La Scimmia

Le vicende relative al caso del signor Valdemar

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    wartr
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    00 14/06/2003 19:01






    NATURALMENTE non pretendero' di ritenere un fatto straordinario che il
    sorprendente caso del signor Valdemar abbia provocato tante discussioni:
    sarebbe un miracolo se cio' non fosse stato, date soprattutto le
    circostanze. In seguito al desiderio di tutte le parti interessate di
    tenere nascosta la vicenda al pubblico, per il momento almeno, o fino a che
    non avessimo avuto occasioni per una ricerca piu' approfondita, in seguito
    appunto ai nostri sforzi per ottenere questo, si e' sparsa tra la gente una
    versione del fatto arbitraria ed esagerata, la quale e' divenuta fonte di
    molte ipotesi sgradevoli ed errate e logicamente di grande incredulita'.

    E' ora necessario che io dia i FATTI cosi' come li conosco. Eccoli in
    succinto.

    La mia attenzione, in questi ultimi tre anni, e' stata rispettivamente
    attratta dal mesmerismo (o magnetismo animale, dal nome del medico
    tedesco Franz Mesmer (1734-1815), ideatore di tale teoria. N.d.r), e circa
    nove mesi or sono mi venne in mente cosi' all'improvviso che nella serie
    delle esperienze da me sino a quel momento compiute vi era stata
    un'omissione gravissima e assolutamente ingiustificabile, che cioe'
    nessuno era ancora mai stato mesmerizzato in ARTICULO MORTIS. Era da
    vedere per prima cosa se in tale condizione esistesse nel paziente una
    suscettibilita' qualsiasi all'influenza magnetica; secondariamente, nel
    caso che tale suscettibilita' esistesse, se questa fosse diminuita o
    accresciuta dalla condizione predetta. In terzo luogo sino a qual punto,
    e per quanto tempo, potessero essere fermate mediante questo processo le
    pretese inesorabili della Morte. Vi erano ancora altri punti che
    avrebbero dovuto essere accertati, ma i suaccennati eccitavano
    particolarmente la mia curiosita', l'ultimo soprattutto, per la portata
    vastissima delle sue eventuali conseguenze.

    Nel guardarmi attorno in cerca di un soggetto grazie al quale io potessi
    saggiare queste mie ipotesi, venni indotto a pensare al mio amico
    Ernest Valdemar, il notissimo compilatore della "Bibliotheca Forensica" e
    autore (sotto lo pseudonimo di Issachar Marx) delle versioni in polacco
    del "Wallenstein" e del "Gargantua". Il signor Valdemar, il quale aveva
    dimorato per lo piu' nel quartiere di Harlem, nello Stato di New York,
    sin dal 1839 e' (o era) caratterizzato principalmente da un'estrema
    magrezza della persona (i suoi arti inferiori rammentavano moltissimo
    quelli di John Randolph), nonche', pure, dall'immacolato biancore dei
    suoi baffi stranamente in contrasto con la nerezza dei capelli, i quali,
    di conseguenza, venivano generalmente scambiati per una parrucca. Era di
    temperamento spiccatamente nervoso, il che lo rendeva un soggetto ottimo
    per le esperienze mesmeriche. Ero riuscito un paio di volte a farlo
    addormentare quasi senza difficolta', ma ero stato deluso in altri
    risultati che la sua particolare costituzione mi aveva naturalmente
    indotto a prevedere. La sua volonta' non si era mai trovata
    positivamente o totalmente sotto il mio controllo, e in quanto alla
    chiaroveggenza, non ero mai riuscito a compiere con lui nulla di
    concreto. Avevo sempre attribuito il mio insuccesso su questi punti alle
    sue alterate condizioni di salute. Gia' alcuni mesi prima ch'io avessi
    occasione di fare la sua conoscenza i medici lo avevano dichiarato
    irrevocabilmente tubercolotico. Del resto era sua abitudine parlare con
    calma della propria imminente fine, come di cosa che non poteva essere
    ne' evitata ne' rimpianta.

