PER BAD NAUHEIM, MEMPHIS E MIAMI SI CAMBIA: DAL TRENO MYSTERY AL FRANKFURT SPECIAL OVVERO IL “WELCOME HOME ELVIS” DI FRANK SINATRA
“Un afrodisiaco che puzza di rancido… una forma d’espressione brutale, orribile, degenerata e viziosa… perlopiù composta, cantata e suonata da teppisti cretini”.
Ecco cosa aveva scritto del Rock’N’Roll Frank Sinatra nell’autunno del 1957 sulla rivista francese “Western World”, a nemmeno due anni di distanza, quindi, dall’annuncio ufficiale che Elvis sarebbe stato l’ospite d’onore del quarto ed ultimo episodio del “The Frank Sinatra Timex Show”, una serie di spettacoli di varietà sponsorizzati dal “più grande produttore al mondo di orologi" (“The world's largest manufacturer of watches”), condotti da The Voice e trasmessi dalla ABC-TV.
La durissima invettiva di Sinatra contro il neonato genere musicale, che stava terremotando non soltanto lo Show Business, ma anche l’intera cultura statunitense - una condanna senza appello più che un giudizio aspro e velenoso -, dall’Europa erano poi giunte in un lampo alle orecchie di Presley, mediate dalle pagine del “Los Angeles Mirror-News” (28 ottobre 1957).
Ma Elvis, inequivocabile destinatario del raccapriccio di “Ol' Blue Eyes” - “[Una musica] che per mezzo di reiterazioni ai limiti dell’imbecillità e di testi furbi e lascivi - in realtà semplicemente sporchi - riesce ad imporsi come la marcia di guerra di ogni delinquente con le basette sulla faccia della Terra” - replicò in modo assai maturo e pacato alle sue dichiarazioni durante una conferenza stampa losangelina, non cadendo nella trappola di giornali scandalistici che tentavano di esacerbare gli animi e creare un’inesistente competizione tra i due: “Lo ammiro come interprete e come attore - dichiarò The Pelvis all’Herald-Express - ma credo che stia prendendo una grossa cantonata al riguardo. Se non ricordo male, anche lui ha fatto parte di un trend musicale. Non capisco come possa definire immorali e delinquenti i giovani di oggi. [Il Rock] è la musica più bella di sempre e continuerà ad esserlo. A me piace, e sono convinto che molte altre persone la pensano allo stesso modo”.
Se è vero che tra i rispettivi fan dei due cantanti si scatenò una brevissima guerra epistolare sui giornali - per gli uni, Elvis non sapeva trasmettere alcuna emozione se non scadendo nella più becera trivialità; per gli altri, Sinatra era soltanto un vecchio scimmione calvo e geloso delle movenze sensuali con cui il giovane rivale infiammava il pubblico - fu lo stesso Sinatra, in un’intervista concessa a “Variety” nel giugno del 1957, a chiarire meglio cosa pensasse delle capacità canore del Rocker di Tupelo: “Soltanto il tempo ce lo dirà. Quando ho esordito io, dicevano che ero un fenomeno da baraccone, ma sono ancora in giro. Presley non ha alcuna preparazione musicale. Quando si dedicherà a qualcosa di serio, un tipo di canto più impegnato, scopriremo se è un vero cantante. Adesso ha un talento naturale, animalesco".
Al di là di una comprensibile dose di invidia e rancore nei confronti di una nuova stella che insidiava involontariamente il suo regno e s’impadroniva delle luci della ribalta, benché i rispettivi mercati discografici divergessero, è presumibile che i sentimenti che dapprincipio animarono Sinatra nei confronti del Rock’N’Roll e di Elvis non fossero poi tanto dissimili da quelli della sua generazione: incredulità e stupore per una rivoluzione imprevista, non annunciata da fanfare né orchestrata, sprovvista di smoking e cappello, e condotta da un “profeta” che trasudava irresistibile carisma coi “pochi” mezzi a disposizione: il canto viscerale, i passi di danza da derviscio roteante, tre accordi essenziali di chitarra ed una raffica di batteria.
Il grado di smarrimento nel quale fu gettata un’intera generazione, quella dei coetanei di Sinatra, nell’arco di un fulmineo “Shake, Rattle & Roll”, è inimmaginabile al giorno d’oggi, perché qualsiasi altro genere musicale o fenomeno culturale si sia presentato dopo la nascita del Rock - dalla Beatlemania alla British Invasion, dal movimento Hippy al Punk - non furono altro che propaggini, più o meno originali, marcate ed influenti del loro dirompente antesignano.
