00 18/10/2004 13:06
Avvicinati, straniero. Non temere, non mordo… vorrei che tu ascoltassi la mia storia, poiché è un peso che mi grava sulla coscienza e m’opprime l’anima… e quale loco miglior ch’una fumosa taverna, piena del chiasso dell’ubriachi, e del tanfo della birra stantìa… e quale miglior tempo ch’una mezzanotte d’inverno, con il vento che soffia al di fuori e penetra le assi mal sistemate di codesta bettola, gelandomi l’ossa, per raccontarti la storia di Roland Deschain, la Freccia Nera?
Lo conobbi molti anni addietro, quand’ero giovine… e ciò ch’io ho da raccontarti, è in parte mia esperienza personale, in parte dicerie, poiché molte ve ne sono sul suo conto, in parte ciò che mi disse lui, intorno ai fuochi di bivacco, e in parte semplicemente… leggenda.
Roland Deschain, unico figlio di Steven Deschain, nacque molti anni or sono nella terra di Gilead, antico regno di cui da lungo tempo oramai s’è persa memoria. Fu affidato da giovanissimo ad un anziano guerriero, che lo istruisse e lo rendesse uomo. Ahimè, fu pessima scelta. Roland crebbe rapidamente e la sua abilità nel maneggiar l’armi e nella sopportazione della fatica era notevole a dir poco. Era in grado di maneggiare con bravura la spada, ma vista la sua stazza fuori dal comune la riteneva un’arma inadatta al suo stile di combattimento. Prediligeva infatti l’ascia, sia quella a due mani che quella ad una mano, ed era un abile tiratore con l’arco lungo dé barbari Britanni. Tuttavia, l’insegnamenti aspri, e le continue umiliazioni e punizioni del suo tutore, sebbene fortificassero il corpo di Roland ne avvelenavano lo spirito. Divenne amaro, introverso, sospettoso, animato da foga sadica in battaglia, come se volesse sfogar tutta la sofferenza da lui patita per via del suo crudele maestro sull’altri.
Di Roland Deschain si possono dire molte cose, ma che fosse paziente, no. difatti dopo l’ennesima umiliazione da lui subita, attese la notte e silenzioso come un’ombra, pugnalò il suo tutore nel sogno. Talmente fu grande la gioia selvaggia nel veder l’amato aguzzino spirare, che si dice che ne bevve il sangue mentre sprizzava dalla ferita nel petto. Se ciò è vero io non so, ma conoscendo Roland, non ne dubiterei affatto. Certo è, tuttavia, che pugnalò il suo tutore, poiché me lo raccontò egli stesso. E quel tradimento, unico nella sua vita, gli gravò sullo spirito per sempre.
Ah, vedo che ti sorprendi nel sentir dire ch’uno che fosse sì malvagio come Roland si pentisse d’un tradimento. Vedi straniero, sebbene fosse per molti versi una mala persona, sadico, votato alla battaglia, intollerante, impaziente e violento, era un uomo d’onore e d’una notevole cultura, inculcatagli dal suo tutore durante le lunghe sere d’inverno. Odiava i traditori e disprezzava i vigliacchi. Sovente gli capitò di uccidere membri del suo stesso schieramento ch’aveva visto volger le spalle al nemico in battaglia.
Sto divagando, è vero. Torniamo alla storia di Roland. Una volta visto ch’il suo tutore era morto, egli entrò nella cantina, ove il suo maestro teneva le proprie armi, e dove non gli era mai stato concesso d’andare. Qui, nascosta in un baule e avvolta in un panno oleato, trovò un’arma magnifica di curiosa foggia orientaleggiante, una sorta di bardica dé popoli del cathai, simile ad un falcione montato su un’asta lunga circa un metro. S’innamorò a tal punto di codesta arma da prediligerla ad ogni altra, e quando ci separammo l’aveva ancora, il manico d’ebano scheggiato dalle mille battaglie, ma la lama ancora affilata e letale come lama di rasoio. Trovò inoltre una cotta, di trama non eccessivamente fitta ma di gran solidità, che prese con sé e che d’allora portò sempre addosso in battaglia, poiché gli ricordasse assieme alla sua nuova arma la vita passata che stava lasciando. Abbandonò quindi Gilead, rinnegando i suoi genitori che l’avevano esposto ai crudeli soprusi del suo tutore. Sebbene l’odiasse molto, ritengo Roland non abbia mai veramente capito in qual misura quell’uomo abbia temprato il suo corpo e quanto bene l’abbia istruito al combattimento. Roland vagò quindi a lungo per terre che non sono riportate in alcuna mappa, combattendo come mercenario e dandosi al brigantaggio, avvalendosi della sua altezza sopra la media per incuter paura ai nemici.
E fu così che infine s’unì ad una compagnia di mercenari, in numero di venti, che furono assoldati proprio in codesta taverna da un folle che s’atteggiava a mago, che li pagò in oro sonante affinchè l’accompagnasse alla ricerca d’una leggendaria armatura, che reputava nascosta nelle caverne d’una montagna non molto distante. Cinque dé suoi compagni perirono durante il viaggio d’inverno, per il freddo, le privazioni e l’attacchi dé lupi, ma infine giunsero alle pendici della montagna e trovarono l’ingresso alla caverna. Lo varcarono, non senza molti dubbi, ma il freddo ed i lupi li convinsero ad entrare. Quello, e l’eccitazione febbrile del falso mago.
