La domanda, che in questo momento probabilmente si stanno facendo in tanti fra la Val Ellero e la Val Tanaro, è: «Ma cosa sta capitando?». Sette centrali a biomasse in un raggio di 15-20 chilometri, progettate o da progettarsi: una a Villanova, una a Roccaforte, una a Bagnasco, una a Massimino, due a Calizzano, e ora spunta l’ipotesi di una a Ormea. Tutte che gravitano sulle vallate intorno al Monregalese. E ovviamente, tutte si fondano sulla stessa idea: bruciare legna per produrre e vendere energia elettrica.
Quale legna? La risposta è sempre la stessa: «Ovviamente quella dei boschi locali!». Ma questa legna, per tutte queste centrali, basterà? La risposta, come vedremo, è abbastanza semplice: no. Lo dicono i dati dell’Ipla e del Politecnico di Torino, ovvero le fonti più attendibili di cui si può disporre.
Ma le domande possono essere anche altre: perché se ne costruiscono così tante? A chi conviene? Ed è possibile discutere di una centrale, “facendo finta” che le altre non esistano?
Perché convienebruciare legna?
La legna non è un combustibile ad alto rendimento, ha un potenziale termico molto minore (per esempio) del gas naturale. La caldaia di una centrale a biomasse funziona, grossomodo, come una stufa: ma la legna va cippata con una pezzatura particolare, e non può essere troppo umida. Se davvero la si vuole reperire sul territorio, si deve tener conto dei costi: che non sono lievi, perché i boscaioli devono potersi ripagare il taglio e il trasporto. Eppure, queste centrali spuntano come funghi.
Perché? Per una ragione economica. Chi brucia biomasse gode di un privilegio tutto speciale, che trasforma l’intera operazione da affare “poco conveniente”, a business “molto conveniente”. Tutto passa attraverso i “certificati verdi”.
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Non chiedetevi cosa può fare il vostro paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro paese.
JFK