Un affascinante e misterioso monolito emerso dalla terra, come in “2001: Odissea nello spazio”, e dinnanzi al quale l’uomo può adottare quell’atteggiamento di istintivo e violento rifiuto che spesso accompagna le novità ed i fenomeni ancora aurorali ed indefiniti - dischi banditi dalle stazioni radio o dati alle fiamme, improvvisate associazioni per la tutela della moralità, dossier dell’FBI che ravvisavano negli autografi vergati sulle cosce o il ventre di alcune audaci ragazzine il marchio d’un demone perverso ed orgiastico, etc. -, oppure lo può analizzare e scrutare con la vivida ma infruttuosa attenzione di un primate evoluto, senza tuttavia venire a capo dell’enigma.
Rivelatore, in tal senso, il racconto che, a decenni di distanza dall’esplosione del ”caso Presley” fece George Jacobs, factotum e confidente di Sinatra dal 1953 al 1968, riportato nel 2016 dalla biografia di James Kaplan “Il Presidente” (“Sinatra: The Chairman”): “Mr. S odiava Elvis a tal punto che sedeva tutto solo nello studio e, incollato alla consolle musicale, ascoltava ogni nuovo pezzo - “Don't Be Cruel", "All Shook Up" e ”Teddy Bear" - più e più volte. Cercava di capire cosa diavolo fosse questa roba nuova, sia sotto il profilo artistico (anche se non avrebbe mai ammesso che si trattava di arte) che culturale (anche se non avrebbe mai ammesso che si trattava di cultura). Perché il pubblico si appassionava a questa roba? Cosa aveva di speciale? Qual era il suo fascino? Queste domande ebbero il sopravvento su Mr. S.
Capii che era in grande difficoltà quando disse che preferiva Pat Boone".
Tuttavia, chiosa sagacemente il biografo Kaplan, Sinatra sapeva benissimo che Pat Boone non vendeva tanti dischi quanto Elvis né avrebbe mai richiamato lo stesso numero di telespettatori. Quindi, accantonando i propri gusti musicali, si mise all’opera per garantire la presenza del “ragazzo”, una volta rientrato dal servizio militare in Germania, nel quarto Speciale del “Timex Show”.
Nell'ottobre del ’59 Frank strinse un accordo senza precedenti con l’ambiguo manager di Elvis, il colonnello Tom Parker: per una manciata di minuti sul piccolo schermo - tra i sette e gli otto, si conteggiò in seguito - il sergente Presley avrebbe percepito l’astronomica cifra di 125.000 dollari. L’esorbitante ingaggio provocò diversi mal di pancia: non soltanto quello comprensibile dello stesso Sinatra, che non avrebbe cavato una simile somma di denaro nemmeno da tutti e quattro gli episodi dello Show messi insieme, ma anche quelli di illustri osservatori esterni come Ed Sullivan, che aveva già ospitato Elvis in TV per ben tre volte, l’ultima durante l’epifania del 1957.
In realtà le cose erano molto più complesse di come apparivano. Al di là di congetture ed ipotesi tuttora contrastanti - suggestiva quella proposta da James L. Dickerson in “Elvis e il colonnello” per cui Parker, spregiudicato giocatore d’azzardo, all’epoca in forte debito coi casinò di Las Vegas controllati dalla mafia, e non ignaro delle voci sui legami tra Sinatra ed il crimine organizzato, riteneva che “uno Special in televisione sarebbe stato non solo un perfetto mezzo per il ritorno di Elvis”, ma “avrebbe anche aiutato a distogliere… l’attenzione dei casinò” da lui - il faraonico contratto risultava molto vantaggioso per entrambe le parti.
Sinatra non sarebbe stato più annoverato nelle fila dei retrivi conservatori ostili al Rock, il suo Show avrebbe registrato ascolti insperati (il 41,5%, si seppe poi, pari a quasi il 68% dell'audience televisiva complessiva), e la sua consistente fetta di mercato discografico non avrebbe subito ulteriori erosioni.
Elvis, allo stesso tempo, avrebbe fatto il suo ingresso nelle case di un pubblico più adulto dalla porta principale, accolto a braccia aperte nel tempio della musica “Mainstream” con la benedizione di un padrino d’eccezione (che nella conferenza stampa prima della registrazione dello Special sciolse definitivamente ogni riserva sul suo ospite e sul Rock dichiarando: “Il ragazzo è stato via due anni e ho la sensazione che creda davvero in quello che sta facendo”).
