CREDENTI

DIZIONARIO TEOLOGICO

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    00 21/08/2013 17:26

    Metodo teologico (Gr. « sulla via verso »; « inseguimento di »). (inizio)

    È il modo di esaminare, classificare ed insegnare coerentemente le dottrine cristiane. La teologia trova il suo campo nella divina rivelazione narrata e comunicata dalla Scrittura e dalla Tradizione (DV 24; OT 16). Il metodo abbraccia:

      a) i presupposti propri;

      b) l'uso dei dati biblici e storici;

      c) gli approcci alle questioni del significato e della verità;

      d) la riflessione sul contesto sociale e culturale in cui uno opera come teologo;

      e) un intento particolare e determinati destinatari;

      f) il grado di generalizzazione sistematica che uno desidera.

      In Oriente, il dovuto riconoscimento del mistero divino è garantito dal metodo della teologia apofatica. La centralità della liturgia sottolinea il carattere dossologico della teologia orientale. Cf Analogia; Analogia della fede; Deposito della fede; Dossologia; Ermeneutica; Esegesi; Locus theologicus; Metodi in teologia; Mistero; Ortoprassi; Teologia apofatica; Teologia dogmatica; Teologia fondamentale; Teologia kerigmatica; Teologia della liberazione; Teologia negativa; Tradizione.

     

    Midrash (Ebr. « investigazione, ricerca »). (inizio)

    È un metodo dell'esegesi ebraica che si è sviluppato dopo il ritorno dalla schiavitù babilonese. Il suo intento era quello di edificare col ricavare da un testo scritturistico associazioni ed applicazioni che andavano oltre al suo significato letterale. Gli Ebrei distinguevano due tipi di midrash: il midrash halachah (Ebr. « guida ») che s'interessava della legge orale, e il midrash haggadah (Ebr. « narrazione ») che tendeva a chiarire le sezioni non giuridiche della Bibbia. Cf Esegesi; Haggadah:

     

    Migne. (inizio)

    Con questo titolo sommario, si indicano le pubblicazioni di Jacques‑Paul Migne (1800‑1875), il quale, dopo aver fatto il parroco di campagna per nove anni, si recò a Parigi e pubblicò un numero immenso di testi teologici. La sua opera principale fu il Patrologiae Cursus Completus. I 217 volumi della sua Patrologia Latina (PL) comprendono tutti gli autori ecclesiastici fino al Papa Innocenzo III (1160‑1216). I 161 volumi della Patrologia greca (PG) comprendono gli scrittori greci (con una traduzione latina) fino al 1439. Dove non sono disponibili edizioni recenti e più critiche, la Patrologia del Migne è sempre valida e rimane un'opera base a cui fare riferimento. Cf Patrologia.

     

    Millenarismo (Lat. « mille »). (inizio)

    La credenza, influenzata da scritti apocalittici e basata su un'interpretazione  critica dell'Apocalisse 20,1‑7, che Cristo regnerà su questa terra per mille anni coi suoi santi fino alla sconfitta definitiva di Satana e l'ingresso definitivo nella gloria. Nei primi secoli, anche presso cristiani influenti come san Giustino Martire (circa 100 ‑ circa 165) e sant'Ireneo di Lione (circa 130 circa 200), vigeva questa credenza. Dopo sant'Agostino di Ippona (354‑430), solo alcune sètte (per es., verso l'anno 1000) hanno alle volte ridato vita al Millenarismo. Cf Chiliasmo; Escatologia; Fondamentalismo; Testimoni di Geova.

     

    Ministero. (inizio)

    Partecipazione ai compiti di Cristo come profeta, sacerdote e re. Tutti i fedeli partecipano a queste funzioni in forza del battesimo e della confermazione. I chierici vi partecipano in un modo particolare mediante il sacramento dell'Ordine (cf DS 1326; FCC 9.287; PO 1; AA 10). Doni particolari e speciali vanno esercitati attraverso ministeri che giovano alla Chiesa intera (Rm 12,6‑8; 1 Cor 12,1‑31; 1 Pt 4,10‑11). Cf Carismi; Ordinazione; Ordine.

     

    Ministero petrino. (inizio)

    Il servizio speciale per la fede cristiana, per la sua vita ed unità esercitato da san Pietro e passato al suo successore, il vescovo di Roma, la città dove morirono martiri i santi Pietro e Paolo. L'ufficio petrino comporta la testimonianza da rendere alla risurrezione di Cristo (Lc 22,31‑32; 24,34; At 2,22‑36) e 1'esercizio dell'autorità pastorale con amore (Mt 16,17‑19; Gv 21,15‑19; 1 Pt 5,1‑4). Sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107) chiamò la Chiesa di Roma: « Quella che presiede nella carità ». Questa espressione fu ripetuta dal patriarca Demetrio quando Giovanni Paolo II visitò Costantinopoli nel 1979. Sant'Ireneo di Lione (circa 130 circa 200) si appellò alla successione apostolica in genere e a quella del vescovo di Roma in particolare come un criterio per riconoscere la verità cristiana. Quando il Tomo (lettera inviata al Patriarca di Costantinopoli, san Flaviano) di san Leone Magno (papa dal 440 al 461) fu letto al Concilio di Calcedonia (451), i membri del Concilio esclamarono: « Pietro ha parlato per bocca di Leone ». Il Concilio Vaticano I (1869‑1870) espresse l'ufficio petrino in termini di giurisdizione universale e di infallibilità (DS 3050‑3075; FCC 7.176‑7.199). Il Concilio Vaticano II evidenziò il carattere collegiale di questo ufficio, esercitato insieme a tutti i vescovi i quali insieme e sotto al successore di Pietro condividono la responsabilità dell'intera Chiesa (LG 22). I recenti dialoghi ecumenici con Anglicani, Ortodossi e Protestanti hanno manifestato una crescente sensibilità per la necessità di un ufficio centrale nella Chiesa come segno visibile e agente dell'unità cristiana nella fede. Non c'è, però, ancora un accordo sull'esercizio concreto del ministero petrino. Cf Apostolo; Cattolicesimo; Collegialità; Conciliarismo; Febronianismo; Gallicanesimo; Giurisdizione; Infallibilità; Papa; Protestante; Riforma (La); Pentarchia; Successione apostolica.

     

    Ministro (Lat. « che serve »). (inizio)

    Persona abilitata a compiere funzioni spirituali nella Chiesa. Questo termine, che designa il clero in comunità non episcopali, è usato sempre più nella Chiesa Cattolica. Sacri ministri sono i chierici ordinati per amministrare i sacramenti (CIC 276). Ministri della Parola (cf At 6,4; Col 1,23) sono quelli che predicano il vangelo. Questo compito non è solo del papa e dei vescovi (CIC 756), ma anche dei presbiteri, dei diaconi e di altri che ricevono l'incarico di predicare e di insegnare (CIC 756‑761). Ministri ordinari della santa Comunione sono i vescovi, i presbiteri e i diaconi; ministri straordinari della Comunione sono quei laici che hanno ricevuto la facoltà di farlo (CIC 910). In casi di necessità, i laici possono essere autorizzati ad amministrare il battesimo, a distribuire la Comunione, a predicare e a presiedere la liturgia della Parola (CIC 290). Cf Chierico; Clero; Diacono; Laico; Presbitero; Vescovo.

     

    Miracolo. (inizio)

    Un evento che è causato da un intervento divino speciale, che non segue le leggi comuni della natura e che porta un messaggio religioso per il popolo ora e in seguito. Ben lungi dall'essere prodigi puramente strabilianti, i miracoli sono segni salvifici e rivelatori di Dio (Gv 2,11,18.23; 12,18.37). I Vangeli sinottici (Mt 4,23; 8,5‑17; 11,5.21; Mc 8,22‑26; Lc 13,32) e gli Atti degli Apostoli (per es. At 2,22‑23) attestano miracoli di Gesù legati alla proclamazione efficace dell'avvento del Regno di Dio. Gli Atti riportano vari miracoli operati da Pietro e da Paolo. Senza entrare nei particolari, Paolo rende testimonianza a questo dono fatto da Dio (Rm 15,19; 2 Cor 12,12). I miracoli sono comunemente richiesti per la beatificazione e la canonizzazione dei Servi di Dio (cf CIC 1403). Cf Determinismo; Doxa; Natura; Regno di Dio; Teologia giovannea.

     

    Misericordia. (inizio)

    La cura amorosa di Dio per tutte le sue creature, specialmente gli esseri umani. Essa ci invita a nostra volta a solidarizzare e ad alleviare le miserie altrui. L'AT fa uso di tre parole per esprimere la misericordia. Hesed (Ebr. « bontà »), o delicatezza fedele; è fondata su un vincolo o su un'alleanza come il matrimonio (Gn 20,13) o su un rapporto stretto (1 Sam 20,8.14‑15). Rahamin (Ebr. grembo); è le simpatia viscerale o compassione, come quella di una madre per il suo bambino (Is 49,15). Hen (Ebr. « grazia »); esprime il modo con cui il favore di Dio è elargito gratuitamente e indipendentemente dai meriti del ricevente (Es 33,12‑17). Gli esseri umani possono invocare la misericordia e Dio è quanto mai desideroso di donarla (cf Sal 51; 113; 117). Il NT esalta la misericordia  di Dio (Lc 1,50.54.72.78) rivelata ed espressa soprattutto mediante le parole e i fatti di Gesù (Mt 9,10‑13; 18,21‑35; Lc 10,29‑37). Il cieco invoca Gesù perché abbia pietà di lui (Mc 10,47‑48). Questa preghiera è entrata a far parte della preghiera dei cristiani, soprattutto in Oriente. Si deve tendere ad imitare il Padre celeste nella sua misericordia, e, a sua volta, Dio sarà misericordioso con coloro che eserciteranno la misericordia (cf Mt 6,12; 25,31‑46; Lc 11,4). Cf Amore; Grazia; Hesed; Preghiera di Gesù.

    Mishnah (Ebr. « ripetizione »). (inizio)

    Raccolta ebraica di trattati che interpretano e insegnano la Scrittura e la Legge. Quest'opera fu probabilmente compilata dal rabbino Giuda ha‑Nasi (circa 135 ‑ circa 220) e servi di base alle versioni palestinese e babilonese del Talmud. La Mishnah determina ancora come un pio Ebreo deve comportarsi in molte circostanze. Cf Giudaismo; Talmud.

     

    Missione canonica. (inizio)

    È l'autorizzazione ufficiale di partecipare in un determinato modo al ministero di insegnamento, di santificazione e di governo della Chiesa nel mondo. Cf Chierico; Concilio Lateranense IV; Diacono, Mandato; Predicazione.

     

    Missioni divine. (inizio)

    L'invio (o « processione ») della seconda e della terza Persona della Trinità da parte del Padre nell'eternità e nel tempo (cf Gv 14,26; 20,21; Gal 4,4‑6). Cf Appropriazione; Filioque; Processioni; Teologia trinitaria.

    Missioni (le) nella Chiesa. (inizio)

    Si tratta della risposta della Chiesa al compito ricevuto da Cristo di continuare la sua opera nel mondo intero. I libri profetici dell'AT indicano come Gerusalemme, il popolo eletto e i suoi rappresentanti abbiano un ruolo missionario per la salvezza delle nazioni (cf Is 2,1‑5; 42,6‑7; 49,6.22‑23; 56,1‑8; 60,1‑22; Giona). Con valore universale (Lc 2,29‑32), la buona Novella di Cristo va annunciata dovunque e a chiunque (Mt 28,18‑20; Mc 16,15‑20; Lc 24,47; Gv 20,21; At 1,8). Guidata da Pietro, da Paolo e da altri (Gal 2,7‑8; Rm 1,5; 16,3), la Chiesa apostolica diffuse la fede cristiana attraverso l'Impero romano. Nei primi secoli, il cristianesimo raggiunse l'Abissinia, l'India e (attraverso la Chiesa nestoriana dell'Oriente) perfino la Cina. Grandi missionari e loro discepoli, appoggiati alle volte da governanti potenti, hanno convertito praticamente tutta l'Europa al cristianesimo entro anno 1000. San Patrizio (circa 390 ‑ circa 460) contribuì all'evangelizzazione dell'Irlanda. Sant'Agostino di Canterbury (morto nel 604), fu un apostolo dell'Inghilterra; san Bonifacio (680‑754) evangelizzò la Germania; sant'Ansgravio (Oscar) (801‑865), i paesi scandinavi; e i santi Cirillo (826‑869) e Metodio (805‑885), i paesi slavi. Con la scoperta dell'America nel 1492 e l'apertura di nuove strade verso l'Asia, un'attività missionaria veramente eroica cominciò nelle Americhe, in Cina, in India, in Giappone e altrove. La fondazione della Congregazione per la Propagazione della Fede per opera del Papa Gregorio XV nel 1622 incoraggiò e aiutò l'organizzazione di questo sviluppo. All'inizio del secolo XIX, società missionarie anglicane e protestanti, guidate e ispirate da personaggi come David Livingstone (1813‑1873), divennero veramente attive fuori d'Europa. Alla fine del secolo XX, la necessità che l'Europa stessa venga ri‑evangelizzata è divenuta sempre più evidente. Cf. Apostolo; Evangelizzazione; Teologia della missione.

     

    Mistagogia (Gr. « che guida ai segreti »). (inizio)

    Intruzione sui riti segreti e sui misteri di una religione. Nelle sue Catechesi mistagogiche date nel tempo quaresimale e pasquale san Cirillo di Gerusalemme (circa 315‑386) preparava i catecumeni al battesimo il Sabato Santo e li istruiva ulteriormente dopo. San Massimo il Confessore (circa 580‑662) chiamava « mistagogia » la sua interpretazione mistica della liturgia. Comunemente, alcuni usano il termine per indicare una catechesi e una teologia ricavate dall'esperienza di Dio e destinate ad approfondire questa stessa esperienza. Cf Catechesi; Catecumenato; Disciplina dell'Arcano; Esperienza religiosa; Mistero; RICA.

     

    Mistero (Gr. « segreto »). (inizio)

    Non è qualcosa di semplicemente oscuro o inspiegabile (come, per es. un'uccisione « misteriosa »), ma è il piano amoroso di Dio per la salvezza dell'umanità che ora è stato svelato per mezzo di Cristo (Rm 16,25; Ef 1,9; 3,9; Col 1,26‑27; 2,2; 4,3). Mentre è stata rivelata definitivamente in Cristo, la realtà misteriosa di Dio trascende la ragione e la comprensione umana. La mente umana non può afferrare Dio; è la maestà divina che afferra noi. La teologia protestante ha seguito il tema luterano del Deus revelatus sed absconditus (Lat. « Dio rivelato, ma tuttora nascosto »). Gli Ortodossi hanno coltivato la teologia apofatica che sottolinea l'inaccessibilità di Dio. Nel secolo XIX, il Concilio Vaticano I (DS 3015‑3020; FCC 1.080‑1.085), Matthias Scheeben (1835‑1888) e altri hanno parlato dei misteri rivelati o verità intorno a Dio (misteri al plurale). La teologia recente e l'insegnamento ufficiale hanno accentuato l'unità dell'auto‑rivelazione di Dio. Karl Rahner (1904‑1984), il Concilio Vaticano II e le encicliche di Giovanni Paolo II favoriscono il linguaggio del « Mistero », anziché quello dei divini « misteri ». Cf Mistagogia; Mistero pasquale; Religioni misteriche; Storia della Salvezza; Teologia apofatica.

     

    Mistero del male. (inizio)

    È il mistero di un Dio infinitamente buono e onnipotente che permette tanti peccati, dolori e sofferenze varie nel nostro mondo. Le soluzioni soddisfano solo parzialmente: esse si appellano

      a) al rispetto di Dio per la nostra libertà creaturale;

      b) a Cristo che ha sopportato il mistero del male con la sua passione e morte;

      c) alla trasformazione gloriosa cui è destinato il nostro mondo (Rm 8,18‑23), quando le forze del male saranno definitivamente sconfitte (1 Cor 15,24‑28).

      Cf Mistero; Teodicea; Teologia apofatica.

     

    Mistero pasquale.  (inizio)

    La redenzione effettuata da Cristo soprattutto con la sua morte, risurrezione e ascensione (SC 5; GS 22) a cui i cristiani partecipano mediante il battesimo, l'Eucaristia, gli altri sacramenti e con tutta la loro vita (SC 6‑10; cf Rm 6,3‑4; 12,1; 1 Cor 11,23‑26). Cf Pasqua; Redenzione; Risurrezione.

     

    Mistica. (inizio)

    Un'esperienza speciale e profonda di conoscenza e di unione con la realtà divina, liberamente concessa da Dio. Le esperienze mistiche, che possono essere accompagnate da estasi, visioni e altri fenomeni del genere, sono di solito precedute da una pratica seria di contemplazione e di ascesi. La mistica si riscontra in tutte le grandi religioni del mondo, ma nell'esperienza cristiana ha una qualità altamente personale e accentua anziché sopprimere il senso di distinzione tra il mistico e Dio. La mistica genuina produce sempre un amore più generoso verso gli altri, e sembra trovarsi frequentemente tra i cristiani che si dedicano alla preghiera e che sono sensibili alla presenza di Dio nella loro vita. Cf Contemplazione; Mistero; Visioni.

     

    Mistico. (inizio)

    Cf Corpo mistico.

     

    Mito (Gr. « favola, storia »). (inizio)

    Una storia simbolica circa le realtà ultime. Il termine « mito » è stato spesso inteso come una storia di persone, cose ed eventi puramente fittizi. Mentre il lògos fornisce un resoconto razionale e vero della realtà e delle sue cause, un mito immaginario (per es., le attività scandalose di dèi) può essere piacevole, ma è essenzialmente falso. Il NT riflette ancora questa visuale negativa del termine « mito » (1 Tm 1,4; 4,7; Tt 1,14; 2 Pt 1,16). La mente umana, però, non opera unicamente sulla base di concetti astratti: ha bisogno del linguaggio simbolico‑immaginario per trovare ed esprimere la verità sulla nostra esistenza. Nei suoi dialoghi, Platone (427‑347 a.C.) fa alle volte un uso intelligente di miti per guidare i suoi lettori verso la verità. Cf Analogia; Demitizzazione; Simbolo; Teologia narrativa.

     

    Modalismo (Lat. « aspetto, sfaccettatura »). (inizio)

    Questa eresia accentuava talmente l'unità divina da negare la distinzione personale del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Essi non sarebbero altro che tre manifestazioni o modi con cui l'unico Dio si rivela e agisce nella creazione e nella redenzione. Cominciato in Asia Minore con Noeto (circa 200), il modalismo si propagò in Occidente con Prassea (circa 200), Sabellio (all'inizio del III secolo), Fotino (IV secolo) e, fino ad un certo punto, con Marcello di Ancira (= Ankara) (morto nel 374 circa) (cf DS 151, 284; FCC 6.023). Cf Patripassianismo; Teologia trinitaria.

     

    Modernismo. (inizio)

    È un termine generico che designa un movimento teologico abbastanza diffuso alla fine del secolo XIX e all'inizio del XX in Inghilterra, Francia, Italia e, fino ad un certo punto, in Germania. Tra i suoi esponenti principali ci furono Alfred Loisy (1857‑1940), Giorgio Tyrrell (1861‑1909) e forse il Barone Federico von Hügel (1852‑1925). I modernisti adottavano la critica biblica contemporanea, ammettevano gli sviluppi storici del cristianesimo, si opponevano energicamente alla Neo‑Scolastica e manifestavano una grande apertura ai progressi della scienza e della filosofia. Andarono soggetti alle volte a deviazioni, come, per esempio, nell'accentuare l'esperienza religiosa e nel minimizzare il valore delle affermazioni comuni di fede. Nel 1907, col decreto Lamentabili e con l'Enciclica Pascendi, la Santa Sede condannò il modernismo in un modo che non tenne conto delle dovute distinzioni. Seguì una campagna contro quanti erano sospettati di tendenze moderniste. Pio XII (riguardo alla critica biblica), il Concilio Vaticano II e gli sviluppi successivi nell'insegnamento della Chiesa e della teologia hanno rivendicato alcuni, ma non tutti, dei temi e delle intuizioni dei modernisti. Cf Critica biblica; Esperienza religiosa; Immanenza Divina; Neo‑Scolastica; Sviluppo della dottrina.

     

    Molinismo(inizio)

    È la teoria sviluppata dal gesuita spagnolo Luigi de Molina (1535‑1600) circa il rapporto tra la volontà libera e la grazia. Dio concede la grazia, adatta le circostanze per giungere a buon esito e prevede le nostre azioni future. Però, siccome questa previsione « dipende » dalle nostre libere decisioni, Molina chiamò scientia conditionata, o scientia media la conoscenza rispetto alle decisioni e azioni future degli uomini. Questo sistema era opposto a quello dei Domenicani, specialmente di Domenico Bañez (1528‑1604). Nell'accentuare la libertà sovrana di Dio, Bañez parlava del concorso divino nell'azione umana come di una premozione fisica. Questo concetto non sembrava rispettare pienamente la libertà umana. Tra il 1598 e il 1607, una commissione, chiamata « De Auxiliis, » si riunì a Roma, ma non riuscì a risolvere il problema. Si concluse con la proibizione ai Gesuiti di dare ai Domenicani l'etichetta di « Calvinisti » e ai Domenicani, di chiamare i Gesuiti « Pelagiani » (cf DS 1997, 2008). Questo dibattito indica come le questioni teologiche più profonde non possono in ultima analisi ricevere una risposta adeguata. Il mistero divino ha la prima e l'ultima parola. Cf Calvinismo; Libertà; Grazia; Mistero; Pelagianesimo; Prescienza; Semi‑Pelagianesimo.

     

    Monachesimo (Gr « vita in solitudine »). (inizio)

    Un movimento tra i credenti battezzati che rispondono alla chiamata di Cristo per la perfezione (Mt 5,48; 19,16‑26) col dedicarsi attraverso la povertà, il celibato e l'obbedienza ad una vita di preghiera, al culto e al servizio comunitario. Verso il termine delle persecuzioni romane, una forma di esistenza ascetica nei deserti dell'Egitto, della Palestina e della Siria cominciò ad offrire un'alternativa eroica al martirio reale. In Egitto, sant'Antonio Abate (circa 251‑356) e san Pacomio (circa 290‑346) contribuirono ad organizzare i loro discepoli attorno ad una regola di vita e a guide spirituali, aprendo così la strada alle due forme tipiche del monachesimo: l'anacoretismo, o vita degli eremiti, e il cenobitismo, o vita in comune. Fortemente influenzato da san Basilio Magno (circa 370‑379), il monachesimo orientale favorì il monachesimo occidentale attraverso scritti come la Vita di sant'Antonio scritta da sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373) e le Conferenze di Giovanni Cassiano (circa 360‑435). Dopo san Martino di Tours (morto nel 397) e sant'Agostino di Ippona (354‑430), san Benedetto di Norcia (circa 480 ‑ circa 550) con la sua Regola diede la forma essenziale al monachesimo d'Occidente. I Domenicani, i Francescani e altri Ordini religiosi di vita attiva hanno offerto un'alternativa alla vita monastica strettamente contemplativa (cf UR 15; PC 9). In Oriente, però, tutti i religiosi sono ancora monaci. Cf Acemeti; Anacoretismo; Cenobiti; Esicasmo; Liturgia delle Ore; Monte Athos; Vita religiosa.

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    00 21/08/2013 17:27

    Monarchianismo (Gr. « un solo principio »). (inizio)

    Termine coniato da Tertulliano (circa 160 ‑ circa 220) per designare la teoria ereticale che accentuava talmente l'unità di Dio da negare un Figlio veramente divino con un'esistenza personale distinta. Alcuni Monarchiani sostenevano che Gesù era divino unicamente nel senso di una dynamis (Gr. « potenza ») di Dio che era venuta su di lui e lo aveva adottato. I Monarchiani modalisti riducevano la Trinità a modi diversi nei quali Dio si manifesta e agisce. Cf Adozionismo; Modalismo; Patripassianismo; Trinità immanente.

     

    Mondo. (inizio)

    È l'universo creato da Dio (Mt 25,34; Gv 17,5.24). La parola « mondo » può anche indicare il luogo dove va proclamato il vangelo (Mc 16, 15), ma anche coloro che non accettano Cristo (Gv 1,9‑11) e che sono ostili a lui e ai suoi discepoli (Gv 8,23; 15,18‑20; 17,14). Satana è il principe di questo mondo (Gv 12,31; 14,30; 16,11), ma, nel suo grande amore, Dio ha mandato il Figlio suo nel mondo (tra gli uomini) per salvarlo (Gv 3,16‑17). Il testo più lungo del Concilio Vaticano II è stato la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, chiamata Gaudium et spes. Coerente con la forte opposizione cristiana alle forme gnostiche di dualismo, questo documento afferma la bontà essenziale del mondo creato. Lungi dall'essere uno schermo tra Dio e gli esseri umani, il mondo deve costituire un punto di mediazione, come viene illustrato, per esempio, dall'uso della materia nei sacramenti (cf DS 800; 3025; FCC 3.025, 6.060). Cf Cosmo; Dualismo; Gnosticismo; Manicheismo; Oikumène; Sacramento; Teologia della liberazione; Teologia politica.

