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Tempo pasquale: 5a domenica

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    00 09/05/2004 14:29
    At 14,21-27
    Nasce e si organizza la comunità

    Ap 21,1-5a
    La novità radicale come contenuto della comunità

    Gv 13,31-33a.34-35
    La carità come contenuto della novità







    Rapisca, ti prego, o Signore,
    l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia
    da tutte le cose che sono sotto il cielo,
    perché io muoia per amore dell'amor tuo,
    come tu ti sei degnato morire per amore dell'amor mio.
    (San Francesco d'Assisi)



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    00 09/05/2004 14:29
    Il Cristo risorto è il fondamento e l’anima della nuova comunità di fede (Rm 6,5; Gal 3,28). Ma dire «Cristo risorto» è dire il mistero del suo amore verso i disegni del Padre e verso la sorte dei fratelli: un amore che lo spinge ad immergersi nel mistero di morte e risurrezione. Le letture di oggi si configurano in questo quadro: esse ci descrivono la comunità cristiana che si riunisce e si organizza nella saldezza della fede nel mistero di Cristo (At 14,22) e nella dinamica di una comunione, che si esprime anche nella comunicazione reciproca di quanto Dio compie tra gli uomini (At 14,27). La seconda lettura rivela il volto profondo di questa comunità nella descrizione profetica dei suoi destini ultimi: la contemplazione di ciò che essa sarà negli ultimi tempi dà forza alla speranza ed accorcerà i tempi di realizzazione del «nuovo cielo» e della «terra nuova», dove per la presenza stabile e operativa di Dio (Ap 21,3) le sorti dell’uomo saranno capovolte (Ap 21,4): non più la terra di prima con l’uomo di morte, ma un uomo nuovo per una terra nuova (Ef 4,24).

    Questo uomo nuovo si nutre del comandamento nuovo. Il Vangelo afferma l’instaurazione di rapporti nuovi, che avviene però in un contesto di dura realtà umana: la glorificazione del Padre si realizza nel momento in cui il Figlio viene tradito (Gv 13,31) e va incontro alla morte, esprimendo così la propria adesione incondizionata al Padre e il proprio amore oblativo per i fratelli.







    Rapisca, ti prego, o Signore,
    l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia
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    perché io muoia per amore dell'amor tuo,
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    00 09/05/2004 14:30
    1. LA COMUNITÀ DEL RISORTO
    La parola di Dio è peregrinante. Il testo degli Atti, nella breve pericope di oggi, usa sette verbi di moto: «entrare, ritornare, scendere, raggiungere, fare vela ... ». Sono i verbi che descrivono i movimenti di Paolo e Barnaba, ma descrivono anche il muoversi della Parola dentro la storia dell’uomo, con le sue città, le sue strade, i suoi mari.

    L’impresa affidata ai due apostoli (At 14,26) è quella tipica dell’annuncio del Regno sullo schema classico del Maestro: « ... e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10,1). Il contenuto della parola annunciata è detto con espressioni semplici e scarne: «Restare saldi nella fede poiché è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22). Questa semplicità tocca però l’essenziale: la fede nel Cristo risorto nella crisi quotidiana. Il Regno non è altro che questo: proclamare nel dramma storico e concreto di ogni giorno il Cristo risorto; la fede non evade dalla storia verso spiritualismi vaghi, né dimentica il germe nuovo della ri-creazione immergendosi in un quotidiano frenetico e cieco.

    Tutta la verità della comunità di fede si giocherà sulla «saldezza» di questa posizione. E quasi a dare una struttura concreta a questo invito ad essere «saldi nella fede», vengono «costituiti alcuni anziani» e sorgono i servizi apostolici e missionari, non però per l’efficienza, ma per la saldezza nella fede della comunità. Infatti questi anziani vengono scelti non dopo un esame tecnico delle qualità dei candidati, ma dopo aver «pregato e digiunato». t il Signore che sceglie gli animatori della sua comunità, che dovranno incarnare una presenza profetica come animatori della carità, in modo che la chiesa possa essere un segno per la società dell’uomo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Dopo l’elezione essi non vengono affidati alla comunità, ma «al Signore, nel quale avevano creduto»: da lui scelti, a lui appartengono; questa appartenenza va riaffermata contro ogni equivoco di tipo sociologico. L’anziano della comunità serve gli uomini nella fedeltà a Dio; vive tra gli uomini ma appartiene a Dio (Gv 7,11.16).