    Allorche' incominciai a riflettere su quanto ho accenato prima, fu
    logicamente naturalissimo che io pensassi al signor Valdemar. Conoscevo
    troppo bene la salda mente filosofica dell'uomo per temere da LUI
    scrupoli di qualsiasi genere, ne' d'altronde egli aveva parenti in
    America che potessero intromettersi. Gli parlai francamente del mio
    progetto, e con mia sorpresa vidi di avere fortemente suscitato il suo
    interesse. Dico con sorpresa perche', sebbene egli mi avesse sempre
    concesso di servirmi liberamente della sua persona per le mie esperienze,
    non aveva mai dimostrato prima d'allora una speciale simpatia per quel che
    io facevo. Il male che lo minava era di quelli che permettono un calcolo
    esatto intorno al tempo della conclusione letale, e infine ci accordammo
    ventiquattr'ore prima del momento che i suoi medici avrebbero decretato
    essere quello del trapasso.

    Sono trascorsi ormai piu' di sette mesi da quando io ho ricevuto da parte
    del signor Valdemar in persona il seguente biglietto:

    "Caro P...
    "Puo' anche venire ADESSO. D... e F... sono concordi nel dichiarare che
    io non potro' durare oltre la mezzanotte di domani, e ritengo che
    abbiano colto pressoche' esattamente nel segno.

    Valdemar".

    Ricevetti questo biglietto circa mezz'ora dopo che era stato scritto, e
    in capo ad altri quindici minuti mi trovavo nella camera del morente. Non
    lo vedevo da dieci giorni, e rimasi esterrefatto dallo spaventoso
    mutamento avvenuto in lui durante quel breve intervallo. Il suo volto
    era soffuso di una tinta plumbea; gli occhi avevano perduto ogni luce, e
    la sua emaciatezza era tale che la pelle gli si era rotta sugli zigomi.
    Soffriva di un'espettorazione abbondantissima: il polso era appena
    percettibile. Egli aveva conservato pero' in modo sorprendente non solo
    le sue piene facolta' mentali, ma anche una certa somma di energie
    fisiche. Si esprimeva udibilmente, prendeva senza aiuto alcuni
    medicamenti palliativi, e, allorche' io entrai nella sua stanza, era
    intento a segnare a matita alcuni appunti su un taccuino. Era seduto sul
    letto appoggiato contro una montagna di cuscini. Lo vegliavano i dottori
    D... e F...

    Dopo aver stretto la mano di Valdemar presi in disparte questi signori e
    ottenni da loro una relazione minuta circa le condizioni del paziente.
    Il polmone sinistro era da diciotto mesi in uno stato semiosseo o
    cartilaginoso, ed era divenuto naturalmente del tutto inservibile agli
    scopi della vita. Anche il polmone destro, nella regione superiore, si
    era parzialmente se non totalmente ossificato, mentre la regione
    inferiore non era piu' che una massa di tubercoli purulenti confondentisi
    gli uni negli altri. Esistevano varie perforazioni assai vaste, e in un
    punto era avvenuta un'aderenza permanente alle costole. Questi sintomi
    rivelati dal lobo destro erano di data relativamente recente. Il
    processo di ossificazione era progradito con rapidita' assai insolita;
    ancora un mese prima non ne era stato notato il minimo sintomo, e
    l'aderenza era stata scoperta soltanto tre giorni innanzi.
    Indipendentemente dal processo di consumazione, il paziente era sospetto
    di aneurisma dell'aorta, ma in questa regione i sistemi ossei rendevano
    impossibile una diagnosi esatta. Entrambi i medici erano d'opinione che
    il signor Valdemar sarebbe morto verso la mezzanotte dell'indomani
    (domenica). Erano in quel momento le sette del sabato sera.

    Nell'allontanarsi dal capezzale dell'infermo per discorrere con me, i
    dotti D... e F... gli avevano rivolto un saluto finale. Non era nelle
    loro intenzioni di ritornare, ma su mia richiesta promisero che
    sarebbero venuti a dare un'occhiata al paziente, verso le dieci della
    sera successiva.

