Alla guerra dei fumetti
Esplode la rabbia per le vignette danesi. Chi soffia sul fuoco?
Non sembra placarsi l’ira del mondo islamico verso chi ha mancato di rispetto al Profeta con delle irriverenti vignette. Oggi, dopo tutto quello che è accaduto nei giorni scorsi, ci sono state dimostrazioni all'università del Cairo. E in Somalia, durante il corteo, un manifestante è morto. In Afghanistan, durante una manifestazione di protesta contro le vignette nella cittadina di Mehtarlam, un uomo è morto e e altri due sono rimasti feriti. Per non parlare dei medici pakistani che iniziano a boicottare i farmaci europei.
Una lunga storia. Tutto inizia un giorno di fine settembre scorso. Il quotidiano danese Jyllands Posten, vicino alla destra populista, pubblica dodici vignette che ritraggono il Profeta Mohammed in modo offensivo per i fedeli musulmani. Delle dodici vignette, in particolare, è incriminata secondo gli islamici quella che ritrae il Profeta con un turbante - bomba, come un kamikaze qualsiasi. Una serie di rappresentanti della comunità islamica danese si rivolge a quel punto al direttore e all’editore del Jyllands Posten chiedendo le scuse ufficiali, ma nessuno dà loro ascolto. Allora la delegazione di fedeli fa appello al primo ministro danese Anders Fogh Rasmussen, ma anche il premier non ritiene opportuno, allora, scusarsi pubblicamente. A quel punto, i rappresentanti della comunità islamica del Paese nord europeo si rivolgono alle ambasciate dei paesi islamici in Danimarca, chiedendo di essere tutelati rispetto a quello che loro ritenevano un oltraggio inaccettabile. Circa dieci diplomatici chiedono un incontro al premier Rasmussen che si rifiuta di vederli, rivendicando il sacro principio della libertà di stampa e di espressione. Siamo alla fine di ottobre e i rappresentanti diplomatici dei paesi islamici in Danimarca, a denti stretti, sembrano accettare lo smacco, ma non è così per i delegati della comunità musulmana danese, che volano al Cairo e a Beirut chiedendo che i governi dei paesi islamici si mobilitino per ottenere le scuse riparatorie del giornale e, a quel punto, del governo danese. A metà novembre cominciano le prime manifestazioni in Arabia Saudita che chiedono il boicottaggio delle merci provenienti dalla Danimarca, ma l’onda della rabbia si diffonde lentamente nel mondo islamico fino a quando, a fine gennaio, un quotidiano norvegese dà spazio alla vicenda ripubblicando le vignette incriminate. A quel punto l’onda diventa incontenibile, almeno secondo i media occidentali.
Opposti fondamentalismi. Nel giro di una settimana la rabbia monta in tutto il mondo islamico: la sede dell’Unione Europea a Gaza è assaltata dai manifestanti, alcuni luoghi di culto cristiani a Beirut danneggiati, le ambasciate di Danimarca e Norvegia date alle fiamme a Damasco, con tutto un corollario di manifestazioni e di bandiere Ue e danesi bruciate in piazza durante i cortei che hanno attraversato le città del Pakistan, delle Filippine, della Giordania e di tanti altri paesi a maggioranza musulmana nel mondo. A nulla servono le scuse, trasmesse dal canale satellitare in lingua araba al-Arabya, del premier danese e una lettera aperta ai musulmani pubblicata sul Jyllands Posten. Lo spettatore è attonito di fronte alle immagini che tutti i telegiornali e i giornali riservano a quello che, senza troppi sofismi, viene ritenuto un prologo di quello ‘scontro di civiltà’ in apparenza sempre meno evitabile. Tante redazioni in giro per l’Europa pubblicano le vignette come atto di solidarietà verso i colleghi danesi in quella che viene presentata come una difesa della libertà di stampa dal fondamentalismo religioso. Allo stesso tempo, la stragrande maggioranza dei media occidentali riserva ai gruppi di fanatici che bruciano bandiere e ambasciate uno spazio perlomeno sospetto. Sembra quasi che si soffi sul fuoco dell’islamofobia dilagante in Europa, presentando le manifestazioni in giro per il mondo islamico come la posizione unica e monolitica di 1 miliardo e 300mila musulmani nel mondo. E gli appelli alla libertà di espressione di sprecano, come se il rispetto per la figura più sacra di una religione fosse connesso ai diritti fondamentali dell’uomo e non al buon gusto e al rispetto per gli altri. Non a caso, il Jyllands Posten è un quotidiano vicino a quel Partito del Popolo danese che fa della xenofobia uno dei suoi cavalli di battaglia.
Nei governi islamici, la situazione non sembra molto chiara. Chiunque sia stato in paesi come la Siria, sa molto bene che il regime ha un controllo più che capillare della vita pubblica. E’ pensabile che un gruppo di fanatici dia l’assalto a due ambasciate europee più o meno indisturbato? Anche in questo senso pare quasi che la tensione non sia sgradita a una serie di governi che, di fronte a pressanti problemi sociali, preferisce veder dirottata la rabbia dei suoi cittadini verso i prodotti danesi.