Marco Philopat - COSTRETTI A SANGUINARE
Il romanzo del punk italiano 1977-1984
Con inserto fotografico e un fumetto inedito del Professor Bad Trip
pp. 224
Contributi di
Stiv Rottame
Trent'anni dopo la nascita del punk, torna il piú bel romanzo sul movimento che piú di ogni altro ha segnato un passaggio d'epoca, influenzando da allora l'estetica e il modo di vivere. Uno smagliante frammento di etica metropolitana per ribelli di ieri e di oggi, ricco di episodi esilaranti, di situazioni-limite raccontate con ironia, e con una scrittura del tutto originale.
punx hanno sempre negato a giornalisti, sociologi e politologi la possibilità di definirli e "fotografarli". In Italia, dove il punk si è sviluppato attraversando complesse dinamiche storiche, mancano gli strumenti per scuotere la memoria, informare chi non c'era o chi non ha capito a fondo quella fondamentale esperienza controculturale ed esistenziale. Dalla voce di uno dei protagonisti e occupanti dello storico Virus di via Correggio 18 a Milano, ecco il primo romanzo sul punk italiano, la lotta di quegli anni, in cui la radicalità di migliaia di giovanissimi si espresse con rabbia e andò a definire i futuri percorsi di movimento. Un'esplosione di sfacciata irriverenza contro il potere e la politica tradizionale... quella qui raccontata è la vita di una generazione che ancora oggi porta sulla propria pelle le ferite e le cicatrici di un drammatico passaggio d'epoca.
"Il libro descrive una Milano simile alla New York e alla Los Angeles gotico-fantascientifiche del regista John Carpenter." (Corriere della sera)
"È un romanzo fatto di vicende esaltanti e situazioni limite, ricco di episodi esilaranti, reso leggero da un taglio pieno di ironia." (Linea d'ombra)
"Il punk, dunque, come presa d'atto e reazione ultima a un senso di vuoto epocale. Una storia d'amore." (Aldo Nove)
L'AUTORE:
Marco Philopat è agitatore culturale e scrittore dal 1981, quando iniziò a pubblicare su punkzine fotocopiate. Scrive oggi interventi politico-poetici e saggi su riviste underground e letterarie, quotidiani e siti web. Del 1997 esce il suo primo romanzo, Costretti a sanguinare Romanzo sul punk 1977-84, giunto alla sesta edizione È anche autore di teatro con MIRaMilano e sceneggiatore di cinema con Forza Cani.
Intervista a Marco Philopat che con le Shake edizioni continua il cammino iniziato nei lontani anni Ottanta :
Non si può parlare di centri sociali e non guardare al passato. Proprio questa banale considerazione mi ha portato da Marco Philopat che negli anni ‘ 80 fu uno degli occupanti del Virus, storico centro sociale milanese rifugio dei punk. Philopat mi ha raccontato tante cose. Quando inizia a parlare è un fiume in piena che scorre tra i ricordi di un tempo ormai perduto, ma che ha lascito il segno. Ricostruisce la Milano di allora senza fronzoli, anzi con crudo realismo. La definisce soffocante e nello stesso modo, dice, la pensavano tanti altri ragazzi. Il punk diventa l’unica alternativa, l’unica via d’uscita all’alienante quotidianità della periferia dove non c’è futuro, dove tutto è piatto, “dove c’è o l’oratorio o l’eroina”. Allora Philopat e gli altri diventano punk. Il Virus è il guscio che li contiene e che li vede crescere e cambiare, diventare sempre più consapevoli di quello che sono. Rifiutano che venga loro affibbiato l’appellativo di “banda giovanile”. I punk sono ben altro, sono una realtà culturale e politica che non si limita a fare musica ma che produce cultura nel senso più ampio del termine. Racconta di quanta importanza abbia rivestito la musica. Il punk era contro la società dello spettacolo e non c’erano star sul palco. Protagonista assoluta era lei, la musica che diventava pretesto per un comizio in cui far esplodere la propria rabbia e il proprio dire di no ad una società sbagliata in cui non c’e avvenire. E poi la comunicazione, l’editoria. Il punk italiano investì molto nella comunicazione, un aspetto che secondo Philopat nei centri sociali di oggi è un po’ trascurato, ma che allora rese forte il movimento. Fa riferimento ad un particolare progetto, PUNKamiNAZIONE, una redazione ambulante che serviva da raccordo per tutti i punk italiani, e poi alla serie infinita di punkzine che testimoniano anche il cambiamento contenutistico del movimento.
E pensare che tutto era partito da una trasmissione televisiva
Quando e come hai scoperto il punk?
La prima volta che sento parlare di punk è in una trasmissione che si intitolava “Odeon: tutto fa spettacolo”. Trasmettevano un video dei Sex Pistols. Vedere quei ragazzi con i capelli in piedi che sbeffeggiavano la regina, ed Elisabetta con le svastiche al posto degli occhi e la spilla da balia sulla guancia mi avevano scosso e aperto gli occhi. Poi sono andato a Londra e sono diventato punk
In Italia esisteva già?