    Quando se ne furono andati discussi apertamente col signor Valdemar
    intorno all'argomento della sua fine imminente, nonche', e con maggiori
    particolari, intorno all'esperienza che mi proponevo di tentare. Egli si
    dichiaro' tuttora dispostissimo e anzi impaziente di parteciparvi, e
    insistette perche' iniziassi subito. Ero assistito da un infermiere e da
    una infermiera, ma non mi sentivo d'imbarcarmi in un compito di quella
    fatta con testimoni cosi' poco sicuri, nel caso avvenisse una catastrofe
    improvvisa. Rimandai percio' il tentativo alle otto circa della sera
    seguente, allorche' la venuta di uno studente di medicina che conoscevo
    abbastanza bene (il signor Teodoro L.....l) mi libero' da ogni ulteriore
    scrupolo e incertezza. Era stato in origine mio desiderio di attendere
    il ritorno dei medici, ma fui indotto a procedere, prima di tutto dalle
    incalzanti suppliche del signor Valdemar, e in secondo luogo dall'intimo
    convincimento che non avevo un minuto da predere, poiche' lo vedevo
    declinare rapidamente e a vista d'occhio.

    L.....l ebbe la bonta' di aderire al mio desiderio che egli stendesse
    cioe' nota di tutto quanto accadeva, ed e' proprio dai suoi appunti che
    ho raccolto riassumendoli o copiandoli PAROLA PER PAROLA quanto sto ora
    per narrare.

    Mancavano circa cinque minuti alle otto quando, prendendo la mano del
    paziente, lo pregai di dichiarare, quanto piu' chiaramente gli era
    possibile, al signor L....l, se egli (Valdemar) era realmente
    consenziente che io iniziassi l'esperimento di mesmerizzazione della sua
    persona nelle sue attuali condizioni.

    Mi rispose debolmente, e tuttavia con voce chiaramente udibile: - Si,
    desidero essere mesmerizzato; - aggiungendo subito dopo: - Temo che lei
    abbia rimandato l'esperienza gia' di troppo.

    Mentre diceva questo incominciai a eseguire i passaggi che altre volte
    avevo trovato particolarmente efficaci in un soggetto quale il suo. Egli
    rimase evidentemente influenzato dal primo movimento laterale della mia
    mano attraverso la sua fronte, ma benche' esercitassi tutti i miei
    poteri non ottenni alcun ulteriore effetto notevole se non alcuni minuti
    dopo le dieci, quando cioe' sopraggiunsero, mantenendo fede al loro
    impegno, i dottori D... e F... Spiegai loro in poche parole quel che
    avevo in animo, ed essi non mi fecero alcuna obiezione, affermando anzi
    che il paziente era gia' entrato in stato agonico. Procedetti allora
    senza esitazione, sostituendo pero' ai passaggi laterali quelli con moto
    verso il basso, e affissando il mio sguardo unicamente entro l'occhio
    destro del paziente.

    Il polso era ormai impercettibile e la respirazione rantolante, con
    pause di mezzo minuto.

    Questo stato rimase pressoche' immutato durante un quarto d'ora. Al
    termine di questo periodo pero' dal petto del morente sfuggi' un sospiro
    naturale benche' profondissimo, e l'affanno stertoroso cesso'; vale a
    dire, il rantolo agonico non era piu' udibile; le pause non diminuirono.
    Le estremita' del paziente erano fredde come il ghiaccio.

    Cinque minuti prima delle undici percepii i primi segni inequivocabili
    dell'influenza mesmerica. Il roteare vitreo dell'occhio si muto' in
    quell'espressione di inquieta disamina INTERIORE che non si avverte mai
    se non nei casi di sonnambulismo, e sulla quale e' del tutto impossibile
    ingannarsi. Con pochi rapidi passaggi laterali feci tremare le labbra
    come in un sonno incipiente, e con pochi altri le chiusi del tutto. Non
    mi sentivo soddisfatto, tuttavia, e continuai percio' energicamente
    nelle mie manipolazioni, esercitando al massimo la volonta', finche' non
    ebbi irrigidito totalmente le membra del dormiente, non prima pero' di
    averle fissate in una posizione apparentemente comoda. Le gambe erano
    dostese in tutta la loro lunghezza, e cosi' anche le braccia, o
    pressapoco, e queste posavano sul letto a una giusta distanza dai lombi.
    Il capo era assai leggermente sollevato.

    Quando ebbi terminato tutto cio' era mezzanotte in pieno, e io chiesi ai
    signori presenti di esaminare le condizioni di Valdemar. Dopo brevi
    esperimenti costoro dichiararono di trovarlo in uno stato insolitamente
    perfetto di TRANCE mesmerica. La curiosita' di entrambi i medici era
    grandemente eccitata. Il dottor D... decise subito di restare presso il
    paziente tutta la notte, mentre il dottor F... si congedo' con la
    promessa che sarebbe ritornato all'alba. L.....l e gli infermieri
    rimasero.

