La Scimmia

"Sono pronto a morire per la difesa del mio Paese..."

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    00 08/09/2003 14:46





    60 anni fa:






























    ...for I'm a rain dog too...


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    00 08/09/2003 14:51


    ...e il re se ne andò


    Le trattative con gli anglo americani cominciano ad agosto. Vittorio Emanuele III è in contrasto con il proprio stato maggiore, propensa ad accettare la resa incondizionata. Il re la giudica un'esplicita condanna della monarchia e la rifiuta. Pretende garanzie per la dinastia ed arriva addirittura a chiedere il ripristino dell'impero coloniale italiano in Libia, Somalia ed Eritrea. Spera poi che le operazioni militari alleate si concentrino in Francia e nei Balcani, lasciando in pace l'Italia. Si tratta di pretese assurde. Dal punto di vista strategico, gli alleati vogliono costringere Hitler a concentrare truppe in Italia per distoglierle dalla Normandia (dove era già in programma lo sbarco decisivo) e dalla Russia. Gli Alleati non hanno poi motivo di difendere i Savoia. Il Ministro degli esteri inglese Anthony Eden scrive: "Il nostro atteggiamento verso Casa Savoia è improntato a cautela perché è così screditata che non esercita sugli italiani la sua antica attrattiva". Il re, oltretutto, continua a tergiversare anche sul fronte interno. Permette a Badoglio di abolire il Partito Fascista, ma gli impedisce di arrestare i gerarchi. Rimangono in vigore le leggi razziali e le norme che proibiscono la costituzione di partiti politici. Molti fascisti rimangono in carcere, altri vengono arrestati. Un ministro arriva a dire che il nuovo regime "è più fascista del vecchio".

    In un clima di indecisione ed improvvisazione, le trattative proseguono a rilento. Gli Alleati hanno più volte la netta sensazione che il re sia interessato a difendere soltanto le sue prerogative. Il comandante delle forze alleate Dwight Eisenhower avverte gli italiani che lo sbarco nella penisola è imminente e non c'è più tempo per trattare. Il 3 settembre il Quirinale si rende conto che ormai è possibile soltanto la resa incondizionata. Il giorno stesso a Cassibile, in Provincia di Siracusa, il generale Giuseppe Castellano firma per l'Italia l'armistizio con gli Alleati. L'accordo, che prevede la fine dell'alleanza con la Germania e la consegna agli anglo americani della flotta e dei porti del meridione, deve rimanere segreto fino al nuovo sbarco alleato, programmato a Salerno per l'8 settembre. Gli Alleati si aspettano la collaborazione dell'esercito italiano, ma i vertici militari riprendono a tergiversare. Vittorio Emanuele, in preda al panico, l'8 settembre convoca il consiglio della corona. La maggioranza è pronta a non adempiere agli obblighi assunti con Eisenhower. La decisione sta per essere messa a verbale, quando un ufficiale subalterno fa notare che la firma dell'armistizio è stata filmata e fotografata dagli americani. Un dietrofront sarebbe a questo punto letale per la monarchia. Dopo una breve riflessione, Vittorio Emanuele ordina a Badoglio di rendere pubblico l'armistizio. Radio New York ha già trasmesso la notizia ed è cominciato lo sbarco a Salerno. In tarda serata Badoglio si reca negli studi dell'Eiar e legge l'ambiguo comunicato (non prima della fine di una trasmissione di musica leggera): "Ogni atto di ostilità contro le forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane. Esse però reagiranno ad altri attacchi di qualsiasi altra provenienza". Ancora il 9 settembre, i giornali parlano di successi contro il "nemico anglo americano".





    La grande fuga
    La mattina del 9 settembre il re e Badoglio fuggono verso Pescara. Prima di partire distruggono gli archivi del ministero degli Esteri e della Guerra, ma non danno alcuna disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrano i primi scontri tra italiani e tedeschi. In sei settimane il governo non ha preparato alcun piano di emergenza. E' l'inizio di una tragedia immane. I soldati italiani, rimasti senza superiori e senza ordini, sono facili vittime delle rappresaglie tedesche. Il re fugge verso Brindisi. Durante la traversata, il 10 settembre, invia un telegramma all'ottantunenne maresciallo Enrico Caviglia, con l'ordine di coordinare la difesa di Roma. Il telegramma non arriva a destinazione, ma è stato comunque spedito troppo tardi. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi. Il duce definisce il re "il più grande traditore della storia d'Italia", colpevole di aver fatto entrare in Italia un esercito di "ottentotti, sudanesi, indiani venduti, negri statunitensi ed altre varietà zoologiche".

    Una volta a Brindisi, Vittorio Emanuele diffonde una dichiarazione in cui spiega la fuga come atto necessario per la salvaguardia di un governo libero, dicendosi pronto a morire per la difesa del suo Paese. Il 23 settembre scrive al re d'Inghilterra e al presidente Roosevelt. Si dice fedele al regime parlamentare ed auspica una veloce avanzata degli anglo americani in modo da ritornare presto a Roma. Soltanto il 13 ottobre, dichiara guerra alla Germania. Rimprovera comunque Badoglio per non aver barattato questa decisone con qualche concessione territoriale da parte degli Alleati. Tenta poi di imporre Grandi come ministro degli Esteri, presentandolo come "un simbolo del movimento antifascista". L'operazione è bloccata dagli anglo americani che ormai non hanno più nessuna fiducia in lui. A corte, in molti suggeriscono al re di abdicare per salvare la monarchia. Vittorio Emanuele rimane però geloso della sua posizione. Vuole essere ancora un re che governa. Intanto il Paese conosce la tragedia della guerra civile. A Salò, Mussolini guida la Repubblica Sociale, stato fantoccio filo nazista. La guerra durerà ancora un anno e mezzo.