     

    Monismo (Gr. « unico »). (inizio)

    Termine coniato da Christian Wolff (1679‑1754) per indicare tutti i tentativi di interpretare la realtà eliminando ogni diversità e distinzione (per es., tra il corpo e anima, o tra il mondo creato visibile e Dio invisibile) e riducendo tutto ad un unico principio. Questo solipsismo ammette l'esistenza di uno solo e nega le idee, le esperienze e l'esistenza di altri soggetti. Oppure, è negata la differenza tra lo spirito e la materia con l'asserire che tutto si riduce ad una modalità dello spirito (idealismo) o della materia (materialismo). Il panteismo rigetta ogni distinzione reale tra Dio e il mondo creato. I filosofi greci anteriori a Socrate tendevano a interpretare tutta la realtà mediante un unico principio primordiale: per es., Talete di Mileto considerava l'acqua come l'elemento primordiale dell'universo. Altri monisti sono Plotino (circa 205‑270), Benedetto Spinoza (1632‑1677) e filosofi idealisti come Johann Gottlieb Fichte (1762‑1814) che riducevano tutto all'Io. Sia l'AT (cf Gn 1‑3; Gb 38,1-40,5) che il NT (cf Gv 1,18 Rm 11,33‑35) affermano la differenza radicale tra Dio e le creature. La dottrina cattolica ha insistito su questo « dualismo » fondamentale (cf DS 3022‑3023; FCC 3.022‑3.023) come fa anche il tema protestante del Dio totalmente altro e l'apofatismo (Gr. « teologia negativa ») degli Ortodossi. Cf Dualismo; Idealismo; Materialismo; Panteismo; Teologia apofatica.

     

    Monoenergismo (Gr. « attività unica »). (inizio)

    Un tentativo del secolo VII di conciliare i cosiddetti « monofisiti » con l'insegnamento recepito dal Concilio di Calcedonia (451) e sviluppato dal Costantinopolitano II (553). Secondo il monoenergismo, formula di compromesso proposta dal patriarca Ciro di Alessandria nel 633 e appoggiata dal patriarca Sergio di Costantinopoli, ci sarebbe una sola forma di attività in Gesù Cristo, e precisamente l'energia divina. Grazie all'opposizione del monaco san Sofronio, che divenne patriarca di Gerusalemme nel 634, il monoenergismo fu abbandonato. Cf Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano II; Essenza e Energie; Monofisismo; Monotelismo.

     

    Monofisismo (Gr. « una sola natura »). (inizio)

    Eresia attribuita a coloro che rifiutavano l'insegnamento del Concilio di Calcedonia (451) secondo il quale ci sono « due nature in una sola persona » (DS 300‑303; FCC 4.012‑4.013) e si staccarono dal Patriarcato di Costantinopoli. Nessuna delle parti, però, sosteneva chiaramente una versione integrale del monofisismo: e cioè, che l'incarnazione significasse la fusione della divinità e umanità di Cristo in una terza « natura », o che comportasse l'assorbimento della natura umana in quella divina come una goccia nell'oceano. La differenza con Calcedonia pare sia stata, almeno in parte, terminologica. Tra i dissidenti, Timoteo Erulo (morto nel 477) divenne il patriarca « monofisita » di Alessandria, e Pietro il Fullone (morto nel 488) patriarca di Antiochia. Le Chiese « monofisite » finirono per essere organizzate da Severo di Antiochia (circa 465‑538), deposto da patriarca di Antiochia nel 518. Le Chiese « monofisite » sono ora chiamate genericamente Chiese non‑calcedonesi. Cf Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano II; Eustachianismo; Ortodossi Orientali; Unione Ipostatica.

     

    Monogamia (Gr. « matrimonio unico »). (inizio)

    L'ideale di essere sposato con una sola persona (cf Mt 5,31‑32; 19,1‑9 Mc 10,2‑12; Lc 16,18). Molte società hanno ammesso la poligamia (Gr. « molti matrimoni »), ossia la prassi di avere più di una moglie, sia contemporaneamente sia successivamente. Alcune società hanno ammeso la poliandria (Gr. « molti mariti »), ossia la prassi che una donna possa avere più di un marito. I patriarchi dell'AT erano inizialmente poligami, mentre la legge di Mosè permetteva il divorzio e nuove nozze. Cristo attribuì questa usanza alla « durezza » del cuore umano e mirò a riportare il matrimonio monogamico al piano iniziale di Dio. Nella Chiesa Cattolica, un matrimonio contratto validamente rende nullo un secondo matrimonio mentre l'altro coniuge è ancora vivo (cf DS 777‑779, 1798, 1802, 3706‑3709; FCC 9.345, 9.349, 9.383). Cf Impedimenti del matrimonio; Matrimonio; Poligamia.

     

    Moneteismo (Gr. « un solo Dio »). (inizio)

    È la fede in uno (e unico) Dio personale, onnipotente, onnisciente e tutto amore, Creatore e Signore di tutto e di tutti e che pure esiste distinto da tutto l'universo e al di sopra di esso. Inizialmente, Israele ha adorato un solo Dio, senza necessariamente negare l'esistenza di divinità pagane (inferiori). Col VI secolo a. C., però, il monoteismo d'Israele ha chiaramente e nettamente negato la realtà di qualsiasi altra divinità (Is 41,21‑24; 43,10‑13; 44,8). La rivelazione neotestamentaria secondo cui nell'unico Dio ci sono tre persone non si oppone al monoteismo genuino. L'Ebraismo e l'Islamismo, però, rigettano la fede nella Trinità in quanto la ritengono incompatibile con la loro fede monoteistica. Nel campo delle religioni comparate, alcuni hanno sostenuto che il monoteismo si è evoluto da un precedente politeismo (fede in molti deì), oppure che un monoteismo primitivo e puro è spesso caduto in un successivo politeismo. Comunque, lo sviluppo effettivo delle varie religioni non sembra corrispondere facilmente e chiaramente a nessuna di queste due teorie dominanti. Cf Ebraismo; Dio; Islamismo; Mistero; Panteismo; Politeismo; Rivelazione; Teologia trinitaria; Trascendenza.

     

    Monotelismo (Gr. « una sola volontà »). (inizio)

    Eresia la quale sosteneva che Cristo, pure avendo una natura umana, mancava di una volontà umana e possedeva una sola volontà, quella divina. Dopo che il Concilio di Calcedonia (451) ebbe insegnato l'unità di persona ma la dualità di nature in Cristo, furono fatti vari tentativi per conciliare i dissidenti « monofisiti » che accentuavano l'unità di Cristo. Dopo che fu escogitata e trovata buona una nozione di compromesso delle due nature ma di una sola « energia » (monoenergismo), il patriarca Sergio di Costantinopoli incoraggiò Onorio I (papa, 625‑638) a proporre l'infelice formula di « due nature ma una sola volontà » in Cristo, formula per cui in seguito Onorio venne censurato (DS 487‑488; 496‑498; 550‑552; 561; 563; FCC 4.035‑4.039; 4.068‑4.069). L'Ectesi (Gr. « esposizione della fede ») promulgata dall'imperatore Eraclio nel 638 era basata sulla formula di sola volontà (quella divina). Nel 638 e nel 639, vennero tenuti sinodi a Costantinopoli per confermare la formula, ma il Sinodo Lateranense del 649 sotto il papa Martino I, assistito da san Massimo il Confessore, la condannarono come contraria alla piena umanità di Cristo. Il sesto Concilio ecumenico, il Costantinopolitano III (680‑681) definì solennemente che in Cristo ci sono non soltanto due nature, ma anche due volontà, le quali, però, operano in armonia nella sua persona unica (cf DS 550‑564). Cf Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano III; Duotelismo; Monoenergismo; Monofisismo.

     

    Montanismo. (inizio)

    Movimento revivalista entusiastico che iniziò con Montano, un sacerdote pagano convertitosi al cristianesimo nel II secolo nella Frigia (odierna Turchia). Ebbe molti seguaci, tra cui Tertulliano (circa 160 ‑ circa 220). Montano annunciava prossima la fine del mondo e vedeva le attività delle profetesse (come le sue discepole Priscilla e Massimilla) e dei profeti estatici come segni della fine imminente. Il movimento praticava un'ascesi rigorosa, vietava nuove nozze dopo la morte di uno dei due coniugi e imponeva regole di digiuno molto severe. Montano giunse a considerarsi come l'incarnazione dello Spirito Santo. Il disprezzo che il montanismo nutriva verso le strutture istituzionali si esprimeva tra l'altro nel modo indipendente con cui amministrava i sacramenti. Finì per essere condannato dalla Chiesa (cf DS 211, 478). Cf Parusìa.

     

    Monte Athos. (inizio)

    Famoso monte santo, all'estremità sud‑orientale della penisola calcidica nella Grecia settentrionale. Su questo promontorio ci sono venti monasteri principali, il primo dei quali fu fondato da sant'Atanasio l'Athonita nel 962. Sul Monte Athos, si trovano tutti i tipi di monaci ortodossi:

      a) gli anacoreti, o eremiti;

      b) i semi‑eremiti o anacoreti che vivono in un gruppo di eremiti sotto la guida spirituale di un monaco esperto;

      c) i cenobiti, o monaci che vivono in comunità. Il cenobitismo finì per predominare in tutto l'Oriente, specialmente dopo che san Basilio Magno (circa 330‑379) scrisse le sue due Regole. La Regola che sant'Atanasio l'Athonita adottò seguiva molto da vicino quelle di san Basilio e di san Teodoro Studita (759‑826), grande riformatore del monachesimo orientale.

      d) C'è un quarto tipo di monaco, l'« idioritmico » (Gr. « stile proprio »). È un monaco che gode in una certa misura di una indipendenza economica. Fu introdotto sul Monte Athos nel secolo XIV.

      I monaci del Monte Athos godono generalmente di una notevole autonomia amministrativa. Giuridicamente, dipendono dal patriarca di Costantinopoli. Nessuna donna può mettere piede nella penisola. Cf Anacoretismo; Cenobita; Eremita; Esicasmo; Filocalia; Monachesimo; Palamismo; Teocrazia.

     

    Morale. (inizio)

    Cf Teologia morale.

     

    Mormonismo. (inizio)

    È l'insegnamento della « Chiesa di Gesù Cristo dei santi dell'ultimo giorno » fondata nello Stato di New York nel 1830 da Joseph Smith (1805‑1844). Il Libro di Mormone che egli sosteneva di avere scoperto in seguito ad una rivelazione, parla di un profeta di nome Mormone e di profughi ebrei in una storia che va dalla Torre di Babele fino all'instaurarsi del Mormonismo negli Stati Uniti. Una rivelazione del 1843 portò lo Smith a legittimare la poligamia. Quando fu ucciso, Brigham Young (1801‑1877) stabilì la sètta nel deserto dove fu fondata Salt Lake City, nell'Utah. I Mormoni aspettano che Cristo ritorni e stabilisca su questa terra un regno per i suoi santi. Cf Millenarismo; Poligamia.

     

    Morte. (inizio)

    Il termine definitivo della nostra esistenza biologica mentre la storia della nostra vita assume dinanzi a Dio la sua forma completa e irreversibile. La Bibbia vede la morte come qualcosa di naturale (Sal 49,11‑12; Is 40,6‑7) e come conseguenza del peccato (Gn 3,19; Rm 5,12). La morte sarà l'ultima nemica ad essere vinta quando parteciperemo alla risurrezione di Cristo (1 Cor 15,26). Cf Anima; Immortalità; Risurrezione.

     

    Mortificazione (Lat. « mettere a morte »). (inizio)

    La disciplina e l'abnegazione richieste per crescere nella nuova vita che ci è data mediante la fede e il battesimo (Rm 8,13; Gal 5,24). Gesù ha evidenziato il prezzo del discepolato (Mt 10,34‑39). Paolo descrive con vivezza la lotta col peccato e con le forze di morte che devono affrontare coloro che vivono con Dio in Cristo (Rm 6,1‑19). Cf Ascesi; Croce; Digiuno.

     

    Motu proprio (Lat. « di propria iniziativa »). (inizio)

    Una lettera personale scritta dal papa all'intera Chiesa, o ad una Chiesa locale, o ad un gruppo particolare. Quando il papa Giovanni XXIII istituì una Commissione per preparare il Concilio Vaticano II, emanò un motu proprio (Acta Apostolicae Sedis, 521962, pp. 433‑437). Se una Conferenza episcopale desidera emettere una legge per il proprio territorio, deve richiedere alla Santa Sede un mandato speciale, eccetto che il papa lo conceda motu proprio (CIC 415). Cf Santa Sede.

     

    Movimento di Oxford. (inizio)

    Si chiama così un movimento anglicano (1833‑1845) che ebbe il suo centro nell'Università di Oxford e fu guidato da John Keble (1792‑1866), John Henry (poi Cardinale) Newman (1801‑1890) e Edward Bouverie Pusey (1800‑1882). Questo movimento venne a formare il primo periodo dell'Anglo‑Cattolicesimo. Ispirato dalla tradizione della Chiesa Alta (più che dalla Chiesa Bassa o Evangelica), il movimento mirava a riformare l'Anglicanesimo, sottolineava il carattere apostolico e sacramentale della Chiesa nonché il suo sacerdozio, si opponeva alle ingerenze del Liberalismo, promuoveva una tradizione cattolica del culto, lavorava per i poveri, e incoraggiava la formazione di comunità religiose maschili e femminili. Per promuovere la sua causa, il Movimento di Oxford pubblicò Tracts for the Times (volantini di attualità) (1833‑1841). Il Tract 90 di Newman (1841) sollevò un grande dibattito per la sua tendenza filocattolica. A partire dal 1836, Keble, Newman e Pusey cominciarono a pubblicare la Library of the Fathers (Biblioteca dei Padri), una collana che rivelava da dove traevano ispirazione: dal ritorno ai Padri della Chiesa. Il sermone di Keble sulla « Apostasia nazionale » (1833) diede il via al movimento. Questo ebbe fine, secondo l'estimazione comune, con l'ingresso di Newman nella Chiesa Cattolica (1845). Cf Anglo‑Cattolicesimo; Comunione anglicana; Evangelici; Liberalismo; Padri della Chiesa; Vita religiosa.

     

    Movimento liturgico. (inizio)

    Un movimento contemporaneo che cominciò tra i Cattolici, ma si diffuse presto tra altre confessioni. Consiste nell'incoraggiare tutti i membri della Chiesa a partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche e a far sì che l'Eucaristia diventi il centro reale della loro comunità. Il movimento fu iniziato dall'abate Prospero Guéranger (1805‑1875), e dall'Abbazia benedettina di Solèsmes. L'incoraggianento ufficiale venne nel 1903 quando Pio X emanò alcune norme destinate a promuovere la comunione frequente e ad effettuare la riforma della musica della Chiesa. In Europa, Benedettini come Lambert Beauduin (1873‑1960), Odo Casel (1896‑1948) e altri, come Pius Parsch (1884‑1954), Romano Guardini (1885‑1968) e Joseph Jungmann (1889‑1975) promossero non solo l'approfondimento di studi sulla liturgia, ma anche il suo sviluppo pastorale. L'Enciclica Mediator Dei di Pio XII nel 1947 portò alcune riforme che culminarono con la restaurazione delle cerimonie della Settimana Santa e con l'opera del Concilio Vaticano II. Quest'ultimo introdusse l'uso pieno delle lingue volgari e riformò i riti. Per gli Ortodossi, la liturgia è sempre stata fondamentale. Alcune riforme secondarie, come l'adozione del Calendario gregoriano, hanno a volte provocato proteste e persino scismi. Il Protestantesimo è sorto come movimento di riforma che comprendeva tra l'altro l'uso della lingua volgare e privilegiava la liturgia della Parola a scapito dell'Eucaristia. Nel secolo scorso, molti Anglicani e alcune Chiese protestanti hanno cominciato a riformare e ad incoraggiare il culto sacramentale. Negli ultimi decenni, il movimento ecumenico ha contribuito a promuovere la riforma della liturgia in molte confessioni cristiane. Cf Culto; Lingua volgare; Movimento di Oxford; Rito; Settimana Santa; Vecchi credenti.

     

    Muratoriano. (inizio)

    Cf Frammento muratoriano.

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    00 21/08/2013 17:28

    N

     

    Natale. (inizio)

    Celebrazione della nascita di Gesù il 25 dicembre. Questa festa di origine occidentale sostituì la festa pagana del Sole Invincibile e finì per diventare comune a tutte le Chiese cristiane eccetto gli Armeni. La liturgia romana permette che la Messa venga celebrata di notte (di solito a mezzanotte), all'alba e di giorno: intende così celebrare la triplice « nascita » del Figlio: nel seno del Padre, dal grembo di Maria e nel cuore dei fedeli. Cf Cristianità Armena; Epifania; Preparazione al Natale.

     

    Natura (Lat. « quello che è nato »). (inizio)

    L'intero cosmo che è buono perché è stato creato da Dio (Gn 1‑2), o qualcosa che si sviluppa e agisce secondo le proprie caratteristiche essenziali. In questo secondo senso, la dottrina cristiana parla di un'unica natura di Dio e di due nature (divina e umana) in Cristo. La teologia cattolica ha distinto la grazia (= ciò che viene a noi mediante l'attività redentrice di Dio in Cristo) dalla natura (= ciò che appartiene agli esseri umani in quanto esseri umani). Un assioma classico afferma che la grazia non distrugge la natura, ma la presuppone e la perfeziona. Qui, è importante ricordare che un ordine puramente naturale è un'astrazione. L'ordine della grazia è esistito sin dall'inizio, in quanto Dio ha chiamato liberamente tutti gli esseri umani alla sorte soprannaturale della vita eterna. I Calvinisti e altri Protestanti hanno pessimisticamente affermato che il peccato avrebbe interamente corrotto la natura umana (cf DS 1521, 1555; FCC 8.054, 8.088; GS 13). Cf. Concupiscenza; Cosmo; Creatura; Creazione; Ecologia; Entelechìa; Grazia; Legge naturale; Peccato originale; Potenza obbedienziale; Soprannaturale; Teologia naturale.

     

    Neo‑calcedonesimo. (inizio)

    Un tentativo di mediazione tra il Concilio di Calcedonia (451) che insegnò che ci sono due nature nell'unica persona di Gesù Cristo, e i cosiddetti « Monofisiti ». Essi conservarono la formula pre‑calcedonese di san Cirillo di Alessandria (morto nel 444): « l'unica natura incarnata di Gesù Cristo ». La controversia si fissò sulla parola physis (Gr. « natura ») che era ancora usata per significare sia un individuo sussistente concreto (= persona), sia la natura di quel singolo. Quei teologi cirilliani che ritennero Calcedonia come una resa ai teologi nestoriani (colpevoli, secondo loro, di aver diviso il Cristo in due individui), cercarono di re‑interpretare Calcedonia in termini di condanna del nestorianesimo da parte di Cirillo. Nella sua « terza lettera a Nestorio » (DS 252‑263), Cirillo sottolineava l'unica persona divina di Cristo, anatematizzando chiunque non avesse affermato che Dio, in Cristo, aveva sofferto sulla croce. A Calcedonia, questa lettera era stata letta, ricordata, ma non fatta propria. Il Neo‑Calcedonesimo, o interpretazione di Calcedonia nei termini della teologia di Cirillo circa la sofferenza di Dio, fu ufficialmente confermato nel Concilio Costantinopolitano II nel 553 (DS 421‑438; FCC 2.012, 4.019‑4.034).  Cf Concilio di Calcedonia; Concilio di Efeso; Concilio Costantinopolitano II; Controversia Teopaschita; Monofisismo; Sofferenza di Dio.

     

    Neo‑catecumenato. (inizio)

    Un itinerario di iniziazione cristiana sorto dopo il Concilio Vaticano II. È cominciato con Kiko Arguello (nato nel 1939) e Carmen Hernandez, con l'intento di aiutare i cristiani battezzati a scoprire o a riscoprire che cosa comportano realmente la fede e il battesimo. Questo « modo » di formazione per i battezzati, che segue le strutture del catecumenato nella Chiesa primitiva, riprende a iniziare i credenti alla loro vita cristiana, e mira a rievangelizzare paesi tradizionalmente cristiani o aiutare a radicare il vangelo più profondamente in aree evangelizzate da poco tempo. Laici, sacerdoti e famiglie, formati attraverso il neo‑catecumenato, vanno come missionari itineranti in tutte le parti del mondo. Nel 1987, un ampio seminario diocesano (« Redemptoris Mater ») è stato aperto a Roma per i membri della « via » neocatecumenale che hanno la vocazione al sacerdozio. Cf. Battesimo; Catecumenato; RICA.

     

    Neo‑ortodossia. (inizio)

    Un movimento sorto dopo la prima Guerra Mondiale, ispirato da Karl Barth (1886‑1968) e sviluppato in vari modi da altri teologi, come Emil Brunner (1889‑1966), Reinhold Niebuhr (1892‑1971) ed Helmut Richard Niebuhr (1894‑1962). Insoddisfatti dell'umanesimo ottimista del Protestantesimo Liberale, essi cercarono di riscoprire le intuizioni essenziali della Riforma e sottolinearono la parola di rivelazione e di giudizio di Dio. In modo profetico, insistettero sulla trascendenza sovrana di Dio su un mondo peccatore. Il termine « Neo‑ortodossia » è stato applicato anche all'opera di altri, come Karl Rahner (1904‑1984). Però, in senso stretto, esso si applica solo al movimento iniziato e portato avanti da Barth. Cf Protestantesimo liberale; Teologia dialettica.

     

    Neo‑palamismo. (inizio)

    È un tentativo che è stato varato nella Prima Conferenza Panortodossa (Atene, 1936) per sviluppare una sintesi teologica ortodossa capace di ricuperare il pensiero di san Gregorio Palamas (circa 1296‑1359). La teologia palamita illustra sia

      a) la trasformazione umana nell'immagine divina, sia

      b) la distinzione reale tra l'essenza e le energie in Dio che rimane sempre trascendente e radicalmente differente dalle creature.

      Alcuni dei teologi ortodossi più famosi del nostro secolo possono essere classificati come neopalamiti: Dumitru Staniloae (1903‑1993), George Florovsky (1893‑1979), Vladimir Lossky (1903‑1958), Paul Evdokimov (1900‑1971) e John Meyendorff (1925‑92). Cf Palamismo; Tomismo.

     

    Neo‑platonismo. (inizio)

    È un'interpretazione rinnovata e religiosa della filosofia di Platone (427‑347 a.C.) che fiorì dal III al VI secolo d.C. Plotino (205‑270) fu il rappresentante più importante di questo movimento. Altri esponenti furono Porfirio (circa 232 ‑ circa 303), Giamblico (circa 250‑330) e Proclo (410‑485). Plotino parlava dell'anima, o psyché, della mente o noùs, e dell'Uno o hèn dal quale è venuto il mondo della materia attraverso un sistema di emanazioni. Dietro e al di là di ogni esperienza, c'è l'Uno dal quale veniamo e al quale ritorneremo attraverso la purificazione, la conoscenza e l'amore. Profondamente mistico, il neo‑platonismo è stato spesso interpretato come panteistico. Ha esercitato un influsso notevole su sant'Agostino di Ippona (354‑430) e su altri Padri della Chiesa. Cf Padri della Chiesa; Panteismo; Platonismo.

     

    Neo‑scolastica. (inizio)

    Un rinnovamento della filosofia cristiana e della teologia medievale, considerata spesso  come sinonimo  di  neo‑tomismo,  ma  di  fatto alquanto più ampio nei suoi contenuti e nei suoi metodi. Nel Collegio Romano (che fu poi l'Università Gregoriana), Gesuiti come Luigi D'Azeglio Taparelli (1793‑1862), Matteo Liberatore (1810‑1892) e Joseph Kleutgen (1811‑1893) cominciarono a restaurare la Scolastica. Un antico studente del Taparelli, Gioacchino Pecci (1810‑1893), divenuto vescovo di Perugia e poi papa, Leone XIII, appoggiò con decisione cuesto movimento. La sua enciclica Aeterni Patris (1879) prescrisse l'insegnamento del Tomismo nelle facoltà cattoliche di teologia (cf DS 3135‑3140). Fino al Vaticano II (1962‑1965), la neo‑scolastica contribuì a dare struttura e chiarezza al pensiero teologico cattolico. Però, il progresso negli studi biblici, storici, patristici e liturgici mostrò che questa chiarezza era alle volte puramente formale, verbale e priva di sostanza. Dal lato filosofico, nuove correnti come l'esistenzialismo, l'analisi linguistica, il personalismo, lo strutturalismo, ecc. hanno creato una situazione di pluralismo. Cf Neo‑Tomismo; Scolastica; Tomismo.

     

    Neo‑tomismo. (inizio)

    È un recupero moderno del pensiero di san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), considerato comunemente come il più grande filosofo e teologo del Medioevo. Tra i più importanti neo‑tomisti, c'è da ricordare: Louis Billot (1846‑1931); il cardinale Désiré Mercier (1851‑1926); Ambroise Gardeil (1859‑1931); Antonin Gilbert Sertillanges (1863‑1948); Maurice de Wulf (1867‑1947); Maurice de la Taille (1872‑1933); Réginald Garrigou‑Lagrange (1877‑1964); Jacques Maritain (1882‑1973); Étienne Gilson (1884‑1978); Marie‑Dominique Chenu (1895‑1990) e Yves Congar (nato nel 1904). Cf Neo‑Scolastica; Scolastica; Tomismo.

