ANTICIPAZIONE
Nel nuovo libro del cardinale Ruini lo speciale legame tra Giovanni Paolo II e la Città eterna, conosciuta da studente e amata da pontefice
Wojtyla e la «sua» Roma
«Nella prima omelia da Papa disse: "Alla Sede di Pietro sale un vescovo che non è romano. Un vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa
pure lui romano. Sì, romano!"» «Nel magistero, nel governo e in tutta la sua attività non si può mai disgiungere la cura pastorale per la Chiesa particolare che gli è affidata dalla portata universale della sua sollecitudine»
Di Camillo Ruini
La missione di vescovo di Roma, e quindi Pastore universale della Chiesa, era misteriosamente iscritta non solo nel progetto di Dio ma anche, in qualche modo, nella vita e nell'esperienza, umana, spirituale e pastorale, di Karol Wojtyla. Otto giorni prima di essere eletto Papa, il cardinale Wojtyla si fermò in preghiera nella cappella sulla via Cassia nella quale sant'Ignazio di Loyola si era sentito dire «Romae ero vobis propitius», a Roma vi sarò propizio. Nelle prime parole rivolte da Papa al popolo romano, Karol Wojtyla fa diretto riferimento alla sua originaria lontananza ma anche vicinanza rispetto a Roma: «Gli eminentissimi cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un Paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana». Poi, nell'omelia alla Messa di inaugurazione del pontificato, il nuovo Papa ritorna su questo tema: «Pietro è venuto a Roma! Cosa lo ha guidato e condotto a questa Urbe, cuore dell'Impero romano, se non l'obbedienza all'ispirazione ricevuta dal Signore?… Alla Sede di Pietro a Roma sale oggi un vescovo che non è romano. Un vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa pure lui romano. Sì, romano! Anche perché figlio di una nazione la cui storia, dai suoi primi albori, e le cui millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo, forte, mai interrotto, sentito e vissuto con la Sede di Pietro, una nazione che a questa Sede di Roma è rimasta sempre fedele. Oh, inscrutabile è il disegno della Divina Provvidenza!».
Appena ordinato sacerdote, nel novembre del 1946, il giovane Karol Wojtyla era stato inviato a Roma dall'arcivescovo di Cracovia, il cardinale Sapieha, per completare con il dottorato i suoi studi teologici: nei due anni in cui si fermò a Roma, studiando presso il Pontificio ateneo Angelicum e risiedendo al Collegio belga, questo giovane sacerdote polacco fu animato dal forte desiderio di «imparare Roma», trasmessogli in particolare dal rettore del seminario di Cracovia, padre Karol Kozlowski, e di Roma effettivamente non solo apprese la storia e la bellezza, ma assimilò il respiro universale e cattolico, che si innestava spontaneamente nella grande tradizione cattolica polacca.
A Roma Karol Wojtyla soggiornò poi di nuovo negli anni del Concilio Vaticano II, quando era vicario capitolare e quindi arcivescovo metropolita di Cracovia: egli prese parte intensamente a tutto il Concilio, dando un contributo di straordinaria importanza specialmente all'elaborazione della costituzione Gaudium et spes, oltre che alla Dichiarazione sulla libertà religiosa e anche alla costituzione Lumen gentium e al decreto sull'apostolato dei laici. L'esperienza del Vaticano II è stata determinante per il suo episcopato cracoviense e poi per il suo pontificato romano, completando tutta la sua formazione ed esperienza precedente: è rimasta per sempre scolpita in lui la convinzione che il Vaticano II è «l'evento chiave della nostra epoca» (discorso al clero romano del 14 febbraio 1991).
Ritorniamo ora ai momenti iniziali del pontificato: il 9 novembre 1978, pochi giorni dopo la sua elezione al soglio di Pietro, Giovanni Paolo II, parlando al clero romano, disse: «Sono profondamente consapevole di essere diventato Papa della Chiesa universale, perché vescovo di Roma. Il ministero (munus) del vescovo di Roma, quale successore di Pietro, è la radice dell'universalità». Gli oltre ventisei anni del suo Pontificato sono stati la manifestazione concreta e sempre rinnovata di un tale convincimento di fondo.