D’altra parte, era proprio questo il principale obiettivo del colonnello che, pur capendo poco o nulla di musica, nei due anni d’assenza del suo pupillo aveva constatato come il Rock’N’Roll duro e puro lanciato dalla Sun Records avesse subito una grave battuta d’arresto, mentre giovani bellocci e dall’eleganza sofisticata come Paul Anka, Frankie Avalon e Bobby Darin scalavano le classifiche Pop e ottenevano ruoli in film e televisione con grande nonchalance. La scaltrezza arraffona di Parker aveva intuito qual era la prossima strada da imboccare.
Lo Show fu cullato - sia da Sinatra che dal colonnello - come un bambino d’oro sin dal rientro in patria di Elvis dalla Germania occidentale.
Nancy, la figliola diciannovenne di Frank, il 3 marzo del 1960 presenziò alla conferenza stampa e al Party esclusivo organizzati dall’esercito a Fort Dix, nel New Jersey, in onore del sergente più celebre d’America, qualche ora dopo il suo sbarco, nel bel mezzo di una tormenta di neve, dal “C-118 Liftmaster” (un DC-6) alla base aeronautica di McGuire.
La ragazza, prima che venisse tempestato di domande dalle decine di giornalisti accorsi assieme ai fan, ebbe il tempo di consegnarli un pacco-dono da parte del padre, contenente una camicia (che poi il divo 25enne indossò, sotto la divisa, durante il fugace rientro a Memphis).
Spezzoni della conferenza-stampa e dell’amichevole incontro tra i futuri comprimari di “A tutto gas” (“Speedway”) si trovano sia nella serie di DVD della JAT Productions “Elvis: Hot Shots and Cool Clips” (Voll. 1 e 4) che Online, ai seguenti indirizzi:
https://youtu.be/SG50anRNZZ0 e
https://youtu.be/K4EqNJlM9aM.
Il 20 di marzo Elvis è già in sala di registrazione, nello Studio B della RCA a Nashville, per incidere un pugno di canzoni (ma un pugno da knock-out!): nell’arco di una sessione-maratona, che va dalle 20.00 di quel giorno alle 7.00 del mattino seguente, vengono sfornate sei tracce, due per l’urgentissimo singolo “Stuck On You / Fame And Fortune”, pubblicato dalla casa discografica appena due giorni dopo (il 23 marzo) e quasi tutte le altre per il nuovo Album “Elvis Is Back!” [“Make Me Know It”, “Soldier Boy”, “A Mess of Blues” e “It Feels So Right”].
In Studio con Elvis, per questa prima seduta di registrazione post-militare, i fidati Scotty Moore e D.J. Fontana - ma non il bassista Bill Black, ancora risentito col vecchio amico e collega, ed impegnato col suo “Combo” -, oltre ai Jordanaires. [Elvis si ricorderà di questo “sgarbo” nel ’68, durante il “Comeback”, rievocando i suoi esordi negli anni ’50 con Scotty, D.J., lì con lui sul palco quadrilatero, ma riferendosi a Bill come ad un generico “Bass Player”].
Appena terminata la lunghissima Session, quello stesso giorno partirono tutti alla volta di Miami, dov’era prevista la registrazione dello speciale TV di Sinatra, a bordo di un treno organizzato dal colonnello come fosse un convoglio adibito ad una campagna elettorale più che un mezzo di trasporto per Star del Rock. Quel diavolo di Parker aveva infatti informato tutte le località lungo il percorso - villaggi, paesi e città - quando il treno le avrebbe attraversate, con l’inevitabile risultato che, ad ogni fermata, le banchine delle stazioni straripavano di fan adoranti. Il colonnello, allora, portava il suo “Golden Boy” sulla pedana della carrozza panoramica per fargli salutare gli ammiratori sottostanti.
La comitiva si registrò all’Hotel Fontainebleau di Miami, temporaneo quartier generale di Sinatra e luogo dell’imminente registrazione televisiva, il 22 marzo.
Per quattro giorni, in un clima relativamente disteso - per giocar sul sicuro in “terra straniera”, Parker si era comunque garantito la presenza tra il pubblico di 400 fan del Re - si susseguirono interviste, conferenze stampa e prove.
