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Scelte pastorali difficili

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    Credente
    00 13/10/2014 11:57
    Appunti per il Sinodo: il metodo della "via stretta"
    di Enrico Cattaneo
    Discorso della Montagna, Beato Angelico


    Interrogato, ad esempio, sulla questione del divorzio, ammesso dalla legge giudaica, Gesù indica la via stretta dell’indissolubilità del matrimonio, senza eccezioni (Mt 19,3-9). Il suo insegnamento è così chiaro e così netto che i suoi discepoli obiettano con un ragionamento tutto umano (e maschilista): «Se è questa la condizione dell’uomo rispetto alla donna [cioè se l’uomo non può cambiare donna quando gli conviene], allora non conviene sposarsi!» (Mt 19,10).

    Anche rispetto alle ricchezze Gesù indica la via stretta: «Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). E parlando più in generale afferma solennemente: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,23-24). Il che significa che è praticamente impossibile. Anche qui i discepoli cercano di addolcire l’insegnamento, considerato troppo esigente: «A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”» (Mt 19,25-26). Cioè se un ricco si converte a Dio, allora lascia l’idolo delle ricchezze e potrà salvarsi.

    Parimenti, a proposito dell’eucaristia, Gesù usa un linguaggio giudicato troppo duro e difficile da accettare. Aveva detto infatti: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53). E come reagirono «molti dei suoi discepoli»? Obiettando: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6,60). Anche qui Gesù prende la “via stretta”, al punto che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). 

    Gesù, secondo i nostri ragionamenti umani, avrebbe potuto dire: “Scusate, avete capito male; io intendevo parlare in modo simbolico...”. Invece rincara la dose, e dice ai Dodici: «Forse volete andarvene anche voi?». Ed è allora che Pietro, a nome di tutti, fa la sua professione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,67-69). 

    In definitiva, Gesù non ha reso i comandamenti più larghi, ma più esigenti,come dimostra tutto il “discorso della montagna” (Mt 5-7). Nell’indicare come devono essere affrontate le situazioni di conflitto, egli mostra senza mezzi termini la via più stretta: «Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,43-44). Se poi andiamo alle condizioni che Gesù pone a chi vuole seguirlo, ci accorgiamo che non solo egli indica una via stretta, ma per di più “in salita”: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).

    La tentazione di “annacquare” gli insegnamenti di Gesù è sempre stata presente tra i cristiani lungo i secoli, ora su un punto, ora su un altro, a secondo delle pressioni della mentalità del “mondo”. Bisogna onestamente riconoscere che solo la Chiesa Cattolica Romana (e qui ci vuole questo aggettivo!), quando si è trovata di fronte a un bivio, ha sempre scelto la via stretta. Solo essa, ad esempio, ha mantenuto l’impegno della continenza e del celibato per i ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi), nonostante le reali difficoltà e le numerose defezioni rappresentate dai preti che vivevano in concubinato. 

    Con il re d’Inghilterra Enrico VIII sarebbe stato più facile trovare un compromesso circa la validità del suo primo matrimonio, ma sarebbe stato negare la verità del Vangelo, e così il papa Paolo III prese la via stretta, anche se ciò comportò che l’Inghilterra si staccasse da Roma, dando origine alla Comunione Anglicana. Messo di fronte al bivio se dichiarare moralmente lecita la contraccezione oppure no, Paolo VI nel 1968 con la Humanae vitae scelse la via stretta, nonostante che ci fosse un’enorme pressione fuori e dentro la Chiesa perché quella pratica fosse dichiarata lecita.

    Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Eppure Gesù ha detto che il suo “giogo è dolce”, e il suo “carico è leggero”, e seguendo lui le anime si sarebbero trovate appagate (cf. Mt 11,28-30). Nessuno infatti conosce la natura umana più del suo Creatore, così come – per usare un paragone oggi comprensibile a tutti – nessuno conosce meglio un programma per computer del suo programmatore. Il Logos creatore aveva messo nel programma dell’umanità il raggiungimento dell’eterna felicità, ma l’uomo, creato libero, ha preferito dare ascolto ai messaggi di un programmatore Antagonista, rimanendo così infettato dai suoi virus. Per liberare l’uomo da questi virus mortiferi, è dovuto intervenire il Programmatore in persona, che è Gesù. Perciò i suoi insegnamenti, per quanto esigenti, sono “vie che portano alla vita”, trasmessi da uno che “conosce che cosa c’è nell’uomo” (Gv 2,25), uno che è divina Sapienza, infinita Sapienza, eterna Sapienza. 