     

    Nestorianesimo. (inizio)

    Eresia (condannata nel 431 nel Concilio di Efeso) secondo cui in Cristo ci sarebbero due persone differenti, una umana e l'altra divina. Questa eresia fu attribuita a Nestorio (morto nel 451 circa), un monaco di Antiochia che divenne patriarca di Costantinopoli (428‑431). Sembra, però, che egli non abbia sostenuto proprio così una visuale del genere. Sembra meglio distinguere il nestorianesimo come eresia, giustamente condannato ad Efeso (431) e la visuale di Nestorio la cui ortodossia continua ad essere dibattuta anche oggi, ma la cui intenzione sembra essere stata ortodossa. Nestorio era contrario al titolo mariano popolare Theotókos (Gr. « Madre di Dio »), probabilmente perché temeva che esso minacciasse la piena e distinta divinità e la umanità di Cristo, mentre era disposto ad accettare il titolo purché fosse inteso rettamente. Cf Apollinarismo; Arianesimo; Assiriana; Chiesa apostolica assiriana; Concilio di Calcedonia; Concilio di Efeso; Eutichianesimo; Monofisismo; Teologia antiochena; Theotókos.

     

    Nicea. Cf Concilio di Nicea; Simbolo niceno. (inizio)

     

    Nichilismo (Lat. « non accettare nulla »). (inizio)

    Termine generico per designare quelle filosofie le quali affermano che la realtà in sé è priva in ultima analisi di significato. Un atteggiamento del genere essenzialmente ateo può reggere la vita e imporre un significato con l'esercitare la propria volontà, come fu il caso di Friedrich Nietzsche (1844‑1900). Col professare l'assurdità dell'universo, la filosofia di Albert Camus (1913‑1960) e di altri esistenzialisti può contenere elementi di nichilismo. Cf Ateismo; Esistenzialismo.

     

    Nominalismo. (inizio)

    Una filosofia che si è sviluppata nel Medioevo e sostiene che i nomi (Lat. nomina) dati alle cose, mentre sono utili allo scopo di classificazione, non descrivono validamente la realtà. Ogni sostanza è irriducibilmente singola; non ci sono nature comuni; i concetti universali esistono solo nella mente. Guglielmo di Occam (circa 1285‑1347) fu il nominalista più famoso. Questa filosofia intaccava la teologia, specialmente le dottrine riguardanti Dio, la giustificazione e i sacramenti. Mediante Gabriel Biel (circa 1420‑1495), maestro di Martin Lutero (1483‑1546), il nominalismo esercitò un grande influsso sulla Riforma. Elementi di nominalismo si trovano in certe forme del linguaggio della filosofia e dell'esistenzialismo. Cf Esistenzialismo; Filosofia; Platonismo; Riforma; Universali.

     

    Nomocanone (Gr. « legge » e « regola »). (inizio)

    Termine usato dai cristiani d'Oriente per indicare raccolte di canoni ecclesiastici e di leggi civili che hanno qualche rapporto con la Chiesa. L'esempio più antico è attribuito a Giovanni III, Patriarca di Costantinopoli (morto nel 577), chiamato « Scolastico » (Gr. « avvocato »), perché era pratico di legge fin da giovane ad Antiochia. Cf Fonti del diritto canonico orientale; Sinfonia.

     

    Non‑violenza. (inizio)

    La teoria e la prassi di coloro che, come Mahatma Gandhi (1869‑1948) e Martin Luther King (1929‑1968), si adoperarono per eliminare l'ingiustizia politica e religiosa senza ricorrere alla forza fisica e alla guerra. Questi movimenti non violenti del nostro secolo hanno attinto dal pensiero Indù, dalla pratica della disobbedienza civile verso le leggi ingiuste come fece David Thoreau (1817‑1862) e soprattutto dall'esempio e dall'insegnamento di Cristo in particolare dalle beatitudini evangeliche e dal discorso della montagna (Mt 5,1-7,29; cf GS 78). Cf Beatitudini; Guerra; Legge; Pace.

     

    Note (segni) della Chiesa. (inizio)

    Sono le qualità essenziali della Chiesa di Cristo: unità, santità, cattolicità, apostolicità (Simbolo Niceno‑Costantinopolitano). Dopo che Giovanni Wycliffe (circa 1330‑1384) e Giovanni Hus (circa 1372‑1415) ebbero accentuato il lato « spirituale » della Chiesa, il cardinale domenicano Giovanni da Torquemada (zio del futuro grande inquisitore) scrisse nel 1431 un trattato sulla Chiesa basato sulle sue quattro note visibili. Durante la Riforma, certi apologisti, come il cardinale Stanislao Osio (1504‑1579) e san Roberto Bellarmino (1542‑1621) accentuarono queste note per reagire a quelli che, come Martin Lutero (1483‑1546), sostenevano che l'insegnamento genuino del vangelo era l'unica nota caratteristica della vera Chiesa di Gesù Cristo. Ai giorni nostri, la denuncia profetica dell'ingiustizia e l'azione contro di essa hanno assunto un grande ruolo come segno visibile della santità della Chiesa nel mondo; vedi Giovanni Paolo II, enciclica Sollicitudo rei socialis (1987). Cf Apostolicità; Cattolicità; Chiesa; Hussiti; Riforma (La); Santità; Santità della Chiesa.

     

    Notte oscura. (inizio)

    Di notte, il mondo visibile scompare, cedendo il posto al mondo invisibile. Per i mistici, la « notte » diviene il luogo privilegiato per incontrare Dio. « Oscura » indica che questa esperienza privilegiata avviene attraverso prove che purificano l'anima dagli attaccamenti terreni. Con san Giovanni della Croce (1542‑1591), si può distinguere la notte oscura dei sensi, che indebolisce l'attaccamento ai beni sensibili, e quella dello spirito, che distacca l'anima dalle consolazioni spirituali. Cf Mistica; Spiritualità.

     

    Noús (Gr. « mente »). (inizio)

    L'intelligenza, ossia la facoltà umana di intendere. Il binomio Noùs ‑ Lògos (Gr. « mente ‑ parola ») si trova nella cristologia di Evagrio Pontico (346‑399) secondo il quale l'anima di Cristo sarebbe preesistente e la mente sarebbe il punto di unione tra il Lògos eterno e l'umanità di Cristo. Cf Cristologia; Origenismo.

     

    Novazianismo. (inizio)

    Uno scisma che sorse riguardo al trattamento usato verso coloro che erano venuti meno alla fede cristiana durante la persecuzione (249‑250) dell'imperatore Decio. Novaziano, sacerdote romano e autore di un'opera pienamente ortodossa sulla Trinità, si allineò in un primo tempo con la prassi di riconciliare gli apostati, ma in seguito invocò un trattamento più severo. Il motivo di questo voltafaccia pare sia stato dovuto alla delusione che provò quando nel 250 fu eletto papa Cornelio. Novaziano si fece consacrare vescovo e si pose come rivale di Cornelio. Morì poi martire nella persecuzione (257‑258) sotto l'imperatore Valeriano. La sua comunità continuò fino al V secolo (cf DS 109; FCC 7.119). Nel Concilio Niceno I (325) subirono una condanna mite per la loro pretesa di essere catharòi (Gr. « puri ») e di formare una chiesa di santi che escludeva i peccatori (DS 127; FCC 9.041). Più tardi, furono criticati perché ribattezzavano gli eretici (DS 183, 211‑212, 214; cf anche 705, 1670; FCC 9.043, 9.229). Cf Donatismo; Riformismo; Sacramento della Penitenza; Scisma.

     

    Novizio (Lat. « nuovo »). (inizio)

    Un membro in prova di un istituto religioso. I novizi vivono insieme in una residenza speciale chiamata noviziato, possono indossare l'abito religioso del proprio istituto e devono seguire un corso di formazione della durata di almeno un anno intero (cf CIC 641‑653; 1196) prima di essere ammessi ai primi voti. Cf Monachesimo; Vita religiosa; Voti.

     

    Numinoso (Lat. « che appartiene alla divinità »). (inizio)

    Il timore sacro ispirato dalla presenza divina. Rudolf Otto (1869‑1937) nella sua opera famosa « Il Sacro » (originale tedesco, 1917) affermò che la religione ha origine dall'esperienza numinosa del « mysterium tremendum et fascinans » (Lat. « il mistero che ad un tempo sgomenta e affascina »). Cf Esperienza religiosa; Santità.

     

    Nuova Eva. (inizio)

    È un titolo che si dà a Maria, madre fisica di Cristo e madre spirituale degli uomini. Il parallelismo e il contrasto tra la prima Eva, « la madre di tutti i viventi (Gn 3,20), e Maria come Nuova Eva risale a san Giustino Martire (morto nel 165). Il contrasto si fonda non solo sul fatto che si parla di Gesù come del « secondo » o « nuovo » Adamo (Rm 5,14; 1 Cor 15,22.45‑49; cf DS 901), ma anche sulla fede dimostrata da Maria. Come hanno fatto notare i Padri della Chiesa, dove la disobbedienza di Eva portò la morte, l'amore obbediente di Maria portò la vita a tutta l'umanità grazie all'attività redentrice del Figlio suo (cf LG 56, 63). Cf Adamo; Corredentrice; Eva; Mariologia.

     

    Nuovo Testamento. (inizio)

    I 27 libri della Bibbia che vengono dopo i 45 la maggioranza dei quali si hanno in comune con gli Ebrei (Antico Testamento). I cristiani riconoscono questi libri (i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, 21 lettere e l'Apocalisse) come scritti sotto l'ispirazione speciale dello Spirito Santo, normativi per la fede e facenti parte del « Canone delle Scritture ». « In modo eminente », la Chiesa trova nel NT, e in particolare nei Vangeli, una « testimonianza perenne e divina » alla realtà di Gesù Cristo (DV 17‑20). Cf Alleanza; Antico Testamento; Bibbia; Canone delle Scritture; Ispirazione biblica; Marcionismo; Vangeli dell'infanzia.

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    00 21/08/2013 17:30

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    Obbedienza. (inizio)

    Consiste nella volontà di osservare le leggi e i comandi o nell'accettare come vere le asserzioni che vengono dall'autorità. Solo Dio ha l'autorità suprema e assoluta. Gli esseri umani (per es., i genitori verso i loro figli, lo Stato verso i cittadini, i pastori della Chiesa verso i fedeli) partecipano dell'autorità divina in grado vario e limitato. Per compiere la volontà del Padre, Cristo si fece « obbediente fino alla morte » (Fil 2,8; cf Eb 5,8), lasciandoci l'esempio perfetto di obbedienza amorosa (Gv 15,10). Radicalmente opposta alla disobbedienza che è peccato, la fede significa obbedienza a Dio e ai comandamenti divini (Mt 7,21; Rm 1,5; 16,26). All'interno della Chiesa, tutti professano un'obbedienza rispettosa al papa e ai vescovi, in quanto la natura della sottomissione è in rapporto col grado dell'autorità esercitata (LG 25, 27). Coloro che sono legati dal voto di obbedienza nella vita religiosa devono un'obbedienza particolare ai loro superiori e alla regola del loro istituto religioso (PC 14; CIC 573, 590, 598, 601, 618). I presbiteri diocesani praticano un'obbedienza speciale ai loro vescovi (PO 15; CIC 273). Cf Autorità; Magistero; Vita religiosa.

     

    Occasionalismo. (inizio)

    Una filosofia che nega l'attività causale di tutte le cose create. Dio è l'unica causa di tutto ciò che succede; non esistono vere cause seconde. Anticipato in un certo senso da alcuni Musulmani e altri pensatori medievali, l'occasionalismo classico sorse come risposta al problema sollevato dal dualismo di René Descartes (Cartesio: 1596‑1650): Come può la mente esercitare un influsso causale sulla materia? L'occasionalismo di Arnold Geulincx (1624‑1669) e specialmente quello di Nicola Malebranche (1638‑1715) negarono semplicemente qualsiasi causalità. Le cose create, compresa la mente umana, non agiscono: forniscono soltanto l'« occasione » per gli innumerevoli interventi di Dio. In teologia, le tendenze occasionaliste hanno alle volte negato la genuina causalità sacramentale, riducendo i sacramenti a puri « pretesti » per l'elargizione della grazia di Dio. Cf Causalità; Creazione.

     

    Oikoumene (Gr. « la terra abitata »). (inizio)

    Il mondo abitato, o l'Impero romano che si diceva (esagerando) corrispondesse al mondo intero (cf Lc 2,1). Coloro che parlavano del Mediterraneo (Lat. « in mezzo alla terra ») come del centro del mondo consideravano i paesi di cultura greca come l'oikoumène, ossia come l'intero mondo civilizzato. Così, l'aggettivo « ecumenico » venne a significare « universale » in espressioni come « Concilio ecumenico ». A partire dal VI secolo, il patriarca di Costantinopoli venne chiamato « Patriarca Ecumenico » nel senso che gode di un primato sui cristiani bizantini. Cf Autocefalo; Concili ecumenici; Ecumenismo.

     

    Olocausto (Gr. « qualcosa che viene interamente bruciato »). (inizio)

    Sacrificio dell'AT in cui la vittima veniva interamente consumata dal fuoco. Si riteneva che Dio si manifestava nel fuoco (Es 3,2; 19,18; 1 Re 18,36‑39). Dal lato dell'uomo, col fuoco si veniva a simboleggiare che gli offerenti non tenevano nulla per sé. I Profeti e altri hanno insistito nel dire che simili sacrifici erano superficiali o addirittura vani se non erano accompagnati da una giusta relazione con Dio e col prossimo (Is 1,11; Ger 7,21‑26; Sal 51,18‑19; Mc 12,33). Secondo il NT, l'obbedienza sacrificale di Cristo ha portato a compimento e ha superato tutti gli olocausti (Eb 10,1‑10). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la parola « Olocausto » è stata applicata ai sei milioni di Ebrei massacrati dai Nazisti nell'intento di sterminare l'intera razza ebraica. Cf Giudaismo; Sacrificio.

     

    Omega. Cf Punto omega. (inizio)

     

    Omei (Gr. « simile »). (inizio)

    Un gruppo di Ariani con a capo il vescovo Acacio di Cesarea (morto nel 366 circa), i quali cercavano di fare da mediatori tra i Semi‑Ariani e coloro che accettavano il Concilio Niceno I. Con l'appoggio dell'imperatore Costanzo, la loro formula (« il Figlio simile in tutto al Padre secondo le Scritture ») fu avallata nel Concilio di Sirmio (359). In seguito, la formula ridotta « simile al Padre » cadde non appena morì l'imperatore. Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I; Omooùsios; Semi‑Arianesimo.

     

    Omelia (Gr. « compagnia », « conversazione »). (inizio)

    Originariamente, era una riflessione sulla Sacra Scrittura durante il culto cristiano. Questa usanza proveniva da una pratica del genere nelle sinagoghe ebraiche (cf Lc 4,16‑22; At 13,15). Il termine venne poi a indicare i sermoni rivolti dai vescovi al loro gregge. Omeliario si chiama un libro che raccoglie le omelie dei Padri da leggersi durante la Liturgia delle Ore. Nell'uso corrente, si intende per omelia il sermone tenuto nell'Eucaristia dopo il vangelo e che vuol favorire lo sviluppo della fede e della vita cristiana spiegando i testi scritturistici che sono stati appena letti. Nelle domeniche e nelle feste importanti, non si dovrebbe mai omettere l'omelia; è raccomandata anche nelle messe in settimana, specialmente in Avvento e Quaresima (SC 24, 52; CIC 767). Nella Messa, l'omelia è tenuta di solito dal vescovo, dal presbitero o dal diacono. Siccome Cristo è presente non solo nei sacramenti, ma anche nella Parola di Dio (DV 24; SC 7), il Vaticano II raccomanda le omelie. Esse richiedono una familiarità profonda con la Scrittura e sono di stimolo all'ascolto della Parola di Dio. Cf Bibbia; Predicazione; Teologia pastorale.

     

    Omiletica. (inizio)

    Il settore della teologia pastorale dedicato all'arte e alla scienza di una predicazione efficace. Cf Teologia pastorale.

     

    Omooùsios (Gr. « della stessa sostanza », « consostanziale »). (inizio)

    Termine che si riferisce a Cristo e che fu inserito nel Simbolo dal Concilio di Nicea per combattere l'Arianesimo. Sebbene prima fosse stato usato in un senso sospetto o addirittura eretico dagli Gnostici e da altri, questo termine a Nicea espresse l'identità di natura del Padre e del Figlio, implicando una corrispondente uguaglianza in dignità. Seguirono cinquanta anni di dispute. Sant'Atanasio (circa 296‑373) in Oriente, sant'Ilario di Poitiers (circa 315‑367) in Occidente, furono i campioni dell'omooùsios, mentre oppositori come Basilio di Ancira (oggi: Ankara) e Giorgio di Laodicea vi aggiunsero una « i » e sostennero che Cristo era omoioùsios, cioè, simile nella sostanza al Padre. Cf Arianesimo; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I.

     

    Onnipotenza (Lat. « che può tutto »). (inizio)

    Attributo secondo cui Dio è potenza infinita (2 Cor 6,18; Ap 1,8; 4,8). Nelle professioni di fede, l'onnipotenza è di solito « appropriata », ossia attribuita a Dio Padre, pure essendo onnipotenti anche le altre due Persone divine (cf DS 29, 75, 164, 169, 173, 441 e 449; FCC 0.510, 6.009, 6.012, 6.016). Il mistero del male è stato spesso addotto come obiezione contro l'esistenza di un Dio che è onnipotente, bontà infinita e onnisciente. L'onnipotenza non significa che Dio può fare ciò che è logicamente impossibile (per es., fare un cerchio quadrato) o fare ciò che è opposto agli altri attributi divini. Cf Albigeismo; Appropriazione; Attributi divini; Dualismo; Mistero del male; Pantocràtor; Teodicea.

     

    Onnipresenza (Lat. « presenza dovunque »). (inizio)

    Attributo secondo cui Dio è presente dovunque (Sal 139,7‑12; At 17,24‑28). Mentre è presente dovunque come fonte creatrice di tutte le cose, Dio è presente anche in vari altri modi; per es., attraverso le persone umane, la Bibbia, il culto comunitario e i sacramenti (SC 7). Cf Creazione; Panteismo; Transostanziazione.

     

    Ontologia (Gr. « studio dell'essere »). (inizio)

    Lo studio delle verità necessarie degli esseri in quanto esseri esistenti. Introdotto nell'uso comune da Christian Wolff (1679‑1754), il termine « ontologia » è spesso sinonimo di « metafisica ». Cf Causalità; Filosofia; Metafisica.

     

    Ontologico. (inizio)

    Cf Argomento ontologico.

     

    Ontologismo. (inizio)

    È una epistemologia del XIX secolo sostenuta da molti pensatori cattolici in Belgio, Francia e Italia. Essi affermavano che noi abbiamo una conoscenza di Dio immediata e innata. Il termine fu usato per la prima volta da Vincenzo Gioberti (1801‑1852) nella sua opera: Introduzione allo studio della filosofia (1840). Gli ontologisti ritenevano, e in parte era vero, di essere nella linea di Platone (427‑347 a.C.), di sant'Agostino di Ippona (354‑430), di sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109) e di san Bonaventura (1221‑1274). Però, parlavano inadeguatamente del ruolo della percezione dei sensi e della natura limitata della nostra conoscenza di Dio in questa vita (cf Gv 1,38; 1 Gv 3,2). Nel 1861, il Vaticano condannò come ambigue parecchie proposizioni dell'ontologismo (cf DS 2841‑2847; FCC 1.034‑1.037). Nell'affermare che una qualche presenza previa di Dio nella nostra conoscenza è la condizione logica per qualsiasi conoscenza ulteriore, i tomisti trascendentali come Bernard Lonergan (1904‑1984) e Karl Rahner (1904‑1984) hanno difeso, in una forma modificata, una intuizione fondamentale dell'ontologismo. Cf Agostinianismo; Argomento ontologico; Epistemologia; Visione beatifica.

     

    Opere buone(inizio)

    Azioni che sono ispirate dalla fede e dallo Spirito Santo. Tra di esse, vi sono: la preghiera, il digiuno, l'elemosina, la protezione dei deboli, la visita ai malati, l'edificazione del prossimo, l'insegnamento e la pratica dell'ospitalità (Mt 8,12; Rm 12,1-15,13; Gc 1,26-2,17). Cf Fede e opere.

     

    Opzione fondamentale (Lat. « scelta di fondo »). (inizio)

    Orientamento generale di vita, o decisione particolare e molto seria che determina per il bene o per il male l'essenziale della nostra situazione morale e religiosa. Le riflessioni sull'opzione fondamentale si sono sviluppate come reazione ad un legalismo che considerava gli atti morali isolatamente dall'intero contesto della vita e della crescita di uno. Cf Conversione; Libertà; Persona; Peccato; Teologia morale.

     

    Opzione per i poveri. (inizio)

    Questo comportamento di vita ecclesiale è stato reso popolare dai teologi della liberazione. L'opzione per i poveri stimola i cristiani a lavorare in modo speciale per effettuare la giustizia sociale a favore di quei tanti milioni di esseri umani che non hanno cibo sufficiente, sono privi di casa, di assistenza medica, di educazione, di lavoro e di altri diritti umani fondamentali. Questo tema fu trattato dai vescovi dell'America Latina fin dal loro secondo Sinodo generale tenutosi a Medellín (Colombia) nel 1968. Nella Enciclica Sollicituido rei socialis del 1987, Giovanni Paolo II ha esortato tutti alla solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri mediante attività concrete a livello locale (42, 43, 47). Questo interesse speciale a favore degli sfruttati, degli indifesi e degli emarginati trae la sua ispirazione dai profeti dell'AT (per es., Is 1,10‑20) e dal messaggio e dalla condotta di Gesù (Lc 6,20; 16,19‑31; 17,11‑19). Sia nell'AT che nel NT, Dio manifesta un amore preferenziale, anche se non esclusivo, per i poveri. In un modo speciale, la presenza e l'attività di Dio si rivelano nei poveri. Il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i cristiani, specialmente quelli dei paesi ricchi, a esercitare maggiore giustizia e amore nel promuovere la causa dei poveri (GS 69, 88). Cf Anawim; Beatitudini; Dottrina sociale; Povertà; Teologia della liberazione.

     

    Ordinario. (inizio)

    Con questo nome, si intendono: il vescovo di una diocesi (« l'ordinario del luogo »), il suo vicario generale e i vicari episcopali designati dal vescovo, tutti coloro che esercitano una giurisdizione normale nella diocesi e che hanno qualche responsabilità importante in questa chiesa particolare (CIC 134, 368). Nel caso di istituti religiosi clericali, i superiori maggiori (per es., il provinciale o capo di una provincia) esercita la giurisdizione « ordinaria » sui suoi sudditi. Cf Chierico; Chiesa locale; Clero; Diocesi; Giurisdizione; Vescovo.

     

    Ordinazione. (inizio)

    È la cerimonia liturgica con cui i candidati diventano diaconi, presbiteri (sacerdoti) o vescovi. Al termine della liturgia della Parola e prima che cominci quella eucaristica, il sacramento dell'Ordine viene conferito con l'imposizione delle mani e la recita della formula prescritta. L'ordinazione prosegue col conferimento della stola al diacono e della pianeta al presbitero. Ad entrambi è presentato il libro dei Vangeli, mentre il sacerdote riceve anche il calice e la patena. Dopo l'ordinazione, il vescovo riceve l'anello, la mitra e il pastorale e siede sul trono come segno della sua autorità di magistero. Cf Diacono; Insediamento; Ordine; Presbitero; Sacerdoti; Vescovo.

     

    Ordine. (inizio)

    È il sacramento che conferisce un « carattere » speciale e rende chi lo riceve partecipe del sacerdozio ministeriale di Cristo nell'insegnamento, nel governo della Chiesa e nella celebrazione del culto. Comprende tre gradi: i vescovi, i presbiteri e i diaconi. In ognuno di questi casi, il rito dell'ordinazione mette in evidenza che il candidato è stato chiamato e scelto; viene invocato lo Spirito Santo per gli esercizi effettivi del nuovo ministero; e, oltre a varie preghiere, avviene un'imposizione delle mani da parte del vescovo ordinante. Gli Anglicani, i Cattolici e gli Ortodossi ritengono l'Ordine di istituzione divina, per cui gli ordinati rappresentano Cristo in certi ministeri che non possono compiere i non ordinati. Cf Carattere; Clero; Diacono; Ministero; Ordinazione; Presbitero; Sacramenti; Unzione; Vescovo.

     

    Orientali. (inizio)

    Cf Chiese orientali; Ortodossi orientali; Teologia orientale.

     

     

    Origenismo. (inizio)

    Le teorie e la scuola il cui pensiero si ispira a Origene di Alessandria (circa 185 ‑ circa 254). Egli sviluppò un'ermeneutica biblica in termini di sensi della Scrittura letterale, morale e allegorico. Come primo grande teologo sistematico del cristianesimo, Origene fece uso di immagini (partendo dalla realtà sensibile per simboleggiare il mondo spirituale invisibile) e sottolineò la nostra deificazione mediante la grazia. Il suo amore per l'allegoria, e, ancora di più, le sue tesi circa la salvezza finale di tutti (= apocatàstasi), la preesistenza delle anime umane (compresa quella di Cristo) e un'apparente subordinazione del Figlio al Padre incontrarono una continua critica e opposizione. Alla fine l'imperatore Giustiniano I fece condannare l'origenismo in un sinodo nel 543 e poi nel Concilio Costantinopolitano II nel 553 (cf DS 298, 353, 403‑411, 433, 519; FCC 0.008, 3.002, 3.027, 4.030). Tuttavia non è ancora chiaro fino a che punto abbia sbagliato, sino a che punto stesse semplicemente indagando su una varietà di teorie e sino a che punto certe false visuali siano state ascritte a lui dopo la sua morte. È difficile pronunciarsi, in quanto le sue opere sono state in gran parte distrutte. Un giudizio sereno su Origene deve tener conto che vari Padri della Chiesa sono stati grandi suoi ammiratori, come sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373), san Basilio Magno (circa 330‑379) e san Gregorio Nazianzeno (329‑389). Cf Allegoria; Apocatàstasi; Ermeneutica; Esegesi; Platonismo; Sensi della Scrittura; Teologia alessandrina.