Il 26 marzo, alle 18:15, si alzò il sipario sullo Special, un evento epocale per tutte le ragioni sin qui elencate. Si trattava soltanto della registrazione, perché lo Show - originariamente intitolato “It's Nice to Go Traveling” (dal titolo di una Hit di Sinatra) - fu poi trasmesso il 12 maggio successivo.
Curiosamente, James Kaplan, nel già citato “Il Presidente”, offre una descrizione dello spettacolo molto più dettagliata e ricca di spunti rispetto a quelle fornite dalle biografie che i suoi colleghi hanno dedicato ad Elvis, Peter Guralnick compreso. Una scelta assai opinabile, dettata forse dalla malintesa idea - diffusa, come ho personalmente constatato, anche tra i fan più avveduti di Presley - che il “Welcome Home Elvis” abbia avuto scarsa rilevanza nella carriera dell’idolo 25enne, allora ad un primo vero punto di svolta musicale. Come se i crocevia, i “Crossroads” tanto celebrati dal Blues, fossero semplici bivi stradali e si potessero collocare su precise coordinate geografiche, basandosi magari sul minutaggio di un’apparizione in TV, e non fossero al contrario momenti metafisici d’indefinibile durata in cui l’anima prende una decisione.
Se, ad esempio, di Sinatra sappiamo con certezza che, né nel ’60 né dopo, si cimentò con brani di derivazione strettamente Rock - ammesso che non si vogliano considerare tali “Something” di George Harrison, “Bang Bang” di Sonny Bono o “Mrs. Robinson” di Paul Simon - è altrettanto certo, al contrario, che Elvis, dopo le parentesi del “’68 Comeback” e del TTWII, interpretò controvoglia e sbrigativamente i suoi classici Rockabilly, attingendo invece dal suo sconfinato repertorio anche numerosi pezzi da Crooner, per di più accompagnati dalla Joe Guercio Orchestra. Forse che il 26 marzo del 1960 i 42 orchestrali, guidati da Nelson Riddle nella sala da ballo del Fontainebleau, abbiano esercitato su di lui una certa malìa, quella “Witchcraft” duettata con The Voice? Del resto, al fascino delle Big Band, in tempi recenti, non si sono sottratti nemmeno alcuni dei puristi più intransigenti del rock primigenio, nella sua forma essenziale del “Power Trio”, come Brian Setzer degli Stray Cats.
Ma qui siamo già nel terreno paludoso ed insidioso delle congetture.
Al Fontainebleau le telecamere si accesero sul numero collettivo “It’s Nice to Go Trav’ling”: Sinatra e i suoi - in una versione aggiornata del Rat Pack, priva di Dean Martin, ma con la graziosa new entry di Nancy - intonarono una strofa a testa del classico di Cahn And Van Heusen, che con gli opportuni ritocchi si era trasformato in un “Welcome Back” per l’ospite d’onore tra il serio ed il faceto, pieno di riferimenti alla sua vita, che di privato aveva ormai già poco o niente:
“È molto bello viaggiare, arruolarsi nell'esercito e girovagare, / È molto bello viaggiare, ma è molto più bello, sì, è molto più bello tornare a casa”. (Frank)
“È molto bello fare la padrona di casa, leggere una poesia di ‘bentornato’ / È molto bello aiutare papà a dire ad Elvis che è assai bello riaverlo a casa”. (Nancy)
“Sono Joey Bishop, qui per portarvi delle novità”. (J.B.)
“Comunque, gente, vi garantisco che nemmeno la migliore delle barzellette che racconterà qui, riuscirà a strappare la metà delle risate che suscita quando canta”. (Frank)
“Ah, beh, te ne intendi proprio di canto!” (Joey Bishop)
"Non c'ero quando gli hanno detto che avrebbe dovuto attraversare l’oceano, / Non c’ero quando gli hanno detto che avrebbe dovuto rinunciare alla sua chitarra, alla sua auto da sogno e al suo pettine”. (Sammy Davis Jr.) [...]
E poi, tutti in coro, spezzato soltanto da un fulmineo intervento di Sammy:
“Il Fontainebleau è strepitoso, è conosciuto dalla Norvegia a Nome [in Alaska].
Miami Beach ha un clima che preferiamo di gran lunga a quello di Parigi, Londra, sì, e persino a quello di Roma.
Che la batterie inizino a rullare, che le chitarre inizino a vibrare!”
