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- Il mese di Dicembre, tra curiosità e tradizioni -

Un percorso che vi porterà dall’antica Roma ai tempi moderni, dai “Saturnalia” al credo indiano, e poi il cristianesimo con S. Nicola e S. Lucia per poi giungere a Babbo Natale: un mese ricco di echi di memorie antiche.







Il mese di dicembre è molto probabilmente il periodo dell’anno nel quale convergono maggiormente le tradizioni di moltissime religioni che hanno origine molto antica, con i loro rituali arcaici profondamente radicati nei popoli. Il tema principale è sempre legato alla luce ed alle tenebre, al solstizio d’inverno ed all’eterno passaggio da una condizione all’altra, dalla fine di un ciclo all’inizio di quello nuovo.
Nell’antica tradizione romana erano i “Saturnalia” le feste di dicembre, dove si ribaltavano i ruoli tradizionali e gli schiavi comandavano e venivano serviti dai padroni. Ciò avveniva per ricordare “l’età dell’oro”, un tempo molto remoto che aveva come regnante del Lazio l’antico dio Saturno, giunto dal mare e accolto con amicizia dall’ancor più arcaico dio Giano, che gli insegnò a coltivare la terra. Il periodo in cui Saturno regnò sul territorio, fu molto felice, sia per la pace che per il miglioramento del tenore di vita della popolazione, che godeva dell’assoluta uguaglianza tra gli individui. Quando il dio sparì improvvisamente come era venuto, Giano gli dedicò il luogo in cui si era manifestato ed una ricorrenza sacra da cui si pensa che abbiano avuto origine le feste dei Saturnali.



Ma a questa leggenda se ne intrecciano e sovrappongono altre. Secondo una di esse il popolo dei Pelasgi, giunto nelle terre di Saturno obbedendo ad un oracolo, si scontrò con gli abitanti del luogo, vincendoli. Per celebrare la conquista, iniziò a praticare sacrifici umani, dedicando le teste delle vittime al dio degli inferi Ade. Ercole venuto a contatto con i discendenti dei Pelasgi cercò di dissuaderli da questa pratica feroce, e li convinse a dedicare statuette di creta a forma di uomo e lumi accesi a quel dio, al posto delle teste umane usate nel rito.
Da questi arcaici miti, gli antichi romani presero l’abitudine di regalarsi durante questa festa candele di cera, e di portare agli altari statuette di argilla in espiazione dei loro peccati.



La statua del dio Saturno che si trovava nel suo tempio, era di norma cinta da una fascia di lana, ma durante i Saturnali veniva liberata per permettere il ritorno simbolico della sua età dell’oro. Il periodo di Saturno, situato in un spazio di tempo in cui il sole apparentemente muore per poi rinascere, corrisponde alla liberazione del dio che in questa occasione poteva, con la sua forza benefica, fondare nuovamente il cosmo. La sua statua però alla fine dei festeggiamenti veniva nuovamente legata e quindi il dio era simbolicamente imbavagliato ed ucciso, perché l’età dell’oro è ciclica, e sarebbe ritornata di nuovo soltanto alla fine del ciclo cosmico, per permetterne l’inizio di un altro.
Anche la tradizione induista sembra avere qualche contatto con i miti romani, oltre che la tradizione biblica. Esiste un dio chiamato Satyavrata (notevole la radice linguistica comune a Saturno), uno dei dodici figli del Sole raggiante, che riceve da Vishnu l’incarico di salvare l’umanità dalla distruzione di un cataclisma realizzando un arca in cui salvare la forza vitale del mondo. Dopo la catastrofe Satyavrata rivelerà agli uomini la “Parola divina”, cioè il Veda e ricreerà così nuovamente il mondo. C’è quindi una coincidenza con il Saturno come passaggio di creazione di ogni nuovo ciclo cosmico, e quindi rinascita dal caos e dal buio delle acque primordiali, approdando alla sponda ed al chiarore del nuovo.
Feste orgiastiche, divertimenti sfrenati, caos, rovesciamenti dei ruoli, caratterizzavano quindi questo periodo nell’antichità: allegria, confusione, rumore, luminarie e piccoli eccessi lo caratterizzano attualmente.