    L’ultimo atto dei due apostoli è il ritorno ad Antiochia, da dove era cominciata la loro missione. Là dove tutto è partito, ora tutto ritorna, ma con animo diverso: dopo la missione, il ritorno alla radice della propria fede si colora di celebrazione. Questo ultimo gesto, che conclude il primo viaggio apostolico di Paolo, sembra veramente una liturgia celebrativa, in cui la comunità riconosce «tutto quello che Dio aveva compiuto» e «come aveva aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27).







    Rapisca, ti prego, o Signore,
    l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia
    da tutte le cose che sono sotto il cielo,
    perché io muoia per amore dell'amor tuo,
    come tu ti sei degnato morire per amore dell'amor mio.
    (San Francesco d'Assisi)



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    00 09/05/2004 14:30
    2. LA DINAMICA DELL’AMORE PASQUALE
    La liturgia ci conduce dalla comunità degli Atti alla piccola comunità degli apostoli riunita nel cenacolo, dove il Maestro consegna ai suoi il nuovo precetto che dovrà animare la comunità: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Significativo è il fatto che Gesù non dice: «Vi comando di amarvi», ma: «Vi do un comandamento nuovo». Cristo consegna un compito, dona una proposta dopo aver dato egli stesso l’esempio.

    L’espressione sembra rifarsi ai precetti dell’alleanza: Dio dà sul Sinai la legge, poi dà dei precetti (Dt 6,1) per creare un popolo santo, che sia fedele all’alleanza; questi precetti sono l’espressione della personale volontà di Dio che chiede amore obbediente e docile (Dt 6,5); il Deuteronomio definirà l’accoglienza di questa volontà di Dio come «circoncisione dei cuore» (10,16): è la «legge del cuore» preannunciata da Geremia (31,31-34) come peculiare realtà di un futuro nuovo, quando la nuova alleanza si fonderà su un precetto nuovo. Inserito in questa prospettiva, il discorso di Gesù non è un invito parenetico a volersi bene, ma costituisce la tappa finale del cammino teologico del concetto di alleanza: Cristo rivela l’ultimo fondamento dell’alleanza nuova, il suo sangue («come io vi ho amato»); ad essa dà l’ultimo precetto: amarsi secondo un metro paradigmatico preciso, cioè l’amore suo per gli uomini. Siamo quindi alla rivelazione ultima dell’amore del Padre nel dono del Figlio. Ecco perché al v. 31 Gesù aveva detto: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, ed anche Dio è stato glorificato in lui»; il compimento della nuova alleanza e la rivelazione dell’ultimo precetto, il «comandamento nuovo», come dinamica di essa, non è che la manifestazione della gloria del Padre nell’opera del Figlio.

    Anche Mosè (Es 33,18ss) aveva chiesto, nel momento difficile della crisi del popolo e all’interno del grande evento dell’alleanza, di vedere la gloria di Dio: Mosè voleva una prova della presenza di Jahvé nel momento in cui avvertiva tutta la gravità del suo compito e il peso della crisi che il popolo stava attraversando; voleva conoscere la consistenza specifica di questa presenza (in ebraico kabod = gloria, vuol dire anche «peso»). Ma i tempi non erano maturi per questa rivelazione; soltanto il Figlio (Gv 1,17-18) potrà rivelare la gloria di Dio, che consiste unicamente nell’amore, nella misericordia e nel perdono: Dio è amore e il «peso specifico» della sua presenza è tutto nella morte del Figlio per la salvezza dell’uomo.

