Il cardinale Ratzinger lo aveva intuito da tempo, da quando la malattia di Giovanni Paolo II si era aggravata. Nella sua omelia, dinnanzi alla bara di quello che era stato il suo Papa, aveva di fatto annunciato quale compito improbo sarebbe toccato al suo successore. Nell'omelia che ha inaugurato il nuovo pontificato Benedetto XVI, riferendosi alle sue responsabilità nei confronti della Chiesa, ha parlato dell’assunzione di “un compito inaudito”. Una definizione dal tono pragmatico, ma in cui non compare nessun timore, che nella sua pur chiara drammaticità ha voluto mettere in risalto, seppure in termini non ancora del tutto delineati, i futuri rapporti tra la fede e la scienza, aprendo nel contesto generale una netta differenza tra l’aspetto teologico e le aspettative di una società dilaniata tra la voglia di spiritualità e i problemi di questa difficile era. Questo Pontificato dovrà affrontare sfide di ordine geopolitico ed umanitario dalla fame nel mondo ai rischi legati alla sempre maggiore scarsità d’acqua, fino ad arrivare al preoccupante aumento del prezzo del petrolio che di questo passo rischia di mandare al tappeto le società industrializzate con tutte le ovvie conseguenze sociali.
Problemi che la Chiesa ha fatto sempre di più propri, sin da quando, ai tempi di Paolo VI, decise d'intraprendere la strada dell'evangelizzazione. Una strada obbligata poiché la dignità individuale non può prescindere dal contesto economico che a sua volta è legato a doppio filo alla politica. Non si può immaginare un’evoluzione spirituale di uno o più individui sino a quando non possono espletare le loro necessità primarie. Il Papa, nel corso della sua omelia, ha posto l'accento, sia pure attraverso una parabola, sugli inquietanti problemi mondiali di questo terzo millennio. “Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo”. Una denuncia teologica, un invito alla società a intraprendere una rotta comune quello evocato dal Pontefice?
Sarebbe un atto di presunzione pretendere di interpretare con sicumera i messaggi del capo della Chiesa di Roma. Sembra in ogni modo evidente che quanto detto durante la sua investitura ufficiale sul sagrato di San Pietro sia voluto essere un invito agli uomini di buona volontà, oltre le religioni, al di là dei confini politici, alla collaborazione. Il Santo Padre, non a caso ha citato la storica frase di Karol Wojtyla “non abbiate paura” Ma chi non bisogna avere paura? Non deve avere timore soprattutto l’Occidente quando tratta con paesi dove tuttora vengono calpestati i diritti civili di milioni di persone. Come la Cina, dove i cristiani, non solo subiscono persecuzioni, ma vengono usati come merce di scambio. Proprio la settimana scorsa, ad elezione papale avvenuta, il governo di Pechino ha fatto sapere di essere disposto ad accettare un dialogo con il Vaticano, sebbene la condizione primaria sia ancora “che quest'ultimo disconosca Taiwan”. Di fronte a quella che appare come una vergognosa proposta di baratto il mondo occidentale ha taciuto, preferendo annegare la propria coscienza per non compromettere i propri lucrosi interessi commerciali. Non ha taciuto Benedetto XVI, quando ha affermato: “Io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, ma non sono solo”. Un’omelia pronunciata davanti ai fedeli assiepati davanti alla basilica di San Paolo ma diretta ai potenti della terra.