    Solo così si capisce perché Gesù sia stato talmente intransigente sulla questione del divorzio, richiamando ciò che Dio aveva stabilito all’inizio, cioè nel programma originario. In quella intransigenza, infatti, è racchiusa tutta una precisa visione dell’uomo che concerne la sua sessualità, la vera parità dei sessi, il mistero dell’unione sponsale, la stabilità della famiglia, il bene dei figli, e di conseguenza anche il bene di tutta la società. L’indissolubilità del matrimonio non è dunque una questione peregrina, che Gesù ha posto così per capriccio, un giorno nel quale si era svegliato un po’ storto, ma è una questione sulla quale si fonda o cade tutta la società umana. 

    Ma, qualcuno potrebbe dirmi, lei non tiene conto dei problemi concreti della gente? Delle coppie che scoppiano? Delle convivenze divenute impossibili? Degli amori falliti? Pensa forse che sia un divertimento divorziare, per rifarsi una vita? 

    Rispondo dicendo che è vero, ci sono situazioni difficili, a volte molto ingarbugliate, con dei nodi che sembra impossibile sciogliere. Ma per questo c’è la pastorale, l’arte di curare le anime, cominciando anzitutto con il togliere i virus (che sono i sette vizi capitali). Se i modelli sociali si spostano sempre di più su forme esasperate di individualismo, la fede invece fa scoprire la bellezza del vivere “in comunione”, cominciando dalla famiglia e dalla comunità parrocchiale, anche se è la “via stretta” della croce. 

    Ma è possibile andare così contro-corrente? Qui vale il detto di Gesù: “Per gli uomini è impossibile, ma per Dio tutto è possibile”. Ciò significa che non si può essere veri uomini senza l’adesione al vero Dio. Non è allargando le maglie della morale che si fa del bene alle persone in difficoltà. Il fatto è che oggi si tende a confondere la misericordia, che è uno degli attributi più belli di Dio, con il permissivismo. Gesù ha detto all’adultera: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11), ma ha condannato l’adulterio. La misericordia suppone la coscienza del peccato, non la sua giustificazione. Se non c’è più il peccato non c’è più neppure il perdono. Il peccato è un brutto tiranno, che cerca di nascondersi dietro false promesse. È un padrone che ti paga, anzi promette di pagarti bene, ma, come dice san Paolo, il suo salario è la morte (Rm 6,23). Per questo noi pastori non possiamo tacere, se amiamo veramente le persone che Dio ci ha affidate.


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    Coordin.
    00 22/10/2014 10:45
    papafrancesco
    Andreotti racconta che in una visita che fece a Papa Roncalli ebbe a dirgli: “Santità Lei non conosce la curia”. Papa Bergoglio, in occasione di questo sinodo sulla famiglia, ha forse potuto constatare che se non è facile governare la curia romana, ci sono anche le resistenze di una curia internazionale. Resistenze e critiche “anche prive di discrezione” come ebbe a notare Roncalli in apertura di Concilio e che, cinquant’ anni dalla fine di quel grande evento, i “profeti di sventure” sono ancora presenti, attivi, a volte sfacciati fino all’ impudenza.

    Fin che si trattava di ossequi rituali al Santo Padre, generosissimi. Quando questi ha toccato alcuni problemi delicati ecco subito scattare resistenze, barriere, siluri. Qualche Padre sinodale ha tentato di portare nel campo delle proprie resistenze anche il Papa emerito e non possiamo che guardare con grandissimo rispetto all’ intelligenza di Benedetto XVI che non solo non ha accettato neanche per un momento che qualcuno potesse illudersi di usarlo per i suoi scopi, ma che ha anche ricordato che dopo le sue dimissioni è “cum Petrus, sub Petrus”.