     

    Originale. (inizio)

    Cf Giustizia originale; Peccato originale

     

     

    Ortodossia (Gr. « retta credenza »). (inizio)

    Credenza e insegnamento riconosciuti dalla Chiesa come veramente basati sull'autorivelazione divina in Gesù Cristo. L'AT usava vari criteri per distinguere i veri dai falsi profeti (Dt 13,1‑7; 18,21‑22; Ger 23,9‑40; 28,9.15‑17; cf Mt 7,15‑20). San Paolo, nelle sue Lettere, si mostra grandemente intento a conservare la rivelazione genuina e la dottrina che egli e altri hanno trasmesso (Rm 16,17; 1 Cor 11,2; 15,1‑11; Gal 1,6‑9). Altri libri successivi del NT riflettono un impegno simile per un insegnamento consono e fedele alla rivelazione originale (1 Tm 1,3‑11; 6,2‑5; 2 Tm 1,13‑14; 4,3; Tt 1,9; 2,1; Gd 3). Il termine « ortodossia » entrò a far parte del vocabolario della Chiesa durante le grandi controversie trinitarie e cristologiche dei secoli III, IV e V. In Oriente, questo termine venne usato per designare le Chiese unite a Costantinopoli e a Roma, in quanto distinte dalla Chiesa nestoriana e da quella monofisita. Quando la crisi iconoclasta ebbe fine nell'842, fu stabilita in Oriente una Festa della Ortodossia nella prima domenica di Quaresima. Nel Synodikon, o sommario di sinodi che viene letto in quel giorno, una litania di maestri e santi ortodossi è letta in contrapposizione ad una lista di eretici anatematizzati. L'etimologia popolare che collega « ortodossia » con « retto culto » indica come la liturgia garantisca la verità e la vitalità dell'insegnamento nelle Chiese d'Oriente. Cf Deposito della fede; Dogma; Chiese Orientali; Eresia; Eterodosso; Iconoclasmo; Monofisismo; Nestorianesimo; Ortodossi Orientali; Professione di fede; Tradizione.

     

    Ortodossi orientali. (inizio)

    Un termine moderno per designare quelle Chiese Orientali che hanno rifiutato il Concilio di Calcedonia (451) ritenendolo non conforme a san Cirillo di Alessandria (morto nel 444) e una resa al duofisismo (Gr. « due nature ») nestoriano. Queste Chiese accettano i primi tre concili ecumenici, a differenza degli altri Ortodossi che accettano i primi sette. Le Chiese ortodosse sono autocefale, ma riconoscono il patriarca di Costantinopoli come simbolo di unità. Gli Ortodossi Orientali sono anch'essi autocefali, ma non hanno questo punto di unità. Cf Autocefalo; Chiese Orientali; Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Efeso; Concilio di Nicea I; Monofisismo; Nestorianesimo; Sette Concili ecumenici (I).

     

    Ortoprassi (Gr. « retto comportamento »). (inizio)

    Attività autocritica che mira a « fare la verità » (Gv 3,21; cf Gal 5,6), a praticare il discepolato cristiano e a trasformare la società umana. A partire dagli anni '60, questo termine fu reso popolare da Johann Baptist Metz (nato nel 1928), da Nikos Nissiotis (morto nel 1986), dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e dalla teologia della liberazione. L'ortoprassi trae la sua ispirazione dalla predicazione di Gesù sul Regno di Dio e dalla sua condotta che lo condusse fino alla morte. L'ortoprassi porta alla preghiera e al culto pubblico ed è alimentata da essi. L'autentica ortoprassi rende credibile l'ortodossia, e la vera ortodossia, a sua volta, è manifestata nell'ortoprassi. Da una parte, un'ortodossia puramente formale non è migliore di una conformità verbale a un sistema di affermazioni dottrinali. D'altra parte, un'enfasi unilaterale sull'ortoprassi può deteriorarsi in un puro attivismo staccato dalla fede e dal culto cristiano. Cf Comunità di base; Pluralismo; Prassi; Ortodossia; Scuola di Francoforte; Teologia femminista; Teologia della liberazione; Teologia nera; Teologia politica.

     

    Ossessione diabolica. (inizio)

    Il comportamento frenetico, violento od osceno di persone che sono sotto il controllo di forze demoniache. Il NT, ma non il Vangelo di Giovanni, parla di ossessi liberati dalla forza salvifica di Cristo (Mc 1,23‑28; 5,1‑20; Lc 11,14‑20; At 19,13‑16). La tradizione cristiana ha ammesso la reale possibilità di ossessione diabolica. Nello stesso tempo, però, molti casi si possono spiegare come disturbi psichici più che schiavitù letterale del demonio. Un caso famoso fu quello del gesuita Jean‑Joseph Surin (1600‑1665), il quale volle esorcizzare un convento di Orsoline e cadde in uno stato patologico che fu interpretato da molti come ossessione diabolica. Cf Demoni; Diavolo; Esorcismo.

     

    Ottoeco (Gr. « Oktòikos »: otto toni). (inizio)

    È un libro liturgico della Chiesa greca per gli uffici propri del ciclo mobile dalla prima domenica dopo Pentecoste (che nella Chiesa greca è il Giorno di tutti i Santi) alla prima domenica del periodo pre‑quaresimale. Abbraccia ciò che la liturgia latina chiama « Tempo Ordinario » dell'anno liturgico, ed è usato col Triòdion fino a quando viene sostituito interamente da quest'ultimo per la Domenica delle Palme e la Settimana Santa. Il nome Ottoeco si riferisce alla scala dei suoi otto toni: nella prima settimana dopo Pentecoste, è usato il primo tono; il secondo nella seconda settimana, e così via. Mediante questa ripetizione, un ciclo di otto settimane con cinquantasei propri, uno per ogni giorno della settimana in ognuno degli otto toni, regola una buona parte dell'anno liturgico. Usato originariamente solo nelle domeniche (Piccolo Ottoeco), esso venne poi esteso a comprendere i giorni della settimana in quello che fu chiamato il Grande Ottoeco, o Paraklitikì. Cf Pentikostàrion; Triòdion.

     

    Ousìa (Gr. « sostanza », « essenza »). (inizio)

    Termine usato nel I Concilio di Nicea (325) per indicare l'unica natura divina posseduta dal Padre e dal Figlio (DS 125‑126; FCC 0.503‑0.504). Il Concilio Costantinopolitano I (381) affermò la divinità dello Spirito Santo (DS 150‑151; FCC 4.019). Che le tre Persone divine possiedano la stessa « ousìa » fu esplicitato dal Concilio Costantinopolitano III (553) (DS 421; FCC 0.509). In Latino, ousìa viene tradotto non solo con « essentia » (« essenza »), ma anche con « substantia » (« sostanza »), termine che è troppo facilmente associato con una parola greca che indica « persona » (hypòstasis). Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio Costantinopolitano II; Concilio Costantinopolitano III; Concilio di Nicea I; Ipostasi; Omooùsios; Persona.

     

        Oxford. Cf Movimento di Oxford. (inizio)  

     

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    00 21/08/2013 17:32

    P

    Pace. (inizio)

    È così definita da sant'Agostino di Ippona (354‑430): « la tranquillità dell'ordine ». Sia per l'Antico che per il NT, la pace è molto più che la semplice assenza di guerra (cf Is 2,4; Mic 4,3; Mc 9,50; Lc 14,34). Shalom (Ebr. « salute », « pace ») è il benessere complessivo dato mediante l'unione con Dio, in particolare la pace salvifica associata con l'era messianica (Is 9,1‑7; 11,1‑9; 32,15‑20). Gesù ha proclamato beati gli operatori di pace (Mt 5,9). Risorto dai morti, egli ha portato quella pace che « il mondo non può dare » (Gv 14,27; 20,19.21; Col 3,15) e che comporta una solidarietà nuova (Gal 3,28; Ef 2,13‑18) effettuata mediante la sua morte e risurrezione (Col 1,20). I suoi discepoli devono proclamare la pace, il messaggio della salvezza escatologica (At 10,36; Rm 10,15; cf Mt 10,12‑13). Nell'Enciclica Pacem in terris (« Pace sulla terra ») del 1963, il papa Giovanni XXIII ha posto le sue speranze per una pace internazionale in un ordine sociale basato sulla libertà, la giustizia, l'amore e la verità. A sua volta, il papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio (« Il progresso dei popoli ») del 1967 ha chiamato lo sviluppo « il nome nuovo della pace » (14). Il Concilio Vaticano II ha insistito perché si facciano maggiori sforzi per la promozione della pace e della comunità dei popoli (GS 77‑90). Per il tramite della Commissione « Giustizia e Pace » e anche in tanti altri modi, la Santa Sede ha costantemente cercato di promuovere la pace internazionale. Negli Stati Uniti, la Conferenza Episcopale ha parlato profeticamente nel suo documento: La sfida della pace: la promessa di Dio e la nostra risposta (1983). Purtroppo, in questo nostro mondo, « la pace viene giù lentamente » (William Butler Yeats; 1865‑1939). Cf Giustizia; Guerra giusta; Messia; Non‑violenza; Regno di Dio; Salvezza; Tolleranza.

     

    Padri apostolici. (inizio)

    Questa denominazione risale a Jean‑Baptiste Cotelier che nel 1672 pubblicò quegli scritti ortodossi più antichi, non biblici ma fioriti al tempo  degli Apostoli o poco dopo, cioè: la cosiddetta Lettera di Barnaba (primo secolo), san Clemente Romano (morto circa nel 96), sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107), il Pastore di Erma (II secolo), san Policarpo di Smirne (circa 69 ‑ circa 155), come anche il racconto del suo Martirio, il più antico di questo genere letterario. Nel 1765, Andrea Gallandi vi aggiunse la Lettera a Diogneto, una difesa del cristianesimo, e Papia di Gerapoli (circa 60‑130). Nel 1883, Filoteo Bryennios pubblicò laDidaché (Gr. « insegnamento »), di autore anonimo. Questo lavoro fu ritenuto lo scritto più antico dell'intero gruppo. Questi scritti gettano una luce preziosa sul passaggio dalla Chiesa del Nuovo Testamento alla cristianità postapostolica. Alcuni studiosi moderni desiderano escludere quegli autori che probabilmente non sono collegati direttamente con gli Apostoli, o la cui mentalità non è così vicina al NT. Questo vorrebbe dire elencare tra i Padri Apostolici soltanto san Clemente, sant'Ignazio di Antiochia, san Policarpo e Papia, come anche san Quadrato (II secolo) che verso il 124 rivolse all'imperatore Adriano la più antica apologia sulla fede cristiana. Cf Apologisti; Didaché; Padri della Chiesa.

     

    Padri cappadoci  (inizio)

    Titolo usato principalmente per tre santi Cappadoci: Basilio Magno (circa 330‑379), vescovo di Cesarea nella Cappadocia e organizzatore della vita monastica in Oriente; suo fratello Gregorio (circa 335 ‑ circa 395), vescovo di Nissa e teologo di profonda mistica; e Gregorio di Nazianzo (328‑389), prima vescovo di Sasima e poi per un certo tempo vescovo di Costantinopoli durante il Concilio Costantinopolitano I. Un cugino di Gregorio Nazianzeno è qualche volta catalogato tra i Cappadoci: sant'Anfilochio (circa 340 ‑ circa 394), vescovo di Iconio. Cf Concilio Costantinopolitano I; Essenza e Energie; Eunomianesimo; Padri della Chiesa; Tre Teologi (I).

     

    Padri della Chiesa. (inizio)

    Titolo popolare dato a certi cristiani dei primi secoli che scrissero in Greco, Latino, Siriaco e Armeno e la cui dottrina e santità personale ottennero l'approvazione generale nella Chiesa. « I Padri... sono ‑ anche se ognuno in maniera e misure molto diverse ‑ come i classici della cultura cristiana (Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, [1989]; n. 42). Nelle controversie teologiche, divenne tradizionale appellarsi ai Padri Greci e Latini e il loro consenso unanime è ritenuto argomento decisivo (cf DS 271, 510‑520, 2856, 3541; FCC 1.051, 2.013, 4.051‑4.057). In Occidente, si ritiene come ultimo Padre della Chiesa sant'Isidoro di Siviglia (circa 560‑636), mentre per l'Oriente l'ultimo è san Giovanni Damasceno (circa 675 ‑ circa 749). Cf Padri cappadoci; Patristica; Patrologia.

     

    Padrino. (inizio)

    Colui che tiene a battesimo o a cresima un candidato. Il Diritto Canonico stabilisce che almeno uno, ma possibilmente due, uno di ogni sesso, siano presenti alla cerimonia o almeno adempiano il loro compito per procura. I padrini devono essere scelti o dal candidato (se è adulto), o dai genitori o tutori del candidato, o dal parroco. Il padrino deve essere cattolico, avere già ricevuto il battesimo, la cresima e l'eucaristia, deve aver di solito almeno sedici anni di età e non essere il padre o la madre del battezzando. I nomi dei padrini sono registrati nel registro dei battesimi. Oltre a dare buon esempio e ad essere di sprone nella vita cristiana, i padrini si assumono la responsabilità dell'educazione cristiana nei riguardi dei loro figliocci qualora i genitori o chi ne fa le veci mancassero a questo loro dovere (cf CIC 774, 851, 872‑874). Nella cresima, è auspicabile che i padrini siano gli stessi del battesimo, in quanto i doveri che si assumono assomigliano a quelli che si sono assunti i padrini nel battesimo (CIC 892‑893, 895). Cf Battesimo; Confermazione; Impedimenti del matrimonio.

     

    Pagani (Lat. « abitanti dei villaggi »). (inizio)

    Termine usato inizialmente per coloro che al tempo dell'Impero romano vivevano in campagna e che, evangelizzati dopo le popolazioni delle città, divennero poi cristiani. Nell'AT, i goyim(Ebr. « nazioni ») o Gentili erano quelli che non conoscevano l'unico vero Dio (Dt 7,1; Sal 147,20). Mentre denunciava la loro idolatria, l'AT affermava anche l'interesse salvifico di Dio per i pagani (Is 2,1‑4; 49,6; 60,1‑3; Am 9,7; Giona). Abramo fu chiamato a mediare le benedizioni divine per l'intero genere umano (Gn 12,1‑3). L'AT presenta alcuni « santi pagani », come Melchisedech, la Regina di Saba, Giobbe e Rut. San Paolo proclama la volontà di Dio di giustificare sia gli Ebrei che i Gentili (Rm 3,29; 9,24; 15,8‑12; cf Lc 2,29‑32). I seguaci di alcune religioni non cristiane sono stati chiamati (in senso offensivo), « pagani » o « idolatri ». Certe superstizioni che si sono trovate ancora tra coloro che si sono convertiti al cristianesimo sono state etichettate come « pagane ». Il Concilio Vaticano II ha evitato sia il termine « pagano » che il termine « paganesimo », e ha preferito parlare delle « nazioni » (gentes) da evangelizzare. Cf Animismo; Cristiani anonimi; Evangelizzazione; Idolatria; Politeismo.

     

    Palamismo. (inizio)

    La sintesi teologica di Gregorio Palamas (circa 1296‑1359), monaco del Monte Athos e sostenitore di un metodo di preghiera chiamato esicasmo, praticato sul santo monte. Palamas è un santo della Chiesa greca ortodossa ed è considerato il più grande teologo bizantino del Medioevo. Per poter sostenere che gli esseri umani diventano genuinamente come Dio attraverso la deificazione senza intaccare la trascendenza di Dio, Palamas distingueva tra l'essenza divina inaccessibile e le divine energie mediante cui Dio si fa conoscere a noi e ci rende partecipi della vita divina. Dopo una controversia con Barlaam (circa 1290‑1348), monaco della Calabria e esperto sullo Pseudo‑Dionigi (V secolo), fu tenuto un sinodo a Costantinopoli (giugno 1341) che diede torto a Barlaam, mentre un altro sinodo (agosto 1341) impose il silenzio ad entrambi. Nel 1344, Palamas fu addirittura scomunicato come eretico. Nel 1347, però, un sinodo di Costantinopoli riconobbe la sua ortodossia ed egli fu consacrato arcivescovo di Tessalonica. Dovette, però, affrontare le critiche del monaco Gregorio Akindynos (=Acindino; circa 1300‑1349) che da amico gli era diventato nemico. Un terzo attacco gli venne dal filosofo umanista Niceforo Gregoras (circa 1294 ‑ circa 1359). Un sinodo di Costantinopoli nel 1351 condannò Gregorio Acindino, defunto da due anni e impose il silenzio a Niceforo Gregoras, riconoscendo così la piena ortodossia di Palamas. Nel 1368, nove anni dopo la sua morte, Palamas fu canonizzato. La sua festa è celebrata sia nella seconda domenica di Quaresima sia il 14 novembre. Cf Deificazione; Esicasmo; Essenza e energie; Monte Athos; Neo‑Palamismo.

     

    Pallio (Lat. « mantello »). (inizio)

    Una striscia circolare di lana bianca adornata di sei croci di colore viola con due strisce. Come simbolo della sua autorità apostolica, è indossato dal papa il quale sin dai tempi antichi lo ha conferito agli arcivescovi come segno di comunione e a certi vescovi come segno di onorificenza. Oggi, entro tre mesi dalla sua nomina, il metropolita (= arcivescovo) deve chiedere il pallio o richiedere un nuovo pallio se da una diocesi metropolita viene trasferito ad un'altra. Lo indossa all'interno della sua provincia ecclesiastica e poi solo in circostanze prescritte dalla liturgia. Nelle cerimonie della Chiesa orientale, i vescovi indossano unomophorion, una fascia ricamata che corrisponde al pallio. Cf Arcivescovo; Papa.

      Panenteismo (Gr. « ogni cosa in Dio »). Si chiama così un sistema che è stato sviluppato in vari modi da filosofi come Christian Kranse (1781‑1832), Friedrich Heinrich Jacobi (1743‑1819) e Charles Hartshorne (nato nel 1897) secondo cui Dio penetra talmente l'universo che ogni cosa è in Dio. A differenza dal panteismo, il quale sostiene che l'universo e Dio sono talmente identici che ogni cosa è Dio, il panenteismo afferma invece che, mentre abbraccia l'universo, l'essere di Dio lo trascende. Cf Panteismo; Teismo; Teologia del processo.

     

    Panteismo (Gr. « tutto è Dio »). (inizio)

    Dottrina che identifica Dio con l'universo. Sebbene il termine appaia per la prima volta nel 1709, i sistemi di pensiero panteista sono antichi almeno quanto l'Induismo. Alcuni interpretano il divino in termini naturali (panteismo naturalistico), come fa Benedetto Spinoza (1632‑1677); altri interpretano la natura in termini divini (panteismo emanazionistico), una tentazione dei pensatori mistici e neo‑platonici. Lo Pseudo Dionigi Areopagita (circa 500), Giovanni Scoto Eriugena (circa 810 ‑ circa 877), il cardinale Nicolò Cusano (1401‑1464), Maestro Eckart (circa 1260‑1327), Giordano Bruno (1548‑1600) e Jacob Boehme (1575‑1624) sono stati accusati, a ragione o a torto, di includere elementi panteisti nel loro pensiero. Una forma moderna di panteismo interpreta Dio come il grande « IO »: una visuale perlomeno molto vicina a idealisti come Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770‑1831), Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (1775‑1854) e Francis Herbert Bradley (1846‑1924). Mentre lo si descrive spesso come una forma di ateismo, il panteismo può anche essere visto come una forma di teismo imprigionato. Il Concilio Vaticano I condannò il panteismo (DS 3023; cf anche 285, 722, 976‑977, 1043, 2843, 2901, 3201‑3216; FCC 1.036, 1.038‑1.039, 3.013‑3.030). Cf Ateismo; Emanazione; Idealismo; Immanenza; Induismo; Monismo; Natura; Neo‑platonismo; Panenteismo; Teismo; Trascendenza.

     

    Pantocrator (Gr. « che governa tutto »). (inizio)

    Una rappresentazione maestosa di Cristo come legislatore sovrano dell'universo, di solito con le mani alzate per benedire. Due esempi celebri si hanno nella Chiesa degli apostoli a Costantinopoli e in Santa Sofia a Kiev. Cf Icona; Onnipotenza; Regno di Dio; Teocrazia.

     

    Paolo. (inizio)

    Cf Privilegio paolino; Teologia paolina.

     

    Papa (Gr. « padre »). (inizio)

    Titolo che in origine era riservato in Oriente al vescovo di Alessandria, ma oggi è dato anche ai presbiteri (più esattamente: pope) a motivo della loro paternità spirituale. In Occidente, il titolo era dato una volta ai vescovi più importanti, ma, a partire dal secolo XI, finì per essere riservato al solo vescovo di Roma. Il capo della Chiesa Cattolica, il papa di Roma, è anche chiamato Vicario di Gesù Cristo e Patriarca dell'Occidente. Cf Collegialità; Giurisdizione; Infallibilità; Ministero Petrino; Presbitero; Primato; Vescovo.

     

    Papismo. (inizio)

    Atteggiamento verso il Magistero e la vita della Chiesa che consiste nell'enfatizzare il ministero petrino del papa mentre si ignora il ruolo degli altri vescovi e quello che si può imparare dall'intero Popolo di Dio. Cf Collegialità; Ministero petrino; Papa; Sensus fidelium; Ultramontanismo.

     

    Parabola (Gr. « paragone »). (inizio)

    Un paragone tratto dalla natura (per es., il grano di senape in Mc 4,30‑32) o dalla vita umana (per es., il banchetto nuziale in Mt 22,1‑14) e narrato come una storia per rivestire e richiamare un insegnamento morale o religioso. Mentre si trovano già nell'AT (2 Sam 12,1‑14; e forse Is 5,1‑7), le parabole caratterizzano in un modo speciale la predicazione e l'insegnamento di Gesù. I Vangeli sinottici riportano molte parabole usate da Gesù per esortare i suoi uditori a riconoscere il dominio finale di Dio e a prendere le debite decisioni. Strettamente parlando, il Vangelo di Giovanni non contiene parabole, anche se il linguaggio circa il buon pastore (Gv 10,1‑19) e sulla vite e i tralci (Gv 15,1‑8) presenta elementi evidenti di parabole. Adolph Jülicher (1857‑1938), Charles Harold Dodd (1884‑1973) e Joachim Jeremias (1900‑1979) hanno arricchito la nostra comprensione circa le parabole di Gesù. Esse non sono, per esempio, allegorie in cui ogni particolare comporti un significato preciso. Le parabole si concentrano su un punto, anche se le parabole lunghe (per es., quella del Figliol prodigo, che si dovrebbe chiamare più esattamente: la parabola del Padre misericordioso, in Lc 15,11‑32) possono anche dare un significato mediante i loro elementi subordinati. Cf Allegoria; Critica biblica; Ermeneutica; Esegesi; Sensi della Scrittura.

     

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    00 21/08/2013 17:32

    Paraclesi (Gr. « supplica »). (inizio)

    Il piccolo ufficio della Beata Vergine Maria usato nella Chiesa bizantina per i quindici giorni che precedono immediatamente la festa della kòimesis o dormizione della Madre di Dio (celebrata il 15 agosto). Cf Assunzione della Beata Vergine Maria; Liturgia delle Ore

     

    Paraclito (Gr. « aiutante » o « assistente »). (inizio)

    Termine applicato a Gesù stesso che intercede presso il Padre per la salvezza dei peccatori (1 Gv 2,1‑2). Nel Vangelo di san Giovanni, il termine è riferito allo Spirito Santo come aiutante (14,16; 14,26; 15,26; 16,7), come Spirito di verità che sarà mandato a dimorare nei discepoli e a guidarli per rendere testimonianza a Gesù e al suo insegnamento. Cf Spirito Santo.

     

    Paradiso (Persiano « giardino recintato »). (inizio)

    Un parco cintato da un muro che contiene piante, frutti e animali esotici e connesso con un palazzo. Nei Settanta (LXX), questo è il « giardino dell'Eden », dove Adamo ed Eva vissero una volta e da dove furono cacciati dopo la loro caduta nel peccato (Gn 2,8‑10.15; 3,23‑24; Ez 28,13; 31,8; 36,35). Il termine « Paradiso » venne a designare il posto dei beati dopo la morte (Lc 23,43), il « terzo cielo » sopra la terra dove una volta san Paolo fu rapito in estasi (2 Cor 12,2‑4). Il libro dell'Apocalisse promette la vita nel « paradiso » di Dio, dove i beati avranno da mangiare « dell'albero della vita » (Ap 2,7; 22,12.14). Cf Cielo; Escatologia; Settanta.