    Lasciammo indisturbato Valdemar sino alle tre circa del mattino. A
    quell'ora mi avvicinai a lui e lo trovai esattamente nelle medesime
    condizioni di quando il dottor F... si era allontanato; vale a dire che
    giaceva esattamente nella medesima posizione; il polso era
    impercettibile; la respirazione lieve (o per meglio dire appena
    avvertibile, e verificabile soltanto avvicinando alle labbra uno
    specchio); gli occhi erano naturalmente chiusi, e le membra rigide e
    fredde come marmo. Tuttavia l'aspetto generale non era certo quello
    della morte.

    Nell'avvicinarmi a Valdemar, feci una specie di semisforzo nel tentativo
    di influenzare il suo braccio destro a seguire il mio, che feci passare
    dolcemente innanzi e indietro sulla sua persona. In questi esperimenti
    su di lui non ero mai del tutto riuscito prima d'allora, e certo non
    speravo molto di riuscirvi adesso, ma con mio stupore il suo braccio
    assai prontamente, seppur debolmente, prese a seguire ogni direzione da me
    indicata col mio. Decisi di arrischiare qualche parola di conversazione.

    - Signor Valdemar, - dissi, - dorme? - Non mi diede risposta, ma
    avvertii un tremito intorno alle labbra e mi sentii percio' indotto a
    ripetere la domanda una seconda volta. Alla terza tutto il suo corpo fu
    agitato da un brivido lievissimo; le palpebre si dischiusero sino a
    lasciare intravedere un segmento bianco del globo oculare; le labbra si
    mossero pigramente, e da esse in un sussurro a stento udibile uscirono
    queste parole:

    - Si; adesso dormo. Non mi svegliate! Lasciatemi morire cosi'...

    A questo punto gli tastai le membra e le sentii piu' rigide che mai. Il
    braccio desto, come prima, obbedi' alla direzione della mia mano.
    Interrogai nuovamente il sonnambulo:

    - Sente ancora dolore al petto, signor Valdemar?

    La risposta ora fu immediata, ma perfino piu' impercettibile della
    precedente:

    - Nessun dolore... Sto morendo...

    Non ritenni prudente di disturbarlo oltre proprio in quel momento, e
    null'altro fu detto o fatto sino al ritorno del dottor F..., il quale
    giunse poco prima dell'alba, ed espresse il piu' illimitato stupore nel
    trovare il paziente ancora in vita. Dopo avergli tastato il polso e
    avergli avvicinato uno specchio alle labbra mi prego' di rivolgere
    nuovamente la parola al sonnambulo. Obbedii e dissi:

    - Signor Valdemar, dorme ancora?

    Come per l'innanzi, trascorsero alcuni minuti prima che potessi ottenere
    una risposta; e durante questa pausa il morente parve raccogliere tutte
    le sue energie per parlare. Alla quarta ripetizione della domanda disse
    debolissimamente, con voce appena percettibile:

    - Si, ancora... Muoio.

    I medici dimostrarono ora il parere, o meglio il desiderio, che
    Valdemar fosse lasciato indisturbato in quel suo stato di apparente
    tranquillita', sino al sopravvenire della morte, la quale, secondo
    l'opinione generale, era ormai questione di pochi minuti. Decisi
    nondimeno di rivolgergli la parola ancora una volta, limitandomi a
    ripetere la domanda postagli in precedenza.

    Mentre parlavo si produsse nell'aspetto del sonnambulo un mutamento sensibile.
    Gli occhi si aprirono da soli, lentamente, roteando, le pupille scomparvero
    all'insu'; la pelle assunse una sfumatura cadaverica, venendo a rassomigliare
    non tanto alla pergamena, quanto a un foglio di carta bianca. E le macchie
    circolari tipiche dell'etisia che sino a quel momento erano risaltate con
    evidenza al centro di ciascuna guancia, si estinsero a un tratto. Uso
    quest'espressione, poiche' la subitaneita' della loro scomparsa mi diede la
    sensazione dello spegnersi di una candela sotto un soffio di fiato. Il labbro
    superiore, contemporaneamente, si accartoccio' scostandosi dai denti, che prima
    ne erano stati completamente coperti, mentre la mascella inferiore cadde con uno
    scatto secco, lasciando la bocca spalancata e rivelando in pieno la lingua
    enfiata e annerita. Immagino che tutti coloro che si trovavano nella stanza
    fossero da tempo abituati agli orrori della morte, ma in quel momento l'aspetto
    di Valdemar era cosi' terribilmente spaventoso, che tutti si ritrassero
    istintivamente dal letto.