A Milano il punk esisteva già. Nel 1977 c’erano dei giovani metropolitani arrabbiati che in qualche modo già avevano dentro la rivolta punk. Soprattutto un gruppo legato alla rivista Dudu dada più punk e al mio ritorno da Londra mi incontravo con loro alla fiera di Sinigallia.
In quale contesto storico, sociale e politico nascono i punk italiani?
I punk nascono nelle periferie, nelle zone industriali delle grandi metropoli e per lo più sono figli di operai. In quel momento storico (‘77-’81) si vive una ristrutturazione del capitale che trasforma il sistema produttivo di allora con il passaggio dalla grande fabbrica alla fabbrica diffusa. A quel punto il punk grida NO FUTURE, slogan disperato che testimonia la consapevolezza dei giovani di allora che, qualora lo avessero voluto, non avrebbero potuto fare il lavoro del loro padre. Per loro non c’era più posto.
Com’era la Milano di allora?
La Milano di quegli anni era la Milano da bere, dello yuppismo. Ma Milano viveva anche il periodo del riflusso, dei compagni che cambiavano, che abiuravano il loro passato, che finivano nel giro dell’eroina, che erano in galera. Noi punk rappresentavamo l’ultimo bocconcino sovversivo da schiacciare e quindi eravamo assediati…la Milano di allora me la ricordo assediata e assediante. Per questo ci rifugiammo in un centro sociale.
Dove vi incontravate?
All’inizio i punk provenienti dalle periferie milanesi, Quarto Oggiaro, Baggio, Lambrate ecc, stavano per strada in centro. In particolare si ritrovavano in una piazzetta di via Torino dove c’era New Kary, l’unico negozio che vendeva dischi d’importazione e quindi anche punk. Dopo un po’ la situazione fu insostenibile e ci rifugiammo al Santa Marta, il circolo giovanile del proletariato che si trovava lì vicino. Poi siamo andati via da lì e ci siamo ritrovati a Correggio dove è nato il Virus.
Come siete arrivati a Correggio?
È stata l’editoria che ci ha portati in via Correggio. Gli anarchici del Ponte della Ghisolfa in quel periodo non ci vedevano molto bene perché non eravamo molto ortodossi nel senso anarchico del termine. Avevamo comunque bisogno di un posto dove ritrovarci per redarre le nostre riviste. Io e un mio amico anarchico che provenivamo da Baggio, abbiamo pensato di chiedere ai compagni di via Correggio che si trova vicino Baggio. Una volta lì ci siamo resi conto che c’era tantissimo spazio anche per fare dei concerti
Quanto sono stati importanti i Crass, gruppo anarco-punk inglese, per voi del Virus?
I Crass sono stati molto importanti perché ci hanno spinto ad entrare in termini più sostanziali nella realtà cittadina. Non eravamo solo una banda giovanile che faceva esclusivamente musica, ma eravamo una nuova realtà culturale e anche politica. Infatti nonostante la giovane età di tutti noi, al Virus venivano tutti, giornalisti, professori universitari ecc. questa è stata la forza del Virus: la consapevolezza di essere una realtà assolutamente nuova e spontanea che riusciva a produrre cultura.
Cosa accadde al teatro di Porta Romana nell’aprile del 1984?
Occupammo il teatro. L’irruzione al teatro di Porta Romana rappresentò la prima volta in cui i punk si unirono con le cosiddette creature simili, da cui poi nacque il nucleo fondativo della Shake. Lì dei sociologi avevano organizzato un convegno sulle bande giovanili e mettondo accanto al punk i mods, i metallari, gli skynhead ecc. noi ci opponemmo dicendo che i punk non erano soltanto una banda giovanile. I punk al Virus avevano organizzato centinaia di concerti ed eventi culturali
Cosa si diceva all’estero dei punk milanesi?
Allora i punk italiani non eravamo presi molto in considerazione. Mi ricordo che a Londra sentivamo dire “Il punk italiano? In Italia ci sono i punk?”. È il Virus che ci fa conoscere in giro per il mondo. I gruppi musicali che giravano per l’Europa vengono a conoscenza del fatto che anche a Milano c’è un posto. Nel giro di poco tempo il virus diventa il luogo centrale del punk italiano e poi di quello europeo. È stato uno dei luoghi punk più importanti tanto che al virus hanno suonato gruppi inglesi, statunitensi.
Come è finita la storia del Virus?
Il Virus ha chiuso i battenti perché è stato sgomberato in maniera assolutamente coatta. Dopo lo sgombero in via Correggio ci siamo trasferiti in un centro sociale in corso Garibaldi da cui siamo dovuti andare via perché non potevamo fare concerti per le lamentele della gente che chiamava la polizia.poi siamo andati in viale Piave e infine in piazza Bonomelli. In entrambi i casi è durato poco.
Cosa ha significato essere punk?
Parafraso una canzone dei Crass: “Una risposta ad anni di schifo. Una maniera di dire NO. Quando avevamo detto sempre SI!”.