    ...for I'm a rain dog too...


  • piperitapatty
    00 08/09/2003 21:00
    il nostro vittorio cuor di leone...
    e poi il suo appenarimpatriatodiscendente ha pure il coraggio di dire "a"[SM=x191475]
    ma statte zitto:diav:
  • piperitapatty
    00 08/09/2003 21:04
    CEFALONIA
    L’8 settembre 1943 la Divisione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava le isole di Cefalonia e Corfù agli ordini del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi.
    All’alba del 13 settembre batterie italiane aprirono il fuoco su due grossi pontoni da sbarco carichi di tedeschi. Barge rispose con un ulteriore ultimatum, che conteneva la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiese allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Tramite un referendum i soldati scelsero all’unanimità di resistere.
    Il 15 settembre cominciò la battaglia che si protrasse sino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliarono e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difesero con coraggio, ma non ci fu scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.
    L’Acqui si dovette arrendere, la vendetta tedesca fu spietata e senza ragionevole giustificazione. Il Comando superiore tedesco ribadì che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer".
    Il 24 settembre Gandin venne fucilato alla schiena; in una scuola 600 soldati italiani con i loro ufficiali furono falciati dal tiro delle mitragliatrici; 360 ufficiali furono uccisi a gruppetti nel cortile della casetta rossa. Questi gli ordini del generale Hubert Lanz, responsabile dell’eccidio: "Gli ufficiali che hanno combattuto contro le unità tedesche sono da fucilare con l’eccezione di: 1) fascisti, 2) ufficiali di origine germanica, 3) ufficiali medici, 4) cappellani. 5) fucilazioni fuori dalla città, nessuna apertura di fosse, divieto di accesso ai soldati tedeschi e alla popolazione civile. 6) nessuna fucilazione sull’isola, portarsi al largo e affondare i corpi in punti diversi dopo averli zavorrati".
    Alla fine saranno 5.000 i soldati massacrati, 446 gli ufficiali; 3.000 superstiti, caricati su tre piroscafi con destinazione i lager tedeschi, scomparirono in mare affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, la Divisione Acqui annientata.
    Molti dei superstiti dell’eccidio si rifugiarono nelle asperità dell’isola e continuarono la resistenza nel ricordo dei compagni trucidati e si costituirono nel raggruppamento Banditi della Acqui, che fino all’abbandono tedesco di Cefalonia si mantenne in contatto con i partigiani greci e con la missione inglese operando azioni di sabotaggio e fornendo preziose informazioni agli alleati.
  • Asgeir Mickelson
    00 10/09/2003 18:00
    60 anni fa...
    ... e fu l'inizio della fine.
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    wartr
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    00 12/09/2003 11:07
    Re: CEFALONIA

    Scritto da: piperitapatty 08/09/2003 21.04
    L’8 settembre 1943 la Divisione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava le isole di Cefalonia e Corfù agli ordini del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi.
    All’alba del 13 settembre batterie italiane aprirono il fuoco su due grossi pontoni da sbarco carichi di tedeschi. Barge rispose con un ulteriore ultimatum, che conteneva la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiese allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Tramite un referendum i soldati scelsero all’unanimità di resistere.
    Il 15 settembre cominciò la battaglia che si protrasse sino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliarono e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difesero con coraggio, ma non ci fu scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.
    L’Acqui si dovette arrendere, la vendetta tedesca fu spietata e senza ragionevole giustificazione. Il Comando superiore tedesco ribadì che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer".
    Il 24 settembre Gandin venne fucilato alla schiena; in una scuola 600 soldati italiani con i loro ufficiali furono falciati dal tiro delle mitragliatrici; 360 ufficiali furono uccisi a gruppetti nel cortile della casetta rossa. Questi gli ordini del generale Hubert Lanz, responsabile dell’eccidio: "Gli ufficiali che hanno combattuto contro le unità tedesche sono da fucilare con l’eccezione di: 1) fascisti, 2) ufficiali di origine germanica, 3) ufficiali medici, 4) cappellani. 5) fucilazioni fuori dalla città, nessuna apertura di fosse, divieto di accesso ai soldati tedeschi e alla popolazione civile. 6) nessuna fucilazione sull’isola, portarsi al largo e affondare i corpi in punti diversi dopo averli zavorrati".
    Alla fine saranno 5.000 i soldati massacrati, 446 gli ufficiali; 3.000 superstiti, caricati su tre piroscafi con destinazione i lager tedeschi, scomparirono in mare affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, la Divisione Acqui annientata.
    Molti dei superstiti dell’eccidio si rifugiarono nelle asperità dell’isola e continuarono la resistenza nel ricordo dei compagni trucidati e si costituirono nel raggruppamento Banditi della Acqui, che fino all’abbandono tedesco di Cefalonia si mantenne in contatto con i partigiani greci e con la missione inglese operando azioni di sabotaggio e fornendo preziose informazioni agli alleati.







    grazie[SM=x191476] [SM=x191481]



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