Legata a questa particolare visione è la festa di Santa Lucia, che cade il 13 dicembre, data che fino al 1500, causa lo sfasamento del calendario di Giulio Cesare, coincideva con il solstizio d’inverno. Il nome stesso di Lucia è legato alla luce, e tutte le tradizioni di questo periodo fanno sempre riferimento a questa caratteristica, più che alla sua storia di martire. Tradizionalmente nei paesi scandinavi, una processione di ragazze vestite di bianco e con in testa una corona formata da sette candele accese, si sposta di casa in casa cantando e portando doni.



In tutti i territori sotto il dominio della Repubblica Veneziana di un tempo, tra cui anche Bergamo, è S. Lucia a portare i regali ai bambini buoni, e una verga a quelli cattivi per ammonirli. I piccoli lasciavano sulla finestra le loro scarpe e un po’ di fieno per l’asinello che l’accompagnava, oltre a qualche piccolo dolce per lei.
In Sicilia le usanze non sono legate ai doni, ma alla vita della santa martirizzata a Siracusa, che viene venerata localmente con curiose tradizioni, come quella del divieto di mangiare pane nel giorno della sua festa, a ricordo di una carestia che nel XVIII sec., che terminò per grazia della santa con l’arrivo di numerose navi cariche di frumento, o al contrario di mangiare un piatto a base di grano cotto, come si fa a Leonforte. Lucia però rimane simbolo di luce anche per il cristianesimo, infatti la sua storia ci narra della sua decisione di strapparsi gli occhi per non cedere alla richiesta di matrimonio del suo pretendente pagano. La sua iconografia ce la raffigura sempre molto radiosa e regale, per renderla espressione della luce divina.
Qualche giorno prima di Lucia, per esattezza il 6 dicembre, cade la festa di un altro tradizionale portatore di doni: San Nicola.



Figura storica leggendaria ed in parte misteriosa, su di cui convergono incredibili leggende, da cui si diramano le più curiose rielaborazioni delle tradizioni di dicembre. San Nicola, vescovo di Mira, città dell’Asia Minore, morì intorno al 350 d.C. e lì fu sepolto. Alcuni marinai baresi rubarono le sue spoglie, portandole nella loro città, dove venne eretta una basilica per onorare le sue reliquie. Patrono del marinai, dei sofferenti, dei viaggiatori, degli oppressi, a lui sono attribuiti miracoli incredibili: placare le tempeste, bloccare le carestie, salvare e liberare alcuni ufficiali imperiali condannati a morte dall’imperatore Costantino, donare nascostamente borse piene d’oro per la dote ad alcune fanciulle povere, resuscitare tre bambini uccisi, affettati e messi in salamoia in un barile da un oste che li aveva accolti nella sua locanda dove si erano rifugiati. La figura del Santo resta legata ai bambini ai quali porta doni, ma lo si ricorda anche per un’ usanza che i seminaristi espletano nel suo giorno, eleggendo fra di loro un “piccolo vescovo” che parodiava in maschera le funzioni vescovili nella festa dei Santi Innocenti alla fine del mese di dicembre, retaggio comico delle feste romane dei Saturnali.
La grandissima popolarità del culto di S. Nicola si allarga oltre i confini italici e la figura del vescovo di Nicea si inserisce profondamente nei riti antichi, mescolandosi ancora una volta alle tradizioni pagane di alcune regioni alpine, dove diventa il vincitore del “Krampus”, divinità diaboliche che cercano di superarlo in una continua lotta tra il bene ed il male.



La sua iconografia nordica si esprime così sempre in compagnia di un diavolo rosso e con le corna, da lui beffato e regolarmente vinto.
Un’ultima curiosità infine, il Sanctus Nicolaus venerato ormai anche nel centro e Nord Europa, viene portato negli stati Uniti come tradizione locale dagli emigranti di etnia germanica. In America modifica il suo nome divenendo Santa Claus, e muta il tradizionale mantello vescovile indossando una giubba orlata di pelliccia bianca ed un cappuccio a punta al posto della mitria. Ai primi del Novecento, il colore del suo costume che era inizialmente verde secondo le tradizioni germaniche, si trasforma in rosso per volontà pubblicitaria della Coca Cola, che ne fa un’icona ancora oggi utilizzata.



Santa Claus perde per strada l’asinello che lo accomunava a S. Lucia, e guadagna una slitta trainata da renne; dimentica le origini orientali e si stabilisce per sempre nei paesi scandinavi, assumendo le fattezze del Santa Claus dei freddi paesi nordici e polari, ma continua a portare regali ai bambini, anche se lo fa con un po’ di ritardo… verso la fine del mese, in occasione del Natale.




(di Svevo Ruggeri)

Sir Palantir