     

    Parenesi (Gr. « esortazione, consiglio »). (inizio)

    Predicazione intenta a far crescere la comunità con raccomandazioni o avvisi pratici. San Paolo « ammonisce » il personale di una nave sbattuta dalla tempesta mentre sta navigando verso Malta (At 27,9.22). Lo stesso Paolo, Pietro e Barnaba « esortano » uditori vari (At 2,40; 11,23; 14,22). Si trovano passi parenetici nelle lettere paoline (cf Rm 6,1‑4; 1 Cor 5,7ss; Col 3,1‑4), alle volte come elenchi di azioni virtuose (per es., Rm 12,1‑21), o di vizi (Rm 13,13). La parenesi può essere piuttosto generica (come avviene verso il termine delle lettere paoline), o può fermarsi su problemi particolari (1 Cor 11,17‑22.27‑34). Cf Teologia morale.

     

    Parlare in lingue. Cf Glossolalia. inizio)

     

    Parola di Dio. (inizio)

    « Auto‑rivelazione di Dio nella storia (DV 1‑5, 26), in quanto (a) espressa; (b) scritta e (c) incarnata.

      a) La parola di Dio è creatrice (Gn 1,1-2,4) e efficace (Is 55,10‑11). Dio ha parlato per mezzo dei profeti dell'AT (Eb 1,1; 2 Pt 1,21). Gesù ha proclamato la parola di Dio (Lc 5,1), come hanno fatto gli Apostoli (At 13,5; 17,13; 1 Ts 2,13) e i loro successori nel predicare con verità il « vangelo di Dio » (1 Ts 2,9), una realtà che è ad un tempo rivelatrice e salvifica (Rm 1,15‑17; 1 Cor 1,18; 2 Cor 2,14‑16).

      b) Scritte sotto la speciale ispirazione dello Spirito Santo (Rm 15,4; 2 Tm 3,16; 2 Pt 1,20‑21; cf DV 11), le Scritture sono la parola di Dio che illumina e nutre la liturgia, l'insegnamento e la vita della Chiesa.

      c) Il Figlio di Dio preesistente è la Parola che « si è fatta carne » (Gv 1,14), la personale auto‑comunicazione di Dio.

      Cf Ispirazione; Lògos; Parola e Sacramento; Preesistenza; Profeta; Rivelazione.

     

    Parola e sacramento. (inizio)

    La parola di Dio e il suo segno correlativo, simbolo eo evento. Nel Vangelo di Giovanni, le parole (3,34; 5,24; 8,31; 15,3) e i segni (Gv 2,11.18.23; 3,2; 4,54) di Cristo sono ordinati a comunicare la « verità » (rivelazione) e la « vita » (salvezza). Origene (circa 185 ‑ circa 254) associò la parola e il simbolo nella sua teologia della Parola preesistente e incarnata che ci manifesta il Padre. Riguardo alla parola e al simbolo nella vita cristiana, sant'Agostino di Ippona ha parlato del sacramento come di una parola visibile. La Riforma, specialmente nella tradizione calvinista, ha sottolineato unilateralmente la parola a spese del segno e del sacramento. Il Concilio Vaticano II ha inteso l'autocomunicazione di Dio come una venuta, non della sola parola, né del solo evento significante, ma come interazione di eventi e di parole (cf DV 2, 4, 14, 17). Cf Rivelazione; Sacramento; Simbolo.

     

    Parresia (Gr. « audacia nel parlare »). (inizio)

    La franchezza priva di paura con cui gli Apostoli proclamavano pubblicamente il messaggio di Cristo crocifisso e risorto nonostante l'incarcerazione e le minacce di punizioni e di morte (cf At 2,29; 4,13.29.31; 28,31). Paolo mostra questa franchezza nel parlare alle sue comunità (2 Cor 7,4). I Cristiani devono manifestare un coraggio del genere nei loro rapporti con Dio (cf 1 Gv 3,21; 5,14) e nell'aspettare il giorno del giudizio (1 Gv 2,28; 4,17). La parresìa cristiana trova il suo modello nel modo con cui Gesù proclamò il suo messaggio ad un mondo ostile (Gv 7,26; 18,20). Cf Virtù cardinali.

     

    Parrocchia (Gr. « vicinanza »). (inizio)

    Suddivisione di una diocesi che ha un suo presbitero e gode di una certa autonomia sotto la giurisdizione del vescovo del luogo (cf CIC 374, 515). Siccome un vescovo non può presiedere dovunque nella sua diocesi, designa dei sacerdoti come parroci e organizza le parrocchie (SC 42; CD 32). In esse, le persone vengono incorporate nella Chiesa attraverso il battesimo (CIC 858), i giovani ricevono l'istruzione religiosa, viene esercitato il lavoro missionario (AA 10; AG 37), ci si prende cura dei malati, dei bisognosi e degli anziani. Il centro della vita parrocchiale è la celebrazione dell'Eucaristia e la proclamazione della Parola di Dio (cf CD 30). Cf Vescovo; Cappellano; Diocesi; Ordinario; Pastore.

     

    Partenogenesi (Gr. « parto verginale »). (inizio)

    La generazione di un bambino senza l'intervento del padre umano. Si è alle volte sostenuto che il racconto della concezione di Gesù derivasse da leggende pagane circa donne che hanno partorito bambini famosi mediante l'intervento di divinità maschili. Simili leggende sono radicalmente differenti dal racconto della concezione verginale come si trova nei racconti dell'infanzia di Matteo e di Luca. Cf Concepimento verginale di Gesù.

     

    Parusia (Gr. « presenza », « arrivo »). (inizio)

    La visita ufficiale di un sovrano. Nei primi documenti cristiani (1 Ts 4,15; 1 Cor 15,23), il termine parusìa indica il ritorno di Cristo nella gloria al termine della storia per giudicare il mondo (Mt 24,29‑31; 25,31‑46). Sarà questo « il giorno del Signore » (1 Cor 1,8) quando Cristo « apparirà una seconda volta » (Eb 9,28). I cristiani devono aspettare questa venuta con pazienza (Gc 5,7‑8; 2 Pt 1,16; 3,4.12; 1 Gv 2,28). I Sinottici connettono l'attesa della fine con l'ammonimento alla vigilanza (Mt 24,36-25,13; Mc 13,1‑37; Lc 21,5‑36). Il Vangelo di Giovanni parla della risurrezione che avverrà nell'« ultimo giorno » (Gv 6,39.40.44.54; 11,24). La futura venuta di Cristo nella gloria per giudicare i vivi e i morti è professata in vari simboli di fede (cf DS 6, 10, 13‑17, 19, 76 e 150; FCC 0.509, 0.514, 5.004). Gli Orientali sottolineano la dimensione collettiva di quel compimento futuro più di quanto non lo facciano gli Occidentali. Alcuni teologi contemporanei preferiscono non parlare di « seconda » venuta, in quanto laparusìa non è altro che la conseguenza finale della prima venuta di Cristo nell'incarnazione. Con Karl Rahner (1904‑1984), possiamo dire che sarà il mondo che verrà a Dio nella parusìapiù che il Cristo al mondo. Cf Cielo; Escatologia; Giudizio universale; Inferno; Risurrezione.

     

    Pasqua. (inizio)

    È la festa più antica e più importante dell'anno cristiano in cui si celebra la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Inizialmente, a quanto pare, veniva celebrata ogni domenica, mentre i Giudeo‑cristiani continuavano ad osservare la Pasqua ebraica. Questo era destinato a creare un contrasto, in quanto il messaggio cristiano proclamava che la liberazione d'Israele dall'Egitto era ormai superata e sostituita dalla risurrezione di Cristo (1 Cor 5,7). La prassi di stabilire un giorno speciale per celebrare annualmente la risurrezione di Cristo portò ad una controversia tra i cristiani dell'Asia Minore che celebravano la festa nel giorno stesso in cui cadeva la Pasqua ebraica (14 di Nisan, detti perciò « quartodecimani ») e gli altri cristiani che la celebravano la domenica seguente. Queste controversie esistono tuttora. Gli Ortodossi, anche dopo aver accettato la riforma gregoriana del calendario, continuano però a seguire il calendario giuliano per la festa di Pasqua. Il recente sviluppo ecumenico ha tuttavia prodotto un accordo tra i Cattolici d'Oriente e gli Ortodossi sulla data della Pasqua ogni quattro anni. Nel calendario gregoriano, la data di Pasqua varia tra il 21 marzo e il 25 aprile. Cf Calendario gregoriano; Mistero pasquale; Pasqua ebraica; Risurrezione.

     

    Pasqua ebraica. (inizio)

    Festa ebraica celebrata in famiglia in primavera al tempo della luna piena di marzo e che ricorda l'esodo dall'Egitto (Es 12,1‑28; Dt 16,1‑8). Nel pomeriggio del 14 di Nisan, venivano sacrificati gli agnelli pasquali; la stessa sera, nella cena pasquale, si mangiava pane non lievitato con agnello arrostito. Che sia stata una cena pasquale (secondo i Sinottici), oppure no (secondo Giovanni), l'Ultima Cena, seguita il giorno dopo dalla crocifissione di Gesù e poi dalla sua risurrezione, coincise comunque con la Pasqua ebraica e con la festa ad essa collegata dei pani azzimi che durava una settimana (Mc 14,1‑2.12‑16). Di qui i cristiani compresero molto presto che la morte e la risurrezione di Gesù avevano portato a compimento l'esodo originale e la memoria che ne faceva la Pasqua ebraica. Gesù fu visto come l'Agnello pasquale il cui sacrificio liberatore tolse il peccato del mondo (Gv 1,29; 1 Cor 5,7). Cf Pasqua; Risurrezione; Settimana Santa.

    Passione (Lat. « soffrire »). (inizio)

     Nella filosofia aristotelica, in quanto applicato all'essere contingente e in contrasto con l'agire, il termine « passione » significa l'essere cambiato. Nella teminologia cristiana, per « Passione » si intendeno le sofferenze e la crocifissione che Gesù subì per la nostra salvezza (cf 1 Pt 2,21‑25). I quattro Vangeli terminano tutti con un racconto dettagliato della sua passione (Mt 26‑27; Mc 14‑15; Lc 22‑23; Gv 18‑19). La domenica delle Palme si legge il racconto della Passione di uno dei Sinottici, e il Venerdì Santo dal Vangelo di Giovanni. Cf Redenzione; Riscatto; Salvezza; Settimana Santa.

     

    Pasto cultuale. (inizio)

    Pasto mediante il quale gli adoratori riconoscono e entrano in comunione con la loro divinità nel modo più eminente. Nel cristianesimo, l'atto supremo di adorazione è l'Eucaristia, banchetto sacrificale e spirituale datoci da Gesù Cristo nella sua morte e risurrezione. Così, anticipando la sua venuta finale, possiamo ringraziare e unirci con Dio. Cf Eucaristia; Messa; Sacrificio della Messa.

     

    Pastorale. Cf Teologia pastorale; Ufficio pastorale. (inizio)

     

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    00 21/08/2013 17:33

    Pastore. (inizio)

    Termine applicato ai capi dell'AT (Ger 2,8; 3,15) e a Dio come buon pastore (Ez 34,1‑31; Sal 23,1‑4). Cristo fu mandato per le pecore smarrite d'Israele (Mt 10,6; 15,24; cf Lc 15,3‑7). Come buon pastore, Gesù dà la sua vita per le pecore (Gv 10,11‑16; cf Eb 13,20; 1 Pt 2,25). Egli chiama altri a fare da pastori nella Chiesa, ma i fedeli rimangono sempre il suo gregge (Gv 21,15‑17; 1 Pt 5,1‑4). Tra i Protestanti, il ministro ordinato che presta servizio in una chiesa locale è spesso chiamato « pastore », come anche presso i cattolici in certe parti della Germania (cf CIC 519). Cf Ministri; Parroco; Popolo di Dio; Presbitero; Vescovo.

     

    Patriarca (Gr. « padre che governa »). (inizio)

    Nome dato ad Abramo, Isacco, Giacobbe, ai dodici figli di Giacobbe e a Davide (Gn 12,50; At 2,29; 7,8‑9; Eb 7,4). A partire dal VI secolo, il titolo venne dato ai vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Questi patriarchi esercitarono una grande autorità, come quella di designare i vescovi per le diocesi più importanti e di giudicare gli appelli alla loro giurisdizione. Il Concilio Niceno I (325) riconobbe questo ruolo di Roma e affermò la priorità di Alessandria su Antiochia. Il Concilio Costantinopolitano I (381) conferì a Costantinopoli un primato di onore dopo Roma, in quanto Costantinopoli è « una seconda Roma » (can. 3), cosa che il Concilio di Calcedonia (451) nel ventottesimo canone (che il papa Leone I non approvò mai) estese fino ad affermare che Costantinopoli era seconda solo a Roma in giurisdizione. Il Concilio Costantinopolitano IV (869‑870), riconosciuto di solito dai cattolici come l'ottavo concilio ecumenico, sancì il primato di Roma e elencò i patriarcati in questo ordine di dignità: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme (riconosciuta come patriarcato dal Concilio di Calcedonia; cf DS 661). Il Concilio Lateranense IV (1215) e il Concilio di Firenze (1438‑1445) ripeterono lo stesso elenco di patriarcati e nello stesso ordine (DS 811; 1307‑1308; FCC 7.159‑7.160). Riguardo alle Chiese d'Oriente unite a Roma, il Concilio Vaticano II riconobbe le loro tradizioni, i loro diritti, i loro privilegi e la loro giurisdizione (OE 7‑10). Stabilì inoltre che, « dove sia necessario, si erigano nuovi patriarcati, la cui fondazione è riservata al Concilio Ecumenico o al Romano Pontefice » (OE 11). Questo fu suggerito da molti teologi in vista di future unioni tra le Chiese sorelle e Roma. Il Vaticano II propose anche direttive generali per una riunione con le Chiese d'Oriente separate da Roma (UR 13‑18), « tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali » (UR 14). Cf Autocefalo; Chiese Orientali; Ortodossia; Ortodossi Orientali; Pentarchìa; Primato.

     

    Patriarca ecumenico (Gr. « patriarca universale »). (inizio)

    Titolo usato dai patriarchi di Costantinopoli a partire dal VI secolo. Cf Oikoumène; Primato.

     

    Patripassianismo (Lat. « sofferenza del Padre »). (inizio)

    Termine coniato da Tertulliano (circa 160 ‑ circa 220) per quella forma di Monarchianismo o Modalismo sostenuto da Prassea (vissuto verso il 200). Tertulliano lo mise in derisione dicendo che costui aveva cacciato lo Spirito e crocifisso il Padre. Un altro modalista, Noeto (vissuto anch'egli verso il 200) asseriva che era stato il Padre a nascere e poi a morire sulla croce. CfModalismo; Monarchianismo; Sofferenza di Dio.

     

    Patristica (Lat. « studio dei Padri »). (inizio)

    Lo studio della teologia dei Padri della Chiesa. Il termine è stato spesso usato superficialmente come sinonimo di patrologia. Cf Padri della Chiesa; Patrologia.

     

    Patrologia (Gr. « studio dei Padri »). (inizio)

    Termine forgiato nel XVII secolo per indicare lo studio dei Padri della Chiesa. Un'istruzione del 1989 sullo studio dei Padri (emanata dalla Congregazione per l'educazione cattolica) distingue la « patrologia » come studio storico e letterale dei Padri, dalla « patristica » come studio del loro pensiero teologico. Cf Padri della Chiesa; Patristica.

     

    Peccato. (inizio)

    Qualsiasi pensiero, parola o fatto che trasgredisca deliberatamente la volontà di Dio e che in qualche modo respinga la bontà e l'amore di Dio. A cominciare dal peccato di Adamo e Eva (Gn 3,1‑24), l'AT narra la storia del peccato umano e della sua schiavitù (cf GS 37). Con la denuncia ripetuta dell'idolatria e dell'ingiustizia, i profeti affermano la responsabilità personale per le mancanze peccaminose (Ger 31,29‑30; Ez 18,1‑4). L'AT chiama il peccato hatta (Ebr. « sbagliare il segno »), pesha (Ebr. « trasgredire gli ordini », « rivoltarsi contro i superiori ») eawon (Ebr. « colpa che nasce dall'iniquità ») (cf Sal 51,3‑5). Come l'AT (Gn 6,5; 8,21; Ger 17,9), Gesù vede che il peccato viene dal cuore (Mc 7,20‑23). Il Vangelo di san Giovanni vede il peccato come incredulità nei riguardi di Cristo, un preferire le tenebre alla Luce del mondo (Gv 3,16‑21; 9,1‑41; 11,9‑10). Sin dall'inizio, i Cristiani hanno confessato che Cristo è morto « per i nostri peccati » (1 Cor 15,3; cf Rm 4,25; Eb 2,11‑14). La tradizione protestante è stata impressionata dalle riflessioni di san Paolo sulla forza del peccato che corrompe e rende schiavi gli esseri umani (Rm 1,18-3,23; 5,12‑21; 6,15‑23). La Tradizione ortodossa vede il peccato come distruzione della koinonìa (Gr. « comunione ») con Dio, con gli altri e col creato. La tradizione cattolica, come il cristianesimo occidentale in genere, ha avuto la tendenza a considerare le conseguenze individuali del peccato più che le ferite che vengono inferte alla comunità. Però, l'enciclica di Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, del 1987 (cf 36‑37) manifesta un senso rinnovato della dimensione sociale del peccato (cf GS 25). Cf Caduta (La); Cuore; Espiazione; Grazia; Koinonìa; Metànoia; Peccato originale; Riparazione; Riscatto; Sacramento della Penitenza; Salvezza; Sette peccati capitali.

     

    Peccato mortale e peccato veniale. (inizio)

    Distinzione tra quei peccati che « escludono dal regno di Dio » (1 Cor 6,9‑10; Gal 5,19‑21; Ef 5,5) e quelli che non escludono (Gc 3,2; 1 Gv 1,8; 5,16‑17). Un peccato mortale comporta un allontanamento deliberato e radicale da Dio fatto con chiara conoscenza e pieno consenso in una materia veramente grave (cf DS 1537, 1544, 1680‑1682; FCC 8.070, 8.077; 9.240, 9242). Porta come conseguenza la perdita della grazia santificante e il rischio della dannazione eterna. Il peccato veniale (Lat. « scusabile ») offende, sì, il rapporto con Dio e con gli altri, ma non comporta un'opzione fondamentale contro Dio. Il Codice del 1983 parla di peccati veniali (CIC 988) e di peccati « gravi » anziché di peccati mortali. Cf Grazia abituale; Inferno; Opzione fondamentale; Sacramento della penitenza.

     

    Peccato originale. (inizio)

    Inteso tradizionalmente come la perdita della grazia e ferita della natura subìta dai nostri progenitori, questo intaccò tutte le generazioni successive. Questo concetto è stato sviluppato sulla base della Scrittura (soprattutto: Gn 3,1‑24; Sal 51,7 e Rm 5,12‑21) e la prassi antica di battezzare anche i bambini perché venissero liberati dal peccato originale. Sant'Agostino di Ippona (354‑430) sostenne contro Pelagio che, siccome i bambini non sono capaci di commettere peccati personali, il « peccato » da cui vengono liberati non può essere altro che una peccaminosità ereditata. La dottrina del peccato originale (DS 496, 621, 1510‑1516; FCC 3.054, 3.060, 4.037, 8.043) esprime non solo la condizione di peccato in cui nascono tutti gli esseri umani, ma anche il fatto che la nuova vita di grazia che viene attraverso il battesimo non è un diritto « naturale », ma un libero dono di Dio. Così, il peccato originale si riferisce alla nostra solidarietà umana nel peccato e alla nostra comune chiamata alla vita soprannaturale in Cristo. I cristiani orientali, mentre praticano il battesimo dei bambini, non hanno sviluppato una teologia sul peccato originale. I Protestanti hanno spesso accentuato esageratamente il peccato originale e i suoi effetti dannosi. Cf Battesimo dei bambini; Caduta (La); Concupiscenza; Corruzione totale; Immacolata Concezione; Luteranesimo; Pelagianesimo; Soprannaturale; Teologia naturale.

     

    Pelagianesimo. (inizio)

    Eresia riguardante la grazia, iniziata con Pelagio (vissuto verso il 400), monaco bretone o irlandese il quale, prima a Roma e poi nel Nord Africa, insegnò che gli esseri umani possono raggiungere la salvezza coi loro soli sforzi. Il peccato originale non sarebbe altro che un cattivo esempio dato da Adamo ma che non recò nessun danno spirituale ai suoi discendenti e, in particolare, lasciò intatto l'uso naturale della libera volontà. Riducendo la grazia al buon esempio dato da Cristo, Pelagio esortava ad una vita ascetica intensa e patrocinava una Chiesa elitaria. Sant'Agostino di Ippona (354‑430) gli si oppose strenuamente. Il Pelagianesimo fu condannato in vari concili del Nord Africa (DS 222‑230; FCC 3.049‑3.050, 8.001‑8.007), da due papi e dal Concilio di Efeso nel 431 (DS 267‑268). Cf Agostinianismo; Messaliani; Peccato originale; Semi‑pelagianesimo.

     

    Pellegrinaggio. (inizio)

    Viaggio di devozione presso luoghi sacri. Questa pratica è comune al cristianesimo e ad altre religioni del mondo. Dopo la conversione dell'imperatore Costantino nel 312, i pellegrinaggi in Terra Santa e presso le tombe dei martiri a Roma aumentarono. Altre méte tradizionali e moderne di pellegrinaggi cristiani sono san Giacomo di Compostella (Spagna), i santuari mariani di Lourdes (Francia), di Fatima (Portogallo), e dell'isola di Tinos (Grecia) dove gli Ortodossi venerano in modo speciale la dormizione di Maria. Cf Assunzione della Beata Vergine Maria; Martiri.

     

    Penitenza. Cf Sacramento della penitenza; Virtù della penitenza(inizio)

     

    Pentarchia (Gr. « governo di cinque »). (inizio)

    Una teoria, popolare specialmente nel primo millennio, secondo cui la Chiesa cristiana una e indivisa doveva essere governata dai patriarchi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Con lo scisma fra l'Oriente e l'Occidente (definitivo solo col rifiuto del Concilio di Firenze), le Chiese greche ortodosse parlarono di tetrarchìa (Gr. « governo di quattro »). Però, l'idea di una pentarchìa non è mai stata interamente abbandonata e suggerisce alcune possibilità ecumeniche. Cf Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; Concilio di Firenze; Patriarca; Primato; Scisma.

     

    Pentateuco (Gr. « cinque libri »). (inizio)

    Nome comune tra i Cattolici e gli Ortodossi per designare i primi cinque libri della Bibbia (= Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), chiamati dagli Ebrei « la Toràh » e da alcuni Protestanti « i primi cinque libri di Mosè ». La tradizione che ritiene Mosè per autore va intesa nel senso che gran parte della storia e della legislazione riportate in questi libri si ispira a Mosè. Seguendo alcune intuizioni di Jean Astruc (1684‑1766), Johann Gottfried Eichhorn (1752‑1827) ritiene come fonti del Pentateuco il documento Jahvista (J) e quello Elohista (E). Julius Wellhausen (1844‑1918) scoprì un'altra fonte, il Codice Sacerdotale (P), a cui in seguito fu aggiunta la fonte Deuteronomista (D), e si hanno così le cosiddette quattro Fonti. Oggi, una maggiore attenzione alle tradizioni orali e ad altri fattori ha modificato qualsiasi teoria netta e precisa circa i quattro documenti preesistenti (J, E, P e D) da cui semplicemente sarebbero stati scritti i libri del Pentateuco. Cf Antico Testamento; Bibbia; Toràh.

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    00 21/08/2013 17:34

    Pentecostali. (inizio)

    Certe comunità cristiane che accentuano il battesimo nello Spirito e i doni speciali, come la guarigione, la profezia e il parlare in lingue (1 Cor 14,1‑40). Queste assemblee ebbero origine nel Kansas e in California all'inizio del XX secolo. A partire dagli anni '60, molti gruppi carismatici di preghiera sono sorti nella Chiesa Cattolica e nelle altre principali Chiese cristiane. Sono aperti al rinnovamento nello Spirito e si servono dei loro carismi (1 Cor 12,4‑11) per il bene dell'intero Popolo di Dio. A differenza dei Pentecostali, questo rinnovamento non organizza assemblee distinte, ma mira ad aiutare tutti i battezzati a fare esperienza della loro vita nuova nello Spirito. Cf Carismi; Glossolalia; Miracolo; Profezia; Spirito Santo.

    Pentecoste (Gr. « il cinquantesimo giorno »). (inizio)

    Oltre alla festa di Pasqua (cinquanta giorni prima) e la Festa dei Tabernacoli in autunno, la terza festa più importante degli Ebrei era quella che in origine celebrava il raccolto del grano e in seguito la Legge data a Mosè sul Monte Sinai. Come festa cristiana, la Pentecoste ricorda il giorno in cui lo Spirito Santo scese sui discepoli, Pietro predicò al popolo e ai pellegrini che si trovavano a Gerusalemme e circa tre mila persone accolsero il suo messaggio e si fecero battezzare (At 2,1‑42). Dalle Costituzioni Apostoliche e dalla pellegrina Eteria, sappiamo che nei Luoghi Santi i cristiani celebravano già questa festa nel IV secolo. Il dodicesimo canone del Concilio di Nicea I (325) parla della « Pentecosté » come del periodo che va dal giorno di Pasqua alla prima domenica dopo Pentecoste, periodo in cui era vietato il digiuno e le preghiere, che camprendevano molti Alleluia, si dicevano in piedi. La Festa di Pentecoste è anche chiamata nei paesi di lingua inglese Whitsunday, inglese antico per White Sunday (= domenica bianca) probabilmente perché era un giorno (l'ultimo giorno?) in cui i neofiti (battezzati di recente) indossavano i loro abiti bianchi. Nella liturgia bizantina, la celebrazione di Pentecoste occupa due giorni consecutivi: nella domenica, si celebra la pienezza della rivelazione della Trinità (mentre nel rito latino, la Trinità viene festeggiata la domenica successiva che si chiama appunto « domenica della Santissima Trinità »); il lunedì, poi, si ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Cf Pasqua ebraica; Pentikostàrion; Spirito Santo.