Muniti di torce, proseguirono per un giorno nelle viscere della montagna, ed altri cinque perirono sotto i colpi di strane creature che s’annidavano nell’oscurità senza fine. Oscenità con mille occhi ciechi, orrori striscianti che fuggivano la luce delle torce o facevan saettare tentacoli dai cunicoli bui, abbrancando i mercenari. Infine, giunsero dinnanzi ad una camera scavata nella roccia, ed ivi erano incise numerose rune arcane. Nel centro della camera si intravedeva la mitica armatura, ma l’ingresso era presidiato da una strana e terribile creatura: codesta era nota come il Demone Speculare.
Codesto demone, una volta affrontato da un avversario, si tramutava difatti in lui, imitandone a menadito i gesti e le movenze. E così era difatti ch’appariva di combatter contro uno specchio, che rispondeva a finte con finte, attacchi con attacchi, parate con parate, e così via. Finchè scemando le forze, non si diventava vulnerabili e si veniva uccisi dal demone. Così perirono tre mercenari, sconfitti dall’inesorabile mostro, finchè Roland, colto da ispirazione, non trovò modo di batterlo. Egli prese infatti il proprio pugnale, e volgendolo contro sé stesso, affondò con decisione contro il proprio petto. Tuttavia la sua cotta respinse l’urto, e poiché il demone imitava l’aspetto dell’armatura ma non la sostanza, pugnalandosi da solo a sua volta s’uccise. Così penetrarono nella camera, e lì fu rivelata la falsa natura del mago.
Egli infatti, sebbene sapesse che l’armatura fosse maledetta, lanciò un incantesimo ch’era null’altro che vuote parole su di essa, essendosi illuso di poter così sollevar la maledizione. Non appena le pronunziò, fu invasato dallo spirito ch’albergava nel nero guscio d’acciaio, ed aggredì i mercenari con furia inaudita. Fu Roland ad abbatterlo dopo ch’aveva ucciso ben tre forti guerrieri. Roland difatti s’abbassò di scatto, evitando la sibilante lama dell’avversario, ed allungandosi conficcò la lama della sua arma nella gola del suo nemico. Il sangue sprizzò alto e bagnò l’armatura. Essendo stata saziata della sua sete di sangue, l’armatura non poteva esser più dimora per lo spirito che, avendo perso il corpo ospitante del mago, si rifugiò in quello di Roland. Egli fu a sua volta invasato e preso da furia omicida, abbattè con colpi terrificanti l’ultimi mercenari rimasti, ed indossò l’armatura. Codesta armatura, nera come la pece, egli indossa ancor oggi, e riesce in qualche modo a convivere con lo spirito che in essa ed in lui alberga, ma che tuttavia lo fa prendere in battaglia da una terrificante furia omicida. Il guscio di ferro è rovinato dai molteplici scontri, ma la sua solidità rimane invariata.
Roland trovò inoltre nei meandri della montagna una splendida ascia d’ottima fattura che porta sempre con sé. Egli vagò a lungo nei cunicoli bui, e quando uscì a riveder le stelle, come dice il poeta, era assai provato. Di lui si persero le tracce e non si seppe più nulla per lungo tempo.
Riapparve anni dopo nel posto più impensabile: Gilead, la sua terra natìa. Essa era stata conquistata da un potente impero, e per lungo tempo dopo la sua conquista si narrò sottovoce d’un eroe che tentava da solo di liberar Gilead, un possente guerriero in armatura cinerea ch’uccideva i suoi nemici con un grande arco, trafiggendoli con frecce di color nero. Fu così che Roland, poiché d’egli si trattava, si guadagnò il nome di “Freccia Nera”. Tuttavia com’è ovvio il suo solitario movimento di liberazione si rivelò vano e, ricercato da numerose bande di soldati, fu costretto ad abbandonar nuovamente Gilead, ed a cercare di nuovo impiego come mercenario. Si unì alla mia stessa compagnia, e fu lì che mi narrò la sua storia. combattemmo assieme per molti anni, finchè egli non senti parlare d’una lontana terra ove combatteva un esercito di forza, ferocia e potenza inaudita: il Caos. Abbandonò dunque i mercenari per unirsi alle loro fila, e non lo rividi mai più. chissà se combatte ancora con loro, ora, o se è morto, o se l’ha mai raggiunti. Codesta è la storia di Roland Deschain, la Freccia Nera.
Grazie per aver ascoltato, straniero. E se avessi una moneta per un povero vecchio, te ne sarei grato. La notte si fa fredda, e un bicchiere per scaldarsi sarebbe bello… grazie straniero, grazie.

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"Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se stessi e per gli altri che ovunque passano i Violatori quasi tutto muore e ciò che non muore desidera la morte"
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