    Ho l'impressione di essere giunto al punto di questa mia narrazione in cui tutti
    i miei lettori rimarranno irriducibilmente increduli. Ma e' mio compito
    limitarmi a proseguire nel racconto.

    Il corpo di Valdemar non presentava ormai piu' il benche' minimo segno di
    vita, e giudicandolo morto stavamo per affidarlo alle cure degli
    infermieri, allorche' avvertimmo nella lingua un forte movimento
    vibratorio, il quale si protrasse per forse un minuto. Al termine di
    questo, usci' dalle mascelle contratte e immobili una voce quale sarebbe
    demenza da parte mia tentare di descrivere. Vi sono in realta' due o tre
    aggettivi che potrebbero essere usati con sufficiente approssimazione
    per raffigurarla; potrei dire per esempio che il suono di quella voce era
    aspro, spezzato, cavo; ma essa e' indescrivibile nel suo spaventoso
    complesso, per il semplice motivo che un suono simile mai e' giunto a
    orecchie umane. Vi erano pero' in essa due particolari che giudicai
    allora, e giudico tuttora, come abbastanza caratteristici
    dell'intonazione, e anche abbastanza adatti a rendere l'idea della sua
    extraterrena stranezza. Prima di tutto, sembrava che la voce giungesse
    alle nostre orecchie, alle mie almeno, da una distanza enorme, o da
    qualche profonda caverna sotto la superficie della terra. In secondo
    luogo essa m'impressiono' (temo veramente che mi sara' impossibile farmi
    intendere) cosi' come una sostanza gelatinosa o glutinosa impressiona il
    senso del tatto.

    Ho parlato sia di "suono", sia di "voce". Intendo dire con questo che il
    suono aveva una sillabazione distinta; oserei anzi aggiungere:
    meravigliosamente, sorprendentemente distinta. Valdemar PARLAVA
    evidentemente in risposta alla domanda che io gli avevo rivolto alcuni
    minuti prima. Gli avevo chiesto, si ricordera', se dormisse ancora. Egli
    ora mi rispose:

    - Si; no; HO dormito, e adesso, adesso... sono morto.

    Nessuno dei presenti cerco' di dissimulare, o tento' di reprimere,
    l'orrore indicibile, raccapricciante, che queste poche parole, cosi'
    pronunciate, erano destinate a suscitare. L.....l (lo studente) svenne.
    Gli infermieri lasciarono immediatamente la stanza e nulla pote' indurli
    a ritornare. Non tentero' di spiegare al lettore le mie impressioni
    personali. Per circa un'ora ci affaccendammo in silenzio, senza
    proferire una sola parola, a cercar di rianimare L.....l. Quando questi si
    riebbe ci rimettemmo allo studio delle condizioni di Valdemar.

    Queste erano rimaste in tutto e per tutto come io le ho piu' sopra
    descritte, a eccezione che lo specchio ora non offriva piu' traccia di
    respirazione. Un tentativo di cavar sangue dal braccio falli'. Devo
    inoltre aggiungere che quest'arto non era piu' soggetto alla mia
    volonta'. Invano tentai di fargli seguire la direzione della mia mano.
    Il solo indice tangibile dell'influsso mesmerico era ora avvertibile nel
    moto vibratorio della lingua, ogni qualvolta io rivolgevo una domanda a
    Valdemar. Sembrava ogni volta li' li' per rispondere, ma non aveva piu'
    volitivita' bastante. Alle domande rivoltegli da altri appariva essere
    del tutto insensibile, per quanto io cercassi di porre ciascuno degli
    astanti in RAPPORTO mesmerico con lui. Credo di avere ormai riferito
    quanto e' necessario per la comprensione dello stato del sonnambulo in
    quel momento. Vennero mandati a chiamare altri infermieri, a alle dieci
    lasciai la casa in compagnia dei due medici e di L.....l.

