COMUNITA’

Il testo dell’Apocalisse ha espresso chiaramente con l’immagine del tempio e della lampada la centralità del Cristo nella comunità gloriosa. Egli è la luce che brilla per la comunità di fede (Gv 1,5); è la lampada che veglia per i fratelli alla presenza del Padre (Eb 7,25); è il tempio, cioè il segno della presenza del Padre tra i figli. Il breve testo del Vangelo di Giovanni ci dice come questa presenza sia viva fin da ora con la sua parola consolatoria, con il suo Spirito e con la sua pace.

Giovanni tocca dei punti che sono essenziali per il cammino del cristiano: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola ... e noi prenderemo dimora presso di lui» (v. 23). L’amore ci costituisce tempio della Trinità. Siamo sulla stessa linea del testo dell’Apocalisse (Cristo-tempio fa di noi tempio) e soprattutto sulla linea del discorso di Gesù con la samaritana. L’amore come tempio, se l’osservanza si pone come amore: ecco tre parole chiave poste in successione tra due spazi significativi. La parola, l’amore e il tempio: tra la parola e l’amore c’è l’osservanza; tra l’amore e il tempio c’è la lode da un lato e l’inabitazione dall’altro.

Nella parola «osservanza» c’è tutta la dinamica dell’impegno inteso non in dimensione legalistica, ma vitale: il cristiano realizza la Parola e questa diviene evento nella sua vita. L’amore concreto alla Parola si trasforma subito in amore a Cristo secondo i disegni del Padre: «La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato» (v. 24). La Parola è rivelazione pratica del volere del Padre, e osservare la Parola significa accogliere questa volontà. L’osservanza della Parola è sul fronte concreto dell’impegno di vita: Gesù in Luca aveva parlato di «fare la parola» (cf. Lc 8,21), dove la traduzione latina esprime meglio il testo greco: «faciunt». Non si tratta quindi della pura esecuzione di un ordine esterno, ma della realizzazione di un piano; «fare la parola» non è una questione di obbedienza, ma di realizzazione; chi ascolta costruisce.

La presenza del «Consolatore» in questa dinamica della Parola da «fare» è fondamentale: «Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (v. 26). Lo Spirito, animatore della verità, rimarrà al centro dell’ascolto e a fondamento dell’osservanza: un ascolto senza lo Spirito è una lettura fuori del mistero della Parola, soggetta quindi ad ogni tentazione di personalismo; un’osservanza senza lo Spirito è moralismo vuoto. L’osservanza non persegue una «perfezione» astratta, ma esige una risposta di amore: si tratta di seguire una persona molto concreta, Gesù di Nazaret.

Alla fine del brano c’è l’ultimo dono di Gesù: la pace messianica. Non è l’amore al quieto vivere, ma tutt’altra cosa: Cristo la dice diversa dalle apparenze solite (v. 27b) e la colloca in un contesto di partenza (v. 28), di timore (v. 27c) e di previsione di una realtà che ci contesterà (v. 29). Cos’è allora la pace di Cristo? E’ la coscienza di essere in Cristo nonostante ogni apparente circostanza storica contraria: la pace è costruita dalla luce dello Spirito e non dalla calma emotiva; per questo esistono nel mondo dei «pacifici» senza pace esterna e degli «afflitti» posseduti dalla pace di Cristo.

La pace è quella luce dello Spirito che ci rende capaci di chiamare pace una realtà che si presenta con un volto tutt’altro che pacifico. E significativa a questo proposito nel libro dei Giudici la storia della vocazione di Gedeone (c. 6): il luogo dove si era rivelato il Signore e dove Gedeone aveva maturato la sua vocazione (il travaglio della ricerca è espresso con un dialogo drammatico tra l’uomo e l’angelo) fu chiamato «il Signore-pace»; con la fede di poi Gedeone chiama «pace» il dramma di prima.

Pace significa trovare in Dio il senso della vita per quanto drammatici siano gli avvenimenti di cui essa è intessuta.







Rapisca, ti prego, o Signore,
l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia
da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire per amore dell'amor mio.
(San Francesco d'Assisi)