     

    Pentikostàrion. (inizio)

    È il libro dei propri liturgici stagionali usato nella liturgia bizantina per gli uffici divini dalla domenica di Pasqua fino alla domenica di Pentecoste compresa. Cf Ottoeco; Pasqua; Pentecoste.

     

    Pentimento. Cf Metànoia. (inizio)

    Perfezione. (inizio)

    La condizione di coloro che sono maturi, completi e senza biasimo (Gb 1,1). Il discorso della Montagna indica Dio come l'ideale della nostra perfezione (Mt 5,48), un intento che è strettamente connesso con l'impegno totale nella legge dell'amore (Mc 12,28‑34; Col 3,14), e che costituisce la ricerca di tutta la vita (Fil 3,12). Tutti i battezzati sono chiamati alla perfezione, e alcuni alla pratica dei « tre consigli di perfezione »: povertà volontaria (Mt 19,21), astensione completa da rapporti sessuali (cf Mt 19,10‑12) e obbedienza ad un superiore religioso. Cf Amore; Santità; Vita religiosa.

     

    Pericoresi cristologica (Gr. « che va attorno »). (inizio)

    L'interpenetrazione della natura divina e di quella umana di Cristo. Mentre entrambe rimangono intatte e non confuse, combaciano senza separazione o divisione (cf DS 112, 113, 115, 1301, 1331; FCC 6.001‑6.003, 6.070, 6.075). Cf Concilio di Calcedonia; Incarnazione; Unione ipostatica.

    Pericoresi trinitaria. (inizio)

     La presenza, inerenza e interpretrazione reciproche delle tre persone divine. San Gregorio Nazianzeno (329‑389) introdusse questo termine che acquistò il suo pieno significato tecnico con san Giovanni Damasceno (circa 675 ‑ circa ‑ 749). Cf Relazioni divine; Trinità immanente.

     

    Persona (Lat. « maschera di un attore »). (inizio)

    Termine usato originariamente per indicare il ruolo compiuto da uno sul palco o nella vita. Boezio (circa 480 circa 524) definì classicamente la persona come « rationalis naturae individua substantia » (Lat. « una sostanza singola di natura razionale »). Lungo i secoli, furono esplicitati o aggiunti vari aspetti di ciò che è una persona: relazione, incomunicabilità, autocoscienza, libertà, doveri, diritti e dignità inalienabili. Per Immanuel Kant (1724‑1804), la persona umana è un assoluto che non può mai essere usato come mezzo, ma deve sempre essere rispettata come fine morale in sé. Oggi, si sottolinea molto il fatto che le persone sono sempre persone‑in‑relazione, che si costituiscono attraverso le relazioni con gli altri e con l'ambiente. Cf Ipostasi; Io e Tu; Personalismo; Persone della Trinità; Trinità immanente.

     

    Personalismo. (inizio)

    Una filosofia centrata sull'unico valore delle persone umane. Da una parte, si oppone alle ideologie totalitarie (che subordinano il bene dei singoli a quello della collettività), al « behaviorismo » e a qualsiasi psicologia che consideri gli esseri umani come casi da studiare e da interpretare semplicemente in termini delle loro funzioni e reazioni. D'altra parte, il vero personalismo esclude qualsiasi individualismo egoistico intento unicamente ai propri « interessi » a danno degli altri. Molti (pure diversi) pensatori possono essere chiamati personalisti: per esempio, Nicola Berdiaev (1874‑1948), E. S. Brightman (1884‑1953), Martin Buber (1878‑1965), Ferdinando Ebner (1882‑1931), Emmanuel Mounier (1905‑1950) e Michael Polanyi (1891‑1976). Cf Persona.

     

    Persone della Trinità. (inizio)

    Sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che possiedono l'unica natura divina e sussistono in relazione fra di loro. Nel parlare delle Persone divine, i Padri Greci preferivano la parolaipostasi (Gr. « individuo sussistente ») alla parola pròsopon (Gr. « volto ») che avrebbe potuto insinuare un puro modalismo (« tre volti di Dio »). Avevano difficoltà ad accettare la parola latina persona, anche se Tertulliano (circa 160 ‑ circa 225) aveva introdotto questo termine proprio per combattere il modalismo di Prassea. Per parte loro, i teologi occidentali temevano e combattevano le tendenze triteistiche (« tre dèi ») nel parlare della Trinità. Cf Ipostasi; Modalismo; Ousìa; Patripassianismo; Persona; Relazioni divine.

     

    Pessimismo (Lat. « tendenza ad aspettarsi il peggio »).(inizio)

    È una visuale del mondo che sottolinea la presenza del male e pensa che prima o poi esso finirà per vincere. Contro l'ottimismo di Goffredo Guglielmo Leibniz (1646‑1716) e la sua affermazione secondo cui « questo è il migliore dei mondi », Voltaire (1694‑1778), scosso dal tremendo terremoto di Lisbona, scrisse il suo lavoro Candido (1759). Pur riconoscendo che il peccato ed altri mali turbano e danneggiano la nostra condizione umana, i cristiani attingono speranza nella loro vita di grazia ed aspettano la vittoria definitiva della risurrezione universale (Rm 8,18‑25; Ap 21,1‑4). Cf Escatologia; Grazia; Mistero del male; Peccato originale.

     

    Pietismo. (inizio)

    Un movimento revivalista del Protestantesimo che ricevette forma da Filippo Giacobbe Spener (1635‑1705) e che (per reagire all'ortodossia formalista prevalente della Chiesa ufficiale), enfatizzò la preghiera, la lettura della Bibbia, l'esperienza religiosa ed impegnò la vita cristiana in piccole comunità. Altri nomi importanti di questo movimento sono: lo scrittore di inni Paul Gerhardt (circa 1607‑1676), Nicola Lodovico Graf von Zinzendorf (1700‑1760) ed il mistico Gerhard Tersteegen (1697‑1769). Il pietismo favorì la nascita del Metodismo ed influenzò teologi come Federico Daniele Ernesto Schleiermacher (1768‑1834). Cf Luteranesimo; Metodismo; Protestante; Protestantesimo liberale.

     

     

    Pietro. (inizio)

    Cf Ministero petrino.

     

     Pisside (Gr. « bossolo »). (inizio)

    Vaso più grande di un calice, che contiene le particole che vengono consacrate per la comunione o per essere conservate nel tabernacolo. Cf Calice.

     

    Platonismo. (inizio)

    La filosofia ispirata da Platone (427‑347 a.C.) la cui Accademia rimase un centro di pensiero, anche se non necessariamente di platonismo, fino a quando fu chiusa dall'imperatore Giustiniano I (483‑565) nel 529 d.C. I famosi Dialoghi in cui Platone presenta Socrate che discute coi Sofisti ed altri, convergono su un tema centrale: le asserzioni circa la giustizia, la verità, la bontà, la bellezza ed altre realtà nel nostro mondo mutevole e visibile sono valide se possono essere « universalizzate », e questo orienta verso un mondo più ampio di Idee eterne, immutabili ed universali. Le nostre anime preesistevano in quel mondo e godono di una conoscenza innata che deriva dalla loro precedente visione delle Idee. Clemente di Alessandria (circa 150 ‑ circa 215) e Origene (circa 185 ‑ circa 254) attinsero molto da Platone. Origene accettò perfino la preesistenza dell'anima umana (cf DS 403‑404; FCC 3.027). Inizialmente, fu il platonismo « medio » con la sua accentuazione dell'assoluta trascendenza di Dio ad influenzare i Padri. In un certo senso, la crisi dell'Arianesimo fu una crisi di questa forma di platonismo. Il neo‑platonismo ebbe il suo impatto su sant'Agostino di Ippona (354‑430), sui suoi discepoli e sui platonici del Rinascimento come Marsilio Ficino (1433‑1499). Diversamente dall'Occidente, dove l'aristotelismo finì più o meno per prevalere, in Oriente il platonismo dominò con umanisti come Michael Psellus (circa 1019 ‑ circa 1078) e con teologi che illustrarono la deificazione col concetto platonico di partecipazione. Matthew Arnold (1822‑1888) era del parere che ognuno nasce o platonico o aristotelico. Comunque, Alfred North Whitehead (1861‑1947) diede la precedenza al maestro di Aristotele asserendo che tutta la filosofia non è altro che una serie di note in calce a Platone. Cf Agostinianismo; Arianesimo; Aristotelismo; Deificazione; Idealismo; Neo‑platonismo; Origenismo; Padri della Chiesa; Teologia alessandrina; Universali.

     

    Pleroma (Gr. « pienezza »). (inizio)

    Nelle lettere paoline, il termine si riferisce alla pienezza di Dio (Ef 3,19), alla piena misura della divinità di Cristo (Col 1,19; 2,9), alla Chiesa in quanto pienezza di Cristo che penetra l'universo (Ef 1,23) e alla pienezza del tempo quando fu mandato il Figlio di Dio a farsi uomo (Gal 4, 4). Gli Gnostici applicavano il termine plèroma agli attributi del Figlio, i quali attraverso una serie di emanazioni preparano il passaggio al kènoma (Gr. « vuotezza », « vuoto »). Cf Emanazione; Gnosticismo; Kenosi.

     

    Pluralismo. (inizio)

    Concezione filosofica che non cerca di ridurre ogni cosa a un solo principio ultimo. A seconda di come si accetta una varietà di culture, di partiti politici o di confessioni religiose, il pluralismo assume una forma culturale, politica o religiosa. In reazione ad un rigido uniformismo, il Concilio Vaticano II accolse una diversità conveniente nelle tradizioni e nel culto cristiano (SC 37; UR 14‑17). Pochi mesi dopo aver annunciato il 25 gennaio 1959 la sua intenzione di convocare il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII ricordò la massima tradizionale: « In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas » (Lat. « unità nelle cose essenziali, libertà in quelle discutibili, carità in tutte »). Alcuni distinguono un « pluralismo » che spezza la vera unità della fede e della teologia da una legittima « pluriformità » mediante cui la fede cristiana si esprime in modi vari. Cf Chiesa e Stato; Chiese Orientali; Coscienza classica; Dualismo; Libertà religiosa; Monismo; Rito.

     

    Pneumatologia (Gr. « studio dello Spirito Santo ») (inizio)

    Si chiama così quel settore della teologia che studia lo Spirito Santo. Le lettere di san Paolo attestano il ruolo dello Spirito nella rivelazione di Dio, nel condurre alla fede, nell'ispirare la preghiera, nel dimorare nella Chiesa, nel benedire la comunità con vari carismi e nel portare al compimento finale tutto e tutti in Cristo (Rm 8,1‑27; 1 Cor 2,10‑16; 12,1‑11; Gal 4,6). Spesso, lo Spirito Santo non è stato studiato in un trattato specifico, ma nel contesto di altri temi importanti come la teologia trinitaria, l'ecclesiologia, l'antropologia soprannaturale e la teologia sacramentaria. La « trascuratezza » di questo tema corrisponde a ciò che san Basilio Magno (circa 330‑379) chiamava il carattere kenotico (Gr. « vuoto ») dello Spirito che viene nell'anonimato a confermare in noi l'immagine del Figlio. Per mutuare un'immagine di Gustave Flaubert (1821‑1880), si può dire che lo Spirito Santo agisce in un certo modo come un autore nelle sue opere: è dovunque e in nessuna parte in particolare. In un certo senso, lo studio dello Spirito appartiene a tutti i settori della teologia anziché essere limitato ad uno particolare. Il Concilio Vaticano II, per esempio, nel suo insegnamento sulla Chiesa (LG 3‑4, 9‑17), fa vedere come le riflessioni cristologiche e quelle pneumatologiche si postulano e si completano reciprocamente. Cf Cristologia; Grazia; Spirito Santo; Trinità.

     

    Pneumatomachi (Gr. « che combattono lo Spirito »). (inizio)

    Una sètta della fine del IV secolo che negava la piena divinità dello Spirito Santo. Sono chiamati anche Macedoniani, probabilmente perché dopo la morte del vescovo Macedonio di Costantinopoli (morto verso il 362) si fusero con i suoi seguaci. Furono condannati nel Concilio Costantinopolitano I (381) che definì la divinità dello Spirito Santo, ma senza chiamare lo Spirito consostanziale col Figlio (cf DS 150‑151; FCC 0.509). Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I; Macedoniani; Spirito Santo.

     

    Poligamia (Gr. « molti matrimoni ») (inizio)

    L'avere più di una moglie (o più di un marito) contemporaneamente. Al tempo dei patriarchi dell'AT e anche dopo (Dt 21,15‑17), la poligamia era ammessa. Appellandosi al piano originario di Dio (Gn 2,24), Gesù difese la monogamia (Gr. « un solo matrimonio ») e respinse il divorzio e il matrimonio dopo il divorzio che equivale ad una poligamia susseguente (Mc 10,2‑12). Il Concilio Vaticano II condannò la poligamia in quanto contraria alla vera dignità del matrimonio (GS 47). Cf Matrimonio.

     

    Poligenismo (Gr. « molte origini »). (inizio)

    La teoria secondo cui la stirpe umana non proviene da una coppia originaria di antenati, come afferma il monogenismo, ma da parecchie. L'enciclica Humani Generis (1950) di Pio XII mise in guardia contro il poligenismo in quanto non sembra chiaramente conciliabile con la dottrina del peccato originale e con la sua trasmissione a tutti i discendenti di Adamo ed Eva (DS 3897; FCC 3.072). Dopo il 1950, teologi di fama e di sicura ortodossia, appoggiandosi su una esegesi seria e su una interpretazione più accurata di Rm 5,12‑19, hanno proposto vari modi per conciliare la fede nel peccato originale col poligenismo. Nello stesso tempo, però, alcuni biologi odierni sostengono che la nostra stirpe deriva non da molte famiglie, ma da una sola. Cf Creazione; Evoluzionismo; Peccato originale.

     

    Politeismo (Gr. « credere in molti dèi »). (inizio)

    È la credenza che ci siano molte divinità, spesso raggruppate attorno ad una divinità suprema in un pàntheon (Gr. « tutti gli dèi »). Esisterebbe fra di loro una certa gerarchia e personificherebbero le varie esperienze e funzioni della vita. Le religioni politeiste furono praticate nelle culture antiche dell'Africa, dell'Asia, della Grecia, di Roma e si possono trovare anche in certe culture moderne. Alcuni studiosi hanno sostenuto che nella storia delle religioni del mondo il politeismo sarebbe giunto ad un certo momento al livello più alto di monoteismo, mentre, secondo altri, sarebbe stato il monoteismo a cadere nel politeismo. I dati storici e antropologici sembrano troppo complessi perché si possano accettare simili teorie sempliciste. Cf Monoteismo; Teismo.

     

    Politica. (inizio)

    Cf Teologia politica.

     

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    00 21/08/2013 17:35

    Popolo di Dio. (inizio)

    Israele in quanto popolo eletto di Dio, messo da parte dalle altre nazioni e prediletto da Dio con una alleanza speciale (Es 5,1; 19,3‑6; Dt 4,20; 7,6‑8; Is 43,20‑21; Ger 31,33; Sal 100,3). Per il NT, coloro che credono nel Cristo formano il nuovo popolo di Dio (Rm 9,25‑26; 1 Pt 2,9‑10; Ap 21,3). Il Concilio Vaticano II usò il termine « Popolo di Dio » come una designazione fondamentale della Chiesa (LG 9‑17) e il tema è stato poi sviluppato da alcuni esponenti della teologia della liberazione. Cf Alleanza; Berith; Chiesa; Ecclesiologia; Teologia della liberazione.

     

    Positivismo. (inizio)

    La filosofia resa popolare da Augusto Comte (1798‑1857) secondo cui conosciamo solo ciò che percepiamo attraverso i sensi. Si respingono perciò gli intenti teologici e metafisici, e si aspira a riorganizzare la società su linee scientifiche. Tra le due guerre mondiali, i positivisti logici, come Alfred Ayer (1910‑1989), hanno sostenuto che solo le asserzioni che sono o tautologiche o che possono essere attestate dall'osservazione empirica sono dotate di significato. Questo principio non è né tautologico né aperto alla verifica di queste osservazioni. Cf Materialismo; Metafisica; Scienza e religione.

     

    Potenza obbedienziale (Lat. « potenza sotto obbedienza »).(inizio)

    È la natura umana in quanto aperta alla grazia divina. Il termine risale a san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274) e al beato Pietro di Tarantasia (circa 1224‑1276), conosciuto anche come papa Innocenzo V. Nella teologia post‑tridentina, questa apertura umana a Dio fu spesso interpretata in forma statica. Henri de Lubac (1896‑1991) e altri hanno usato il termine per indicare come gli esseri umani sono dinamicamente aperti alle iniziative di Dio. Cf Grazia.

     

    Potere di giurisdizione. (inizio)

    Cf Gerarchia; Giurisdizione; Ordinazione.

     

    Potere di ordine. (inizio)

    Cf Gerarchia; Giurisdizione; Ordinazione.

     

    Povertà. (inizio)

    a) La condizione di coloro che sono privi dei beni e servizi essenziali come vitto, vestito, alloggio e, per analogia, la situazione di coloro che in vari modi sono poveri spiritualmente. L'Enciclica di Giovanni Paolo II del 1987 Sollicitudo rei socialis (cf nn. 14‑19), come anche molti pastori della Chiesa ed altri cristiani, hanno denunciato profeticamente le condizioni di vita sub‑umane a cui sono costretti milioni di persone a causa di guerre, armamenti militari, avidità delle nazioni ricche ed altri fattori.

      b) Come consiglio evangelico, la povertà significa la rinuncia volontaria alla proprietà privata per seguire Cristo più da vicino (cf Mc 10,17‑22; 2 Cor 8,9), servire gli altri più liberamente e testimoniare più visibilmente il valore assoluto del Regno di Dio (PC 13). Il CIC sintetizza ciò che è essenzialmente implicato nella pratica del consiglio evangelico della povertà negli istituti di vita religiosa e consacrata.

      Cf Anawim; Beatitudini; Consigli evangelici; Diritti umani; Dottrina sociale; Giustizia; Opzione per i poveri; Teologia della liberazione; Vita religiosa; Voto.

     

    Pragmatismo (Gr. « credere nelle cose »). (inizio)

    Un movimento filosofico americano iniziato da Charles Sanders Peirce (1839‑1914) e sviluppato da William James (1842‑1910) e John Dewey (1859‑1952). Nell'illustrare la realtà dell'esperienza, questa scuola attestava la verità delle asserzioni con i risultati pratici. Dewey, in particolare, ebbe una profonda influenza sul pensiero e sull'educazione americana. Il pragmatismo influenzò anche George Tyrrell (1861‑1909) ed altri modernisti. Cf Filosofia; Modernismo.

     

    Prassi (Gr. « fare, compiere »). (inizio)

    Attività auto‑critica che non si accontenta di un'asserzione puramente teorica della verità, ma mira a verificare la verità col trasformare la società. Il discepolato cristiano richiede una prassi centrata su Gesù, e lungi dal disprezzare il culto pubblico della Chiesa, porta ad esso ed è un suo frutto. Cf Ortodossia; Ortoprassi; Scuola di Francoforte; Teologia politica.

     

    Preamboli della fede. (inizio)

    I presupposti della fede cristiana che possono essere esplicitati per mostrare come l'atto di fede è anche un atto umano razionale. Da una parte, l'esperienza umana, specialmente nei suoi aspetti più profondi, può aiutare ad ascoltare e ad accogliere con fede la parola rivelata. D'altra parte, l'accettazione della auto‑comunicazione di Dio in Cristo presuppone una qualche conoscenza di Dio, della sorte umana (cf Rm 1,19‑20; 2,15; Eb 11,6) e della storia del Gesù terrestre. Cf Analisi della fede; Fede.

     

    Predestinazione (« ordinare prima »). (inizio)

    Essere eletti alla salvezza mediante l'eterna prescienza e volontà di Dio (cf Mt 20,23; Gv 10,29; Rm 8,28‑30; Ef 1,3‑14). La controversia pelagiana portò sant'Agostino di Ippona (354‑430) a formulare alcune asserzioni estremiste sulla elezione da parte di Dio: dalla « massa di peccato » che è la stirpe umana, Dio elegge alcuni per la salvezza eterna. Negando la volontà salvifica universale di Dio, Giovanni Calvino (1509‑1564) sosteneva una duplice predestinazione: alcuni sono eletti da Dio per la salvezza eterna e gli altri per la dannazione eterna. Questa teoria è stata sostenuta dal monaco Gottescalco (circa 804 ‑ circa 869) condannata in sinodi a Magonza e a Quiercy (cf DS 621, 685, 1567; FCC 8.043, 8.100). Mentre rivendica giustamente il primato della grazia divina da cui dipendiamo in grado sommo, la predestinazione non va, però, spinta fino al punto di negare o la volontà salvifica universale di Dio (1 Tm 2,3‑6), o la libertà umana. Cf Apocatàstasi; Calvinismo; Grazia; Libertà; Merito; Molinismo; Pelagianesimo; Prescienza; Providenza; Salvezza.

     

    Predicazione. (inizio)

    L'atto di proclamare la Parola di Dio nel culto cristiano, o di invitare alla conversione e al culto. Preceduto da Giovanni Battista (Mc 1,1‑8), Gesù ha proclamato la Buona Novella di Dio (Mc 1,14‑15) ed ha mandato i Dodici a predicare (Mc 6,7‑13). Pietro (Gal 2,7‑8), Paolo e altri missionari cristiani hanno proclamato il vangelo di Gesù crocifisso e risorto dai morti come Cristo, Signore e Figlio di Dio (Rm 1,1‑6.15‑16; 10,14‑18; Gal 1,15‑16). Tra i grandi predicatori cristiani vanno ricordati: san Giovanni Crisostomo (circa 347‑407), sant'Agostino di Ippona (354‑430), il vescovo Giacomo Benigno Bossuet (1627‑1704), Luigi Bourdaloue (1632‑1704), John Wesley (1703‑1791), John Henry Newman (1801‑1890). L'Ordine dei Predicatori » è il nome dato all'Ordine religioso fondato da san Domenico di Guzman (1170‑1221). Di fronte alla rivoluzione moderna dei mezzi di comunicazione sociale, lo stile di predicazione è cambiato notevolmente per servire meglio le sfide dell'evangelizzazione. Cf Catechesi; Culto; Evangelizzazione; Kèrigma; Omiletica; Parola di Dio; Proclamazione.

     

    Preesistenza. (inizio)

    La fede secondo cui Gesù di Nazaret eraè personalmente identico col Figlio di Dio il quale è esistito da tutta l'eternità ed è entrato in questo mondo per manifestarsi nella storia umana (Gv 1,14; 1 Cor 8,6; 2 Cor 8,9; Fil 2,5‑11; Col 1,15‑17; Eb 1,2‑3). Quantunque il pensiero ebraico pre‑cristiano ammettesse intermediari tra Dio e il mondo, non ci sono precedenti che si possano dimostrare per il concetto della piena preesistenza personale di Cristo come Figlio di Dio e Lògos che « scende » su questa terra. Nell'ebraismo pre‑cristiano, la Sapienza e il Lògossono soltanto metafore vivaci che indicano attributi e attività di Dio. Platone (427‑347 a.C.) parlava delle idee preesistenti che servivano da modelli al demiurgo per fare il mondo. La sua filosofia incoraggiò Origene (circa 185 ‑ circa 254) a sostenere che Dio aveva creato spiriti il cui uso o abuso della libera volontà li avrebbe resi angeli o demoni, o anche trasformati in anime abitate da corpi umani. Cf Cristologia dall'alto; Demiurgo; Eternità; Incarnazione; Lògos; Sapienza.

     

    Prefazio (Lat. « detto prima »). (inizio)

    Originariamente, nel rito latino, indicava qualsiasi preghiera « detta davanti » al popolo. Adesso, si riferisce unicamente a quella preghiera che introduce il « Ca

    none » nella Messa latina e che elenca i motivi per cui si deve lodare Dio. I Prefazi variano coi periodi dell'anno (per es., Avvento, Quaresima, Pasqua e Pentecoste) come anche a seconda delle varie feste (per es., quelle della Beata Vergine Maria, degli Apostoli, dei Martiri). CfEucaristia; Liturgia; Preghiera eucaristica.

