00 09/10/2007 05:04
La guerra del duca al mercato delle pulci

Parigi, uomo d’affari inglese si compra buona parte di Saint-Ouen. Vuole raddoppiare gli affitti: e i rigattieri rischiano di scomparire
DOMENICO QUIRICO
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Gerald Cavendish Grosvenor è un collezionista assatanato, smodato, incontinente. Di titoli innanzitutto, perché oltre che sesto duca di Westminster, è anche barone e marchese; di amici influenti come il principe Carlo; e soprattutto di marenghi. Adora il genere immobiliare, per non dover mai staccare lo sguardo dai suoi gioielli ne ha affastellati per quindici miliardi nel mondo, soprattutto uffici e centri commerciali. A Londra gli appartengono due quartieri ultra chic, come Belgravia e Mayfair. Quando passeggia a Pimlico, la celebre via degli antiquari, è in effetti sempre a casa sua. Sono tutti, con soprammobili e chincaglierie miliardarie, suoi preziosi inquilini. Già, il duca non compra le antichità, ne ha già a bizzeffe nei castelli ingombri di storia, compra direttamente gli antiquari, chiavi in mano... A Parigi ha messo le mani su ottomila metri quadri di Saint-Ouen a Porte de Clignancourt, il più grande mercato di antichità del mondo, centocinquantamila visitatori ogni weekend, più che un dedalo di negozi e magazzini un immenso museo gratuito, protetto come patrimonio culturale e monumentale, dove trovi il bric-à-brac e il pezzo unico, quello che ha vuotato cantine e soffitte accanto al raffinato fornitore dei collezionisti arrivati da oltre oceano.

Waterloo dell’antiquariato
Gli antiquari di Paul-Bert e Serpette certo avrebbero preferito averlo, il duca milionario, come cliente che come padrone di casa. Perché adesso sono in guerra con lui, lo trovano avido, come hanno scritto su striscioni e magliette esibite alla folla di curiosi e compratori del fine settimana. Guerra dura, aspra, fatta di cifre e avvisi di sfratto ma anche di storia, radici, folclore, tradizioni e un po’ di xenofobia. Insomma si delinea una Waterloo dell’antiquariato, i grognards del mercato delle pulci francese contro l’arrogante capitalista britannico. Basta osservare i cartelli: che invitano «la perfida Albione», già proprio così, a tornarsene a casa con tutti i suoi milioni, noi Asterix del buon affare non siamo in vendita. Qui, dove sbarcano ormai soprattutto professionisti dell’antico e si possono incontrare tra i banchi Tina Turner e Sharon Stone, non si rinuncia alla propria identità, a ricordare quando i «pecheurs de lune» li chiamavano poeticamente così, giravano a fine Ottocento la Parigi di Hugo gridando il loro richiami «stracci, ferraglia in vendita». Rivendicano come i titoli di nobiltà del sesto duca i bisnonni che vennero a costruire baracche e negozi in questa zona, allora periferica e malfamata. È l’aristocrazia delle «Puces» che ricorda ancora Malik, supposto principe albanese, che nel 1920 aprì botteghe specializzate in vestiti usati e uniformi. Poco importa che il dopoguerra abbia imborghesito Saint-Ouen e molto sia cambiato, diminuiti i folcloristici venditori di cianfrusaglie, cresciuti i professionisti, aggiornati anche i gusti; a Serpette uno dei mercati del conte, si trova ormai anche il Novecento accanto allo stile Napoleone. La Francia, si sa, non ama gli invasori anche se hanno il libretto degli assegni panciuto: questo nobilastro d’Oltremanica vuole colonizzarci, è il momento di suonare la Marsigliese contro il liberismo di importazione, vade retro conte-marchese-barone.

Gerald Cavendish Grosvenor non sembra mosso da grandi sentimentalismi, ha fatto un investimento, e non di poco conto visto che ha tirato fuori di saccoccia 50 milioni di euro. Non voleva un pezzo di storia di Parigi. Saint-Ouen rende: per 420 stand divisi su ottomila metri quadri nel 2004, ultimi dati disponibili, l’affitto lo ha fatto più ricco di 36 milioni di euro. I prezzi dei vecchi stands degli straccivendoli viaggiano ormai sulle quotazioni degli alloggi della rive gauche. Adesso vuole che gli affittuari paghino di più, molto di più. Tra il 35 e il 70 per cento come spiega il battagliero avvocato dei «brochants», Eric Hauterne: «non sono cifre praticabili per i miei clienti anche tenuto conto che siamo in piena crisi dell’antiquariato, anche per la concorrenza dell’euro forte nei confronti del dollaro che ha fatto diminuire i clienti americani. Signori, l’antichità è diventata un lusso, si sopravvive come nicchia ma queste cifre sono insopportabili». La società del conte replica che non sono canoni certo «diversi da quanto propone il mercato immobiliare in Francia». Difficile dargli torto.

Ma i «pecheurs de lune» hanno un sospetto, che in realtà il padrone britannico voglia non solo arrotondare gli incassi, il suo progetto sarebbe più complesso, costringere alla fuga i suoi inquilini con tutti i loro bric-a-brac e trasformare Saint-Ouen in una vetrina dell’antiquariato di gran lusso. O peggio ancora: in un enorme centro commerciale. Non è forse la società a cui è affidata la gestione dell’investimento del duca specializzata proprio in questo anonimo e plebeo commercio?

L’avvocato Hauteverne invita a non sottovalutare lo spirito di Saint-Ouen: «Questa è una grande famiglia dove spesso e volentieri si litiga ma che di fronte a una invasione diventa totalmente solidale. Qui c’è un etica, una storia, un folklore che si deve rispettare, tutt’altra cosa che obbedire solo alla logica dell’utile, alla pratica di fare qualsiasi cosa in modo che l’investimento renda il più possibile». Lo sintetizza un commerciante con un cartello esposto tra lampadari e tavolini impero: «Non siamo in vendita, tornatene a
casa».
La Stampa