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Il Matteo aramaico

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    AlfredoGennari
    Post: 630
    Città: PIAN DI SCO
    Età: 76
    Sesso: Maschile
    00 29/12/2013 19:09
    Si sente spesso dire (o si legge spesso) che Matteo avrebbe scritto il suo vangelo in aramaico e che poi l’avrebbe (lui o chi per lui) tradotto in greco.

    Papia di Gerapoli (morì all’incirca nel 130 d.C.) scrisse : “Matteo raccolse in lingua ebraica i detti; ciascuno, poi, li tradusse (ήρμήνευδε, hermeneude) come sapeva”.

    Da questa frase di Papia (citata da Eusebio di Cesarea, storico cristiano del IV secolo) nacque l’idea che Matteo avesse scritto il proprio vangelo in aramaico e che poi sarebbe stato tradotto in greco (l’ebraico antico era stato progressivamente soppiantato dall’aramaico dopo l’esilio babilonese. Papia, dicendo “lingua ebraica”, in realtà intendeva dire “lingua aramaica” essendo questa la lingua parlata in Palestina ai tempi di Gesù).

    Fu un prete cattolico , don Primo Vannutelli (1885-1945), a lanciare questa idea del Matteo aramaico prendendo spunto dalla frase di Papia.
    L’idea ebbe molta fortuna. L’originale era stato perduto. Soprattutto in ambito cattolico piacque molto. Forse sono un po’ cattivo, ma fa sempre piacere al mondo cattolico non aver a che fare con i diretti testimoni di Gesù; e il poter disporre di un vangelo che sicuramente non poteva esser fatto risalire a uno degli apostoli era molto conveniente e permetteva di poter sostenere che, in fondo in fondo, i vangeli erano opera del cosiddetto magistero, composto da papa, vescovi e teologi vari (è una cosa, questa, che si sente dire spesso).
    Ma non fu possibile sostenere a lungo questa tesi perché un esame attento da parte degli studiosi stabilì che il Matteo che abbiamo oggi non può, per una serie di motivi, essere una traduzione di un originale aramaico.

    E, d’altra parte, il verbo usato da Papia e che vien reso da molti con “tradusse”, ha un significato molto più vasto rispetto a “tradurre” (da una lingua a un’altra), il suo principale significato è “spiegare, esplicare, illustrare, commentare, interpretare”. Per cui la frase di Papia va letta così: “Matteo raccolse in lingua ebraica i detti; ciascuno, poi, li interpretò, spiegò, commentò (ήρμήνευδε, hermeneude) come sapeva”.

    Inoltre Papia usa il termine “detti” (greco “loghia”), che erano riferiti non a racconti ma a frasi brevi, aforismi, sentenze, sullo stile dei Proverbi.
    Parlando del Vangelo di Tommaso (vedi post “Vangeli gnostici 1”) è stato notato che esistevano frammenti, soprattutto in greco, di papiro riportanti i detti del Signore, frasi di Gesù memorizzate dagli apostoli, suoi testimoni diretti, e ripetute dagli stessi nella loro predicazione sia dentro che fuori della Palestina, e che molti degli ascoltatori sicuramente hanno voluto scrivere allo scopo di ricordarsene più facilmente.
    Il Vangelo di Tommaso è una dimostrazione di questa prassi: quest’opera, infatti, è unicamente composta di “detti”, cioè frasi brevi non armonizzate in un racconto organico come lo sono i vangeli.
    Altra dimostrazione di questa prassi è l’esistenza dei cosiddetti “agrapha” (letteralmente “non scritti”, vedi il post citato più sopra).

    E allora, quasi certamente, Papia voleva alludere a una raccolta di “detti” che Matteo si era preparata per mettere insieme le frasi di Gesù e ciò a scopo evangelistico e didattico; una tale raccolta era ad uso anche dei suoi collaboratori i quali ne facevano l’uso che ritenevano più opportuno (Papia dice “ognuno interpretò come sapeva”).

    E certamente una raccolta di questo tipo sarà stata una base certa, insieme alla memoria di Matteo, da cui venne fuori il racconto organico di fatti e parole che noi oggi conosciamo come “Vangelo di Matteo”.Certo che se Matteo avesse posto, come soprascritta della sua opera, “Vangelo di Gesù scritto da Matteo il pubblicano” noi oggi non avremmo nessun dubbio, non ci servirebbe né Papia né Eusebio, né nessun altro.
    Ma forse lo stesso Matteo non si era sentito di mettere “scritto da Matteo”, perché quasi certamente non fu scritto da lui materialmente, né fu semplicemente da lui dettato, ma fu opera di un lavoro a più mani sulla base certa dei detti raccolti e scritti da Matteo in aramaico (forse Matteo non era molto bravo a scrivere in greco!) e sull’altra base altrettanto certa della memoria, non solo dei detti ma anche dei fatti, dello stesso Matteo.



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    Orchidea
    Post: 520
    Sesso: Femminile
    00 30/12/2013 14:52
    La tradizione cristiana attribuisce la composizione del vangelo a Matteo, uno degli apostoli di Gesù.[1][2] A partire dal XVIII secolo, i biblisti hanno sempre più frequentemente messo in discussione la tradizione, e la maggior parte degli studiosi moderni ritiene che Matteo non scrisse il vangelo che porta il suo nome;[3] l'autore è comunemente identificato con un anonimo cristiano che scrisse verso la fine del I secolo[4] un testo in lingua greca, piuttosto che in lingua aramaica o in lingua ebraica.[5] La ricostruzione ampiamente prevalente tra gli esegeti biblici moderni è che l'autore del Vangelo secondo Matteo (come pure quello del Vangelo secondo Luca) abbia usato come fonte la narrazione del Vangelo secondo Marco per la vita e la morte di Gesù, più l'ipotetica fonte Q per i suoi detti; una ricostruzione che ha avuto minore successo vuole che Matteo sia stato il primo vangelo ad essere scritto, che sia stato usato per la stesura di Luca e che Marco sia il risultato dell'unione di Matteo e Luca.[6] [4]