- “Ehi, Frank, guarda un po’ chi sta per entrare!” (Sammy Davis Jr.) -
“Il suo sorriso può brillare come il cromo”.
A questo punto, da una futuristica porta bianca della quinta scenografica, fece il suo ingresso l’uomo che gli americani avevano pazientemente atteso per due anni.
Elvis, che indossava l’uniforme, fu accolto dalle urla euforiche ma non isteriche delle ragazze del pubblico, raggiunse il centro della scena attraversando come un’icona Pop la “navata” virtuale apertagli dal gruppo plaudente di Sinatra e dai ballerini di Tom Hansen, e cantò con la consueta professionalità ma un pizzico di timidezza l’ultima strofa del pezzo: “It’s very nice to go travelin’, but it’s so, so, nice to come home”. Quindi, preso a braccetto dalle mani di bianco guantate di Nancy, scomparve dall’inquadratura, dissolvendosi dalla scena dello Special per i seguenti 35 minuti.
La presenza del Divo Sergente aleggiò cionondimeno anche su quasi tutti gli altri numeri e sketch del varietà, a partire dal secondo - “La macchina del tempo di Frank” (Frank’s Time Machine”) - in cui Sinatra si proponeva di fare un regalo ad Elvis.
“Cosa potrai mai regalare ad un tizio che ha già tutto? Sarebbe come offrire lezioni di sorriso a Dinah Shore!”, obiettò complice Joey Bishop.
“Gli restituirò i due anni che ha passato nell’esercito”, rispose pronto Sinatra.
E, come promesso, lo fece attraverso la sua personale ed umanissima “macchina del tempo”: Nancy, accompagnata da due ballerini in brevi e robotici passi di danza sulle note di Nelson Riddle, che mimavano il veloce ticchettio di un orologio a cucù o di una pendola, allungava di volta in volta al padre un bigliettino con date che avevano “segnato” la discografia degli States durante il servizio di leva del Ragazzo d’Oro. Neanche a dirlo, erano tutte date che afferivano alle carriere dei membri del Rat Pack…
Ce n’è davvero per tutti i gusti: da un balletto balneare, con tanto di sabbia, palme e vestiti alla marinara, condotto sulla Hit del maggio ’59 “Uh! Oh” dei Nutty Squirrels - canzoncina infantile a mio avviso soverchia ed irritante, persino per un bambino dell’epoca, essendo ricalcata sui successi di Alvin e i Chipmunks -, ad una strepitosa versione di “All The Way”, cantata da quell’istrione di Sammy Davis Jr. imitando ben quattro grandi performers (Nat King Cole, Tony Bennett, Louis Armstrong e Dean Martin).
Quando finalmente riapparve la Guest Star, Sinatra - grazie ad una lunga e studiata attesa, una lodevole dose di umiltà e tanta gradita autoironia (ottima la battuta: “Stavo per spiegare ad Elvis cos’è successo al mercato discografico dopo che è partito; gli album hanno ripreso a vendere… i miei album!”) - gli aveva scaltramente spianato la strada per un trionfo in grande stile.
“Ol' Blue Eyes” si prestò persino ad un’ultima clamorosa gag, quasi certamente concertata con il colonnello ed i fan che, non inquadrati, affollavano la grande sala da ballo del Fontainebleau: “Ora, gente, che ne direste se vi cantassi un’altra canzone?”. “Nooo!, urlarono in coro gli adolescenti, più frementi e scalpitanti che ligi al compitino assegnatogli. “Vogliamo Elvis!!!”.
Presley, con uno smoking in puro stile Vegas anni ’50, perfettamente mimetico all’ambiente che lo ospitava, le basette corte (“L’esercito ha fatto di me un uomo”, aveva affermato con eccessiva enfasi patriottica, “e non intendo farle ricrescere), ma con un foltissimo e svettante ciuffo di capelli, miracolosamente ricresciuti in meno di un mese, si lanciò nell’esecuzione dei due pezzi del freschissimo singolo registrato a Nashville.
