00 19/10/2013 16:52

Onora tuo padre e tua madre, affinchè i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che Jahweh, l’Iddio tuo, ti dà
Esodo 21, 12

Efesini 6, 2 dice che questo è il primo comandamento con promessa.
E’ come, sembra dire Paolo, se si mantenesse attivo una sorta di cordone ombelicale per il quale arrivino dai genitori ai figli energia e vitalità per una vita lunga e gradevole. E il cordone ombelicale consiste in una giusta considerazione dei genitori da parte dei figli.

Onorare: riconoscere il valore di una persona e l’importanza del ruolo svolto dalla stessa.
Ubbidire: fare ciò che viene ordinato, sottostare alla volontà di altri.

E’ evidente la differenza fra i due termini, non v’è nessuna coincidenza di significato.
Solo in riferimento a Dio i due termini vanno appaiati, perché Dio non è soggetto ad errore e perché fra Dio e l’uomo si mantiene per sempre quel rapporto maggiore-minore che esiste fra genitori e figli, rapporto che viene meno quando questi ultimi divengono a loro volta genitori (poi resta solo la differenza di età e di esperienza).

Risulta pure evidente come la 5° parola sia rivolta a persone adulte o comunque in grado di ragionare e pensare in proprio. Certamente non è rivolta a bambini.


Maledetto chi sprezza suo padre e sua madre (Deuteronomio 27, 16)
E’ vero che nessuno di noi ha chiesto di essere messo al mondo, ma è anche vero che nessuno di noi butta via la propria vita, anzi!
E poiché la nostra propria vita ci viene dai nostri genitori, il riconoscerlo e quindi rendere onore a loro per avercela data, significa valorizzare (non sprezzare) noi stessi e, in ultima analisi, realizzare la promessa fatta notare da Efesini 6, 2, la quale è esattamente il contrario della maledizione vista appena sopra.

Si può pensare in maniera diversa dai propri genitori. Ci mancherebbe! Ma pur sempre nel contesto di riconoscerne l’importanza.
In fondo i nostri genitori sono esseri umani pure loro, e come tutti gli esseri umani sono soggetti a sbagliare.
Il maggior numero di anni e la maggiore esperienza non sono affatto garanzia di infallibilità. Salomone, ad esempio, ha dimostrato di essere stato molto meno saggio in vecchiaia di quanto non lo fosse stato in gioventù (1 Re 11, 7-11).
Quindi l’assunto che gran numero di anni sia uguale a grande saggezza non è affatto vero (Salmo 119, 100), anche se teoricamente così dovrebbe essere.

Onorare i propri genitori significa anche non arrivare mai a parlar male, o maledire, i propri genitori, qualunque cosa essi abbiano fatto.
Chi maledice suo padre e sua madre deve essere messo a morte (Esodo 21, 17) che è l’esatto contrario di affinchè i tuoi giorni siano prolungati di Esodo 21, 12 citato all’inizio.
E parlar male dei propri genitori non significa certamente dissentire dal loro modo di pensare o di agire!

Onorare i propri genitori, e quindi riconoscerne il ruolo e l’importanza, comporta anche il doverli aiutare quando, per l’età avanzata, non siano più in grado di provvedere a sé stessi.
Non c’è uno specifico passo biblico che ricordi questo aspetto del rapporto genitori-figli. C’è però un episodio interessante in questo senso in Marco 7, 8-13. Gesù accusa i Farisei di scansare il dovere di aiutare i genitori dicendo ipocritamente: “sai, babbo, io avrei potuto aiutarti con questi soldi qui; purtroppo questi soldi qui sono “corbàn”, cioè un’offerta a Dio e quindi non posso usarli per te. Mi dispiace davvero. Non posso certamente toglierli a Dio per darli a te!”: come sapete bene annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra!

Nel rapporto genitori-figli esistono, normalmente, tre periodi: un primo durante il quale i figli, piccoli, sono dipendenti dai genitori; un terzo in cui sono i genitori ad essere dipendenti dai figli, a causa dell’età avanzata; un periodo centrale in cui non vi è dipendenza in quanto sono tutti, genitori e figli, alla pari. E’ in questo periodo centrale che assume il massimo valore la 5° parola.