     

    Preghiera. (inizio)

    È definita tradizionalmente con Evagrio Pontico (346‑399): « il dialogo della mente con Dio », o, con san Giovanni Damasceno (circa 675 circa 749): « elevazione della mente a Dio ». La parola « mente » non va qui intesa come un modo puramente intellettuale: la preghiera coinvolge anche la nostra libertà e i nostri sentimenti. Dio è presente in un modo che va ben oltre la presenza di due « partners » umani dialoganti. Pregare vuol dire: invocare, adorare, lodare, ringraziare, esprimere pentimento, chiedere grazie al nostro Creatore e Signore personale. La preghiera può essere espressa ad alta voce o silenziosamente nel cuore, può essere fatta da soli o con altri, all'interno della liturgia ufficiale o fuori di essa. Gesù ha pregato in pubblico ed in privato (per es., Mc 1,35; 6,46; 14,12‑26.32‑42), ha insegnato ai suoi discepoli a pregare (Mt 6,9‑13; 7,7‑11; Lc 11,1‑4), con loro ha ereditato la preghiera tradizionale dell'AT rappresentata classicamente dai Salmi. La ricchissima raccolta di preghiere del NT è condensata nei primi capitoli del Vangelo di Luca (Lc 1,46‑55.68‑79; 2,14.29‑32). I cristiani sanno che lo Spirito Santo rende possibile la loro vita di preghiera (Rm 8,15.26‑27; Gal 4,6). CfAcemeti; Ascesi; Contemplazione; Culto; Esicasmo; Filocalìa; Intercessione; Liturgia; Liturgia delle ore; Meditazione; Mistica; Preghiera impetratoria; Preghiera di Gesù; Teologia apofatica; Teologia catafatica.

     

    Preghiera del cuore. Cf Esicasmo; Preghiera di Gesù. (inizio)

     

    Preghiera del mattino. Cf Lodi. (inizio)

    Preghiera di Gesù. (inizio)

    Una preghiera popolare degli Orientali che consiste nel ripetere il nome di Gesù in una breve formula: « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me ». Ci sono molte varianti, fra cui l'aggiunta russa alla fine: « peccatore ». La preghiera di Gesù, che echeggia invocazioni (Mc 10,47‑48; Lc 23,42) e acclamazioni (1 Cor 12,30) già presenti nel NT, proviene da una spiritualità monastica desiderosa di pregare sempre (cf Lc 18,1; Ef 6,18; 1 Ts 5,17). A partire dal XIII secolo, è stata spesso accompagnata da una tecnica di respiro. Cf Esicasmo; Filocalia.

     

    Preghiera eucaristica. (inizio)

    La preghiera che è al centro dell'Eucaristia e che nella liturgia romana è chiamata « canone ». Alcune forme successive sembrano essere varianti della prima preghiera eucaristica sviluppata pienamente e che si trova nella Tradizione Apostolica (circa 215), spesso attribuita a sant'Ippolito di Roma. Con alcune varianti nell'ordine, una preghiera eucaristica contiene i seguenti elementi: un dialogo introduttorio tra il celebrante e l'assemblea, una preghiera di lode e di ringraziamento, il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia, l'anàmnesi che ricorda le azioni salvifiche di Dio, l'epìclesi che invoca la discesa dello Spirito, le commemorazioni o intercessioni, e la dossologia finale. Cf Anàmnesi; Anàfora; Canone; Dossologia; Epìclesi; Intercessione.

     

    Preghiera impetratoria (Lat. « ottenere col chiedere »).(inizio)

    Pregare Dio per le proprie necessità e per quelle altrui. Questa preghiera è legittima nella misura in cui preghiamo Dio di esaudirci secondo la sua volontà e per il nostro vero bene (Gn 18,22‑33; Mt 6,9‑13; 7,7‑11; Lc 11,1‑13; cf DS 957‑959). Cf Intercessione; Preghiera.

     

    Preparazione al Natale. (inizio)

    In Occidente, si chiama Avvento. I Siriani Orientali chiamano la loro preparazione che abbraccia le quattro domeniche prima di Natale, subàra (in Siriaco: « Annunciazione »). I Siriani Occidentali fanno altrettanto nelle sei domeniche che precedono il Natale. Entrambi celebrano in questa stagione l'annunciazione a Maria e la nascita di san Giovanni Battista. Nella tradizione bizantina, questo periodo che precede il Natale comincia il 15 novembre e comprende un digiuno di quaranta giorni, chiamato alle volte « digiuno di Filippo », perché comincia il giorno dopo la festa dell'Apostolo san Filippo. Cf Annunciazione; Avvento; Calendario liturgico; Digiuno; Liturgia.

     

    Presbiterianesimo. (inizio)

    Una forma di governo di Chiesa che si distingue, da una parte, dall'episcopalismo o governo dei vescovi, e, dall'altra, dal congregazionalismo o governo della comunità. Il governo comprende una serie di commissioni fino all'Assemblea Generale coi ministri rappresentanti e gli anziani che vi partecipano dopo che sono stati eletti. I Presbiteriani sono nella tradizione di Giovanni Calvino (1509‑1564) e del riformatore scozzese John Knox (circa 1505‑1572). La Chiesa di Scozia è l'unica Chiesa presbiteriana ad essere anche una Chiesa di Stato. Cf Anziani; Calvinismo; Episcopaliani; Teologia congregazionalista.

     

    Presbitero (Gr. « anziano »). (inizio)

    Termine usato per i capi di una sinagoga, per i membri del Sinedrio giudaico o del supremo concilio di Gerusalemme, e per coloro che erano a capo delle prime comunità cristiane (cf At 11,30; 14,23). In origine, pare che « presbiteri » fosse sinonimo di episkopoi (Gr. « ispettori ») (cf Fil 1,1; Tt 1,5.7). Nella Chiesa di Gerusalemme, i « presbiteri » erano collaboratori degli Apostoli (At 15,2.4.6.22‑23; 16,4). Al tempo di sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107), i presbiteri (o sacerdoti) erano una categoria che veniva dopo gli ispettori (o vescovi) e prima dei diaconi. Il decreto del Concilio Vaticano II sui sacerdoti è intitolato Presbyterorum Ordinis(1965). Cf Anziani; Diacono; Sacerdoti; Vescovo.

     

     Prescienza. (inizio)

     La conoscenza di Dio di tutti gli eventi futuri. Siccome alcuni eventi futuri dipendono in parte dalla scelta umana, sorge il problema di come conciliare la prescienza divina con la libertà umana. Cf Libertà; Predestinazione; Profeta; Sistemi della grazia.

     

    Presenza reale. (inizio)

    Tra le varie presenze del Cristo risorto nel nostro mondo, la presenza per eccellenza (SC 7) è quella eucaristica. Dopo la consacrazione nella Messa, Cristo è presente col suo corpo, sangue, anima e divinità sotto le specie del pane e del vino (cf DS 1637; 1640‑1641, 1651‑1653; FCC 9.136, 9.139, 9.149.9.151). Cf Consacrazione; Eucaristia; Transostanziazione.

     

    Preziosissimo sangue. (inizio)

    Cf Sangue di Cristo.

     

    Primato (Lat. « prima sede » ). (inizio)

    L'ufficio del vescovo capo, ossia primate in una Chiesa e il rispetto dovuto al suo rango.Primato di onore significa la presidenza nei sinodi e nelle assemblee, ma non comporta un'autorità speciale oltre la propria diocesi, come è il caso dell'arcivescovo di Canterbury nella Comunione Anglicana. Il primato di giurisdizione del papa comporta invece una reale autorità nel governo pastorale dell'intera Chiesa (cf DS 875, 3059‑3060, 3063‑3064 e 3074; FCC 7.150, 7.184‑7.185, 7.188‑7.189, 7.198). Molti Ortodossi riconoscono al Papa un primato di onore, ma non una reale giurisdizione. Comunque, quando Giovanni Paolo II visitò Costantinopoli nel 1979, il Patriarca Demetrio I lo salutò con le parole di sant'Ignazio di Antiochia (circa 35 ‑ circa 107) che descriveva la Sede Romana come quella che « presiede nella carità », titolo prestigioso che indica un servizio pastorale per l'intera Chiesa. Nella Chiesa Armena come anche in quella Siriana, il primate è chiamato catholicos (Gr. « capo generale »). Cf Autorità; Chiesa Apostolica Assiriana d'Oriente; Cristianità Armena; Diocesi; Giurisdizione; Papa; Sinodo; Vescovo.

     

    Priscillianismo. (inizio)

    Un'eresia del IV secolo capeggiata dallo spagnolo Priscilliano, predicatore e già vescovo di Avila. Questa eresia dualistica mutuava elementi dallo Gnosticismo e dal Manicheismo e seguiva le tendenze sabelliane nell'interpretare « Padre », « Figlio » e « Spirito Santo » come tre puri modi o aspetti, cioè, tre maniere di considerare lo stesso Dio. La reazione a questa eresia accelerò gli sviluppi della dottrina trinitaria e la Spagna fu la prima nazione cattolica a fare uso del « Filioque » nella sua professione di fede. Nel 386, nonostante le proteste di san Martino di Tours (morto nel 397), Priscilliano fu messo a morte dalle autorità civili di Treviri (cf DS 188‑208, 283‑286, e 451‑464; FCC 3.001, 3.003, 3008, 5.006, 6.019‑6.023). Cf Dualismo; Gnosticismo; Manicheismo; Modalismo; Patripassianismo.

     

    Privilegio paolino. (inizio)

    Il diritto di risposarsi che hanno quelle persone che si sono convertite al cristianesimo e trovano che il loro consorte non cristiano vuole separarsi o non permette loro di praticare pacificamente la religione cristiana (CIC 1143). San Paolo per primo affermò questo privilegio (1 Cor 7,12‑15). Cf Impedimenti del matrimonio; Matrimoni.

     

    Probabilismo. (inizio)

    Un sistema di teologia morale caratterizzato dal principio secondo cui se, dopo aver cercato di arrivare alla certezza, rimane un dubbio oggettivo circa l'esistenza di una legge o sulla sua applicazione, è lecito agire in base ad un'opinione puramente probabile, anche se l'opinione opposta, favorevole a un'interpretazione più stretta, può apparire più probabile. Questo sistema, sostenuto dai Gesuiti e da altri, fu contrastato dal probabiliorismo, un sistema adottato dai Domenicani nel 1656 il quale permetteva di seguire soltanto quelle opinioni che avevano una maggiore evidenza a loro favore. Sant'Alfonso de' Liguori (1696‑1787), fondatore dei Redentoristi, con la sua posizione mediana, fornì un appoggio al probabilismo, il sistema oggi comunemente accettato (cf DS 2725‑2727). Cf Giansenismo; Lassismo; Rigorismo; Teologia morale.

     

    Processioni. (inizio)

    Termine teologico per indicare il modo con cui la seconda e la terza persona della Trinità hanno origine dal Padre. L'origine del Figlio dal Padre è chiamata anche « generazione », o « filiazione », mentre quella dello Spirito dal Padre e dal Figlio è chiamata anche « spirazione » (cf DS 150, 804; FCC 0.509, 6.064). Sant'Agostino di Ippona (354‑430), seguito dagli scolastici medievali, interpretò la generazione del Figlio come atto di auto‑conoscenza da parte del Padre, mentre lo Spirito « procede » dal reciproco amore del Padre e del Figlio. Cf Filioque; Scolastica; Teologia trinitaria; Trinità immanente.

     

    Proclamazione. (inizio)

    Annunciare Cristo (Col 1,28) e il vangelo (1 Cor 9,14) con lode e ringraziamento. Questo può avvenire mediante l'evangelizzazione a « quelli di fuori », o anche all'interno della liturgia, come nell'Exsultet, o proclamazione della veglia pasquale, e nell'Eucaristia che proclama « la morte del Signore finché egli venga » (1 Cor 11,26). Cf Anàmnesi; Dossologia; Evangelizzazione; Kèrigma; Omelia; Predicazione; Profeta.

     

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    00 21/08/2013 17:36

    Professione di fede (o Simbolo). (inizio)

    Versione sintetica dei punti principali della fede cristiana. In risposta alle domande circa il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, le professioni di fede (o simboli) si sono sviluppate in collegamento con il battesimo. Le controversie e le eresie hanno costretto la Chiesa a chiarire ulteriormente le dottrine espresse nelle professioni di fede (o simboli).

     

    Profeta. (inizio)

    Si chiama così colui che è ispirato dallo Spirito di Dio per parlare eo per agire in un certo modo. Interpretando gli eventi passati e presenti ed annunciando quelli futuri, i profeti dell'AT hanno parlato in base a una profonda conoscenza di Dio, hanno predicato la fedeltà all'Alleanza e si sono opposti all'osservanza puramente esteriore della Legge. Chiamati da Dio (Is 6,1‑13; Ger 1,4‑19; Ez 1,1-3,27), i profeti hanno annunciato la Parola di Dio al popolo. I conflitti tra i profeti hanno evidenziato i criteri per identificare quelli veri che parlavano a nome di Dio (1 Re 22; Ger 27‑28). Il NT incontrò problemi del genere nell'attestare e nel discernere la profezia (1 Cor 14,37‑40; 1 Ts 5,19‑21). Riconosciuto come profeta (Mc 6,15; 8,28), o come il profeta (Gv 6,14; 7,40; cf Dt 18,15.18), Gesù parlò e agì da profeta (Mc 11,15‑18; 13,1‑2; Lc 11,29). Mentre si inserì nella linea dei profeti (Mt 13,57; Lc 13,34), Gesù affermò anche di essere « più » dei profeti, dei re, delle persone e dei luoghi sacri dell'AT (per es., Mt 12,15‑21.41‑42). Il NT fa notare ripetutamente come le attese profetiche si siano compiute in Gesù. Il carisma profetico è continuato nelle comunità del NT (Rm 12,6; 1 Cor 12,28‑30; 14,29.32) e nella Chiesa successiva. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la partecipazione dei battezzati all'ufficio profetico di Cristo (LG 12,35). Cf Antico Testamento; Carisma; Gesù Cristo; Islamismo; Sacerdoti.

     

    Profezia. Cf Profeta. (inizio)

     

    Prolessi (Gr. « anticipazione »). (inizio)

    Il principio dell'anticipazione reale che proviene dal modo con cui la risurrezione di Cristo rappresenta in anticipo quello che succederà al termine della storia (1 Cor 15,20. 28) e illumina la natura della grazia e dei sacramenti come l'inizio reale della nostra vita di gloria (Gv 6,54; Rm 6,3‑8; 1 Cor 11,26). Il teologo di Monaco di Baviera Wolfhart Pannenberg (nato nel 1928) si appella al principio della prolessi per affrontare una vasta gamma di problemi teologici e filosofici. Cf Escatologia; Storia.

     

    Propiziazione. (inizio)

    È una spiegazione della redenzione che descrive l'ira di Dio placata con la morte sacrificale di Cristo. Questa spiegazione poggia su una interpretazione errata di alcuni passi del NT (per es., Rm 3,25; 8,3; 2 Cor 5,21; Gal 3,13). I termini appropriati per il riscatto (per es., espiazione e sacrificio) vanno accuratamente distinti dal linguaggio di propiziazione che molti autori cattolici e protestanti hanno purtroppo usato fino al secolo XX. Cf Espiazione; Redenzione; Riscatto; Sacrificio; Soddisfazione.

     

    Proseliti (Gr. « Coloro che hanno seguito »). (inizio)

    Pagani convertiti all'ebraismo (cf Mt 23,15; At 2,11), o anche « timorati di Dio » che osservavano solo una parte della legge ebraica (cf At 10,2; 13,43).

     

    Proselitismo. (inizio)

    Nel passato, proselitismo era spesso sinonimo di evangelizzazione. Di fatto, il Concilio Vaticano II ribadì il diritto della Chiesa di evangelizzare e di operare conversioni (AG 7; DH 13‑15). Però, oggi il termine proselitismo ha quasi sempre il significato negativo di costringere o comunque di fare pressioni su qualcuno perché accetti una data fede. Le società civili e religiose hanno spesso condannato questo tipo di proselitismo, che è deplorato anche dal Vaticano II (AG 13; DH 4). Nel dialogo ecumenico con le Chiese ortodosse d'Oriente, il proselitismo è uno dei problemi dibattuti oggi. Cf Conversione; Evangelizzazione; Libertà religiosa; Uniati.

     

    Pròsopon (Gr. « faccia », « maschera », « ruolo »). (inizio)

    Inizialmente, significava una maschera portata sul palco. In seguito, indicò la persona. Alcuni Padri della Chiesa parlano di tre pròsopa della Trinità e di un pròsopon in Gesù Cristo (cf DS 250, 302; FCC 4.003, 4.012). Però, ipòstasi divenne il termine più comune per indicare la persona. Cf Ipòstasi; Persona.

     

    Protestante. (inizio)

    Persona, chiesa, teologia o istituzione che in qualche modo è in rapporto con la riforma « protestante » del XVI secolo. l'inizio del protestantesimo è datato simbolicamente al 31 Ottobre 1517, quando Martin Lutero pubblicò le sue novantacinque tesi sulle indulgenze, in cui attaccava vari abusi riguardanti la dottrina, la predicazione e la pratica della penitenza. Il termine « protestante » proviene dalla minoranza non cattolica presente alla dieta imperiale di Spira nel 1529. Essa presentò una « protesta » contro le decisioni dell'Imperatore cattolico Carlo V in fatto di religione. Il termine « protestante », identificato spesso con « evangelico », esprime alle volte un antagonismo con il cattolicesimo. I princìpi teologici comuni del protestantesimo sono: la dottrina della giustificazione mediante la sola fede e non dalle opere, la sola autorità della Sacra Scrittura, il sacerdozio comune dei fedeli. Cf Battisti; Calvinismo; Corruzione totale; Evangelici; Fede e Opere; Hussiti; Imputazione; Legge e Vangelo; Luteranesimo; Metodismo; Neo‑ortodossia; Presbiterianesimo; Protestantesimo; Puritani; Riforma (La); Sacramento della penitenza; Sola fede; Sola grazia; Sola Scrittura; Theologia Crucis;  Zwinglianesimo.

     

    Protestantesimo liberale. (inizio)

    Si chiama così quel movimento teologico protestante dei secoli XIX e XX, fortemente influenzato dalla filosofia dell'Illuminismo, spesso opposto ai dogmi della Chiesa e intento a sviluppare un approccio scientifico della Bibbia. Friedrich Schleiermacher (1768‑1834) è considerato generalmente il fondatore di questo movimento. Secondo lui, l'esperienza religiosa e la consapevolezza interiore di Dio sono normative in campo di fede. I vari suoi successori cercarono di togliere dalla Scrittura quanto vi fosse di leggendario o di mitico per scoprirne la storia originale. Un forte interesse etico (che sottovalutò l'escatologia) illustrò la religione del Gesù storico espressa attraverso il Discorso della Montagna e sintetizzata come solidarietà umana sottomessa a Dio. Qualcuno, come Ernst Troeltsch (1865‑1923) diede scarsa importanza al fatto unico della rivelazione di Gesù e vide nel cristianesimo poco più di un fenomeno di una certa influenza nella storia delle religioni. La fede nella scienza moderna, nella filosofia e nel progresso incoraggiarono i teologi ad allearsi strettamente con la cultura borghese europea e coi suoi capi politici. Un esempio evidente ci è dato da Adolf von Harnack (1851‑1930). La prima guerra mondiale e la nascita della teologia dialettica tennero a bada per un certo tempo il protestantesimo liberale. Esso tornò ad avere un certo successo negli anni '60. CfEscatologia; Gesù storico; Illuminismo; Modernismo; Protestante; Teologia Dialettica.

     

    Protocanonico (Gr. « elencati nel canone fin dall'inizio »).(inizio)

    Termine applicato alla maggior parte dei libri dell'AT accettati come ispirati e canonici da tutti. Cf Apocrifi; Canone; Libri deuterocanonici.

     

    Protologia (Gr. « studio delle prime cose »). (inizio)

    Dottrina circa l'origine del mondo e degli esseri umani. La protologia è correlata con l'escatologia, in quanto il progetto di Dio all'inizio è illuminato nel senso migliore dal suo pieno compimento alla fine. Cf Adamo; Caduta (La); Creazione; Eva; Giustizia originale; Peccato originale.

     

    Protovangelo (Gr. « primo vangelo »). (inizio)

    La storia dell'infanzia di Gesù nel vangelo apocrifo di Giacomo. Il termine si applica anche all'interpretazione tradizionale della donna che schiaccia il capo al serpente (Gn 3,15) come prima promessa della salvezza e del ruolo che Maria avrà in essa. Cf Escatologia; Sensi della Scrittura; Vangeli apocrifi; Vangeli dell'infanzia.

     

    Provvidenza (Lat. « sollecitudine »). (inizio)

    La cura sapiente, amorosa e onnicomprensiva di Dio nei riguardi della natura, della storia e delle singole vite umane (cf Mt 6,25‑34; 10,29‑31). La dottrina cristiana della provvidenza è conciliabile con la libertà umana e con le vie misteriose di Dio il quale può « scrivere diritto su righe storte ». Cf Deismo; Libertà; Predestinazione; Prescienza; Teismo.

     

    Prudenza (Lat. « preveggenza »). (inizio)

    È la prima delle quattro virtù cardinali. Comporta la capacità di tradurre in pratica le norme e gli ideali generici. La prudenza cristiana è più che una pura accortezza che prevede le difficoltà e scansa le conseguenze sgradite. La prudenza comporta l'esercizio di una immaginazione pratica che rende coerente l'intera vita morale di una persona. Cf Virtù cardinali.

     

    Pseudepigrafi (Gr. « titoli falsi »). (inizio)

    Libri attribuiti ad un autore diverso da quello vero, probabilmente per dare loro maggiore autorità. Si hanno esempi nei libri non canonici di Enoc e dell'Assunzione di Mosè. I cattolici usano il termine « apocrifi » in riferimento a libri ebraici pseudonimi. Cf Apocrifi.

     

     

    Punto omega (Gr. l'ultima lettera dell'alfabeto). (inizio)

    La méta finale (cf Ap 1,8; 21,6; 22,13) dell'evolversi e del convergere dell'universo secondo il pensiero di Pierre Teilhard de Chardin, gesuita francese, paleontologo (1881‑1955). Sintetizzando la fede cristiana coi dati della scienza nelle sue opere tra cui Il fenomeno umano, Ambiente divino e altre opere (postume), Teilhard descrisse un mondo di una complessità crescente, progressivamente umanizzato e « cristificato », ossia che si evolve verso il suo vertice nel Cristo cosmico (cf 1 Cor 15,28; Ef 1,3‑10; Col 1,15‑20). Cf Cristocentrismo; Entelechìa; Escatologia; Parusìa.

     

    Purgatorio (Lat. « purificazione »). (inizio)

    È lo stato di coloro che muoiono in comunione con Dio, ma hanno ancora bisogno che i loro peccati personali siano espiati (mediante i meriti di Cristo) e devono crescere spiritualmente prima di poter godere la visione beatifica. I passi scritturistici che sono stati addotti (2 Mac 12,38‑46; Mt 5,25‑26; 12,31‑32 e 1 Cor 3,11‑15) non sono tali da poter stabilire da soli l'esistenza del Purgatorio. Esso può essere confermato alla luce della giustizia divina e dal fatto delle preghiere dei cristiani (attestate almeno fin dal II secolo) e dalla celebrazione dell'Eucaristia (attestata almeno fin dal III secolo) per i defunti. In linea con questa prassi, autori Greci come san Clemente di Alessandria (circa 150 ‑ circa 215), Origene (circa 185 ‑ circa 254) e san Giovanni Crisostomo (circa 347‑407) e scrittori latini come Tertulliano (circa 160 ‑ circa 225), san Cipriano (morto nel 258) e sant'Agostino di Ippona (354‑430) scrissero in vari modi sulla purificazione dopo la morte e sulla nostra comunione mediante la preghiera per i nostri cari defunti. La preghiera per i defunti è rimasta un elemento tipico delle liturgie orientali e occidentali. Il Concilio di Lione II (1274) e quello di Firenze (1438‑1445) hanno parlato della sofferenza purificatrice sopportata dopo la morte (di coloro che non sono ancora degni della visione beatifica) e del valore delle preghiere e buone opere in loro suffragio (DS 856‑857; 859; 1304‑1305; FCC 0.012‑0.013, 0.015, 0.022‑0.023). Hanno evitato, però, di parlare di « fuoco » a cui sono contrari gli Ortodossi. Martin Lutero (1483‑1546) respinse prima il valore delle indulgenze per i defunti e poi anche l'esistenza del Purgatorio. Il Concilio di Trento (1545‑1563) ribadì la dottrina del Purgatorio, non disse nulla circa la sua natura e durata, riaffermò il valore delle preghiere e dell'Eucaristia per quelli che si trovano in Purgatorio (DS 1580, 1820; FCC 0.029, 8.113). Il Concilio Vaticano II ricordò la nostra comunione con coloro che si purificano dopo morte e fece suo l'insegnamento di Firenze e di Trento (LG 49, 51). Lo stato del Purgatorio può essere inteso come un processo finale di maturazione amorosa, ma dolorosa, prima di poter vedere Dio a faccia a faccia. Con il giudizio universale, il Purgatorio cesserà di essere (DS 1067; FCC 0.021). Cf Comunione dei Santi; Eschata; Indulgenze; Morte; Visione beatifica.