Furono interpretazioni assai sobrie e misurate, soprattutto quella della ballata “Fame And Fortune”, ripresa, come al solito “From The Waist Up” (“dalla vita in su”), ed improntata a complici sguardi in camera, sorrisi ammiccanti e seducenti alzate di sopracciglia, quasi che The King si trovasse ad un’audizione per essere ammesso nel Rat Pack o in un altro esclusivo club di navigati Crooners, o fosse pronto per una sua “normalizzazione” ed integrazione anzitempo nel rinnovato ed illanguidito Showbiz musicale dei vari Fabian. A fugare nei successivi due minuti e mezzo questa straniante sensazione, in parte percepibile anche dalla risposta tutto sommato contenuta dei teenager, fu l’allegro mid-tempo di “Stuck On You” (non troppo dissimile da “All Shook Up”), questa volta ripreso in campo più largo: pur affidandosi più a suggestioni che ad espliciti e conturbanti movimenti - ripetuti battiti di mani e schiocchi di dita - ad Elvis bastò una sola scudisciata pelvica per scatenare il suo pubblico come due anni addietro.
Ma l’arcinoto duetto con Sinatra “Love Me Tender / Witchcraft”, sbilanciato in favore della Star più matura - che sfoderò una voce più calda, decisa e ricca rispetto al giovane partner, nervoso per l’esibizione (“Ero paralizzato”, disse poi) - rappresentò l’incontrovertibile indizio di un imminente e drastico cambiamento nella carriera di Elvis. Dopo lo Special di Sinatra, infatti, l’immagine pubblica del cantante, su spinta del colonnello Parker e dei pubblicitari della MGM, la Major che aveva prodotto “Cafè Europa” (“G.I. Blues”), sterzò bruscamente da quella di ragazzaccio ribelle del Rock’N’Roll a quella di devoto e patriottico figliolo americano che ogni mamma e papà sarebbero stati lieti di avere come genero.
Che il “nuovo” Elvis non sarebbe stato un fenomeno transitorio fu chiaro a tutti, come osserva giustamente James L. Dickerson. A tutti, eccetto forse che ad Elvis stesso.
Si può obiettare che il giovane nulla fece per deviare il corso di quella corrente, all’apparenza placida e confortevole, in realtà infida e vorticosa, che lo stava conducendo dritto dritto verso le melliflue e lusinghiere Sirene di Hollywood.
Ma quante responsabilità e decisioni è opportuno caricare sulle spalle di un 25enne - che è nato in condizioni d’assoluta indigenza, che ha già riscattato la propria famiglia sfidando una società puritana e bigotta, che ha rivoluzionato la musica, che ha incassato il durissimo colpo della morte dell’adorata madre e si è fatto due anni di leva senza fiatare, e che vive come un tradimento il nuovo matrimonio del padre - prima ch’egli, confuso e stremato, affidi la propria vita nelle mani di un manager, non sospettando sino a che punto esse possano essere avide e grifagne?
Ciò che più mancò ad Elvis, dopo il celeberrimo “Frank Sinatra Timex Special”, furono le esibizioni dal vivo. Il colonnello Parker non poteva certo impedirgli di salire su un palco, ma fece in modo che per i tre concerti di beneficenza del 1961 - i due all’Ellis Auditorium di Memphis del 25 febbraio e quello a Pearl Harbor del 25 marzo - Elvis non solo non guadagnasse un dollaro, ma dovesse anche sostenere tutte le spese organizzative. Elvis, pur di tornare a far vibrare all’unisono anime e corpi con la sua voce, non esitò un attimo.
Ecco, ci furono tempi in cui l’indiscusso Re del Rock’N’Roll, prima di eclissarsi dalle scene Live sino al suo trionfale e maestoso Ritorno del ’68, dovette pagare per cantare! Accadde dopo il rientro in patria, dopo il programma con Sinatra, quando Elvis, perso il “Mystery Train”, con tutte le sue incognite, salì a bordo del “Frankfurt Special”, pieno di passeggeri condiscendenti e dal sorriso interessato.
Curioso come, durante il duetto con The Voice, Elvis si fosse preso un’unica licenza poetica, che aveva fatto sorridere il padrone di casa nel bel mezzo dell’interpretazione: mentre le parole di “Witchcraft” recitano “non c'è strega più bella di te” (“there's no nicer witch than you”), Elvis cantò, non si sa perché, “non c'è strega più bella della stregoneria” (“there's no nicer witch than witchcraft”). Mai scherzare con le streghe e i diavoli! Soprattutto se hanno le fattezze di Set cinematografici e di pingui, ridanciani olandesi dal torbido passato. (Ma.Ga. 8)
[CONTINUA CON UNA BREVE VIDEOGRAFIA…]
[Modificato da marco31768 13/09/2022 21:11]