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Laboratorio di Poesia scrivere e discutere di poesia

Note di settembre

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    macrino
    Post: 242
    15/09/2021 20:52
    Una sera di settembre che precipita nella notte. Due persone in un locale che si parlano appena. Il paesaggio attorno che assume i connotati di un'agonia silenziosa ed inavvertita. Perché la disperazione compenetra tutto? Chi sono quei due? Un uomo ed una donna o la più tragica perdita, l'addio più doloroso è nella partenza di chi, se esisteva, non esiste più?

    Noi qui fra le tetre risa
    degli avventori
    e la smorta curva del crepuscolo
    che trasfigura le forme e le sfibra.

    Laggiù un orizzonte che brulica
    di lampare,
    il fantasma della luna
    con una manciata di stelle,
    qui parole intorpidite
    che l’abitudine calcina di sterili malintesi.

    Io con questo tempo
    che si è spento in un soffio,
    fuoco soffocato in un grumo di cera.

    E, mentre il buio scortica
    l’irrequieto torpore dei frangenti,
    si scardinano le tue fragili certezze.

    Il cielo va in frantumi,
    il respiro si spezza
    nel rantolo del vento,
    un’altra ora si oscura,
    dispersa.

    E non so se questa sia la morte.
    So che non è vita.
    Io sono Nessuno.
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    macrino
    Post: 242
    19/09/2021 10:32
    Un ristorante in riva al mare, una coppia che pare vivere una relazione ormai logora – si scambiano poche parole, anodine – una sera che precipita in una notte spettrale, agonizzante… Labili, residuali segni di vita compenetrati da ombre lugubri: le “risa” degli avventori sono “tetre”, le lampare, le stelle sono un fioco “brulichio”. L’abitudine ha consumato tutto, echeggiano gli ultimi battiti dell’esistenza. Cade il buio che tutto cancella: si ode lo sciabordio delle onde, il cui moto inutile, iterato, sempre uguale è come se fosse immobile, il vento è un respiro arrantolato, le costellazioni sono crepe nel firmamento notturno (“il cielo va in frantumi”).

    Non sfugga la tessitura sonora in questo scenario crepuscolare: prevalgono suoni cupi e ruvidi, in particolare la vocale “u”, le consonanti “c” e “z”, appena temperati dal timbro aperto, luminoso della “a” di “risa” in lontana, eppure consustanziale correlazione fonica e semantica con “vita”.

    Ma che cosa davvero descrive l’autore? Il lento, irrevocabile declino di un rapporto tra lei e lui o qualcosa di molto più profondo, ontologico, il tragico distacco tra l’uomo ed il senso di un universo destinato ad incenerirsi alla fiamma fredda del tempo, l’abissale solitudine di chi ha capito, ma non può condividere con alcuno una verità troppo accecante per essere fissata anche solo per un secondo?
    Io sono Nessuno.