Nel magistero, nel governo e in tutta la testimonianza e l'attività di questo grande Papa non si può mai disgiungere la cura pastorale per la Chiesa particolare che gli è affidata dalla portata universale della sua sollecitudine e dall'acuta consapevolezza storica della missione della Chiesa nel nostro tempo. Così, se Giovanni Paolo II ha esercitato un influsso di fficilmente misurabile sul corso degli eventi mondiali, la sua presenza si è avvertita in modo determinante nella Chiesa di Roma e anche nella vita della città. In specie, egli ha operato instancabilmente per dare a questa Chiesa e a questa città la coscienza del loro ruolo nel mondo, allargando sempre di nuovo orizzonti che facilmente tendevano a restringersi.
Questo Papa, che ha prediletto il titolo di «Servo dei Servi di Dio», ha inteso chiaramente il ministero del vescovo diocesano anzitutto quale servizio di amore, che abbraccia l'uomo per portarlo a Dio ed affidarlo alle grandi braccia della misericordia di Dio. Così, nell'omelia del 12 novembre 1978, alla presa di possesso della sua cattedrale di San Giovanni in Laterano, Giovanni Paolo II ha individuato nel comandamento della carità il contenuto essenziale del proprio ministero, ricordando la stupenda affermazione di Gesù: "«Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Ed ha subito aggiunto: «O Città eterna, o cari fratelli e sorelle, o cittadini romani! Il vostro nuovo vescovo desidera soprattutto che rimaniamo nell'amore di Cristo, e che questo amore sia sempre più forte delle nostre debolezze… L'amore costruisce; solo l'amore costruisce!».
Giovanni Paolo II si è gettato nel suo ministero di vescovo di Roma con un impeto travolgente e stupefacente: si è fatto presente dappertutto, ad ogni categoria di fedeli e situazione di vita. Ma lo ha fatto su di una base precisa, che egli stesso ha espressamente evidenziato, quella della preghiera. Già il 29 ottobre 1978, visitando il Santuario della Mentorella, diceva infatti: «La preghiera… è… il primo compito e quasi il primo annuncio del Papa, così come è la prima condizione del suo servizio nella Chiesa e nel mondo». La preghiera, il dono di un'intima unione con Dio, ha accompagnato Karol Wojtyla dalla fanciullezza fino al termine della sua esistenza terrena. Era sufficiente vedere il Papa immerso nella pre ghiera nei brevi momenti del ringraziamento dopo una Messa celebrata in una parrocchia romana per comprendere come l'unione con Dio fosse per lui il respiro spontaneo dell'anima e il segreto della sua continua donazione. Anche chi lo accostava al di fuori di una prospettiva di fede avvertiva facilmente e spesso riconosceva con parole esplicite l'esistenza in lui di questa dimensione segreta. Perciò nell'inno Magnificat, che fa parte del Salmo rinascimentale/Libro slavo, volume di poesie portato a termine quando aveva solo 19 anni, Karol Wojtyla poteva già scrivere queste stupende parole, che non si possono ascoltare senza commozione: «Ecco, riempio fino all'orlo il calice col succo della vite nel Tuo convito celeste - io, il Tuo servo orante - grato, perché misteriosamente rendesti angelica la mia giovinezza, perché da un tronco di tiglio scolpisti una forma robusta. Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi».
Nella preghiera di Giovanni Paolo II la diocesi di Roma ha avuto sempre e continuamente un grande spazio: non posso dimenticare le tante occasioni nelle quali egli mi ha assicurato la sua preghiera per questa sua Chiesa, per i suoi vescovi e sacerdoti, per i seminari, per le vocazioni, per le anime consacrate, per le parrocchie, per gli ammalati, per i giovani e per le famiglie, per tutta l'opera pastorale, per ogni situazione difficile o impegnativa. In particolare vorrei ricordare una sua assai significativa decisione personale: quella di dedicare la chiesa di Santo Spirito in Sassia al culto della Divina Misericordia, come ci è stato proposto attraverso la testimonianza e l'esperienza mistica di suor Faustina Kowalska. Questa decisione, che si è rivelata straordinariamente efficace e feconda di bene, ci permette di cogliere quella dimensione intima della vita spirituale di Karol Wojtyla che si è espressa anche nell'enciclica Dives in misericordia e che fa perno sulla dimensione gratuita e misericordiosa del l'amore che Dio Padre ha per noi in Gesù Cristo.