    Ci sono Cardinali e vescovi che in questi ultimi decenni hanno combinato di tutto, chiuso gli occhi su molto. Speculazioni finanziarie (IOR e altro), pedofilia. Appartamenti cardinalizi restaurati in modo principesco, diocesi gettate nel tracollo finanziario, palazzi patriarcali restaurati con appartamenti dotati perfino di idromassaggi Jacuzzi, casi di finanziamenti ricevuti per somme ingenti da istituzioni oggetto di pesanti indagini giudiziarie. Ovviamente molti, e questo va continuamente ricordato, sono i vescovi e i cardinali eccellenti, autorevoli, dalla vita esemplare, testimonianza di una fede forte, sentita, comunicata. Ci sono preti, vescovi, lo stesso Santo padre, minacciati. Non lo sarebbero se invece che al servizio di Dio, fossero al servizio del potere. Questo, ovviamente, non lo possiamo né vogliamo dimenticare, come non vogliamo tacere la nostra solidarietà con le loro battaglie al servizio della giustizia, dei diritti umani, delle persone.

    Colpisce che in questa sessione del Sinodo voluto da Papa Francesco per toccare un problema complesso come quello della famiglia molti, per difendere le loro tesi, abbiano sentito l’ esigenza di avvalorarle andando, a loro parere, alle fonti originarie del loro credo religioso. Per fortuna la discussione è stata vivace, a volte tesa, non si è conclusa con anatemi, ma è stata lasciata aperta a necessari, utili approfondimenti che avverranno nel corso del prossimo anno. Nessuna soluzione di facciata, ma consapevolezza della complessità del problema, della diversità in cui questo si pone in diverse parti del nostro mondo attraversato da una transizione così veloce, così diseguale, così contradditoria.

    Il problema della famiglia è un problema delicatissimo, che ha attraversato secoli, aree geografiche e culturali, esperienze e tradizioni storiche che riguardano tutte le religioni, tutti i paesi. Anche con ricorso a pratiche barbariche. Pensiamo alla lapidazione quando la violazione di regole tribali destabilizzava la vita sociale di piccole comunità umane. Pratica, disgraziatamente protrattasi poi nel tempo ed estesasi a società ampie e consolidate in nazioni. In altre Paesi, religioni autorevoli e dalla lunga storia prevedono fino a quattro mogli; in altri casi e in altre aree i matrimoni vengono combinati dalla famiglia prima ancora che i figli siano cresciuti. Questo per dire che il cosiddetto rapporto coniugale è sempre stato problematico, ha risposto nel bene e nel male, a esigenze di società diverse nel tempo e nello spazio. La forma famiglia è anche funzionale, non solo a credenze sociale, ma ad esigenze sociali. Quando nei secoli passati alcune religioni prevedevano che in caso di morte del marito, la moglie del defunto si aggiungesse alla moglie o alle mogli del fratello, metteva un carico pesante, ma rispondeva a uno scopo, quello di salvaguardare la vedova e i figli, rimasti orfani di padre.

    Per quanto riguarda il matrimonio la Chiesa cattolica rappresenta un notevole salto di qualità anche civile. In tempi in cui i matrimoni venivano combinati, le future mogli vendute, considerate prede di guerra, le coppie soggette alla sopraffazione dei potenti (basti pensare ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni), dire: “l’ uomo non separi ciò che Dio ha unito” rappresenta un atto di coraggio che tra l’ altro non tutti hanno avuto il coraggio di esercitare (don Abbondio, ne è la prova provata).

    Resta da capire, e valutare, cosa vuol dire “ciò che Dio ha unito”. Sono due persone che si sono presentate davanti a un sacerdote e hanno contratto un matrimonio religioso? E’ il rito ciò che decide e conclude? Anche. Ma non è qui il nocciolo della questione. E se, alla prova dei fatti, si rendono conto che quello che sembrava essere un amore forte, benedetto da Dio, non regge alla realtà dei fatti, che il disegno di dio era stato frainteso? Se uno, come capita spesso nella vita, si accorge di aver capito male i propri sentimenti o quelli dell’ altro? Se, dati dei presupposti non solidi come si era immaginato, stare insieme vuol dire farsi del male a vicenda? Far star male i figli? Cosa si può rispondere? Anni fa ti sei presentato davanti a un sacerdote per sposarti e ora resti nei guai?

    Anche la risposta a questa domanda resta alla riflessione aperta, franca dei Padri sinodali.

    Anche per questo siamo grati a Papa Francesco per aver accettato la problematicità dell’ esperienza umana, delle condizioni della vita umana, nella consapevolezza che Dio non ha finito di sorprendere i suoi figli e che, per chi è credente, lo Spirito santo non è una comparsa di comodo