Moltissime pie cristiane che andavano a messa tutte le domeniche e facevano la comunione ,oggi diventate molto anziane ,e non potendo essere in grado di condurre la propria vita in autonomia si sono rivolte a delle persone che possano prendersi di cura di loro ,anche perché i figli avendo una propria famiglia da mantenere vanno a lavorare ,queste lavoratrici per di più straniere hanno sacrificato la propria vita quotidiana nel proprio paese per andare all'estero per fare questi lavori umili ,ovviamente per poter anche loro provvedere alla propria famiglia soprattutto ai propri figli con lo scapito della dolorosa separazione . Come sapete la persona fisica ha bisogno di riposo ma anche lo spirito per cui vi sono delle leggi che cercano in qualche modo tutelare le badanti con orari di libertà e ferie per recarsi al proprio paese a trovare i loro famigliari.
Cosa avviene invece? La pretesa di farle lavorare al sabato e alla domenica con il ricatto del licenziamento, sovente si limitano alla richiesta del sabato anche la notte che non è prevista dalla legge, ma la cosa terribile che non vengono registrate le vere ore effettive del contratto per esempio la badante fa 60 ore e ne segnano 40 ,a volte anche molto meno per evadere i contributi ,e spesso questo sabato o domenica non vengono pagate a norma di legge. Capita che la persona vada in ospedale per qualche inconveniente e la costringono a vegliarla di notte su una sedia scomoda,la badante secondo la legge non può fare l'infermiera di notte per non più di alcune ore occasionali all'anno! Praticamente obbligano la badante a vivere come una schiava ,questi sono i cristiani che andavano tutte le domeniche in chiesa!!!!!!
-------------------------------------------------------------------
Badanti, il rischio è lo sfruttamento
ROMA ? Un monitoraggio in cinque città (Roma, Cagliari, Napoli, Torino e Treviso) sulla discriminazione razziale nel lavoro di cura. Proposto nell'ambito del progetto “Usciamo dal silenzio”, il monitoraggio è stato realizzato dalle Acli di Roma in collaborazione con l'Iref (Istituto di ricerche educative e formative) con il finanziamento dell'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziali (Unar) ed è basato su un campione di 702 questionari somministrati agli utenti degli sportelli immigrati delle cinque città prese in considerazione.
Dai risultati del monitoraggio, presentati a Roma, emerge che il 56,4% delle lavoratrici si sente trattata come un membro di famiglia, il 64% ha paura di essere sfruttata economicamente, il 34,8% teme le molestie sessuali, mentre il 17,5% è vittima di discriminazione (tra queste il 23% ha subito maltrattamenti e sfruttamenti economici ed il 16,9% molestie sessuali). Dal campione risulta anche che le collaboratrici sono donne in età adulta (il 60,8% ha tra i 36 e i 55 anni), nella maggioranza dei casi sono coniugate (il 53,8%) e hanno un livello medio-alto di istruzione (75,3%). Il 55% per cento proviene dall'Est europeo e più della metà ha trovato lavoro grazie all'aiuto di un connazionale. Una su tre però ha dovuto lasciare i figli in patria.
Una su due è un'immigrata regolare, ma la maggior parte delle intervistate ritiene che l'assenza di permesso di soggiorno ponga l'immigrato in una situazione di vulnerabilità e il 47% ha risolto le situazioni di discriminazione licenziandosi. "Roma segue l'andamento delle altre aree metropolitane - ha spiegato il ricercatore Iref, Gianfranco Zucca, a margine della presentazione dei risultati - molti immigrati vengono qui sperando di trovare lavoro e poiché si tratta soprattutto di donne, entrano nel mercato domestico. Le discriminazioni avvengono soprattutto quando le collaboratrici dormono a casa dei datori di lavoro e passano dallo sfruttamento economico ai casi di molestie sessuali".
I lavoratori stranieri nel settore domestico subiscono, come ricorda la ricerca delle Acli, forme specifiche di discriminazione che possono essere distinte. Si può parlare infatti di “discriminazione all'ingresso”: i luoghi comuni portano a individuare nelle donne provenienti da una certa area geografica le persone più adatte al lavoro di cura. “Discriminazione contrattuale”: nel mercato del lavoro domestico c'è molta irregolarità, e questa è sempre a svantaggio dei lavoratori. “Discriminazione nelle condizioni di lavoro”: i collaboratori familiari hanno scarso peso contrattuale. Soprattutto chi non ha il permesso di soggiorno è più facilmente ricattabile e quindi più soggetto ad accettare in silenzio orari e mansioni non concordati. “Discriminazione nelle opportunità di miglioramento”: chi lavora in regime di convivenza difficilmente riesce a sviluppare una mobilità lavorativa che possa consentirgli di migliorare la propria condizione.
Original post by redazione@metropoli.it