    Nella rivelazione di questo grande mistero vengono alla luce alcune verità fondamentali: l’ora di Gesù come passione («ed era notte»: Gv 13,30); l’ora di Gesù come ora di luce («ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato»); l’ora del Padre come manifestazione gloriosa del suo amore; il grande compito, infine, dell’amore senza risparmio come testimonianza della venuta del Regno (Gv 13,34-35). Il precetto nuovo è la chiave segreta per entrare nella dinamica di questo mistero: Dio si sperimenterà nell’amore. Notiamo inoltre che questa rivelazione gloriosa si colloca in un momento storico profondamente drammatico, subito dopo la rivelazione del traditore, quasi a spogliare la nuova realtà da ogni possibile illusione: il comandamento dell’alleanza nuova non potrà ridursi a un romantico e vago volersi bene, ma sarà un compito sofferto all’interno di uno stato di permanente crisi dell’uomo. Mosè aveva chiesto di vedere la gloria di Dio dopo il peccato dell’idolo, cioè dopo la manifestazione dell’infedeltà del popolo; Cristo proclama la rivelazione della gloria del Padre nel momento in cui si è rivelata l’infedeltà del traditore: «Preso il boccone, (Giuda) subito usci. Ed era notte» (Gv 13,30). La luce dell’infinita fedeltà dell’amore di Dio viene a risplendere nel buio della grande infedeltà dell’uomo.

    Ora Gesù aggiunge che il «peso» di Dio deve diventare il «peso» dell’uomo: anche l’uomo varrà per quanto sarà capace di amare. Infatti Gesù dice: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». Un solo amore è credibile, quello di Dio, come pure niente è credibile al di fuori dell’amore. C’è allora un solo modo per essere vivi dentro il regno di Dio: amare con lo stesso amore di Dio, che ci è donato, e nel modo in cui Dio ci ha amato. Gibran aveva perfettamente capito che questo amore è una fatica dura, quando scriveva: «(L’amore) vi raccoglie in sé, covoni di grano; vi batte finché non sarete spogli; vi setaccia per liberarvi dalle reste; vi macina per farvi farina di neve; vi plasma finché non siate cedevoli alle mani; e vi consegna al suo sacro fuoco perché voi siate il pane sacro della mensa di Dio».







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    3. L’ULTIMA COMUNITA’
    L’alleanza nuova e il precetto nuovo daranno vita al «nuovo cielo» e alla «nuova terra». L’Apocalisse (21,1ss) descrive il compiersi ultimo della comunità di fede; nel suo cammino storico la comunità non è perfetta, tutt’altro; eppure questa visione profetica della nuova Gerusalemme ha una sua dimensione di concretezza ed una sua carica pedagogica. Se la comunità è la «dimora di Dio tra gli uomini» (v. 3), essa dovrà pure manifestare un Dio credibile, cioè un Dio che esce dall’astratto e diviene consistente e percepibile nell’amore concreto dei discepoli.

    Gesù dice: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato» (Gv 13,31). Ora: questo è il «tempo favorevole» perché la gloria di Dio prenda concretezza nella nuova Gerusalemme; e questo avviene facendo «passare le cose di prima» (Ap 21,4), instaurando cioè una vera e reale logica nuova. La scomparsa della morte, del lutto, delle lacrime, del lamento, dell’affanno non avviene per un colpo di spugna magico, ma per una sofferta condivisione che l’uomo nuovo vive dentro la storia. «Ecco io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5): il verbo è al presente e descrive bene il divenire di una comunità in cammino. Giovanni ha visto ciò che sarà la comunità escatologica, ma questo non sarà che l’ultimo rivelarsi di ciò che ora è ed avviene; la nuova Gerusalemme, prima di essere la sposa adorna che scende dal cielo, è la sposa del Cantico, abbronzata dal sole (1,6), che cerca lo sposo per le strade e per le piazze, sfidando anche i posti di guardia (3,1-3).







    Rapisca, ti prego, o Signore,
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    00 09/05/2004 14:31
    O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito.






    Rapisca, ti prego, o Signore,
    l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia
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