    Nel pomeriggio ritornammo tutti insieme a visitare il paziente. Le sue
    condizioni erano rimaste precisamente le stesse. Discutemmo alquanto
    circa la convenienza e la possibilita' di risvegliarlo, ma non tardammo
    ad accordarci che non avremmo ottenuto con questo alcun risultato
    positivo. Era evidente che la morte (o cio' che di solito si definisce
    morte) era stata arrestata dal processo mesmerico. Tutti convenimmo che
    risvegliare Valdemar sarebbe equivalso a provocare la sua immediata o
    comunque rapida disgregazione.

    Da quel momento sino al termine della scorsa settimana, DURANTE DUNQUE
    UN INTERVALLO DI QUASI SETTE MESI, continuammo a recarci giornalmente a
    casa di Valdemar, accompagnati di quando in quando da uomini di medicina
    e altri amici. In tutto questo tempo il sonnambulo e' rimasto ESATTAMENTE
    come io l'ho descritto. Gli infermieri lo sorvegliavano senza
    interruzione.

    Fu venerdi' scorso che decidemmo finalmente di tentare l'esperienza del
    risveglio, di cercare cioe' di destarlo; ed e' (forse) lo sfortunato
    risultato di quest'ultimo esperimento che ha suscitato tante discussioni
    nei circoli privati, e cio', in una parola, che io non posso fare a meno
    di giudicare un risentimento popolare ingiustificato.

    Allo scopo di liberare Valdemar dalla TRANCE mesmerica, usai i soliti
    passaggi. Questi rimasero per un certo tempo infruttuosi. Il primo
    indice di rinascita fu rivelato da un abbassamento parziale dell'iride.
    Venne osservato, come particolarmente degno di nota, che questa discesa
    della pupilla fu accompagnata da una irrorazione profusa di icore
    giallastro (da sotto alle palpebre) di odore pungente e fetidissimo.

    Venni successivamente consigliato di tentar d'influenzare il braccio del
    paziente, come per l'innanzi. Questo tentativo pero' falli'. Il dottor
    F... espresse allora il desiderio che io formulassi una domanda. Obbedii
    e chiesi:

    - Signor Valdemar, puo' spiegarci quali sono attualmente le sue
    sensazioni o i suoi desideri?

    Per un attimo le guance si reinvermigliarono delle loro caratteristiche
    macchie d'etisia; la lingua vibro', o meglio roteo' violentemente nella
    bocca (benche' labbra e mascella restassero rigide come per l'innanzi) e
    infine quella medesima voce spaventosa che gia' ho descritta proruppe:

    - Per amor di Dio! Presto! Presto! Mettetemi a dormire. Oppure...
    presto! svegliatemi! Presto! VI DICO CHE SONO MORTO!

    Ero indicibilmente sconvolto, e per un attimo rimasi incerto su quel che
    dovevo fare. Tentai dapprima di ricomporre il paziente, ma, fallito
    questo tentativo per la totale sospensione della volonta', ritornai sul
    mio operato e con altrettanta energia lottai per svegliarlo. Questa
    volta mi avvidi subito che sarei riuscito o per lo meno mi lusingai che
    tra breve il mio successo sarebbe stato completo, e sono certo che tutti
    nella stanza erano preparati ad assistere al risveglio del paziente.

    Ma a quanto in realta' avvenne, non era davvero possibile essere
    preparati.

    Mentre eseguivo rapidamente i passaggi mesmerici tra esclamazioni di
    "morto! morto!" che letteralmente PROROMPEVANO dalla lingua anziche'
    dalle labbra del paziente, tutto il corpo di questi, immediatamente,
    nello spazio di un solo minuto, forse anche meno, si rattrappi', si
    sbriciolo', in una parola si CORRUPPE e si DISSOLSE sotto le mie mani.

    Sul letto, di fronte a tutti i presenti, non rimase che una massa quasi
    liquida di putridume ributtante, spaventoso.








    (Edgar Allan Poe)


    ...for I'm a rain dog too...


  • piperitapatty
    00 15/06/2003 23:46
    [SM=x191487]
    troppo lungo,lo leggo domani:Sm1: