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I Vangeli: è tutto vero?

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    HIGGS1970
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    Registrato il: 22/09/2006
    Utente Junior
    00 24/09/2006 05:47
    Nemo potest tibi veritate dicere, si tu nolis veritatem audire
    Forse ho commesso qualche errore di grammatica (ho dimenticato molto del latino studiato molti anni fà), ma credo che QUANDO NON SI VUOLE CAMBIARE si inventino tante cose, si tirino fuori tante sciocchezze....e di chiacchere vuote, lo dico con dolore, ne sto leggendo molte, "nella parte avversaria".

    Almeno i comunistoni di 20 anni fà avevano capacità logico dialettiche enormi, conoscevano a fondo la filosofia, ma ora... abbiamo sostituito Dan Brawn a Marx e Hegel....

    Mi limito ad osservare i seguenti fatti:

    - Oltre i vangeli esiste una plurarità di scritti "laici" del secondo secolo dopo Cristo in cui i paradigmi fondamentali della fede risultano già chiari. Voglio ricordare, in particolare, San Giustino, uno dei massimi filosofi platonici dell' epoca, convertitosi al Cristianesimo e MARTIRIZZATO nel 160 dc. Era un grande pensatore della romanità e viveva in un' epoca in cui, la "pistola" era ancora fumante.

    - Se i Santi Vangeli fossero stati modificati,certe cose imbarazzanti sarebbero state tolte, tradimento di S. Pietro in primis.

    Purtroppo, quando non si vuole sforzarsi di cambiare, quando si rifiuta a priori il sacrificio e l' impegno,allora è facile perdersi dietro ragionamenti contorti ed astrusi.... si prende in giro se stessi, non i cattolici di questo foro.

    Il cammino cristiano è come una scalata in montagna: che fatica preparare gli zaini il Sabato sera, partire la mattina presto, camminare su terreni faticosi... ma che bello quando si arriva in cima e, la domenica sera, quanta invidia da parte dei pigroni che hanno passato la giornata ciondolandosi nell' afa cittadina o nel chiasso di qualche spiaggia iper-affolata
    Raffiniert ist der Herr Gott, aber boshaft ist Er nicht
    (A. Einstein)
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    stupor-mundi
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    Utente Senior
    00 24/09/2006 10:50
    Re: Nemo potest tibi veritate dicere, si tu nolis veritatem audire

    Scritto da: HIGGS1970 24/09/2006 5.47
    Forse ho commesso qualche errore di grammatica (ho dimenticato molto del latino studiato molti anni fà), ma credo che QUANDO NON SI VUOLE CAMBIARE si inventino tante cose, si tirino fuori tante sciocchezze....e di chiacchere vuote, lo dico con dolore, ne sto leggendo molte, "nella parte avversaria".

    Almeno i comunistoni di 20 anni fà avevano capacità logico dialettiche enormi, conoscevano a fondo la filosofia, ma ora... abbiamo sostituito Dan Brawn a Marx e Hegel....

    Mi limito ad osservare i seguenti fatti:

    - Oltre i vangeli esiste una plurarità di scritti "laici" del secondo secolo dopo Cristo in cui i paradigmi fondamentali della fede risultano già chiari. Voglio ricordare, in particolare, San Giustino, uno dei massimi filosofi platonici dell' epoca, convertitosi al Cristianesimo e MARTIRIZZATO nel 160 dc. Era un grande pensatore della romanità e viveva in un' epoca in cui, la "pistola" era ancora fumante.

    - Se i Santi Vangeli fossero stati modificati,certe cose imbarazzanti sarebbero state tolte, tradimento di S. Pietro in primis.

    Purtroppo, quando non si vuole sforzarsi di cambiare, quando si rifiuta a priori il sacrificio e l' impegno,allora è facile perdersi dietro ragionamenti contorti ed astrusi.... si prende in giro se stessi, non i cattolici di questo foro.

    Il cammino cristiano è come una scalata in montagna: che fatica preparare gli zaini il Sabato sera, partire la mattina presto, camminare su terreni faticosi... ma che bello quando si arriva in cima e, la domenica sera, quanta invidia da parte dei pigroni che hanno passato la giornata ciondolandosi nell' afa cittadina o nel chiasso di qualche spiaggia iper-affolata



    BEN DETTO!! [SM=g27811]
    "Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversum eam " (Mt 16,18)
    Nel menù di hitleriani e maomettani, gli ebrei, pochi di numero e relativamente deboli, sono soltanto l'antipasto: il piatto più consistente è a base di cristiani! (C. Langone)
    EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS
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    vitus1976
    Post: 286
    Registrato il: 13/06/2006
    Utente Junior
    00 26/09/2006 16:01
    Sono d'accordo con HIGGS1970.

    In effetti, se la Chiesa avesse voluto avrebbe avuto interesse, ad esempio, a dare degli apostoli un'immagine diversa.

    Invece li ha lasciati così come erano con le loro debolezze.
    Ma questo è solo uno dei tanti aspetti che dimostra come Dan Brown, e chi gli va dietro, è solo un ignorantone alal ricerca della facile ricchezza.
    "Se invece abbiamo scoperto, come dice San Giovanni, l´Amore, se abbiamo scoperto il volto di Dio, abbiamo il dovere di raccontare agli altri. Non posso mantenere solo per me una cosa grande, un amore grande, devo comunicare la Verità. "
    Card. Ratzinger, intervistato da Socci

    by Vitus1976
  • Discipula
    00 16/11/2006 20:44
    I quattro Vangeli: Perché sono il Cuore della fede cristiana?

    ROMA, giovedì, 16 novembre 2006 (ZENIT.org).- Da circa un anno monsignor Raffaello Martinelli, Officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede e collaboratore del Cardinale Joseph Ratzinger per 23 anni, ha messo a disposizione dei fedeli presso la Basilica dei SS Ambrogio e Carlo al Corso, a Roma, alcune schede catechistiche su argomenti di attualità, redatte sulla base del Catechismo e di altri documenti pontifici.

    Con grande meraviglia monsignor Martinelli, che dal 1987 è anche Rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale San Carlo e Primicerio della Basilica di San Carlo al Corso (www.sancarlo.pcn.net), ha constatato che più di 800.000 schede sono state prese dalle persone che sono entrate nella Basilica.

    Conscia di questa situazione, Antonia Salzano, Presidente dell’Istituto e delle Edizioni San Clemente I Papa e Martire (www.istitutosanclemente.it) ha voluto raccogliere le 33 schede in un CD, ora in vendita presso le librerie cattoliche con il titolo “Catechesi Dialogica su argomenti di attualità”.

    Considerando la qualità, la competenza e l’utilità di queste schede catechistiche, ZENIT ha deciso di pubblicarne una ogni giovedì.

    Il tema affrontato questa settimana è: “I quattro Vangeli: Perché sono il Cuore della fede cristiana?”.



    * * *


    CHE COSA SIGNIFICA LA PAROLA VANGELO?

    “Vangelo” è una parola d’origine greca, euangelion, che arriva all’italiano attraverso il latino evangelium e significa letteralmente lieto annuncio, buona notizia. Tale lieto annuncio riguarda la vita e la predicazione di Gesù Cristo, il Figlio Unigenito di Dio fatto uomo.

    QUANTI E QUALI SONO I VANGELI?

    Sono 4: vangelo di Matteo (Mt), Marco (Mc), Luca (Lc), Giovanni (Gv). Essi fanno parte della Sacra Scrittura, e in particolare del Nuovo Testamento. Appartengono pertanto al cànone delle Scritture, che “è l’elenco completo degli scritti sacri, che la Tradizione Apostolica ha fatto discernere alla Chiesa. Tale cànone comprende 46 scritti dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo” (Compendio, 20).

    QUANDO SONO STATI SCRITTI?

    I 4 Vangeli sono stati scritti tra il 60 e il 100 d. C.

    PERCHE’ SONO SOLO QUATTRO?
    Sono soltanto 4, in quanto è stata la Tradizione Apostolica a far discernere alla Chiesa che questi quattro e solo questi quattro vangeli dovessero essere compresi nell’elenco dei Libri Sacri.

    Che cos’è la Tradizione Apostolica?
    La Tradizione Apostolica è la trasmissione del messaggio di Cristo compiuta, sin dalle origini del cristianesimo, mediante la predicazione, la testimonianza, le istituzioni, il culto, gli scritti ispirati. Gli Apostoli hanno trasmesso ai loro successori, i Vescovi, e, attraverso questi, a tutte le generazioni fino alla fine dei tempi, quanto hanno ricevuto da Cristo e appreso dallo Spirito Santo.

    In quali modi si realizza la Tradizione Apostolica?

    La Tradizione Apostolica si realizza in due modi: con la trasmissione viva della Parola di Dio (detta anche semplicemente la Tradizione), e con la Sacra Scrittura, che è lo stesso annuncio della salvezza messo per iscritto.

    Quale rapporto esiste fra la Tradizione e la Sacra Scrittura?

    La Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Ambedue rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo e scaturiscono dalla stessa sorgente divina: costituiscono un solo sacro deposito della fede, da cui la Chiesa attinge la propria certezza su tutte le verità rivelate.

    Quale relazione esiste tra Scrittura, Tradizione e Magistero?

    Essi sono tra loro così strettamente uniti, che nessuno di loro esiste senza gli altri. Insieme contribuiscono efficacemente, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione dello Spirito Santo, alla salvezza degli uomini” (Compendio, 12-14.17).

    Che cosa sappiamo circa gli autori dei Quattro Vangeli?

    Secondo la tradizione, circa gli autori dei quattro Vangeli sappiamo che:

    Marco: viene spesso identificato col “giovinetto vestito di un lenzuolo” che tentò di seguire Gesù dopo il suo arresto (Mc 14, 51-52). Successivamente fu discepolo di San Pietro; seguì anche San Paolo in uno dei suoi viaggi missionari;

    Matteo: chiamato anche Levi, fu uno degli apostoli. Era pubblicano, cioè esattore delle tasse: Gesù lo chiamò mentre sedeva al banco delle imposte;

    Luca: discepolo di San Paolo, lo seguì in alcuni dei suoi viaggi. È ritenuto anche l’autore degli Atti degli Apostoli. Era medico, probabilmente di Antiochia. Secondo la tradizione, dipinse anche un ritratto della Madonna;

    Giovanni: fu uno degli apostoli più vicini a Gesù. Nel suo Vangelo spesso indica se stesso con l’espressione “il discepolo che Gesù amava”. È ritenuto anche l’autore di tre Lettere Apostoliche e dell’Apocalisse.

    QUALE IMPORTANZA HANNO I VANGELI PER I CRISTIANI?

    “I quattro Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, essendo la principale testimonianza sulla vita e sulla dottrina di Gesù, costituiscono il cuore di tutte le Scritture e occupano un posto unico nella Chiesa” (Compendio, 22).

    COME SI SONO FORMATI I VANGELI?

    Nella formazione dei Vangeli si possono distinguere tre tappe:

    1. La vita e l’insegnamento di Gesù: Gesù non ha lasciato nulla di scritto. Egli ha predicato e insegnato, si è scelto e formato dei discepoli, in particolare i Dodici Apostoli. Questi hanno ascoltato per tre anni la sua parola. C’è da rilevare a questo riguardo che l’esigenza di predicare e insegnare a memoria era una abitudine costante del tempo, e nasce dal fatto che la scrittura era impraticabile in condizioni normali.

    2. La tradizione orale: «Gli Apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità, godevano» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 19). Gli Apostoli hanno attuato pertanto quanto Gesù aveva loro ordinato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Dunque, essi, adempiendo a tale comando di Cristo, hanno annunciato a viva voce gli episodi di cui erano stati testimoni durante la loro vita con Gesù, ripetendo, in particolare a chi non l’aveva conosciuto, le sue parole e i suoi insegnamenti. Così lentamente i ricordi ed i racconti su Gesù, come pure le sue parole e i suoi miracoli, tramandati in modo costante e fedele, assunsero una forma letteraria ben precisa. Ad esempio, già subito dopo la Morte e la Risurrezione di Gesù, quindi intorno agli anni 40 d.C., la Chiesa così cantava nel famoso inno contenuto nella lettera di San Paolo ai Filippesi”: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6).
    Circa tale predicazione, va rilevato che:
    - la comunità cristiana non crea il contenuto della predicazione, ma ne elabora la forma letteraria
    - tale contenuto si basa sulla testimonianza autorevole dei testimoni oculari
    - ed è strettamente controllato dalla comunità apostolica di Gerusalemme, la quale ha la preoccupazione e la convinzione di essere fedele alla memoria di Gesù.

    3. I Vangeli scritti. Gli insegnamenti apostolici su Gesù non rimasero puro insegnamento orale, ma ben presto, gradualmente, furono messi per iscritto. E questo avvenne tra il 60 e il 100 d.C. «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19). Il motivo di questo mettere per iscritto quanto annunciavano oralmente va cercato in alcune esigenze delle prime comunità cristiane:
    - la celebrazione della liturgia: per celebrare occorrono testi da leggere
    - la catechesi, la formazione dei credenti: i catechisti avevano bisogno di testi di riferimento sui quali basare il proprio insegnamento
    - l’attività missionaria di annuncio ai non credenti, per la quale era necessario avere tra le mani perlomeno dei promemoria contenenti gli insegnamenti e le parole significative dette da Gesù
    - la determinazione del comportamento morale, pratico dei cristiani nell’incontro con culture e stili di vita diversi
    - la difesa contro accuse, calunnie e fraintendimenti, a cui le comunità erano soggette, sia da parte ebraica che pagana.

    * Il tutto avvenne sotto la guida dello Spirito Santo, come aveva assicurato Gesù stesso durante la sua vita terrena: «Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 4, 25-26). «Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,14).

    COME VENGONO TRASMESSI I VANGELI LUNGO I SECOLI?

    C’è anzitutto la trasmissione manoscritta (dal 60 d.C.) in greco biblico (un tipo di lingua greca popolare, comune in quel tempo). I più antichi manoscritti dei Vangeli, come pure di tutto il Nuovo Testamento, ci sono pervenuti in greco. In seguito nel II- III secolo i Vangeli vengono tradotti dal greco in latino (la vetus latina), e poi successivamente con l’invenzione della stampa (dal 1516) si passò dalla trasmissione manoscritta a quella stampata.

    I VANGELI SONO DI ORIGINE APOSTOLICA?

    La Chiesa afferma come dato di fede che i Vangeli derivano dagli Apostoli. «La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli Apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti, come fondamento della fede” (Concilio Vati-cano II, Dei Verbum, 18).

    IN CHE SENSO I VANGELI SONO STORICI?

    * I Vangeli sono storici, in quanto riportano fedelmente le opere e le parole di Gesù, alla luce della sua Morte e Risurrezione sotto l’influsso dello Spirito Santo. «La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza alcuna esitanza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19).
    * Occorre tener presente che i Vangeli sono stati scritti in un periodo storico (il I secolo d.C.), in cui:
    - gli Apostoli e molte persone, che avevano conosciuto, ascoltato e vissuto con Gesù
    - come pure persone che avevano conosciuto e vissuto con gli Apostoli erano ancora viventi, e perciò erano in grado di verificare se quanto veniva predicato e scritto corrispondeva a verità oppure no. E non va neppure dimenticato a tale riguardo che molte di queste persone hanno accettato il martirio piuttosto che rinnegare la loro fedeltà a Cristo (cfr. ad esempio la persecuzione subita da molti cristiani nell’anno 64 d.C. a causa di Nerone).

