00 05/02/2007 00:55

Fonte Tgcom







Auguri Carosello: compie 50 anni
Primo spazio tv dedicato alla reclame
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Un fenomeno pubblicitario unico al mondo, un contenitore che, mutuando spunti da altre forme di spettacolo, proponeva storielle, gags, macchiette con il classico messaggio pubblicitario aggiunto come "codino". Cinquant'anni fa nasceva Carosello: era il 3 febbraio 1957. Andò in onda alle 20.50 sull'unico canale della Rai. Chiuse i battenti vent'anni dopo, il 1 gennaio 1977, segnando un'epoca nei costumi e nelle abitudini sociali degli italiani.

"I bambini vanno a letto dopo Carosello", è una frase che ha contraddistinto una stagione della nostra vita. Quando ha cessato le trasmissioni, Carosello era al top degli ascolti, con 19 milioni di telespettatori, 9 milioni dei quali bambini. Dopo un inizio un po' difficile divenne il programma più seguito dalla tv di Stato. Ed era l'unica trasmissione interamente ideata, scritta e diretta da privati. La prima puntata di Carosello andò in onda subito dopo il telegiornale e da quel momento per 20 anni il programma divenne l'appuntamento immancabile per intere generazioni di italiani.

Un successo durato fino al 1977, anno della riforma radiotelevisiva e dell'avvento delle televisioni commerciali. Complessivamente verranno trasmesse 42.000 scenette, una diversa dall'altra secondo la formula voluta dalla Sacis che imponeva short di 2 minuti e 15 secondi, dei quali solo gli ultimi 35 riservati alla pubblicità.

Il set vedrà passare i più grandi nomi dello spettacolo, del cinema e del teatro, diretti da importanti registi che, come Federico Fellini, sceglieranno di rimanere anonimi. Tutti i più grandi attori, registi e cantanti fanno "caroselli", da Eduardo de Filippo a Mina, da Vittorio Gassman a Dario Fo, da Sergio Leone a Totò, da Luciano Emmer (inventore di Carosello) a Francesco Guccini.

E poi ancora attori come Macario, Peppino de Filippo, Nino Manfredi, Nino Taranto, Raimondo Vianello, Carlo Giuffrè, Renato Rascel, Paolo Panelli; e registi e sceneggiatori come Age e Scarpelli, Gillo Pontecorvo, Lina Wertmuller, Dino Risi, Ermanno Olmi, Pupi Avati, i fratelli Taviani, Ugo Gregoretti. Nello stesso tempo Carosello è stato una palestra anche per nuovi registi e attori e un'ottima vetrina per esibire le creazioni e sperimentazioni di disegnatori di cartoni animati che, grazie alla popolarità della trasmissione, avevano un'immediata, enorme diffusione.

Accanto a loro quella straordinaria galleria di eroi animati, che è rimasta nella memoria collettiva: da Calimero dello Studio Pagot a Cimabue della Gamma Film, dalla Linea di Cavandoli a Unca Dunca di Bozzetto, senza dimenticare l'Omino coi baffi, Topo Gigio, Lancillotto e i cavalieri della tavola rotonda, Carmencita e il Caballero misterioso. Uno spettacolo che per originalità, varietà, creatività e tecnica ha fatto storia ed il cui ricordo continua a vivere nei mille slogan entrati nel linguaggio comune.
Immagini tratte dal sito Pagine 70

Carosello, primo spazio televisivo dedicato alla pubblicità, doveva rispondere a regole molto precise perché concepito come un teatrino in cui i vari brani erano "solo" presentati da un prodotto commerciale. Regole essenziali erano perciò:
1) ogni filmato dura (a seconda del periodo) da 1 minuto e 45 secondi a 2 minuti e 15 secondi
2) di questo tempo solo 35 secondi possono essere dedicati alla pubblicità vera e propria (codino pubblicitario)
3) il resto del tempo è dedicato a una scenetta, un filmato, un cartone animato o altro che deve essere assolutamente slegato dal prodotto che viene pubblicizzato (la pubblicità deve essere presente perciò solo nel codino)
4) assolutamente vietati i riferimenti a: sesso, adulterio, lusso eccessivo, oggetti superflui e odio di classe. Non deve creare troppi desideri e non deve fare uso di parole "indecenti" come sudore, mutande, reggiseno ecc.
Bisogna insomma dare una giustificazione artistica a una forma di comunicazione commerciale, e il risultato è piuttosto positivo. Molti pubblicitari moderni parlano ancor oggi di una "sindrome di Carosello": sarebbe una malattia italiana che consiste nel non riuscire a staccarsi definitivamente dal suo modello pubblicitario. Ma è anche vero che numerosi slogan e personaggi inventati in quello spazio televisivo sono diventati dei veri e propri "modi di dire" e restano ancora oggi nella memoria collettiva degli italiani (con più di trent'anni).



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