    * Per garantire la storicità dei fatti come tali, esistono anche vari criteri complementari (come il criterio della molteplice attestazione, della non-contraddizione, della continuità e della discontinuità, della conformità, ecc.), che possono fornire una certezza morale di storicità per la maggior parte dei fatti narrati nei Vangeli.

    QUALI SONO I CRITERI DELL’AUTENTICITA’ DEI VANGELI?

    * Criterio fondamentale: il riconoscimen-to della Chiesa divinamente assistita dallo Spirito Santo. Tale riconoscimento è stato anzitutto dato dalla prima Comunità ecclesiale nel I secolo d. C., ed è stato sempre riconfermato dalla Chiesa nei secoli successivi fino ad oggi.
    * Criteri oggettivi:
    - la loro origine apostolica
    - l’assoluta fedeltà a quanto Gesù ha detto e fatto
    - la testimonianza di coloro che furono testimoni oculari.

    IN CHE SENSO I VANGELI SONO LIBRI ISPIRATI?

    “Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri. Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 11).

    PERCHÉ I VANGELI INSEGNANO LA VERITÀ?

    Perché Dio stesso è il loro autore. Perciò insegnano senza errore quelle verità, che sono necessarie alla nostra salvezza. “Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle Sacre Scritture. Pertanto ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 11).

    QUALI SONO ALCUNE DELLE CARATTERISTICHE DEI SINGOLI VANGELI?

    * Vangelo secondo Marco: è ritenuto il più antico dei quattro Vangeli. Ha un tono più narrativo: ricco di particolari, dipinge efficacemente la Palestina dell’epoca di Gesù. I destinatari dell’opera erano i cristiani non ebrei, probabilmente quelli di Roma. L’autore è il Marco conosciuto da Pietro, che più tardi ha accompagnato Paolo e Barnaba. Il vangelo di Marco è contrassegnato dalla ‘via’: il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, verso l’adempimento del mistero pasquale.

    * Vangelo secondo Matteo: era destinato ad un pubblico di origine ebraica. Lo si evince dalla frequenza con cui sono riportate le citazioni dall’Antico Testa-mento. Secondo la tradizione cristiana, l’autore sarebbe uno dei dodici Apostoli, in certi passi chiamato Matteo (l’esattore delle tasse), in altri Levi. Questo Vangelo, ricco di parabole e di 5 grandi discorsi di Gesù, tra cui il celeberrimo discorso della montagna (5,1-7,29), è generalmente considerato come il testo più ricco di valore morale e che per secoli ha ispirato genti di ogni cultura e religione.

    * Vangelo secondo Luca: è un tutt’uno con gli Atti degli Apostoli. Scritti dallo stesso autore, presentano il medesimo stile e hanno lo stesso destinatario, un certo Teofilo, del quale non si hanno ulteriori notizie (il nome, in greco, significa Amico di Dio). Secondo la tradizione, l’autore è Luca, compagno di San Paolo in alcuni dei suoi viaggi. Il cuore dell’opera è l’attività di Gesù a Gerusalemme, la predicazione dell’inizio di una nuova era, il riscatto degli uomini e l’amore per i poveri.

    * Vangelo secondo Giovanni: è molto diverso, anche stilisticamente, rispetto agli altri. Ci sono molte meno parabole, meno miracoli, non vi è accenno all’istituzione dell’Eucaristia, al Padre nostro, alle beatitudini. Compaiono invece nuove espressioni per indicare Gesù (ad es. Verbo di Dio). Secondo la tradizione l’autore è l’Apostolo Giovanni, quello prediletto da Gesù, autore anche dell’Apocalisse. Un grande scrittore cristiano del III secolo, Origene, definiva così il quarto Vangelo: «il fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo e il fiore del Vangelo è quello trasmesso a noi da Giovanni, il cui senso profondo e riposto nessuno mai potrà pienamente cogliere».

    QUALI CARATTERISTICHE PRESENTANO I VANGELI NEL LORO INSIEME?

    * Circa le Fonti, occorre rilevare:
    - l’accurata ricerca di fatti storici. Così si esprime al riguardo Luca all’inizio del suo Vangelo: “Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (1,1-4)
    - la testimonianza oculare e l’esperienza sorprendente, nuova, di alcune persone che hanno vissuto con Gesù.

    * Circa il Contenuto:
    - I Vangeli si completano a vicenda, evidenziando ciascuno alcuni aspetti particolari dell’insegnamento e dell’operato di Cristo.
    - Non solo contengono la Parola di Dio, ma sono essi stessi Parola di Dio: Parola di Dio in parola umana. In quanto opera umana, i Vangeli vanno studiati con criteri scientifici ( di critica letteraria e storica), ma in quanto Parola di Dio, vanno letti anche e soprattutto con criteri di fede.
    - Gesù Cristo è il contenuto centrale, il dato primordiale e permanente, il centro stabile che unifica, dà solidità ai Vangeli, i quali sono l’eco fedele di quanto Gesù ha detto e fatto. I Vangeli sono un libro solo e quest’unico libro è Cristo. Egli è il rivelatore definitivo del Padre con il suo stesso essere, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua Morte e Risurrezione, con il dono dello Spirito Santo.
    - La fede cristiana non è «una religione del Libro», ma della Parola di Dio, che non è «una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente» (san Bernardo di Chiaravalle)
    - C’è un contenuto comune nel presentare i fatti principali della vita di Gesù: Gesù vien presentato nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e comportamento, nei momenti fondamentali della sua vita pubblica, nella sua assoluta novità e originalità: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).

    * Circa l’Interpretazione degli eventi: essa viene fatta alla luce della Risurrezione di Gesù e messa a servizio della vita dei credenti e della Chiesa. I Vangeli furono scritti nella certezza che Gesù morto sulla croce è risorto, quindi è sempre vivo e presente nella Chiesa. Ora per conoscere il Risorto occorre rivolgersi alla vita e all’insegnamento passati di Gesù, ma non semplicemente in quanto passati, ma per illuminare con questo passato Cristo attualmente vivo.

    * Circa la Finalità, i Vangeli:
    - non si prefiggono di offrirci una biografia di Gesù. Gli autori sacri, come già la tradizione prima di essi, non hanno interesse a conoscere in dettaglio la descrizione degli eventi della vita di Gesù. I dettagli presenti nel testo non servono alla descrizione cronistica del fatto
    - neppure offrono risposte a problemi di storia o di scienza: la verità che Gesù comunica è per la nostra salvezza. I Vangeli riportano fatti e detti di Gesù, ritenuti importanti per il loro significato salvifico
    - si propongono invece di esprimere e suscitare la fede nel Signore Gesù. Essendo trasmessa da credenti per suscitare e nutrire la fede, la tradizione evangelica porta l’attenzione al significato che hanno per la fede questi eventi. Quindi la verità di un racconto non sta nell’esatto resoconto di un fatto, ma nel cogliere il senso, il valore, la lezione contenuta nel fatto.

    QUALE UNITÀ ESISTE FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO?

    “La Scrittura è una, in quanto unica è la Parola di Dio, unico il progetto salvifico di Dio, unica l’ispirazione divina di entrambi i Testamenti. L’Antico Testa-mento prepara il Nuovo e il Nuovo dà compimento all’Antico: i due si illuminano a vicenda.

    QUALE FUNZIONE HA LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA?

    La Sacra Scrittura dona sostegno e vigore alla vita della Chiesa. È, per i suoi figli, saldezza della fede, cibo e sorgente di vita spirituale. È l’anima della teologia e della predicazione pastorale. Dice il Salmista: essa è «lampada per i miei passi, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). La Chiesa esorta perciò alla frequente lettura della Sacra Scrittura, perché «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (san Girolamo)” (Compendio, 22-24).

    CHE COSA SONO I VANGELI APOCRIFI?

    * Dal II secolo in avanti (quindi a distanza di tempo dagli eventi narrati) nascono altri vangeli, detti apocrifi. Essi:
    - nascono (ad es. i vangeli gnostici) nel contesto di correnti teologiche giudicate eretiche dalla Chiesa del tempo
    - in molti casi, si prefiggono di colmare i silenzi dei 4 Vangeli su certi periodi della vita di Gesù (in particolare dei suoi primi trent’anni), dando largo spazio alla fantasia e all’invenzione
    - mostrano un interesse particolare per gli aspetti strepitosi dei miracoli, per l’infanzia di Gesù, per le vicende degli Apostoli non menzionati nel libro degli Atti degli Apostoli
    - alcuni di essi addirittura non parlano della Morte e Risurrezione di Cristo.
    * Per questi motivi, a differenza dei quattro vangeli canonici, non sono stati riconosciuti come ispirati dalla Chiesa, la quale, appena furono scritti, li ha rifiutati giudicandoli come inattendibili e anzi dannosi.
    * Ciò nonostante, hanno avuto una certa influenza nella tradizione e nell’iconografia: ad esempio la presenza del bue e dell’asinello nella grotta della Natività e il nome dei genitori di Maria (Gioacchino e Anna) ci giungono proprio dal protovangelo di Giacomo, il più famoso. Altri testi apocrifi sono venuti recentemente alla luce, come il vangelo di Didimo Giuda Tommaso.
    * E’ necessario ricordare che i 4 Vangeli autentici sono precedenti ai Vangeli apocrifi. Il Vangelo di Giovanni, che è l’ultimo dei quattro, fu composto verso il 90-95, molti decenni prima che alcuni autori scrivessero i Vangeli apocrifi.

    QUALI SONO I CRITERI DI LETTURA DEI VANGELI?

    1) Occorre anzitutto “ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro parole. Per comprendere l’intenzione degli autori sacri, si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e della loro cultura, dei «generi letterari» allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca” (CCC, 109-110).

    2) Essendo i Vangeli ispirati, c’è un altro principio di retta interpretazione, non meno importante del precedente, senza il quale la Scrittura resterebbe «lettera morta»: «La Sacra Scrittura [deve] essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum,n.12). Il Concilio Vaticano II indica tre criteri per una interpretazione della Scrittura conforme allo Spirito che l’ha ispirata: 1) attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura; 2) lettura della Scrittura nella Tradizione viva della Chiesa; 3) rispetto dell’analogia della fede, cioè della coesione delle verità della fede tra di loro.

    3) I Vangeli vanno interpretati sotto la guida del Magistero della Chiesa, al quale spetta interpretare autenticamente il deposito della fede.
    “L’interpretazione autentica di tale deposito compete al solo Magistero vivente della Chiesa, e cioè al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, e ai Vescovi in comunione con lui. Al Magistero, che nel servire la Parola di Dio gode del carisma certo della verità, spetta anche definire i dogmi, che sono formulazioni delle verità contenute nella Rivelazione divina. Tale autorità si estende anche alle verità necessariamente collegate con la Rivela-zione” (Compendio, 16).

    4) I Vangeli vanno letti tenendo presente l’unità globale del progetto divino, che si attua nella storia e che Dio ha rivelato in maniera piena e definitiva nel Suo Figlio Unigenito Gesù Cristo.

    IN QUALE MODO LEGGERE I VANGELI?

    * Anzitutto una citazione evangelica va letta così:
    Mt 3,1-4 significa: libro di Matteo, capitolo 3, dal versetto 1 al versetto 4;
    * La lettura dei Vangeli può essere compiuta in modo individuale o comunitario, di uno o più passi, di una o più pagine. Tale lettura va fatta con attenzione, senza sorvolare ciò che sembra secondario, interpretando correttamente il senso del testo biblico. E si sviluppa, grazie all’aiuto dello Spirito, in meditazione, contemplazione e preghiera.
    - Meditazione (Meditatio): ciò che è stato letto va confrontato con i passi biblici paralleli e applicato alla vita personale, prendendo un impegno concreto
    - Contemplazione (Contemplatio): è il momento della riflessione, del silenzio e dell’adorazione, fino ad avvertire la viva presenza di Dio
    - Preghiera (Oratio): è il momento della lode e dell’intercessione. Il discepolo condivide con altri fratelli la sua fede e prega secondo quanto l’incontro con Dio in quel brano della Scrittura gli ha suggerito. Tutto questo può avvenire anche in un contesto di una sobria celebrazione comunitaria. “La lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo”(Concilio Vati-cano II, Dei Verbum, n.25).

    * E’ necessario anche tener presenti alcune esigenze per leggere bene i Vangeli:
    - conoscenza del linguaggio evangelico e attenzione al senso letterale, individuando anche lo scopo, l’argomento e la disposizione del testo. A tal fine è necessario ricorrere agli strumenti di una corretta esegesi, per non cadere in interpretazioni arbitrarie;
    - lettura e rilettura incessante del testo evangelico per acquisire una certa familiarità con il suo orizzonte complessivo. A tal fine è utile confrontare un brano con altri testi della Bibbia. L’unità della S. Scrittura, che rappresenta l’unità del disegno salvifico, chiede che un singolo brano sia letto nel contesto di altri, confrontato con altri; che l’Antico Testamento sia letto alla luce del Nuovo, ma anche il Nuovo Testamento sia letto alla luce dell’Antico per riconoscere la “pedagogia di Dio”, in quanto esso non può essere compreso al di fuori di una stretta relazione con l’Antico testamento e con la tradizione ebraica che lo trasmetteva
    - lettura attualizzante: è necessario attualizzare il testo biblico nel nostro tempo. Attraverso la lettura del passato, lo Spirito ci aiuta a discernere il senso che egli stesso va donando ai problemi e avvenimenti del nostro tempo, abilitandoci a leggere la Bibbia con la vita e la vita con la Bibbia
    - attenzione ai sensi della S. Scrittura, e quindi dei Vangeli.

    QUALI SONO I SENSI DELLA SCRITTURA?

    “Secondo un’antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso letterale e quello spirituale, suddiviso quest’ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la sua ricchezza.

    * Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione. «Omnes [Sacrae Scripturae] sensus fundentur super unum, scilicet litteralem – Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale».

    * Il senso spirituale. Data l’unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni. Esso comprende:

    1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo.
    2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono stati scritti «per ammonimento nostro» (1 Cor 10,11).
    3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

    * Un distico medievale riassume bene il significato dei quattro sensi: La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l’anagogia dove tendere (Littera gesta docet, quid credas allegoria. Moralis quid agas, quo tendas anagogia)” (CCC, 115-118).


    Il Primicerio della Basilica dei SS.Ambrogio e Carlo in Roma
    Mons. Raffaello Martinelli


    BIBLIOGRAFIA:
    - CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum;
    - CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), nn. 74-141;
    - COMPENDIO del CCC, nn. 11-24.

  • euge65
    00 16/11/2006 20:46
    Re:

    Scritto da: Discipula 16/11/2006 20.44
    I quattro Vangeli: Perché sono il Cuore della fede cristiana?

    ROMA, giovedì, 16 novembre 2006 (ZENIT.org).- Da circa un anno monsignor Raffaello Martinelli, Officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede e collaboratore del Cardinale Joseph Ratzinger per 23 anni, ha messo a disposizione dei fedeli presso la Basilica dei SS Ambrogio e Carlo al Corso, a Roma, alcune schede catechistiche su argomenti di attualità, redatte sulla base del Catechismo e di altri documenti pontifici.

    Con grande meraviglia monsignor Martinelli, che dal 1987 è anche Rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale San Carlo e Primicerio della Basilica di San Carlo al Corso (www.sancarlo.pcn.net), ha constatato che più di 800.000 schede sono state prese dalle persone che sono entrate nella Basilica.

    Conscia di questa situazione, Antonia Salzano, Presidente dell’Istituto e delle Edizioni San Clemente I Papa e Martire (www.istitutosanclemente.it) ha voluto raccogliere le 33 schede in un CD, ora in vendita presso le librerie cattoliche con il titolo “Catechesi Dialogica su argomenti di attualità”.

    Considerando la qualità, la competenza e l’utilità di queste schede catechistiche, ZENIT ha deciso di pubblicarne una ogni giovedì.

    Il tema affrontato questa settimana è: “I quattro Vangeli: Perché sono il Cuore della fede cristiana?”.



    * * *


    CHE COSA SIGNIFICA LA PAROLA VANGELO?

    “Vangelo” è una parola d’origine greca, euangelion, che arriva all’italiano attraverso il latino evangelium e significa letteralmente lieto annuncio, buona notizia. Tale lieto annuncio riguarda la vita e la predicazione di Gesù Cristo, il Figlio Unigenito di Dio fatto uomo.

    QUANTI E QUALI SONO I VANGELI?

    Sono 4: vangelo di Matteo (Mt), Marco (Mc), Luca (Lc), Giovanni (Gv). Essi fanno parte della Sacra Scrittura, e in particolare del Nuovo Testamento. Appartengono pertanto al cànone delle Scritture, che “è l’elenco completo degli scritti sacri, che la Tradizione Apostolica ha fatto discernere alla Chiesa. Tale cànone comprende 46 scritti dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo” (Compendio, 20).

    QUANDO SONO STATI SCRITTI?

    I 4 Vangeli sono stati scritti tra il 60 e il 100 d. C.

    PERCHE’ SONO SOLO QUATTRO?
    Sono soltanto 4, in quanto è stata la Tradizione Apostolica a far discernere alla Chiesa che questi quattro e solo questi quattro vangeli dovessero essere compresi nell’elenco dei Libri Sacri.

    Che cos’è la Tradizione Apostolica?
    La Tradizione Apostolica è la trasmissione del messaggio di Cristo compiuta, sin dalle origini del cristianesimo, mediante la predicazione, la testimonianza, le istituzioni, il culto, gli scritti ispirati. Gli Apostoli hanno trasmesso ai loro successori, i Vescovi, e, attraverso questi, a tutte le generazioni fino alla fine dei tempi, quanto hanno ricevuto da Cristo e appreso dallo Spirito Santo.

    In quali modi si realizza la Tradizione Apostolica?

    La Tradizione Apostolica si realizza in due modi: con la trasmissione viva della Parola di Dio (detta anche semplicemente la Tradizione), e con la Sacra Scrittura, che è lo stesso annuncio della salvezza messo per iscritto.

    Quale rapporto esiste fra la Tradizione e la Sacra Scrittura?

    La Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Ambedue rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo e scaturiscono dalla stessa sorgente divina: costituiscono un solo sacro deposito della fede, da cui la Chiesa attinge la propria certezza su tutte le verità rivelate.

    Quale relazione esiste tra Scrittura, Tradizione e Magistero?

    Essi sono tra loro così strettamente uniti, che nessuno di loro esiste senza gli altri. Insieme contribuiscono efficacemente, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione dello Spirito Santo, alla salvezza degli uomini” (Compendio, 12-14.17).

    Che cosa sappiamo circa gli autori dei Quattro Vangeli?

    Secondo la tradizione, circa gli autori dei quattro Vangeli sappiamo che:

    Marco: viene spesso identificato col “giovinetto vestito di un lenzuolo” che tentò di seguire Gesù dopo il suo arresto (Mc 14, 51-52). Successivamente fu discepolo di San Pietro; seguì anche San Paolo in uno dei suoi viaggi missionari;

    Matteo: chiamato anche Levi, fu uno degli apostoli. Era pubblicano, cioè esattore delle tasse: Gesù lo chiamò mentre sedeva al banco delle imposte;

    Luca: discepolo di San Paolo, lo seguì in alcuni dei suoi viaggi. È ritenuto anche l’autore degli Atti degli Apostoli. Era medico, probabilmente di Antiochia. Secondo la tradizione, dipinse anche un ritratto della Madonna;

    Giovanni: fu uno degli apostoli più vicini a Gesù. Nel suo Vangelo spesso indica se stesso con l’espressione “il discepolo che Gesù amava”. È ritenuto anche l’autore di tre Lettere Apostoliche e dell’Apocalisse.

    QUALE IMPORTANZA HANNO I VANGELI PER I CRISTIANI?

    “I quattro Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, essendo la principale testimonianza sulla vita e sulla dottrina di Gesù, costituiscono il cuore di tutte le Scritture e occupano un posto unico nella Chiesa” (Compendio, 22).

    COME SI SONO FORMATI I VANGELI?

    Nella formazione dei Vangeli si possono distinguere tre tappe:

    1. La vita e l’insegnamento di Gesù: Gesù non ha lasciato nulla di scritto. Egli ha predicato e insegnato, si è scelto e formato dei discepoli, in particolare i Dodici Apostoli. Questi hanno ascoltato per tre anni la sua parola. C’è da rilevare a questo riguardo che l’esigenza di predicare e insegnare a memoria era una abitudine costante del tempo, e nasce dal fatto che la scrittura era impraticabile in condizioni normali.

    2. La tradizione orale: «Gli Apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità, godevano» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum 19). Gli Apostoli hanno attuato pertanto quanto Gesù aveva loro ordinato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Dunque, essi, adempiendo a tale comando di Cristo, hanno annunciato a viva voce gli episodi di cui erano stati testimoni durante la loro vita con Gesù, ripetendo, in particolare a chi non l’aveva conosciuto, le sue parole e i suoi insegnamenti. Così lentamente i ricordi ed i racconti su Gesù, come pure le sue parole e i suoi miracoli, tramandati in modo costante e fedele, assunsero una forma letteraria ben precisa. Ad esempio, già subito dopo la Morte e la Risurrezione di Gesù, quindi intorno agli anni 40 d.C., la Chiesa così cantava nel famoso inno contenuto nella lettera di San Paolo ai Filippesi”: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6).
    Circa tale predicazione, va rilevato che:
    - la comunità cristiana non crea il contenuto della predicazione, ma ne elabora la forma letteraria
    - tale contenuto si basa sulla testimonianza autorevole dei testimoni oculari
    - ed è strettamente controllato dalla comunità apostolica di Gerusalemme, la quale ha la preoccupazione e la convinzione di essere fedele alla memoria di Gesù.

    3. I Vangeli scritti. Gli insegnamenti apostolici su Gesù non rimasero puro insegnamento orale, ma ben presto, gradualmente, furono messi per iscritto. E questo avvenne tra il 60 e il 100 d.C. «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19). Il motivo di questo mettere per iscritto quanto annunciavano oralmente va cercato in alcune esigenze delle prime comunità cristiane:
    - la celebrazione della liturgia: per celebrare occorrono testi da leggere
    - la catechesi, la formazione dei credenti: i catechisti avevano bisogno di testi di riferimento sui quali basare il proprio insegnamento
    - l’attività missionaria di annuncio ai non credenti, per la quale era necessario avere tra le mani perlomeno dei promemoria contenenti gli insegnamenti e le parole significative dette da Gesù
    - la determinazione del comportamento morale, pratico dei cristiani nell’incontro con culture e stili di vita diversi
    - la difesa contro accuse, calunnie e fraintendimenti, a cui le comunità erano soggette, sia da parte ebraica che pagana.

    * Il tutto avvenne sotto la guida dello Spirito Santo, come aveva assicurato Gesù stesso durante la sua vita terrena: «Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 4, 25-26). «Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,14).

    COME VENGONO TRASMESSI I VANGELI LUNGO I SECOLI?

    C’è anzitutto la trasmissione manoscritta (dal 60 d.C.) in greco biblico (un tipo di lingua greca popolare, comune in quel tempo). I più antichi manoscritti dei Vangeli, come pure di tutto il Nuovo Testamento, ci sono pervenuti in greco. In seguito nel II- III secolo i Vangeli vengono tradotti dal greco in latino (la vetus latina), e poi successivamente con l’invenzione della stampa (dal 1516) si passò dalla trasmissione manoscritta a quella stampata.

    I VANGELI SONO DI ORIGINE APOSTOLICA?

    La Chiesa afferma come dato di fede che i Vangeli derivano dagli Apostoli. «La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli Apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti, come fondamento della fede” (Concilio Vati-cano II, Dei Verbum, 18).

    IN CHE SENSO I VANGELI SONO STORICI?

    * I Vangeli sono storici, in quanto riportano fedelmente le opere e le parole di Gesù, alla luce della sua Morte e Risurrezione sotto l’influsso dello Spirito Santo. «La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza alcuna esitanza la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19).
    * Occorre tener presente che i Vangeli sono stati scritti in un periodo storico (il I secolo d.C.), in cui:
    - gli Apostoli e molte persone, che avevano conosciuto, ascoltato e vissuto con Gesù
    - come pure persone che avevano conosciuto e vissuto con gli Apostoli erano ancora viventi, e perciò erano in grado di verificare se quanto veniva predicato e scritto corrispondeva a verità oppure no. E non va neppure dimenticato a tale riguardo che molte di queste persone hanno accettato il martirio piuttosto che rinnegare la loro fedeltà a Cristo (cfr. ad esempio la persecuzione subita da molti cristiani nell’anno 64 d.C. a causa di Nerone).

    * Per garantire la storicità dei fatti come tali, esistono anche vari criteri complementari (come il criterio della molteplice attestazione, della non-contraddizione, della continuità e della discontinuità, della conformità, ecc.), che possono fornire una certezza morale di storicità per la maggior parte dei fatti narrati nei Vangeli.

    QUALI SONO I CRITERI DELL’AUTENTICITA’ DEI VANGELI?

    * Criterio fondamentale: il riconoscimen-to della Chiesa divinamente assistita dallo Spirito Santo. Tale riconoscimento è stato anzitutto dato dalla prima Comunità ecclesiale nel I secolo d. C., ed è stato sempre riconfermato dalla Chiesa nei secoli successivi fino ad oggi.
    * Criteri oggettivi:
    - la loro origine apostolica
    - l’assoluta fedeltà a quanto Gesù ha detto e fatto
    - la testimonianza di coloro che furono testimoni oculari.

    IN CHE SENSO I VANGELI SONO LIBRI ISPIRATI?

    “Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri. Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 11).

    PERCHÉ I VANGELI INSEGNANO LA VERITÀ?

    Perché Dio stesso è il loro autore. Perciò insegnano senza errore quelle verità, che sono necessarie alla nostra salvezza. “Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle Sacre Scritture. Pertanto ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona” (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 11).

    QUALI SONO ALCUNE DELLE CARATTERISTICHE DEI SINGOLI VANGELI?

    * Vangelo secondo Marco: è ritenuto il più antico dei quattro Vangeli. Ha un tono più narrativo: ricco di particolari, dipinge efficacemente la Palestina dell’epoca di Gesù. I destinatari dell’opera erano i cristiani non ebrei, probabilmente quelli di Roma. L’autore è il Marco conosciuto da Pietro, che più tardi ha accompagnato Paolo e Barnaba. Il vangelo di Marco è contrassegnato dalla ‘via’: il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, verso l’adempimento del mistero pasquale.

    * Vangelo secondo Matteo: era destinato ad un pubblico di origine ebraica. Lo si evince dalla frequenza con cui sono riportate le citazioni dall’Antico Testa-mento. Secondo la tradizione cristiana, l’autore sarebbe uno dei dodici Apostoli, in certi passi chiamato Matteo (l’esattore delle tasse), in altri Levi. Questo Vangelo, ricco di parabole e di 5 grandi discorsi di Gesù, tra cui il celeberrimo discorso della montagna (5,1-7,29), è generalmente considerato come il testo più ricco di valore morale e che per secoli ha ispirato genti di ogni cultura e religione.

    * Vangelo secondo Luca: è un tutt’uno con gli Atti degli Apostoli. Scritti dallo stesso autore, presentano il medesimo stile e hanno lo stesso destinatario, un certo Teofilo, del quale non si hanno ulteriori notizie (il nome, in greco, significa Amico di Dio). Secondo la tradizione, l’autore è Luca, compagno di San Paolo in alcuni dei suoi viaggi. Il cuore dell’opera è l’attività di Gesù a Gerusalemme, la predicazione dell’inizio di una nuova era, il riscatto degli uomini e l’amore per i poveri.

    * Vangelo secondo Giovanni: è molto diverso, anche stilisticamente, rispetto agli altri. Ci sono molte meno parabole, meno miracoli, non vi è accenno all’istituzione dell’Eucaristia, al Padre nostro, alle beatitudini. Compaiono invece nuove espressioni per indicare Gesù (ad es. Verbo di Dio). Secondo la tradizione l’autore è l’Apostolo Giovanni, quello prediletto da Gesù, autore anche dell’Apocalisse. Un grande scrittore cristiano del III secolo, Origene, definiva così il quarto Vangelo: «il fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo e il fiore del Vangelo è quello trasmesso a noi da Giovanni, il cui senso profondo e riposto nessuno mai potrà pienamente cogliere».

    QUALI CARATTERISTICHE PRESENTANO I VANGELI NEL LORO INSIEME?

    * Circa le Fonti, occorre rilevare:
    - l’accurata ricerca di fatti storici. Così si esprime al riguardo Luca all’inizio del suo Vangelo: “Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (1,1-4)
    - la testimonianza oculare e l’esperienza sorprendente, nuova, di alcune persone che hanno vissuto con Gesù.

    * Circa il Contenuto:
    - I Vangeli si completano a vicenda, evidenziando ciascuno alcuni aspetti particolari dell’insegnamento e dell’operato di Cristo.
    - Non solo contengono la Parola di Dio, ma sono essi stessi Parola di Dio: Parola di Dio in parola umana. In quanto opera umana, i Vangeli vanno studiati con criteri scientifici ( di critica letteraria e storica), ma in quanto Parola di Dio, vanno letti anche e soprattutto con criteri di fede.
    - Gesù Cristo è il contenuto centrale, il dato primordiale e permanente, il centro stabile che unifica, dà solidità ai Vangeli, i quali sono l’eco fedele di quanto Gesù ha detto e fatto. I Vangeli sono un libro solo e quest’unico libro è Cristo. Egli è il rivelatore definitivo del Padre con il suo stesso essere, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua Morte e Risurrezione, con il dono dello Spirito Santo.
    - La fede cristiana non è «una religione del Libro», ma della Parola di Dio, che non è «una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente» (san Bernardo di Chiaravalle)
    - C’è un contenuto comune nel presentare i fatti principali della vita di Gesù: Gesù vien presentato nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e comportamento, nei momenti fondamentali della sua vita pubblica, nella sua assoluta novità e originalità: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).

    * Circa l’Interpretazione degli eventi: essa viene fatta alla luce della Risurrezione di Gesù e messa a servizio della vita dei credenti e della Chiesa. I Vangeli furono scritti nella certezza che Gesù morto sulla croce è risorto, quindi è sempre vivo e presente nella Chiesa. Ora per conoscere il Risorto occorre rivolgersi alla vita e all’insegnamento passati di Gesù, ma non semplicemente in quanto passati, ma per illuminare con questo passato Cristo attualmente vivo.

    * Circa la Finalità, i Vangeli:
    - non si prefiggono di offrirci una biografia di Gesù. Gli autori sacri, come già la tradizione prima di essi, non hanno interesse a conoscere in dettaglio la descrizione degli eventi della vita di Gesù. I dettagli presenti nel testo non servono alla descrizione cronistica del fatto
    - neppure offrono risposte a problemi di storia o di scienza: la verità che Gesù comunica è per la nostra salvezza. I Vangeli riportano fatti e detti di Gesù, ritenuti importanti per il loro significato salvifico
    - si propongono invece di esprimere e suscitare la fede nel Signore Gesù. Essendo trasmessa da credenti per suscitare e nutrire la fede, la tradizione evangelica porta l’attenzione al significato che hanno per la fede questi eventi. Quindi la verità di un racconto non sta nell’esatto resoconto di un fatto, ma nel cogliere il senso, il valore, la lezione contenuta nel fatto.

    QUALE UNITÀ ESISTE FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO?

    “La Scrittura è una, in quanto unica è la Parola di Dio, unico il progetto salvifico di Dio, unica l’ispirazione divina di entrambi i Testamenti. L’Antico Testa-mento prepara il Nuovo e il Nuovo dà compimento all’Antico: i due si illuminano a vicenda.

    QUALE FUNZIONE HA LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA?

    La Sacra Scrittura dona sostegno e vigore alla vita della Chiesa. È, per i suoi figli, saldezza della fede, cibo e sorgente di vita spirituale. È l’anima della teologia e della predicazione pastorale. Dice il Salmista: essa è «lampada per i miei passi, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). La Chiesa esorta perciò alla frequente lettura della Sacra Scrittura, perché «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (san Girolamo)” (Compendio, 22-24).

    CHE COSA SONO I VANGELI APOCRIFI?

    * Dal II secolo in avanti (quindi a distanza di tempo dagli eventi narrati) nascono altri vangeli, detti apocrifi. Essi:
    - nascono (ad es. i vangeli gnostici) nel contesto di correnti teologiche giudicate eretiche dalla Chiesa del tempo
    - in molti casi, si prefiggono di colmare i silenzi dei 4 Vangeli su certi periodi della vita di Gesù (in particolare dei suoi primi trent’anni), dando largo spazio alla fantasia e all’invenzione
    - mostrano un interesse particolare per gli aspetti strepitosi dei miracoli, per l’infanzia di Gesù, per le vicende degli Apostoli non menzionati nel libro degli Atti degli Apostoli
    - alcuni di essi addirittura non parlano della Morte e Risurrezione di Cristo.
    * Per questi motivi, a differenza dei quattro vangeli canonici, non sono stati riconosciuti come ispirati dalla Chiesa, la quale, appena furono scritti, li ha rifiutati giudicandoli come inattendibili e anzi dannosi.
    * Ciò nonostante, hanno avuto una certa influenza nella tradizione e nell’iconografia: ad esempio la presenza del bue e dell’asinello nella grotta della Natività e il nome dei genitori di Maria (Gioacchino e Anna) ci giungono proprio dal protovangelo di Giacomo, il più famoso. Altri testi apocrifi sono venuti recentemente alla luce, come il vangelo di Didimo Giuda Tommaso.
    * E’ necessario ricordare che i 4 Vangeli autentici sono precedenti ai Vangeli apocrifi. Il Vangelo di Giovanni, che è l’ultimo dei quattro, fu composto verso il 90-95, molti decenni prima che alcuni autori scrivessero i Vangeli apocrifi.

    QUALI SONO I CRITERI DI LETTURA DEI VANGELI?

    1) Occorre anzitutto “ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro parole. Per comprendere l’intenzione degli autori sacri, si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e della loro cultura, dei «generi letterari» allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca” (CCC, 109-110).

    2) Essendo i Vangeli ispirati, c’è un altro principio di retta interpretazione, non meno importante del precedente, senza il quale la Scrittura resterebbe «lettera morta»: «La Sacra Scrittura [deve] essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum,n.12). Il Concilio Vaticano II indica tre criteri per una interpretazione della Scrittura conforme allo Spirito che l’ha ispirata: 1) attenzione al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura; 2) lettura della Scrittura nella Tradizione viva della Chiesa; 3) rispetto dell’analogia della fede, cioè della coesione delle verità della fede tra di loro.

    3) I Vangeli vanno interpretati sotto la guida del Magistero della Chiesa, al quale spetta interpretare autenticamente il deposito della fede.
    “L’interpretazione autentica di tale deposito compete al solo Magistero vivente della Chiesa, e cioè al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, e ai Vescovi in comunione con lui. Al Magistero, che nel servire la Parola di Dio gode del carisma certo della verità, spetta anche definire i dogmi, che sono formulazioni delle verità contenute nella Rivelazione divina. Tale autorità si estende anche alle verità necessariamente collegate con la Rivela-zione” (Compendio, 16).

    4) I Vangeli vanno letti tenendo presente l’unità globale del progetto divino, che si attua nella storia e che Dio ha rivelato in maniera piena e definitiva nel Suo Figlio Unigenito Gesù Cristo.

    IN QUALE MODO LEGGERE I VANGELI?

    * Anzitutto una citazione evangelica va letta così:
    Mt 3,1-4 significa: libro di Matteo, capitolo 3, dal versetto 1 al versetto 4;
    * La lettura dei Vangeli può essere compiuta in modo individuale o comunitario, di uno o più passi, di una o più pagine. Tale lettura va fatta con attenzione, senza sorvolare ciò che sembra secondario, interpretando correttamente il senso del testo biblico. E si sviluppa, grazie all’aiuto dello Spirito, in meditazione, contemplazione e preghiera.
    - Meditazione (Meditatio): ciò che è stato letto va confrontato con i passi biblici paralleli e applicato alla vita personale, prendendo un impegno concreto
    - Contemplazione (Contemplatio): è il momento della riflessione, del silenzio e dell’adorazione, fino ad avvertire la viva presenza di Dio
    - Preghiera (Oratio): è il momento della lode e dell’intercessione. Il discepolo condivide con altri fratelli la sua fede e prega secondo quanto l’incontro con Dio in quel brano della Scrittura gli ha suggerito. Tutto questo può avvenire anche in un contesto di una sobria celebrazione comunitaria. “La lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo”(Concilio Vati-cano II, Dei Verbum, n.25).

    * E’ necessario anche tener presenti alcune esigenze per leggere bene i Vangeli:
    - conoscenza del linguaggio evangelico e attenzione al senso letterale, individuando anche lo scopo, l’argomento e la disposizione del testo. A tal fine è necessario ricorrere agli strumenti di una corretta esegesi, per non cadere in interpretazioni arbitrarie;
    - lettura e rilettura incessante del testo evangelico per acquisire una certa familiarità con il suo orizzonte complessivo. A tal fine è utile confrontare un brano con altri testi della Bibbia. L’unità della S. Scrittura, che rappresenta l’unità del disegno salvifico, chiede che un singolo brano sia letto nel contesto di altri, confrontato con altri; che l’Antico Testamento sia letto alla luce del Nuovo, ma anche il Nuovo Testamento sia letto alla luce dell’Antico per riconoscere la “pedagogia di Dio”, in quanto esso non può essere compreso al di fuori di una stretta relazione con l’Antico testamento e con la tradizione ebraica che lo trasmetteva
    - lettura attualizzante: è necessario attualizzare il testo biblico nel nostro tempo. Attraverso la lettura del passato, lo Spirito ci aiuta a discernere il senso che egli stesso va donando ai problemi e avvenimenti del nostro tempo, abilitandoci a leggere la Bibbia con la vita e la vita con la Bibbia
    - attenzione ai sensi della S. Scrittura, e quindi dei Vangeli.

    QUALI SONO I SENSI DELLA SCRITTURA?

    “Secondo un’antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso letterale e quello spirituale, suddiviso quest’ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la sua ricchezza.

    * Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione. «Omnes [Sacrae Scripturae] sensus fundentur super unum, scilicet litteralem – Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale».

    * Il senso spirituale. Data l’unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni. Esso comprende:

    1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo.
    2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono stati scritti «per ammonimento nostro» (1 Cor 10,11).
    3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

    * Un distico medievale riassume bene il significato dei quattro sensi: La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l’anagogia dove tendere (Littera gesta docet, quid credas allegoria. Moralis quid agas, quo tendas anagogia)” (CCC, 115-118).


    Il Primicerio della Basilica dei SS.Ambrogio e Carlo in Roma
    Mons. Raffaello Martinelli


    BIBLIOGRAFIA:
    - CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum;
    - CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), nn. 74-141;
    - COMPENDIO del CCC, nn. 11-24.




    GRAZIE DISCIPULA PER QUESTE INFORMAZIONI!!!!!!!!!!! [SM=g27811] [SM=g27811]
  • Discipula
    00 16/11/2006 20:53
    Re: Re:

    Scritto da: euge65 16/11/2006 20.46


    GRAZIE DISCIPULA PER QUESTE INFORMAZIONI!!!!!!!!!!! [SM=g27811] [SM=g27811]



    Ehehe, è un articolo un po' lungo, ma riassume bene i concetti-base, a me è servito per un provvidenziale ripassino... [SM=g27821] [SM=x40791] [SM=x40794]
  • josie '86
    00 17/11/2006 12:34
    Appuntamento televisivo

    A Sua Immagine: su Rai Uno nella puntata di domenica 19 si parlerà dei Vangeli


    Quando e dove è nato Gesù? Come vanno letti i Vangeli? Sono storia o metafora? A queste domande risponderà la prima parte di A Sua Immagine di domenica 19 Novembre, in onda su Rai Uno alle ore 10.30.
    Andrea Sarubbi ospita in studio Giorgio Jossa, docente di Storia della Chiesa antica nella Università Federico II di Napoli e padre Raniero Cantalamessa.
    Si parlerà di apparenti vangeli apocrifi, incongruenze e scoperte archeologiche legate ai Vangeli.

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    Ratzigirl
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    Utente Gold
    00 19/11/2006 01:41
    ...e questo articolo del 9 novembre 2006



    "VOI CHI DITE CHE IO SIA?" IL PROBLEMA DELLA STORICITA' DI GESU'




    «Tornare alle radici della fede ed al contenuto storico della fede stessa. Non dare nulla per scontato e rivedere, a tutti i livelli, le stesse metodologie di trasmissione delle verità cristiane: dal catechismo dei bambini, alle catechesi per gli adulti, dalle omelie dei sacerdoti, all'insegnamento della religione nelle scuole».

    È quanto sostiene Andrea Tornielli, scrittore e vaticanista de Il Giornale, che parlerà venerdì 10 novembre sul tema "Voi chi dite che io sia? - La storia risponde ai vecchi e nuovi errori su Gesù". Organizzato dal Serra Club di Genova, l'incontro si svolgerà presso la Sala Quadrivium ed avrà inizio alle ore 18.00.

    «La storicità di Cristo e la verità sulla sua vita e sui fondamenti della Chiesa - ha affermato - sono temi attualissimi, più attuali di qualsiasi altro tema».

    «Ai vecchi errori - ha detto Tornielli - appartengono tutte le critiche che, almeno negli ultimi 250 anni, sono state mosse alla storicità di Gesù, per metterne in dubbio l'esistenza, ed alla testimonianza dei Vangeli, per metterne in dubbio l'affidabilità». «Negli ultimi tempi queste critiche - ha aggiunto - sempre più spesso sono state confutate, più che dagli stessi studi biblici, da scoperte storiche ed archeologiche e da fonti non cristiane. Tali risultati vanno tutti nella direzione di riaffermare la storicità di Gesù e l'aderenza dei testi evangelici alle usanze, tradizioni, usi e costumi della società e del tempo nel quale Gesù stesso ha vissuto».

    «Tra i nuovi errori spicca su tutti, anche se non è l'unico, il Codice da Vinci» ha aggiunto.

    «La differenza principale tra i "vecchi" ed i "nuovi" errori - dice ancora Tornielli - risiede nel fatto che, mentre i primi erano relegati in una ristretta cerchia di studiosi, accademici e ricercatori, i secondi sono diventati di dominio pubblico». "Calunnie da supermarket" le ha definite lo stesso Tornielli.

    A suo modo di vedere «manca, anche tra gli stessi ecclesiastici, la consapevolezza della gravità del problema. Si dice che sia un problema secondario, che vi siano priorità più importanti che, in fondo, il Codice da Vinci è solo un romanzo. Posso testimoniare invece che tanti sacerdoti mi hanno confidato di tanti loro giovani che hanno perso la fede proprio leggendo le tante falsità, spacciate per vere, contenute nel Codice ed in libri simili». A queste calunnie bisognerebbe rispondere «in modo capillare». «È necessario prendere coscienza della gravità del problema, organizzare incontri, dibattiti e risposte in tutte le parrocchie e nei circoli culturali cattolici».

    «Negli ultimi anni - aggiunge - soprattutto nella Chiesa italiana ha preso campo la "questione antropologica" con i temi bioetici e morali conseguenti ma, a mio modo di vedere, questo problema è secondario al primo. Quest'ultimo, infatti, va nella direzione di minare alle basi la stessa dottrina cristiana ed i primi a farne le spese sono proprio i giovani, spesso i più deboli, perché incapaci di rispondere alle accuse mosse al cristianesimo. Nessuno però è esente. È in gioco la fede di milioni di persone semplici».
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    00 19/11/2006 01:42

    «Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo»... «Verissimo, difatti neanche la Chiesa considera il cristianesimo un "nuovo" credo, ma si dichiara erede del Dio "di Abramo, di Isacco e di Giacobbe". Del resto, nessuna fede è nata perché qualcuno ha inteso "fondarla": forse Mosè voleva creare l'ebraismo o Buddha il buddhismo?» L'esegeta Cantalamessa risponde alla recente «inchiesta su Cristo» del giornalista Augias e dello storico Pesce

    I Vangeli alla prova: la storia e i fantasmi del mito

    «Gli apocrifi dicono proprio il contrario di ciò per cui si invoca la loro autorità: professano una rottura violenta con l’Antico Testamento»«A forza di dissipare le "censure" su Gesù per ridurlo a uomo ordinario, si crea un mistero ancora più inspiegabile. La fede condiziona la ricerca storica? Certo. Ma assai di più lo fa l’incredulità»



    Il ciclone Il Codice da Vinci di Dan Brown non è passato invano. Sulla sua scia stanno fiorendo, come sempre avviene in questi casi, nuovi studi sulla figura di Gesú di Nazareth con l'intenzione di svelarne il vero volto ricoperto finora sotto la coltre dell'ortodossia ecclesiastica. Anche chi ne prende a parole le distanze, se ne mostra per più versi influenzato.

    Nella scia del ciclone

    A tale filone mi pare appartenga il libro a quattro mani di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù (Mondadori). Vi sono, come è naturale, differenze tra l'uno e l'altro autore, tra il giornalista e lo storico. Ma non voglio cadere io stesso nell'errore che più di ogni altro compromette a mio parere questa "inchiesta" su Gesù che è di tener conto solo e sempre delle differenze tra gli evangelisti, mai delle convergenze. Parto perciò da ciò che è comune ai due autori, Augias e Pesce. Esso si può riassumere così: Sono esistiti, all'inizio, non uno ma diversi cristianesimi. Una delle sue versioni ha preso il sopravvento sulle altre; ha stabilito, secondo il proprio punto di vista, il canone delle Scritture e si è imposta come ortodossia, relegando le altre al rango di eresie e cancellandone il ricordo. Noi possiamo però oggi, grazie a nuove scoperte di testi e a una rigorosa applicazione del metodo storico, ristabilire la verità e presentare finalmente Gesù di Nazareth per quello che fu veramente e che egli stesso intese essere, cioè una cosa totalmente diversa da quello che le varie Chiese cristiane hanno finora preteso che fosse. Nessuno contesta il diritto di accostarsi alla figura di Cristo da storici, prescindendo dalla fede della Chiesa. È quello che la critica, credente e non credente, va facendo da almeno tre secoli con gli strumenti più raffinati. La domanda è se la presente inchiesta su Gesù raccoglie davvero, per quanto in forma divulgativa e accessibile al gran pubblico, il frutto di questo lavoro, o se invece opera in pa rtenza una scelta drastica all'interno di esso, finendo per essere una ricostruzione di parte. Io credo che, purtroppo, questo secondo è il caso. Il filone scelto è quello che va da Reimarus, a Voltaire, a Renan, a Brandon, a Hengel, e oggi a critici letterari e «professori di umanità», quali Harold Bloom e Elaine Pagels. Del tutto assente l'apporto della grande esegesi biblica, protestante e cattolica, sviluppatasi nel dopo guerra, in reazione alle tesi di Bultmann, molto più positiva circa possibilità di attingere, attraverso i Vangeli, il Gesú della storia. Sui racconti della passione e morte di Gesù, per fare un esempio, nel 1998, è stata pubblicata da Raymond Brown («il più distinto tra gli studiosi americani del Nuovo Testamento, con pochi rivali a livello mondiale», secondo il New York Times), un'opera di 1608 pagine. Essa è stata definita dagli specialisti del settore «il metro in base al quale ogni futuro studio della Passione sarà misurato», ma di tale studio non c'è traccia nel capitolo dedicato ai motivi della condanna e della morte di Cristo, né esso figura nella bibliografia finale che pure riporta diversi titoli di opere in inglese. All'uso selettivo degli studi corrisponde un uso altrettanto selettivo delle fonti. I racconti evangelici sono adattamenti posteriori quando smentiscono la propria tesi, sono storici quando si accordano con essa. Anche la risurrezione di Lazzaro, benché attestata dal solo Giovanni, viene presa in considerazione, se può servire a fondare la tesi della motivazione politica e di ordine pubblico dell'arresto di Gesù (pag. 140).

    Ma gli apocrifi cosa dicono?

    Ma veniamo alla discussione più diretta della tesi di fondo del libro. Anzitutto a proposito delle scoperte di nuovi testi che avrebbero modificato il quadro storico sulle origini cristiane. Esse sono essenzialmente alcuni Vangeli apocrifi scoperti in Egitto a metà del secolo scorso, soprattutto i codici di Nag Hammadi. Su di essi viene fatta un'ope razione assai sottile: ritardare il più possibile la data di composizione dei Vangeli canonici e avanzare il più possibile la data di composizione degli apocrifi in modo da poterli usare come valide fonti alternative ai primi. Ma qui si urta contro un muro non facilmente scavalcabile: nessun Vangelo canonico (neppure quello di Giovanni secondo la critica moderna) si lascia datare dopo l'anno 100 dopo Cristo e nessun apocrifo si lascia datare prima di tale anno (i più arditi arrivano, con congetture, a datarli all'inizio del III o a metà del II secolo). Tutti gli apocrifi attingono o suppongono i Vangeli canonici; nessun Vangelo canonico attinge o suppone un vangelo apocrifo. Per fare l'esempio oggi più in voga, dei 114 detti di Cristo nel Vangelo copto di Tommaso, 79 hanno un parallelo nei Sinottici, 11 sono varianti delle parabole sinottiche. Solo tre parabole non sono attestate altrove. Augias, sulla scia di Elaine Pagels, crede di poter superare questo scarto cronologico tra i Sinottici e il Vangelo di Tommaso ed è istruttivo vedere in che modo. Nel Vangelo di Giovanni si assiste, secondo l'autore, a un chiaro tentativo di screditare l'apostolo Tommaso, una vera persecuzione nei suoi confronti, paragonabile a quella contro Giuda. Prova: l'insistenza sulla incredulità di Tommaso! Ipotesi: l'autore del Quarto Vangelo non vuole per caso screditare le dottrine che già a suo tempo circolavano sotto il nome dell'apostolo Tommaso e che confluiranno in seguito nel vangelo che porta il suo nome? Così è superato lo scarto cronologico. Si dimentica, in questo modo, che l'evangelista Giovanni mette proprio sulla bocca di Tommaso la più commovente dichiarazione di amore a Cristo («Andiamo anche noi a morire con lui») e la più solenne professione di fede in lui: «Mio Signore e mio Dio!» che, a detta di molti esegeti, costituisce il coronamento di tutto il suo Vangelo. Se è un perseguitato dai Vangeli canonici Tommaso, che dire del povero Pietro con tutto quello che riferisc ono sul suo conto! A meno che non sia avvenuto, anche nel suo caso, per screditare i futuri apocrifi che portano il suo nome… Ma il punto principale non è neppure quello della data, è quello dei contenuti dei vangeli apocrifi. Essi dicono esattamente il contrario di quello per cui si invoca la loro autorità. I due autori sostengono la tesi di un Gesù pienamente inserito nell'ebraismo, che non ha inteso innovare in nulla rispetto ad esso, ma i vangeli apocrifi professano tutti, chi più chi meno, una rottura violenta con l'Antico Testamento, facendo di Gesù il rivelatore di un Dio diverso e superiore. La rivalutazione della figura di Giuda nel vangelo omonimo si spiega in questa logica: con il suo tradimento, egli aiuterà Gesù a liberarsi dell'ultimo residuo del Dio creatore, il corpo! Gli eroi positivi dell'Antico Testamento diventano negativi per loro e quelli negativi, come Caino, positivi. Gesù è presentato nel libro come un uomo che solo la Chiesa posteriore ha elevato al rango di Dio; i vangeli apocrifi al contrario presentano un Gesù che è vero Dio, ma non vero uomo, avendo rivestito solo l'apparenza di un corpo (docetismo). Per essi, ciò che fa difficoltà non è la divinità di Cristo ma la sua umanità. Si è disposti a seguire i vangeli apocrifi su questo loro terreno? Si potrebbe allungare la lista degli equivoci nell'uso dei vangeli apocrifi. Dan Brown si basa su di essi per avallare l'idea di un Gesù che esalta il principio femminile, non ha problemi con il sesso, sposa la Maddalena… E per provare questo si appoggia al Vangelo di Tommaso dove si dice che, se vuole salvarsi, la donna deve cessare di essere donna e diventare uomo! Il fatto è che i vangeli apocrifi, in particolare quelli di matrice gnostica, non sono stati scritti con l'intento di narrare fatti o detti storici su Gesù, ma per veicolare una certa visione di Dio, di se stessi e del mondo, di natura esoterica e gnostica. Fondarsi su di essi per ricostruire la storia di Gesù è come fondarsi su C osì parlò Zarathustra non per conoscere il pensiero di Nietzsche, ma quello di Zarathustra. Per questo in passato, pur essendo quasi tutti già noti, almeno in ampi stralci, nessuno aveva mai pensato di potere usare i vangeli apocrifi come fonti di informazioni storiche su Gesù. Solo la nostra era mediatica, alla ricerca esasperata di scoop commerciali, lo sta facendo. Ci sono certo fonti storiche su Gesù al di fuori dei Vangeli canonici ed è strano che esse siano lasciate praticamente fuori da questa «inchiesta». La principale è Paolo, che scrive meno di trent'anni dopo la scomparsa di Cristo e dopo essere stato un suo fiero oppositore. La sua testimonianza viene solo discussa a proposito della risurrezione, ma per essere naturalmente screditata. Eppure, cosa c'è di essenziale nella fede e nei "dogmi" del cristianesimo che non si trovi già attestato (nella sua sostanza se non nella forma) in Paolo, prima cioè che esso abbia avuto il tempo di assorbire elementi estranei? Si può, per esempio, definire non storico e frutto della preoccupazione posteriore di non allarmare l'autorità romana il contrasto tra Gesù e i farisei e la stessa mentalità legalistica di un gruppo di essi, senza tener conto di quello che dice Paolo che era stato uno di essi e che proprio per questo aveva perseguitato accanitamente i cristiani? Ma su questo tornerò più avanti parlando della storia della Passione.

    Gesù: un ebreo, un cristiano
    o tutte e due le cose?


    Vengo ora al punto principale condiviso dai due autori. Gesù è stato un ebreo, non un cristiano; non ha inteso fondare nessuna nuova religione; si è considerato mandato solo per gli ebrei, non anche per i pagani; «Gesù è molto più vicino agli ebrei religiosi di oggi che non ai sacerdoti cristiani»; il cristianesimo «nasce addirittura nella seconda metà del II secolo». Come conciliare quest'ultima affermazione con la notizia degli Atti (11,26) secondo cui, non più di 7 anni dopo la morte di Cristo, circa l'anno 37, «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani»? Plinio il Giovane (una fonte non sospetta!), tra il 111 e il 113 parla ripetutamente dei «cristiani», di cui descrive la vita, il culto e la fede in Cristo «come in un Dio». Intorno agli stessi anni, Ignazio d'Antiochia parla per ben 5 volte di cristianesimo come distinto dal giudaismo, scrivendo: «Non è il cristianesimo che ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo che ha creduto nel cristianesimo» (Lettera ai Magnesiani 10, 3). In Ignazio, cioè all'inizio del II secolo, non troviamo attestati solo i nomi «cristiano» e «cristianesimo», ma anche il contenuto di essi: fede nella piena umanità e divinità di Cristo, struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri, diaconi), perfino un primo chiaro accenno al primato del vescovo di Roma, «chiamato a presiedere nella carità». Prima ancora, del resto, che entrasse nell'uso comune il nome di cristiani, i discepoli erano coscienti della identità propria e la esprimevano con termini come «i credenti in Cristo», «quelli della via», o «quelli che invocano il nome del Signore Gesù». Ma tra le affermazioni dei due autori che ho appena riportate ce n'è una che merita di essere presa sul serio e discussa a parte. «Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo». Verissimo, difatti neanche la Chiesa, a rigore, considera il cristianesimo una "nuova" religione. Si considera insieme con Israele (una volta si diceva a torto «al posto di Israele») l'erede della religione monoteistica dell'Antico Testamento, adoratori dello stesso Dio «di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (dopo il Concilio Vaticano II, il dialogo con l'ebraismo non è portato avanti dall'organismo vaticano che si occupa del dialogo tra le religioni, ma di quello che si occupa dell'unità dei cristiani!). Il Nuovo Testamento non è un inizio assoluto, è il "compimento" (categoria fondamentale) dell'Antico. Del resto, nessuna religione è nata perché qualcuno ha inteso "fondarla". Forse Mosè aveva inteso fondare la religione d'Israele o Buddha il buddhismo? Le religioni nascono e prendono coscienza di sé in seguito, da coloro che hanno raccolto il pensiero di un Maestro e ne hanno fatto ragione di vita. Ma fatta questa precisazione, si può dire che nei Vangeli non c'è nulla che faccia pensare alla convinzione di Gesù di essere portatore di un messaggio nuovo? E le sue antitesi: «Avete inteso che fu detto…, ma io vi dico» con le quali reinterpreta perfino i 10 comandamenti e si pone sullo stesso piano di Mosè? Esse riempiono tutta una sezione del Vangelo di Matteo (5, 21-48), cioè di quel medesimo evangelista su cui si fa leva, nel libro, per affermare la piena ebraicità di Cristo! Gesù aveva l'intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito? Il fatto indiscutibile dell'elezione dei 12 apostoli sembra proprio indicare di sì. Anche lasciando da parte la grande commissione: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (qualcuno potrebbe attribuirla, nella sua formulazione, alla comunità post-pasquale), non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che «verranno dall'oriente e dall'occidente per sedersi a mensa con Abramo», mentre altri ne saranno esclusi e innumerevoli altri detti…

    Venuto per gli ebrei, per i pagani
    o per tutti e due?


    Durante la sua vita Gesù non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti. È molto curioso: c’è tutto un filone del pensiero ebraico moderno (F. Rosenzweig, H. J. Schoeps, W. Herberg) secondo cui Gesù non sarebbe venuto per gli ebrei, ma solo per i gentili; secondo Augias e Pesce egli sarebbe invece venuto solo per gli ebrei, e non per i gentili. Va dato merito a Pesce che non accetta di liquidare la storicità dell’istituzione dell’Eucaristia e la sua importanza nella primitiva comunità. Qui è uno dei punti dove più emerge l’inconveniente segnalato all’inizio di tener conto solo delle differenze, e non delle convergenze. I tre Sinottici e Paolo unanimemente attestano il fatto quasi con le stesse parole, ma per Augias questo conta meno del fatto che l’istituzione è taciuta da Giovanni e che, nel riferirla, Matteo e Marco abbiano «Questo è il mio sangue», mentre Paolo e Luca hanno «Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue». La parola di Cristo: «Fate questo in memoria di me», pronunciata in tale occasione, si richiama a Esodo 12, 14 e mostra l’intenzione di dare al "memoriale" pasquale un nuovo contenuto. Non per nulla di lì a poco Paolo parlerà della «nostra Pasqua» (1 Cor 5, 7), distinta da quella dei giudei. Se all’Eucaristia e alla Pasqua si aggiunge il fatto incontrovertibile dell’esistenza di un battesimo cristiano fin dall’indomani della Pasqua che progressivamente sostituisce la circoncisione, abbiamo gli elementi essenziali per parlare, se non di una nuova religione, di un modo nuovo di vivere la religione d’Israele. Quanto al canone delle Scritture, è vero ciò che afferma Pesce (pag. 16) che l’elenco definitivo degli attuali 27 libri del Nuovo Testamento viene fissato solo con Atanasio nel 367, ma non si dovrebbe tacere il fatto che il suo nucleo essenziale, composto dai quattro Vangeli più 13 lettere paoline, è molto più antico; si è formato verso l’anno 130 e alla fine del II secolo gode ormai della stessa autorità dell’Antico Testamento (frammento Muratoriano). «Anche Paolo, come Gesù, – si dice – non è un cristiano, ma un ebreo che riman e nell’ebraismo». Anche questo è vero; non dice forse lui stesso: «Sono ebrei? Anch’io! Anzi io più di loro!»? Ma questo non fa che confermare ciò che ho appena rilevato sulla fede in Cristo come "compimento" della legge. Per un verso Paolo si sente nel cuore stesso di Israele (del «resto di Israele», preciserà egli stesso), per l’altro si distacca da esso (dall’ebraismo del suo tempo) con il suo atteggiamento verso la legge e la sua dottrina della giustificazione mediante la grazia. Sulla tesi di un Paolo «ebreo e non cristiano», sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli stessi ebrei…

    Responsabile della sua morte:
    il Sinedrio, Pilato, o tutti e due?


    Merita una discussione a parte il capitolo del libro di Corrado Augias e Mauro Pesce sul processo e la condanna di Cristo. La tesi centrale non è nuova; ha cominciato a circolare in seguito alla tragedia della Shoah ed è stata adottata da quelli che propugnavano negli anni Sessanta e Settanta la tesi di un Gesù zelota e rivoluzionario. Secondo essa, la responsabilità della morte di Cristo ricade principalmente, anzi forse esclusivamente, su Pilato e l’autorità romana, il che indica che la sua motivazione è più di ordine politico che religioso. I Vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche. Questa tesi è nata da una preoccupazione giusta che tutti oggi condividiamo: togliere alla radice ogni pretesto all’antisemitismo che tanto male ha procurato al popolo ebraico da parte dei cristiani. Ma il torto più grave che si può fare a una causa giusta è quello di difenderla con argomenti sbagliati. La lotta all’antisemitismo va posta su un fondamento più solido che una discutibile (e discussa) interpretazione dei racconti della Passione. L’estraneità del popolo ebraico, in quanto tale, alla responsabilità della morte di Cristo riposa su una certezza biblica che i cristiani hanno in comune con gli ebrei, ma che purtro ppo per tanti secoli è stata stranamente dimenticata: «Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio» (Ez 18,20). La dottrina della Chiesa conosce un solo peccato che si trasmette per eredità di padre in figlio, il peccato originale, nessun altro. Messo al sicuro il rifiuto dell’antisemitismo, vorrei spiegare perché non si può accettare la tesi della totale estraneità delle autorità ebraiche alla morte di Cristo e quindi della natura essenzialmente politica di essa. Paolo, nella più antica delle sue lettere, scritta intorno all’anno 50, dà, della condanna di Cristo, la stessa fondamentale versione dei Vangeli. Dice che i «giudei hanno messo a morte Gesù» (1 Ts 2,15), e sui fatti accaduti a Gerusalemme poco tempo prima del suo arrivo in città egli doveva essere informato meglio di noi moderni, avendo, un tempo, approvato e difeso "accanitamente" la condanna del Nazareno. Durante questa fase più antica il cristianesimo si considerava ancora destinato principalmente a Israele; le comunità nelle quali si erano formate le prime tradizioni orali confluite in seguito nei Vangeli erano costituite in maggioranza da giudei convertiti; Matteo, come notano anche Augias e Pesce, è preoccupato di mostrare che Gesù è venuto a compiere, non ad abolire, la legge. Se c’era dunque una preoccupazione apologetica, questa avrebbe dovuto indurre a presentare la condanna di Gesù come opera piuttosto dei pagani che delle autorità ebraiche, al fine di rassicurare i giudei di Palestina e della diaspora sul conto dei cristiani. D’altra parte, quando Marco e, sicuramente, gli altri evangelisti scrivono il loro Vangelo c’è stata già la persecuzione di Nerone; ciò avrebbe dovuto spingere a vedere in Gesù la prima vittima del potere romano e nei martiri cristiani coloro che avevano subito la stessa sorte del Maestro. Se ne ha una conferma nell’Apocalisse, scritta dopo la persecuzione di Domiziano, dove Roma è fatta oggetto di una in vettiva feroce («Babilonia», la «Bestia», la «prostituta») a causa del sangue dei martiri (cfr. Ap. 13 ss.). Pesce ha ragione di scorgere una «tendenza antiromana» nel Vangelo di Giovanni (pag. 156), ma Giovanni è anche quello che più accentua la responsabilità del Sinedrio e dei capi ebrei nel processo a Cristo: come si concilia la cosa? Non si possono leggere i racconti della Passione ignorando tutto ciò che li precede. I quattro Vangeli attestano, si può dire a ogni pagina, un contrasto religioso crescente tra Gesù e un gruppo influente di giudei (farisei, dottori della legge, scribi) sull’osservanza del sabato, sull’atteggiamento verso i peccatori e i pubblicani, sul puro e sull’impuro. Jeremias ha dimostrato la motivazione antifarisaica presente in quasi tutte le parabole di Gesù. Il dato evangelico è tanto più credibile in quanto il contrasto con i farisei non è affatto pregiudiziale e generale. Gesú ha degli amici tra di loro (uno è Nicodemo); lo troviamo a volte a pranzo in casa di qualcuno di loro; essi accettano almeno di discutere con lui e di prenderlo sul serio, a differenza dei Sadducei. Pur non escludendo dunque che la situazione posteriore abbia influito a calcare ulteriormente le tinte, è impossibile eliminare ogni contrasto tra Gesù e una parte influente della leadership ebraica del suo tempo, senza disintegrare completamente i Vangeli e renderli storicamente incomprensibili. L’accanimento del fariseo Saulo contro i cristiani non era nato dal nulla e non se l’era portato dietro da Tarso! Una volta però dimostrata l’esistenza di questo contrasto, come si può pensare che esso non abbia giocato alcun ruolo al momento della resa finale dei conti e che le autorità ebraiche si siano decise a denunziare Gesù a Pilato unicamente per paura di un intervento armato dei romani, quasi a malincuore? Pilato non era certo una persona sensibile a ragioni di giustizia, tale da preoccuparsi della sorte di un ignoto giudeo; era un tipo duro e crudele, pronto a stronc are nel sangue ogni minimo indizio di rivolta. Tutto ciò è verissimo. Egli però non tenta di salvare Gesù per compassione verso la vittima, ma solo per un puntiglio contro i suoi accusatori, con i quali era in atto una guerra sorda fin dal suo arrivo in Giudea. Naturalmente, questo non diminuisce affatto la responsabilità di Pilato nella condanna di Cristo, che ricade su di lui non meno che sui capi ebrei. Non è il caso, oltre tutto, di volere essere «più ebrei degli ebrei». Dalle notizie sulla morte di Gesù, presenti nel Talmud e in altre fonti giudaiche (per quanto tardive e storicamente contraddittorie), emerge una cosa: la tradizione ebraica non ha mai negato una partecipazione delle autorità religiose del tempo alla condanna di Cristo. Non ha fondato la propria difesa negando il fatto, ma semmai negando che il fatto, dal punto di vista ebraico, costituisse reato e che la sua condanna sia stata una condanna ingiusta. Una versione, questa, compatibile con quella delle fonti neotestamentarie che, mentre, da una parte, mettono in luce la partecipazione delle autorità ebraiche (dei sadducei forse più ancora che dei farisei) alla condanna di Cristo, dall’altra spesso la scusano, attribuendola a ignoranza (cf. Lc 23,34; Atti 3, 17; 1 Cor 2,8). È il risultato a cui giunge anche Raymond Brown, nel suo libro di 1608 pagine su «La morte del Messia». Una nota marginale, ma che tocca un punto assai delicato. Secondo Augias, Luca attribuisce a Gesù le parole: «E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me» (Lc 19, 27) e commenta dicendo che: «È a frasi come queste che si rifanno i sostenitori della "guerra santa" e della lotta armata contro i regimi ingiusti». Va precisato che Luca non attribuisce tali parole a Gesù, ma al re della parabola che sta narrando e si sa che non si possono trasferire di peso dalla parabola alla realtà tutti i dettagli del racconto parabolico, e in ogni caso essi vanno trasferiti dal piano ma teriale a quello spirituale. Il senso metaforico di quelle parole è che accettare o rifiutare Gesù non è senza conseguenze; è una questione di vita o di morte, ma vita e morte spirituale, non fisica. La guerra santa non c’entra proprio.

    Un bilancio


    L'ora di chiudere questa mia lettura critica con qualche riflessione conclusiva. Io non condivido molte risposte di Pesce, ma le rispetto riconoscendo ad esse pieno diritto di cittadinanza in una ricerca storica. Molte di esse (sull’atteggiamento di Gesù verso la politica, i poveri, i bambini, l’importanza della preghiera nella sua vita) sono anzi illuminanti. Alcuni dei problemi sollevati – il luogo di nascita di Gesù, la questione dei fratelli e delle sorelle di lui, il parto verginale – sono oggettivi e discussi anche tra gli storici credenti (l’ultimo non tra i cattolici), ma non sono i problemi con cui sta o cade il cristianesimo della Chiesa. Meno giustificata in una "inchiesta" storica su Gesù mi sembra la cura con cui Augias raccoglie tutte le insinuazioni su presunti legami omosessuali esistenti tra i discepoli, o tra lui stesso e «il discepolo che egli amava» (ma non doveva essere innamorato della Maddalena?), come pure la dettagliata descrizione delle vicende scabrose di alcune donne presenti nella genealogia di Cristo. Dall’inchiesta su Gesù si ha l’impressione che si passi a volte al pettegolezzo su Gesù. Il fenomeno ha però una spiegazione. È sempre esistita la tendenza a rivestire Cristo dei panni della propria epoca o della propria ideologia. In passato, per quanto discutibili, erano cause serie e di grande respiro: il Cristo idealista, socialista, rivoluzionario… La nostra epoca, ossessionata dal sesso, non riesce a pensarlo che alle prese con problemi sentimentali. Io credo che il fatto di aver messo insieme una visione di taglio giornalistico dichiaratamente alternativa con una visione storica anch’essa radicale e minimalista ha portato a un risultato d’insieme inaccettabile, non solo per l’uomo di fede, ma anche per lo storico. A lettura ultimata uno si pone la domanda: come ha fatto Gesù, che non ha portato assolutamente nulla di nuovo rispetto all’ebraismo, che non ha voluto fondare nessuna religione, che non ha fatto nessun miracolo e non è risorto se non nella mente alterata dei suoi seguaci, come ha fatto, ripeto, a diventare «l’uomo che ha cambiato il mondo»? Una certa critica parte con l’intenzione di dissolvere i vestiti messi addosso a Gesù di Nazareth dalla tradizione ecclesiastica, ma alla fine il trattamento si rivela così corrosivo da dissolvere anche la persona che c’è sotto di essi. A forza di dissipare i "misteri" su Gesù per ridurlo a un uomo ordinario, si finisce per creare un mistero ancora più inspiegabile. Un grande esegeta inglese parlando della risurrezione di Cristo dice: «L’idea che l’imponente edificio della storia del cristianesimo sia come un’enorme piramide posta in bilico su un fatto insignificante è certamente meno credibile dell’affermazione che l’intero evento – e cioè il dato di fatto più il significato a esso inerente – abbia realmente occupato un posto nella storia paragonabile a quello che gli attribuisce il Nuovo Testamento» (Ch. H. Dodd). La fede condiziona la ricerca storica? Innegabilmente, almeno in una certa misura. Ma io credo che l’incredulità la condiziona enormemente di più. Se uno si accosta alla figura di Cristo e ai Vangeli da non credente (è il caso, mi sembra di capire, almeno di Augias) l’essenziale è già deciso in partenza: la nascita verginale non potrà che essere un mito, i miracoli frutto di suggestione, la risurrezione prodotto di uno «stato alterato della coscienza» e così via. Una cosa tuttavia ci consola e ci permette di continuare a rispettarci a vicenda e a proseguire il dialogo: se ci divide la fede, ci accomuna in compenso «la buona fede». In essa i due autori dichiarano di aver scritto il libro e in essa io assicuro di averlo letto e discusso.
  • Discipula
    00 26/12/2006 15:03
    25 dicembre è data storica
    di Tommaso FEDERICI
    tratto da 30 Giorni, anno XVIII, novembre 2000, p. 63-68.

    Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane. Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all'ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Tommaso Federici, professore emerito di teologia biblica, fa il punto su indizi e recenti scoperte che confermano la storicità della data del Natale



    Un preambolo

    In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell'annuncio dell'Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione [il concepimento verginale, ndr] del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni.

    D'altra parte, l'Occidente cristiano non celebrava l'annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell'Oriente siro alla prima domenica del "Tempo dell'Annuncio (Sûbarâ)", che comprende in altre cinque domeniche l'annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l'annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo.

    L'Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l'annuncio a Zaccaria.

    Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l'annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l'annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest'ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l'annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore.

    Il referente per così dire "liturgico" di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell'annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche.

    Una data "storica" esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta.

    Un riferimento: l'annuncio a Zaccaria

    Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita "l'editto di Cesare Augusto" per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all'anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: "E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasi di anni 30" (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni.

    Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell'annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all'anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephêmería] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [táxis] del suo ordine [ephêmería]" (Lc 1, 8).

    Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 táxeis, ebraico sebaot, i "turni" perenni (1 Cr 24, 1-7.19). Tali "classi", avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, "da sabato a sabato", due volte l'anno. L'elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l'elenco, in 1 Cr 24, 7-18).

    Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al "turno di Abia", l'VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota "quando" stava in esercizio il "turno di Abia". Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l'annuncio dell'Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé.

    Il "turno di Abia" con data certa

    Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell'articolo «Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques», in «Vetus Testamentum», Suppl. 3 (1953) pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a.C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.-sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce "Calendario di Qumran", in "Enciclopedia della Bibbia" 2 (1969) pp. 35- 38. E in una celebre monografia, "La date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne", Études Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore.

    Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell'ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione. I suoi risultati erano consegnati nell'articolo "The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls", in "Scripta Hierosolymitana", vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l'anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall'8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell'ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l'attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all'ultima decade di settembre.

    Come annota anche Antonio Ammassari, "Alle origini del calendario natalizio", in "Euntes Docete" 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l'indicazione sul "turno di Abia", risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche.

    Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell'annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni).

    Date storiche del Nuovo Testamento

    La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull'evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1Cor 15, 3-7) avvenne all'alba della domenica 9 aprile dell'anno 30 d.C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30.

    Secondo i dati ricavati dall'indagine recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche.

    Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell'anno 7-6 a. C. per l'annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell'autunno dell'1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell'anno della nascita del Signore.

    La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica.

    Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l'annunciazione a Maria Vergine di Nazareth "nel mese sesto" dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un'altra data storica.

    E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l'annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l'annunciazione alla Madre sempre vergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista.

    La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica.

    E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la "presentazione" del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l'hypapantê, l'Incontro con il suo popolo, è una data storica.

    "Problemi liturgici"

    La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore.

    Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l'istituzione di una festa "liturgica" con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri.

    Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell'incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi.

    L'Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni "Simboli battesimali" più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell'arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l'archeologia, il luogo dell'Annunciazione fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto "liturgico" della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa "liturgica" dell'Euaggelismós, l'annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i "primordi della nostra redenzione" (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell'Annunciazione.

    A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore.

    In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate.

    Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell'Anástasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato "santo sepolcro") e del Golgota, del Cenacolo, del "Monte della Galilea" che è quello dell'Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della "Dormizione" della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori.

    Il problema di grande interesse qui è la scelta delle date per le celebrazioni "liturgiche" vere e proprie. Quanto alla celebrazione "liturgica", nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre sempre vergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l'annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l'annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni "liturgiche" non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare.

    Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le "date" delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle "deposizioni dei martiri", che chiamavano il "natale dei martiri" alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall'Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell'Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall'immensa cristianità dell'Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese.

    Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto "non provato".

    L'evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone.
  • Discipula
    00 18/01/2007 14:08
    Da Famiglia Cristiana...
    STORIOGRAFIA

    COME VALUTARE TESTI QUALI "INCHIESTA SU GESÙ" DI CORRADO AUGIAS E MAURO PESCE

    NON SOLO UN UOMO


    Per comprendere la figura di Gesù, bisogna capire che i dati storicamente verificabili sono impastati con la dimensione religiosa.


    Le lettere e gli interrogativi dei lettori si moltiplicano, il dossier di critiche e repliche sul libro Inchiesta su Gesù di Augias e Pesce si ingrossa, mentre il libro scala le zone alte delle classifiche di vendita, la Bibbia offerta dal Corriere della Sera ha registrato un successo inaspettato, l’attesa del libro di Benedetto XVI su Cristo ha già mobilitato i giornali (vi sono quotidiani e televisioni che mi hanno già prenotato interviste per allora).

    Si ha un bel dire che siamo in epoca postcristiana, ma la figura di Gesù di Nazaret sembra continuare a lanciare, anche nei nostri tempi così distratti e superficiali, la domanda di quel giorno a Cesarea di Filippo nel nord della Galilea: «Ma voi chi dite che io sia?».

    Naturalmente il documento capitale per ricomporre il volto storico di Gesù è costituito dai quattro Vangeli che, però, sono storia e teologia inestricabilmente intrecciate tra loro. Da quando ha preso forma la critica storica si è passati attraverso fasi differenti. Nell’Ottocento dominava lo scetticismo radicale: del Gesù della storia non sappiamo nulla perché è il Cristo della fede a dilagare in quegli scritti. A questa tesi, sostenuta dai cosiddetti "razionalisti", aveva dato un appoggio paradossale proprio una certa teologia, soprattutto protestante, votata a esaltare solo la divinità di Cristo, principio della nostra fede e salvezza, mettendo tra parentesi l’altro aspetto storico, legato all’Incarnazione e, quindi, all’umanità di Gesù.

    Dalla metà del Novecento in avanti le posizioni sono radicalmente mutate e ci si è dedicati a isolare rigorosamente i molti dati storici che si potevano estrarre dai Vangeli, soprattutto tenendo conto dell’orizzonte giudaico entro cui Gesù era vissuto: erano sorti ritratti molto complessi e documentati di quel volto, come nel caso delle migliaia di pagine dei volumi di John P. Meier, intitolati "Un ebreo marginale", tradotti in italiano dalla Queriniana di Brescia. Naturalmente su questa strada si avevano risultati differenti tra loro, come quelli della citata Inchiesta su Gesù che riduce al minimo i dati storici verificabili riguardanti la vita, l’opera e le parole di Cristo.

    I Vangeli, una realtà complessa

    Ma intanto si poneva un problema che toccava la stessa ricerca storiografica: la verità storica è solo quella che si ottiene attraverso la verifica dei fenomeni, dei dati, dei fatti nel loro manifestarsi esterno o è anche il tener conto della molteplice complessità della realtà?
    Nel caso dei Vangeli (ma non solo) la questione è rilevante. Lo storico tradizionale di fronte alle affermazioni di Gesù sulla sua divinità, ai miracoli, agli eventi pasquali tagliava senza esitazione quelle testimonianze e le gettava nel cestino del mito, o, al massimo, le spediva alle esclusive competenze del teologo.
    Ora, i dati storicamente verificabili di Gesù e su Gesù sono in realtà impastati e impostati con la dimensione religiosa: un filtro grossolano e sbrigativo come quello adottato dalla citata Inchiesta su Gesù e da altre opere simili – che rade al suolo una massa enorme di dati evangelici inviandoli nel limbo del mito o della teologia quasi come cascami irrazionali e marginali – riduce la figura storica di Gesù a una larva o a un tronco mutilo o a un soggetto irrilevante, tant’è vero che si è condotti spesso ad attribuire la crescita grandiosa, teorica e pratica, del fatto cristiano all’opera della Chiesa o di Paolo.

    È per questo che la recente storiografia, come è pronta ad adottare nuovi canali interpretativi dei dati storici (si pensi all’uso della psicologia, dell’antropologia e di altre scienze umane), così è incline a vagliare anche categorie teologiche o mistiche, considerandole parte dell’esperienza dell’umano.

    La compiuta comprensione della figura reale di Gesù Cristo comprende, quindi, persino l’analisi di quegli elementi che sono oggetto della fede. Naturalmente lo storico dovrà applicare e affinare i suoi strumenti, che non sono quelli del teologo. Tuttavia, anche se con qualche rischio di sbavatura o di taratura poco calibrata, dovrà procedere pure su questa via. Amputare dalla storia di Gesù quest’altra dimensione complessa e misteriosa della realtà sua e della cristianità delle origini non è segno di rigore scientifico, ma di semplificazione sbrigativa. Semplificazione che, tra l’altro, impedirebbe di comprendere autenticamente lo stesso san Paolo e la sua opera, così come il configurarsi della comunità ecclesiale, dell’esperienza cristiana e così via.

    Questo nuovo e più completo approccio – senza confusione di ruoli tra storico e teologo – si sta sempre più collaudando. Un esempio è il recente Gesù, una vasta opera dello studioso tedesco Klaus Berger, tradotta sempre dalla Queriniana. Anzi, a quanto ci è dato sapere dalle poche pagine e dall’introduzione finora pubblicata, tale sarà l’orientamento anche del libro di Benedetto XVI.

    Un percorso certamente delicato (non per nulla il Papa si è dichiarato pronto a discutere le eventuali critiche), ma necessario per una più completa e genuina ricostruzione della realtà di Gesù nelle sue diverse dimensioni, compresa anche quella "mistica" o di fede.



    Gianfranco Ravasi
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    Utente Gold
    00 19/01/2007 19:21
    Dal predicatore del Papa una riflessione sulla storicità dei Vangeli


    I VANGELI SONO RACCONTI STORICI?



    Prima di iniziare il racconto della vita di Gesù, l’evangelista Luca spiega i criteri che l’hanno guidato. Egli assicura di riferire fatti attestati da testimoni oculari, appurati da lui stesso con «ricerche accurate», perché chi legge si possa rendere conto della solidità degli insegnamenti contenuti nel Vangelo. Questo ci dà l’occasione di occuparci del problema della storicità dei Vangeli.

    Fino a qualche secolo fa, non esisteva nella gente il senso critico. Si prendeva per storicamente accaduto tutto ciò che veniva riferito. Negli ultimi due o tre secoli, è nato il senso storico per cui, prima di credere a un fatto del passato, lo si sottopone a un attento esame critico per accertarne la veridicità. Questa esigenza è stata applicata anche ai Vangeli.

    Riassumiamo le varie tappe che la vita e l’insegnamento di Gesù hanno attraversato prima di giungere fino a noi.

    Prima fase: vita terrena di Gesù. Gesù non scrisse nulla, ma nella sua predicazione usò alcuni accorgimenti comuni alle culture antiche, le quali facilitavano molto il ritenere un testo a memoria: frasi brevi, parallelismi e antitesi, ripetizioni ritmiche, immagini, parabole...Pensiamo a frasi del Vangelo come: «Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi », «Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione...; stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita» (Mt 7,13-14). Frasi come queste, una volta ascoltate, anche la gente di oggi difficilmente le dimentica. Il fatto dunque che Gesù non abbia scritto lui stesso i Vangeli non significa che le parole in essi riferite non siano sue. Non potendo stampare le parole sulla carta, gli uomini antichi se le stampavano nella mente.

    Seconda fase: predicazione orale degli apostoli. Dopo la risurrezione, gli apostoli cominciarono subito ad annunciare a tutti la vita e le parole di Cristo, tenendo conto dei bisogni e delle circostanze dei diversi ascoltatori. Il loro scopo non era quello di fare della storia, ma di portare le persone alla fede. Con la comprensione più chiara che ora ne avevano, essi furono in grado di trasmettere agli altri quello che Gesù aveva detto e fatto, adattandolo ai bisogni di coloro a cui si rivolgevano.

    Terza fase:
    i Vangeli scritti. Una trentina d’anni dopo la morte di Gesù, alcuni autori cominciarono a mettere per iscritto questa predicazione giunta fino a essi per via orale. Nacquero così i quattro Vangeli che conosciamo. Delle molte cose giunte fino a loro, gli evangelisti ne scelsero alcune, ne riassunsero altre, altre infine le spiegarono, per adattarle ai bisogni del momento delle comunità per le quali scrivevano. Il bisogno di adattare le parole di Gesú a delle esigenze nuove e diverse influì sull’ordine con cui i fatti sono raccontati nei quattro Vangeli, sulla diversa colorazione e importanza che rivestono, ma non ha alterato la verità fondamentale di essi.

    Che gli evangelisti avessero, per quanto era possibile in quel tempo, una preoccupazione storica e non solo edificante, lo dimostra la precisione con cui situano la vicenda di Cristo nel tempo e nello spazio. Poco più avanti, Luca ci fornisce tutte le coordinate politiche e geografiche dell’inizio del ministero pubblico di Gesù (cfr. Lc 3,1-2).

    In conclusione, i Vangeli non sono libri storici nel senso moderno di un racconto il più possibile distaccato e neutrale dei fatti accaduti. Sono però storici nel senso che quello che ci trasmettono riflette nella sostanza l’accaduto.


    Ma l’argomento più convincente a favore della fondamentale verità storica dei Vangeli è quello che sperimentiamo dentro di noi ogni volta che siamo raggiunti in profondità da una parola di Cristo. Quale altra parola, antica o nuova, ha avuto mai lo stesso potere?
  • ratzi.lella
    00 26/01/2007 13:26
    la storicita' dei Vangeli
    VANGELI: ANTICO PAPIRO DONATO AL PAPA GARANTISCE LORO ATTENDIBILITA'


    (ASCA) - Citta' del Vaticano, 26 gen - E' passato quasi
    inosservato, ma il dono al papa consegnato il 22 gennaio del
    papiro Bodmer XIV-XV recentemente acquistato dalla Biblioteca
    Apostolica Vaticana, porta un punto a favore di uno studio
    serio dei Vangeli e della loro attendibilita' storica nel
    contesto di una polemica rinnovata e resa attuale dalla
    pubblicazione prima del ''Codice da Vinci'' e poi dalle
    vicende degli apocrifi tornati all'onore delle cronache.

    Le foto di rito dimostrano il profondo interesse e la grande
    emozione di benedetto XVi davanti a questo prezioso reperto.
    L'emozione di fronte al papiro Bodmer, anche per i
    profani,non puo' essere minore di quella sollecitata di
    fronte all'apocrifo di Giuda, se non altro per la maggiore
    antichita' del papiro Bodmer. Si tratta infatti di un
    antichissimo manoscritto, copiato agli inizi del secolo III
    (gli esperti lo collocano tra il 175 e il 225 dopo Cristo),
    che contiene 144 pagine complessive di numerosi brani del
    Vangelo di Luca e di Giovanni.
    Tra l'altro del vangelo di Luca riporta anche la formula del
    ''Padre nostro'' che in questo modo e' il testo piu' antico
    di cui ora si dispone di questa preghiera centrale nella vita
    cristiana.
    L'Osservatore Romano ha dedicato alla lunga storia del Papiro
    Bodmer una intera terza pagina piena di minuziose notizie sul
    documento conosciuto agli studiosi della materia come P75.
    Si spiega perche' si tratti di un manoscritto liturgico, che
    serviva cioe' ad esserev letto nelle celebrazioni di qualche
    comunita' cristiana dei primi secoli.
    Esso contiene ''circa la meta' del testo dei due Vangeli'' di
    Luca e Giovanni.
    Il papiro e' stato conservato forse a partire dal secolo V
    nella biblioteca di un monastero del Medio Egitto. Nascosti
    attorno al 700 in un poggio per evitare di cadere in mano
    agli invasori arabi o di essere lambito dalle acque del Nilo,
    i manoscritti furono asportati dall'Egitto nel 1955-56
    proprio dal Bodmer. La trascrizione del testo del papiro
    Bodmer 14-15 venne pubblicata insieme a un facsimile nel 1961
    ed e' stata confermata la sua ''importanza fondamentale per
    la storia del testo dei Vangeli.
    Prima della scoperta di questi e altri papiri
    neotestamentari, le edizioni critiche dei Vangeli si
    fondavano su manoscritti greci del IV secolo dopo Cristo. In
    particolare il Codice B custodito dalla Biblioteca Vaticana e
    il Codice Sinaitico custodito dalla British Library di
    Londra. La scoperta del papiro Bodmer dimostra che questi
    testi erano conosciuti anteriormente al IV secolo e pertanto
    i grandi codici del IV secolo erano attendibili.
    ''Il testo del Nuovo Testamento - rileva il servizio apparso
    sull'Osservatore Romano - e' giunto sino ai nostri giorni in
    condizioni estremamente accettabili, incomparabilmente
    migliori rispetto a quelle di qualsiasi altro testo non
    biblico dell'antichita'''.
    Res/cdc

    (Asca)
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    Utente Gold
    00 29/01/2007 00:30
    Articolo dell'Osservatore Romano sul Papiro Bodmer donato al Papa

    Una storia lunga diciotto secoli: il Papiro Bodmer 14-15 dei Vangeli arriva in Vaticano





    * * *



    Due date.

    30 aprile 1451: il Papa Nicolò V istituisce con breve una biblioteca «pro communi doctorum virorum commodo» («per facilitare le ricerche degli studiosi»). Nasce così l'attuale Biblioteca Apostolica Vaticana.

    22 novembre 2006: il Papiro Bodmer 14-15, donato a Sua Santità Benedetto XVI dalla generosità della Sally and Frank Hanna Family Foundation e della Solidarity Association (U.S.A.), nonché del Mater Verbi/Hanna Papyrus Trust, viene depositato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

    Durante i cinque secoli e mezzo che separano queste due date, pur attraverso varie vicissitudini, come le perdite provocate dai lanzichenecchi in occasione del sacco di Roma (1527) o dal trasferimento dei manoscritti a Parigi in età napoleonica, la Biblioteca Apostolica Vaticana è rimasta fedele al mandato ricevuto di arricchire, custodire e preservare con ogni cura i tesori culturali ad essa affidati e di metterli a disposizione di studiosi qualificati.

    Nel frattempo, il migliaio di manoscritti iniziali sono diventati ormai 150.000; a essi si affiancano 300.000 tra monete e medaglie, oltre centomila stampe e una importante collezione di stampati antichi. Tra i monumenti insigni delle cultura attualmente depositati nella Biblioteca Vaticana si possono menzionare, sul versante classico, il palinsesto del De Republica di Cicerone (Vat. lat. 5757), il Virgilio vaticano (Vat. lat. 3225), il Virgilio romano (Vat. lat. 3867), il Terenzio vaticano (Vat. lat. 3868), manoscritti importanti di Platone (Vat. gr. 1), di Pindaro (Vat. gr. 1312) e delle Tavole facili di Tolomeo (Vat. gr. 1291), per non parlare del preziosissimo frammento palinsesto di Menandro scoperto da pochi anni nel Vat. sir. 623. Fra i manoscritti biblici si annoverano il più antico testimone noto delle due lettere di S. Pietro (Papiro Bodmer 8), il cosiddetto «codice B», una delle due superstiti Bibbie del IV secolo (Vat. gr. 1209) e il «codex Claromontanus» (Vat. lat. 7223) o anche uno dei più antichi manoscritti paleoslavi noti (Vat. gr. 2502). Tra le scritture inferiori del Vat. gr. 2061A e del Vat. gr. 2306 sono stati identificati frammenti di un antico manoscritto dei Vangeli, del V secolo, di uno Strabone del IV secolo e della più antica raccolta giuridica greca (VI-VII secolo). Celebri per le loro miniature sono il «Menologio di Basilio» (Vat. gr. 1613), la «Bibbia urbinate» (Urb. lat. 1-2), la «Bibbia di Belbello» (Barb. lat. 613), due manoscritti danteschi, il «Dante Urbinate» (Urb. lat. 365) e porzioni della Divina commedia illustrata da Botticelli (Reg. lat. 1896), e le Omelie di Giacomo Monaco (Vatic. gr. 1162). Senza dimenticare poi il più antico manoscritto liturgico greco, il cosiddetto «Eucologio Barberini» (Barb. gr. 336), l'unico testimone superstite della liturgia «parrocchiale» romana, il Sacramentario gelasiano (Reg. lat. 316), uno dei più antichi manoscritti cartacei (la Doctrina Patrum del Vat. gr. 2200), o il misterioso Rotolo di Giosuè (Pal. gr. 431), a cui si affiancano, ad esempio, il Vat. lat. 5704, proveniente dallo scriptorium di Cassiodoro (VI secolo) o uno dei pochi frammenti superstiti della Skeireins, cioè la traduzione gotica di un commento greco a Giovanni (Vat. lat. 5750).
    Ebbene, a questa lista, che dovrebbe concludersi con un lunghissimo eccetera (1), si è aggiunto da poco un preziosissimo tesoro, il Papiro Bodmer 14-15, contenente i Vangeli di Luca e di Giovanni, protagonista di una vicenda affascinante.




    Gli antefatti

    Per capire la natura eccezionale del papiro, può essere utile accennare al contesto storico in cui è stato prodotto.

    Poco dopo la metà del primo secolo, a misura che i primi discepoli di Gesù lasciavano questo mondo, cominciò ad affiorare nelle comunità cristiane l'esigenza di «stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio» (Lc 1, 1-2). Nascono così, negli ultimi anni del primo secolo, i Vangeli (i quattro Vangeli canonici, beninteso, ma anche altri testi analoghi, di cui sussistono soltanto frammenti).

    La tradizione antica e la critica moderna sono unanimi su un punto: i quattro Vangeli canonici sono stati composti in luoghi e circostanze diversi e sono stati riuniti in un unico corpus in qualche momento del II secolo. Le prime avvisaglie di ciò che poi sarebbe diventato il Nuovo Testamento sono molto antiche: negli anni tra il 95 e il 98, la Chiesa di Roma inviò alla Chiesa di Corinto una lettera, nota come la Prima lettera di Clemente, in cui si accenna alle lettere di san Paolo ai Corinzi in una maniera che ribadisce il loro valore normativo e pubblico, implicando così che venivano lette nelle assemblee liturgiche. Successivamente, verso la metà del II secolo, san Giustino martire precisa che durante la Celebrazione Eucaristica si leggevano «le memorie degli apostoli e gli scritti dei profeti» (1 Apologia 67, 3). Il termine «memorie», a prima vista enigmatico, si chiarisce analizzando le opere di san Giustino, che lo utilizza in genere per introdurre passi tratti dai Vangeli o da tradizioni evangeliche. Poiché in uno scritto come l'Apologia, indirizzato a un pubblico pagano, la parola «Vangelo», vale a dire «Buona Novella», sarebbe stata semplicemente incomprensibile, san Giustino aveva preferito ripiegare su una designazione ben attestata nella tradizione classica.

    Pochi anni dopo, prima della fine del II secolo, sant'Ireneo Vescovo di Lione e martire afferma in un celebre passo che «Poiché il mondo ha quattro regioni e quattro sono i venti principali (...) il Verbo creatore di ogni cosa (...) rivelandosi agli uomini, ci ha dato un Vangelo quadruplice, ma unificato da un unico Spirito (...), quello secondo Giovanni (...), quello secondo Luca (...), quello secondo Matteo (...), quello secondo Marco (...). Quadruplice è il Vangelo, e lo è anche l'azione del Signore. Per questa ragione sono state date quattro alleanze generali al genere umano» (Contro le eresie III 11, 8). In poche parole, per il Vescovo di Lione esistono quattro Vangeli canonici, e non possono essercene né di più né di meno.



    Il “corpus” dei Vangeli

    Il passo di sant'Ireneo tace sulla forma concreta sotto la quale si presentava questo canone dei quattro Vangeli. Su questo punto, la testimonianza del Papiro Bodmer 14-15, scritto nei primi anni del III secolo, è fondamentale: si tratta del più antico manoscritto che contiene due Vangeli e questo fatto implica, come si vedrà, che ormai i quattro Vangeli circolavano insieme.

    Quest'ultima affermazione diventa comprensibile soltanto se si compie un salto all'indietro, verso il mondo classico. Negli ambienti greco-romani, i testi formali venivano trasmessi esclusivamente su rotoli di papiro, mentre quelli informali (conti, appunti, ricevute...) si trascrivevano su altri tipi di supporti, come tavolette di cera o frammenti di ceramica (ostraca). Durante il primo secolo d.C. diventano comuni i «taccuini», composti di fogli sovrapposti, piegati e uniti insieme da una cucitura o da uno spago. Questi manufatti, di origine pagana, vengono molto presto adottati dai cristiani, come si apprende da un famoso passo deuteropaolino, in cui si chiede a Timoteo di non dimenticare «i quadernetti», cioè degli appunti (2 Tm 4, 13). Questo nuovo formato, in un unico quaderno, aveva enormi vantaggi rispetto al rotolo tradizionale: maggiore capacità unita a minore ingombro e a costi più contenuti, e, nel contempo, agevolava la consultazione e la lettura di un passo determinato, tutti fattori importanti per la lettura pubblica durante le celebrazioni liturgiche.

    Il Papiro Bodmer 14-15, formato in origine da 36 bifogli sovrapposti per un totale di 144 pagine, è il più antico reperto che contiene insieme il testo di due Vangeli, quello di Luca e quello di Giovanni. Ma perché, ci si potrà chiedere, non li conteneva tutti e quattro? Il motivo sta nei limiti della nuova tecnica che, pur avendo una capacità praticamente doppia rispetto al rotolo classico di papiro, costituiva ancora una struttura fragile che tendeva inevitabilmente a spezzarsi lungo la piega, soprattutto se il numero dei bifogli utilizzati superava la cinquantina. Un codice di questo tipo poteva cioè contenere poco più di due Vangeli. Ma, poiché tutte le liste dei Vangeli cominciano da quello di Matteo, si può sospettare che assieme al papiro superstite, sia stato confezionato anche un altro volume, ormai del tutto perduto, che riportava gli altri due Vangeli mancanti, quello di Matteo e quello di Marco.



    Un manoscritto liturgico

    Perché è stato copiato il Papiro Bodmer 14-15? La fattura modesta del codice, evidenziata dalla preoccupazione di non sprecare spazio che dimostrano i margini, molto contenuti, e la mancanza di decorazioni, ben si concilia con un uso pratico. Il manufatto era quasi sicuramente destinato a una piccola comunità, una «parrocchia» egiziana di lingua greca che, come è abituale in tutte le liturgie cristiane, leggeva il Vangelo durante la Celebrazione Eucaristica.

    Ma, ben presto, questo uso frequente ha finito per danneggiare la fragile struttura del papiro, che ha cominciato, forse nel giro di un secolo, a perdere fogli, al punto che attualmente contiene circa la metà del testo dei due Vangeli. Cosa si poteva fare allora con un manoscritto diventato del tutto inutilizzabile, ma che conteneva il testo sacro per eccellenza, i Vangeli? Consapevole verosimilmente dell'antichità del codice, qualcuno ha preso una decisione estrema: dargli una modesta legatura, che è stata rafforzata formando un «cartonnage» con i resti dei primi e degli ultimi fogli superstiti. In queste condizioni, inutilizzabile come libro, ma, come dimostrano esempi analoghi, probabilmente venerato come reliquia, il papiro è stato conservato, forse a partire dal V secolo, nella biblioteca di un monastero pacomiano del Medio Egitto.

    Più tardi, di fronte a un pericolo indeterminato, probabilmente l'invasione araba dell'Egitto, è stato nascosto attorno all'anno 700 in un poggio che lo tenesse al riparo dalle piene del Nilo e lì ha atteso pazientemente, assieme a una quarantina di altri volumi greci e copti, contenenti opere sacre e profane e papiri documentari, di essere scoperto attorno al 1952 dagli abitanti di un villaggio vicino.



    Il viaggio verso Ginevra

    Attraverso un itinerario labirintico, ma di cui è stato possibile ricostruire le principali tappe, i manoscritti sono stati esportati dall'Egitto negli anni 1955-56. In occidente sono stati acquistati da un certo numero di collezioni pubbliche e private, di cui la parte del leone l'hanno avuta le raccolte dello svizzero Martin Bodmer, la cui biblioteca si trova a Cologny, nei pressi di Ginevra, e dell'irlandese Sir Alfred Chester Beatty, fondatore dell'omonima biblioteca a Dublino. Altri volumi sono attualmente dispersi in varie raccolte pubbliche e private.

    L'annuncio della scoperta, avvenuto negli ultimi anni '50, provocò una certa sensazione negli ambienti specialistici, sensazione mitigata dal fatto che nei precedenti decenni il suolo egiziano aveva restituito altri due gruppi consistenti di manoscritti vincolati con il cristianesimo antico. Nel 1930 erano stati scoperti a Medinet Habu alcuni codici copti prodotti dai manichei e nel 1948 era stata ritrovata la biblioteca gnostica di Nag Hammadi, un gruppo di manoscritti copti, che contenevano, tra l'altro, il Vangelo di Tommaso, un'opera definita frettolosamente come «il quinto Vangelo» dai mezzi di comunicazione dell'epoca.

    Una svolta nella storia del testo dei Vangeli

    Dietro iniziativa della Fondazione Bodmer, la trascrizione del testo del Papiro Bodmer 14-15 è stata pubblicata assieme a un facsimile nel 1961. Secondo una prassi consolidata ormai da un secolo, il papiro ha ricevuto una sigla ufficiale nella lista dei testimoni greci del Nuovo Testamento e negli ambienti specializzati è noto attualmente come P75.

    L'analisi spassionata del testo di P75 non ha fatto che confermare la sua importanza fondamentale per la storia del testo dei Vangeli. E qui è necessario fare un nuovo salto all'indietro. Prima della scoperta dei papiri neotestamentari, che nel 2006 sono ormai diventati 118, le edizioni critiche dei Vangeli si fondavano in larga misura su due manoscritti greci scritti in una maiuscola nel IV secolo: il «codice B», custodito dalla Biblioteca Vaticana (Vat. gr. 1209), e il codice Sinaitico (British Library, Addit. 43725, «codice »), proveniente dal Monastero di Santa Caterina, ma conservato quasi per intero presso la British Library di Londra. A lungo si era pensato che il testo di questi due manoscritti imparentati, realizzati nello stesso scrittorio di Cesarea di Palestina, fosse il risultato di una «revisione» operata agli inizi del IV secolo. Ma P75 ha smentito questa ipotesi, dimostrando che lo stesso tipo di testo era ormai arrivato fino in Egitto agli inizi del III secolo.

    La conferma dell'attendibilità dei grandi manoscritti del IV secolo si riflette su quella delle edizioni critiche moderne. Ciò implica che il testo del Nuovo Testamento è giunto fino ai nostri giorni in condizioni estremamente accettabili, incomparabilmente migliori rispetto a quelle di qualsiasi altro testo non biblico dell'antichità.

    Un testimone egiziano

    Ma è proprio sicuro che P75 sia stato prodotto in Egitto? La risposta è certamente affermativa. Sebbene confermi in genere il testo dei grandi manoscritti palestinesi del IV secolo, P75 presenta anche alcune piccole varianti che lo apparentano indubbiamente alla tradizione egiziana, rappresentata dalle traduzioni copte. Ad esempio, nella parabola del ricco e di Lazzaro (Lc 16, 19-31) è l'unico testimone greco che indica che il ricco si chiamava N(in)ive; in Gv 10, 7, invece di scrivere, «Io sono la porta delle pecore», il papiro riporta la variante «Io sono il pastore...». Entrambe le lezioni sono quasi esclusive della tradizione copta.

    Questo fatto consente di precisare qualche particolare della confezione di P75 e, al tempo stesso, di intravedere alcune delle tappe che lo separano dagli originali dei due Vangeli. Abitualmente, il papiro viene fatto risalire al primo quarto del III secolo; questa datazione è affidata ad argomentazioni paleografiche, dedotte cioè dalla scrittura impiegata dallo scriba professionista che l'ha eseguito. Tuttavia, come spesso succede in casi analoghi, si tratta soltanto di una congettura, che attende di essere confermata dalla scoperta di reperti simili, poiché la già menzionata tecnica codicologica del quaderno unico in Egitto è stata usata per manoscritti poveri almeno fino alla fine del IV secolo, che è la data più probabile di alcuni dei manoscritti di Nag Hammadi.

    Ma cosa si oppone a proporre una data più alta e collocare il papiro nel pieno II secolo, come è stato proposto talvolta? La storia stessa del testo dei due Vangeli rappresenta probabilmente un ostacolo insormontabile. Come si è già detto, il papiro presenta delle varianti che indicano che è stato trascritto da un modello egiziano. Questo secondo codice, a sua volta, deve essere stato copiato da un più antico manoscritto dei due Vangeli che non aveva ancora quelle varianti caratteristiche. Ma, a sua volta, questo terzo codice, probabilmente eseguito fuori dall'Egitto, dipendeva non dagli originali perduti dei due Vangeli, bensì da una raccolta dei quattro Vangeli canonici, che deve essersi formata non prima della metà del II secolo (verosimilmente si tratta dello stesso modello dal quale dipendono, attraverso un'altra trafila, i già menzionati manoscritti del IV secolo). Anche ammettendo che si sia trattato di copie successive molto ravvicinate nel tempo (e le notizie che si hanno sull'espansione del cristianesimo in Egitto non contraddirebbero questa circostanza), è difficile ipotizzare che siano stati necessari meno di 50 anni perché il testo greco dei Vangeli raggiungesse una località abbastanza periferica, come quella in cui P75 è stato utilizzato da una sconosciuta comunità cristiana.



    Il mistero dei frammenti nuovi

    La ricerca su un manoscritto antico non può mai dirsi conclusa. Continuamente emergono fatti nuovi che confermano o smentiscono le ipotesi degli studiosi. Ma nel caso di P75 è successo un fatto che non è esagerato definire strabiliante. Il volume prodotto nel 1961 sotto gli auspici della Fondazione Bodmer lasciava intendere che tutti i frammenti del papiro fossero stati pubblicati nel facsimile e trascritti.

    Quando però il manoscritto è stato consegnato alla Biblioteca Vaticana, è emerso immediatamente, da una sommaria ricognizione, che la situazione attuale del papiro non è identica a quella descritta dal facsimile: alcuni frammenti dei fogli esterni sono stati recuperati da un restauro parziale del «cartonnage» avvenuto dopo la pubblicazione del 1961 e una trentina di frustoli attendono di essere identificati, mentre alcuni frammenti nuovi, di cui alcuni non piccolissimi, risultano non documentati.

    Ricerche successive hanno dimostrato che almeno un frammento non riprodotto nel facsimile era già noto attorno al 1974.

    Certamente P75, che ora riposa nella Riserva del Deposito dei manoscritti della Biblioteca Vaticana assieme a un suo compagno di vicissitudini, il Papiro Bodmer 8 (P72), cioè il più antico testimone delle Lettere di San Pietro, e al più antico testimone della traduzione copta dei Profeti minori, un altro reperto che probabilmente è stato ritrovato nelle stesse circostanze, (Pap. Vat. copto 9), non ha ancora svelato tutti i suoi segreti.
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