     

    Puritani. (inizio)

    Termine generico per indicare quei gruppi influenti nella Chiesa d'Inghilterra che opposero il loro sistema religioso a quello della Regina Elisabetta I (1533‑1603) e, seguendo una teologia calvinista, mirarono a purificare la Chiesa dagli elementi non biblici. Insistettero su una stretta osservanza della Domenica e su un codice morale molto austero. Molti Puritani hanno finito per non accettare il governo episcopale della Chiesa. Fra i principali Puritani inglesi, vanno ricordati: Thomas Cartwright (1535‑1603), il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599‑1658), e il poeta John Milton (1599‑1658). All'inizio del XVII secolo, i profughi Puritani costituirono una colonia nel Massachusetts. Il teologo più famoso che emerse tra i Puritani della Nuova Inghilterra fu Jonathan Edwards (1703‑1758). Nelle Isole britanniche, gli Anglicani della « Chiesa Bassa », i Battisti, i Congregazionalisti, i Presbiteriani e i Quaccheri (o Società degli Amici) hanno tutti ereditato elementi di origine puritana. Cf Battisti; Calvinismo; Comunione anglicana; Episcopato; Presbiterianesimo; Protestante; Riforma (La); Società degli amici; Teologia; Teologia congregazionalista.

     

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    00 21/08/2013 17:38

    Q

     

    Quaccheri. (inizio)

    Cf Società degli amici.

     

    Qualifica teologica. (inizio)

    Si chiama così la valutazione di una proposizione teologica nel suo rapporto con la verità rivelata e con la dottrina della Chiesa. Se questa proposizione risulta fondata nella rivelazione, può essere qualificata come de fide divina. Se è stata definita solennemente dal Magistero straordinario, diviene de fide definita. Altre qualifiche teologiche sono de fide ecclesiastica (fede della Chiesa), fide proxima (vicina ad una definizione), theologice certa (teologicamente certa) (cf DS 2269, 2374). Una volta, la qualifica teologica delle varie asserzioni era un dato costante, ma oggi è largamente caduta in disuso. Un documento della Commissione Teologica Internazionale del 1989 (« L'interpretazione del dogma ») ne ha richiamato il valore. CfConcilio Ecumenico; Eresia; Infallibilità; Magistero; Teologia.

     

    Quaresima. (inizio)

    Si chiama così il periodo di quaranta giorni che precede la Pasqua. Sono giorni di preghiera, di digiuno, di elemosine e di conversione. I cristiani si preparano così alla più grande festa dell'anno. Ovviamente, si vengono ad imitare i quaranta giorni di digiuno di Mosè (Es 24,18), di Elia (1 Re 19,8) e soprattutto di Gesù medesimo (Mc 1,13). La durata attuale della Quaresima è stata fissata nel VII secolo, quando a Roma il digiuno cominciò il Mercoledì delle Ceneri anziché dopo la prima domenica di Quaresima. Nel rito ambrosiano di Milano, questi giorni supplementari non sono mai stati aggiunti. Per quanto riguarda gli Orientali, il periodo della Quaresima dura sette settimane, ma siccome non si digiuna né il sabato, né la domenica, il numero totale dei giorni di digiuno è di trentasei. In origine, il digiuno quaresimale era molto rigoroso: consisteva in un solo pasto verso sera, in cui erano proibiti la carne, il pesce e generalmente anche i latticini. I cristiani orientali hanno conservato qualcosa di questa severa disciplina. La Quaresima è il tempo speciale per la preparazione dei catecumeni al battesimo. È proibito celebrare solennemente il matrimonio durante questo periodo. A Roma, vengono celebrate messe speciali ogni giorno in una chiesa particolare, o « stazione ». Nella tradizione bizantina, la prima domenica di Quaresima è la Festa dell'Ortodossia, che ricorda la vittoria sugli iconoclasti e su altri eretici; la seconda domenica è la festa di san Gregorio Palamas (circa 1296‑1359); nella terza domenica è venerata la croce; e nel venerdì della quinta settimana si canta l'Akàthistos. Cf Akàthistos; Astinenza; Catecumenato; Digiuno; Palamismo; Settimana Santa.

     

    Quattro tempora. (inizio)

    Quattro periodi di digiuno e di astinenza che in origine erano probabilmente collegati con feste del raccolto e in seguito costituirono una preparazione per le ordinazioni. Le Quattro Tempora sono il mercoledì, venerdì e sabato dopo il Mercoledì delle Ceneri, dopo la domenica di Pentecoste, dopo l'Esaltazione di Santa Croce (14 settembre) e dopo santa Lucia (13 dicembre). Cf Astinenza; Digiuno.

     

    Quelle o Q (Tedesco « fonte »). (inizio)

    Un documento ipotetico perduto che sarebbe stato composto ampiamente di detti o lòghia di Gesù e usato come fonte principale da Matteo e da Luca. Molti studiosi accettano questa ipotesi che spiega le numerose affinità che esistono tra Matteo e Luca. Cf Teoria delle due fonti; Vangeli Sinottici.

     

    Quietismo. (inizio)

    Scuola di spiritualità sviluppata da Miguel de Molinos (circa 1640‑1697) il quale predicava un abbandono totale in Dio che riduceva la responsabilità umana e riteneva superflui gli atti di religione. Nel 1687, fu condannato da colui che era prima suo amico, il papa Innocenzo XI (cf DS 2201‑2269) L'accusa di quietismo fu portata anche contro Madame Guyon (1648‑1717) e François de Salignac Fénelon, arcivescovo di Cambrai (1651‑1715). Quest'ultimo fu condannato da Innocenzo XII nel 1699 (DS 2340‑2374). Cf Spiritualità.

     

    Quinisesto. (inizio)

    Cf Sinodo trullano.

     

    Qumran. (inizio)

    Cf Manoscritto di Qumran.

     
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    00 21/08/2013 17:39

    R

     

     Rato e consumato.  (inizio)

    Termine del Diritto Canonico per designare un matrimonio che è stato contratto validamente e consumato sessualmente in un modo conveniente alla dignità umana e aperto alla procreazione dei figli (cf CIC 1061). Un matrimonio rato e consumato è indissolubile; se è soltanto rato, può essere sciolto per ragioni serie. Cf Matrimonio; Validità.

     

    Razionalismo. (inizio)

    Qualsiasi sistema che privilegi la ragione nella ricerca della verità, compresa la verità religiosa. Una tendenza fortemente razionalista caratterizza l'Illuminismo. Alcuni suoi esponenti si sono serviti della ragione per respingere la rivelazione; altri sono giunti a rifiutare qualsiasi credenza religiosa. Mentre riconosce (contro i fideisti) la capacità della ragione umana per conoscere Dio partendo dal mondo creato, il Concilio Vaticano I (1869‑1870) ha affermato, contro i razionalisti, la rivelazione divina « soprannaturale » con cui diamo l'assenso di fede (DS 3004‑3005, 3008; FCC 1.061‑1063, 1.067). Oggi, il razionalismo non è più usato molto come sinonimo di ateismo o di agnosticismo. Cf Concilio Vaticano I; Fideismo; Illuminismo; Liberalismo; Rivelazione.

     

    Recezione. (inizio)

    Il modo con cui gli insegnamenti e decisioni sono accettati, assimilati e interpretati dall'intera Chiesa. Ci vuole spesso del tempo perché i pronunciamenti di un concilio ecumenico siano conosciuti, compresi e ricevuti dalle Chiese particolari e dai loro pastori. In un senso più largo, il termine « recezione » si riferisce all'intero procedimento con cui ogni generazione accetta la rivelazione trasmessa attraverso la Scrittura e la Tradizione (DV 8‑9). Cf Concilio Ecumenico; Deposito della fede; Magistero; Sensus fidelium; Sobornost.

     

    Redaktionsgeschichte (Tedesco « storia della redazione »). (inizio)

    È il nome dato da Willi Marxsen (nato nel 1919) all'opera dei redattori o scrittori definitivi dei nostri testi biblici, soprattutto a quella degli autori dei Vangeli sinottici. La critica della redazione, come la si chiama spesso, studia i motivi che hanno portato questi autori a pubblicare il loro primo materiale, i cambiamenti che vi hanno introdotto e il messaggio che hanno inteso comunicare ai loro uditori particolari (Cf DV 19). Cf Critica biblica; Esegesi; Vangeli sinottici.

     

    Redentore (Lat. « colui che paga per liberare qualcuno »). (inizio)

    È il titolo dato a Gesù per averci liberati dal peccato e dal male mediante la sua incarnazione, vita, morte, risurrezione e con l'invio dello Spirito Santo. Pur avendo un'origine differente, questo titolo, nel suo

    Redenzione (Lat. « ricomprare »). (inizio)

    Si chiama così l'azione di Dio che ci libera dalla schiavitù del peccato e del male. La liberazione dall'oppressione d'Egitto era il caso paradigmatico nell'AT che indicava l'azione divina redentrice (Es 15,1‑21; Dt 7,8; 13,5; 24,18). La liberazione dall'esilio babilonese rivelò anch'essa la fedeltà amorosa di Dio come redentore (Is 41,14; 43,14; 44,24; 54,8). Mediante la sua morte e risurrezione (Mc 10,45; Rm 4,25; Ef 1,7; 1 Pt 1,18‑21), Cristo ci ha liberati dal potere del peccato e del male (Col 1,13‑14) con una redenzione che ci viene applicata mediante la fede (Rm 3,24‑30) e che avrà la sua pienezza nella risurrezione futura (Rm 8,23; Ef 4,30). A partire dal NT, la redenzione è stata intesa non solo come una liberazione dall'oppressione (1 Cor 15,20‑28.54.56‑57), ma anche come una purificazione dalla colpa (1 Cor 6,11; Ef 5,25‑26; Eb 2,17‑18) e come un amore che trasforma uso effettivo, è sinonimo di « Salvatore ». Cf Salvezza.

      il cuore umano (Mc 7,21‑23; Rm 5,5; 1 Gv 4,9‑10) e che porta una nuova alleanza di amicizia con Dio (Mc 14,24; 1 Cor 11,25). Cf Alleanza; Croce; Espiazione; Giustificazione; Riconciliazione; Riscatto; Salvezza; Soddisfazione.

     

    Regno di Dio(inizio)

    Il messaggio centrale di Gesù sul Regno di Dio ormai vicino (Mc 1,15), secondo cui l'atto di salvezza che sta venendo non è frutto di meriti umani, ma è puro dono della bontà di Dio. Gesù ha invitato i suoi uditori a « entrare » in questo Regno e a riceverlo come un bambino riceve un regalo. Gesù si è donato totalmente al servizio del comando divino presente (Mt 12,28; Lc 11,20; 17,21) e futuro (Mt 8,11). Questo decisivo intervento salvifico di Dio era già all'opera mediante la predicazione di Gesù, il suo insegnamento e i suoi miracoli (Mt 4,23; 9,35). Le sue parabole, in particolare, indicavano come il Regno di Dio è una realtà escatologica che comincia a prendere forma nel presente. Per Gesù, proclamare: « Il Regno di Dio è vicino » equivaleva a dire: « Dio e la salvezza divina sono alle porte ». Mentre il NT non identificava il Regno di Dio con la Chiesa, dai tempi di sant'Agostino di Ippona (354‑430) è stata fatta spesso questa identificazione. Cf Chiesa; Cielo; Escatologia; Parusia; Salvezza.

     

    Regola. (inizio)

    Norma di vita scritta e approvata per uomini o donne consacrati con voti e che appartengono ad un determinato istituto religioso. Il Concilio Vaticano II ha esortato gli Istituti religiosi ad aggiornare le loro regole (PC 3‑4; cf CIC 578, 587). I laici aggregati ad un ordine religioso seguono alle volte una forma semplificata della regola di quell'ordine. Cf Vita religiosa.

     

    Regola di fede. (inizio)

    Norma di fede come criterio pubblico e ecclesiale per discernere la vera rivelazione comunicata da Cristo alla Chiesa. Sant'Ireneo di Lione (circa 130 ‑ circa 200) sviluppò questo concetto contro gli Gnostici che pretendevano rivelazioni speciali accessibili solo ad una « élite ». Cf Gnosticismo; Professione di fede; Rivelazione.

     

    Reincarnazione. (inizio)

    Questa teoria è chiamata anche metempsicosi (Gr. « trasmigrazione delle anime »). Consiste nel ritenere che le anime abitano una serie di corpi e possono vivere più volte su questa terra prima di essere completamente purificate e perciò libere di trasmigrare in altri corpi. Secondo questa credenza, l'anima preesiste alla sua incarnazione e dopo la morte esiste in uno stato disincarnato prima di animare di nuovo un corpo della stessa specie o di un'altra. In varie forme, la reincarnazione è ammessa dai Buddisti, Induisti, neoplatonici e altri. La fede nella risurrezione e il rifiuto ufficiale della preesistenza delle anime (cf DS 403, 854, 1440; FCC 3.027, 3.031) sono inconciliabili con la reincarnazione. Col sostenere una serie indefinita di nuove possibilità, la teoria della reincarnazione riduce la serietà della grazia di Dio e della libertà umana esercitata in una sola vita che termina per tutti e una volta per sempre con la morte (1 Cor 15,20‑28; 2 Cor 5,10; Eb 9,27). Cf Anima; Morte; Risurrezione.

     

    Relativismo. (inizio)

    La teoria secondo cui non ci sono verità o valori assoluti, ma sono tutti determinati da periodi, società e persone particolari. Il relativismo puro. (« Tutte le asserzioni e tutte le verità sono relative ») contraddice se stesso. Forme più miti di relativismo sottolineano il fatto che i presupposti storici, culturali e religiosi condizionano il significato e la verità che uno può cogliere. L'approccio relativistico di Ernst Troeltsch (1865‑1923) portò la teologia contemporanea al grosso problema di illustrare l'assolutezza di Cristo in modo da mostrare come egli, in modo definitivo e insuperabile, sia la pienezza della rivelazione per tutti gli uomini di tutti i tempi. Nell'area delle definizioni dogmatiche, le formulazioni condizionate storicamente vanno distinte dalle verità perenni che sono insegnate. CfCoscienza classica; Critica biblica; Cristologia; Dogma; Idealismo; Modernismo; Pluralismo.

     

    Relazioni divine. (inizio)

    Il rapporto delle Persone divine tra di loro in un modo che le costituisce tre Persone in un solo Dio. Ci sono quattro relazioni: paternità, filiazione, spirazione attiva e spirazione passiva. La paternità costituisce il Padre; la filiazione, il Figlio e la spirazione passiva lo Spirito Santo. La spirazione attiva è comune al Padre e al Figlio e non costituisce un'altra persona. Cf Filioque; Teologia trinitaria; Trinità Immanente.

     

    Religione (Lat. « essere legato »). (inizio)

    L'atteggiamento fondamentale che gli esseri umani devono assumere verso Dio, loro Creatore e Redentore. La virtù morale della religione si esprime nell'adorare, servire e amare Dio con tutto il cuore. Karl Barth (1886‑1968) oppose la fede (fondata sulla Parola di Dio e sommamente dipendente dalla grazia divina) alla « religione » da lui respinta come prodotto senza valore di aspirazioni puramente umane. Cf Adorazione; Amore; Creazione; Culto; Redenzione.

     

    Religione civile. (inizio)

    L'uso di tradizioni religiose per favorire attività pubbliche in un paese dove non vi è una religione ufficiale. Negli Stati Uniti d'America, una religione civile proveniente dall'eredità ebraico‑cristiana si esprime in vari modi: quando, per esempio, i « leaders » politici si appellano al « destino manifesto » della nazione; quando giurano sulla Bibbia nell'inaugurazione del loro mandato; nell'espressione che echeggia una credenza fondamentale: « Confidiamo in Dio ». Cf Chiesa e Stato; Religione.

     

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    00 21/08/2013 17:40

    Religioni. (inizio)

    Sono sistemi di credenze nel divino e di risposte ad esso. Comprendono libri sacri, riti cultici e pratiche etiche dei loro aderenti. I cristiani in genere e i cattolici in particolare sono chiamati a vivere la tensione tra l'evangelizzazione e il dialogo come sono espressi, rispettivamente, nel Decreto sull'attività missionaria (Ad gentes) e nella Dichiarazione sul rapporto della Chiesa con le religioni non cristiani (Nostra aetate) del Concilio Vaticano II. Cf Animismo; Buddismo; Cristianesimo; Cristiani anonimi; Dialogo; Evangelizzazione; Giudaismo; Induismo; Islamismo; Teologia della missione.

     

    Religioni comparate. (inizio)

    Quella scienza sviluppatasi alla fine del XIX secolo che studia i punti convergenti e divergenti tra le credenze e pratiche delle varie religioni. Lo studio delle religioni comparate in quanto tale non si pronuncia sui rispettivi meriti e sulla verità definitiva delle religioni. Cf Religione; Religioni del mondo.

     

    Religioni del mondo. (inizio)

    Quelle religioni che si impongono all'attenzione mondiale per la loro antichità, i loro molti aderenti e il loro insegnamento elaborato. Si può discutere su qualsiasi elenco completo, ma almeno il cristianesimo, l'ebraismo, l'islamismo, il buddismo, l'induismo e il taoismo appartengono a simili religioni. Cf Buddismo; Cristianesimo; Cristiani anonimi; Dialogo; Giudaismo; Induismo; Islamismo; Taoismo.

     

    Religioni misteriche. (inizio)

    Religioni di origine greca (come l'Orfismo) o orientale (come la religione di Mitra), in cui i riti erano spesso segreti e riservati agli iniziati. Diversamente dall'ebraismo e dal cristianesimo che sono basati sull'intervento di Dio nella storia, queste religioni si basavano su un'interpretazione mitica dei fenomeni naturali, come le stagioni, la vegetazione e specialmente la fertilità. Ruoli chiave erano assegnati a divinità femminili e maschili le cui gesta eroiche erano celebrate in atti di culto, come bagni di purificazione o pasti sacrificali, atti che solo superficialmente assomigliano ai sacramenti cristiani. Le religioni misteriche furono molto in voga dal I secolo avanti Cristo al IV secolo dopo Cristo. Cf Mistero; Mito; Religione; Scuola della storia delle religioni.

     

    Religiosi. (inizio)

    Cf Vita religiosa.

     

    Reliquie (Lat. « resti »). (inizio)

    I resti dei corpi dei santi o di altri oggetti strettamente collegati con loro (come vestiti e lettere). Fin dai primi secoli, furono venerate le tombe e le reliquie dei martiri e di altri santi. Le Crociate incrementarono il trasporto di reliquie in Europa, di cui parecchie spurie. Col Concilio di Trento (DS 1821‑1823; FCC 7.343‑7.345), il Magistero ufficiale della Chiesa ha cercato di correggere gli abusi connessi con le reliquie (cf CIC 1190) e, in genere, di riferire la venerazione dei santi, delle loro immagini e reliquie al culto fondamentale di Dio (SC 111, LG 51). In Occidente, le reliquie di martiri e di altri santi sono fissate di solito sotto altari immobili (CIC 1237; cf Ap 6,9). Cf Concilio di Nicea II; Concilio di Trento; Crociate; Icona; Iconoclasmo; Santo; Venerazione dei santi.

     

    Remissione dei peccati. (inizio)

    Verità fondamentale per gli Ebrei e i cristiani riguardante il comportamento misericordioso di Dio verso di noi (Ez 18,21‑28; Mc 1,4; Lc 15). Gesù ha rimesso i peccati (Mc 2,1‑12; Lc 7,36‑50) e ha dato alla sua Chiesa lo stesso potere (Lc 24,47; Gv 20,22‑23). La remissione dei peccati mediante il battesimo (At 2,38) e in altri modi richiede il pentimento da parte nostra e la volontà di perdonare a nostra volta a coloro che ci hanno offeso (Mt 5,23‑24; 6,12. 14‑15; 18,21‑35). Cf Battesimo; Sacramento della penitenza.

     

    Res et sacramentum (Lat. « la cosa significata e il suo segno »). (inizio)

    Si distingue:

      a) da sacramentum tantum (Lat. « solo un segno »), come il pane e il vino destinati per l'Eucaristia, e

      b) da res sacramenti (tantum) (Lat. « la cosa significata, presa in sé »), ossia la grazia significata e prodotta da un sacramento.

      Res et sacramentum va oltre la grazia immediata effettuata da un sacramento, e si riferisce alle realtà che permangono come la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia (e non semplicemente la grazia della santa comunione), e il carattere indelebile impresso col battesimo, la confermazione e l'Ordine. Cf Carattere; Comunione; Grazia; Sacramento; Simbolo; Sphraghìs.

     

    Revivalismo. (inizio)

    Tentativi sistematici di suscitare una vita nuova tra credenti tiepidi o solo di nome con una predicazione entusiasta e una preghiera spontanea intese a destare una risposta religiosa di massa. A partire dal secolo XVIII, ci sono stati movimenti revivalisti che si sono succeduti negli Stati Uniti, nelle Isole britanniche e altrove. Uno stile revivalista di culto caratterizza l'Esercito della Salvezza fondato da William Booth (1829‑1912) nel 1865. Cf Battisti; Carismatico; Metodismo; Pentecostali; Pietismo.

     

    RICA (Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti). (inizio)

    Un itinerario introdotto abbastanza recentemente (1972) per preparare gli adulti che intendono farsi battezzare e entrare nella Chiesa. Una volta arruolati come catecumeni, i candidati vengono istruiti nella fede e negli obblighi dei cristiani. Questo avviene di solito durante la Quaresima. Nella Veglia Pasquale ricevono i sacramenti del battesimo, della cresima e della Comunione. Si segue così per gli adulti la prassi che gli Orientali seguono per l'iniziazione cristiana dei bambini i quali, in un'unica cerimonia, sono battezzati, cresimati e comunicati. Cf Catecumenato; Settimana Santa; Triduo pasquale.

     

    Ricapitolazione. (inizio)

    Cf Anakephalàiosis.

     

    Riconciliazione. (inizio)

    Ristabilire l'amicizia dopo la creazione di una situazione di conflitto e di alienazione.

      a) Il termine « riconciliazione », di significato « secolare » (cf 1 Cor 7,11), è applicato da san Paolo all'iniziativa amorosa di Dio che ci redime e alla necessità che abbiamo di accettare questa nuova situazione di essere riconciliati mediante Cristo (Rm 5,8‑11; 2 Cor 5,18‑20). In un senso più ampio, il termine « riconciliazione » è applicato all'effetto di redenzione sul mondo intero (Col 1,19‑20).

      b) In quanto ci porta la riconciliazione con Dio e con la Chiesa, il sacramento della Penitenza è oggi chiamato spesso « sacramento della riconciliazione » (cf LG 11; PO 5).   Cf Redenzione; Sacramento della penitenza; Salvezza.

     

    Riduzione allo stato laicale. (inizio)

    È il processo legale con cui un chierico è sciolto dai suoi obblighi e ritorna allo stato laicale. Questo cambiamento di stato è relativo, in quanto gli Ordini Sacri, una volta che siano stati amministrati validamente, non possono più essere cancellati. Il processo di riduzione allo stato laicale è riservato alla Santa Sede la cui sentenza è senza appello. La riduzione allo stato laicale può essere concessa ai diaconi per motivi gravi e ai presbiteri solo quando ci siano ragioni molto serie. (CIC 290‑293). Eccetto quando si riesca a provare che l'ordinazione di un chierico è stata invalida, la semplice riduzione allo stato laicale, di per sé, non dispensa dal celibato. Un chierico ritornato allo stato laicale non può esercitare il suo ministero se non quando ci sia un pericolo di morte (cf CIC 976). CfAnnullamento; Chierico; Clero; Laico; Validità.

     

    Riduzionismo. (inizio)

    Qualsiasi tentativo di spiegare o rendere ragione dei dati complessi di una realtà prendendo in considerazione soltanto un aspetto. Così, un filosofo può identificare la realtà in genere coi dati percepibili che sono immediatamente a sua portata. Il rifiuto della fede in Dio è di solito una forma di riduzionismo. Nella sua Essenza del cristianesimo (originale tedesco, 1841), Ludwig Feuerbach (1804‑1872) sostenne che la fede in Dio non è « altro che » la proiezione delle aspirazioni e dei desideri umani. L'interesse a parlare della cultura del loro tempo ha portato spesso deisti, protestanti liberali e razionalisti a semplificare e a diluire la piena rivelazione cristiana. Cf Deismo; Protestantesimo liberale; Razionalismo.

     

    Riforma (La). (inizio)

    Almeno a partire dal Concilio di Vienne (1311‑1312), si era sentito nella Chiesa il grido: « Riforma nel capo e nei membri ». A tutti i livelli, infatti, la vita della Chiesa era intaccata da abusi molto gravi. Questi peggiorarono con la « Cattività babilonese » del papato ad Avignone (1305‑1374), col Grande Scisma d'Occidente quando ci furono contemporaneamente due e anche tre papi (1378‑1417), col Movimento conciliarista e con gli scandali collegati coi papi del Rinascimento. Vari tentativi di riforma all'interno della Chiesa Cattolica presero forza e finirono per penetrare al tempo del Concilio di Trento (1545‑1563). La riforma protestante, chiamata spesso impropriamente « La Riforma », va vista nella stessa prospettiva. Al centro del suo movimento sta Martin Lutero (1483‑1546) e, per la seconda generazione, Giovanni Calvino (1509‑1564). Altri personaggi eminenti furono: Ulrich Zwinglio (1484‑1531), riformatore di Zurigo, e Filippo Melantone (1497‑1560), collaboratore di Lutero a Wittenberg. La riforma inglese cominciò coi problemi matrimoniali di Enrico VIII (1491‑1547) e il fallimento del cardinale Thomas Wolsey (circa 1474‑1530) di ottenergli il divorzio. Fu respinta l'autorità del papa e i monasteri furono soppressi. Tra i capi della Riforma in Inghilterra, c'è da ricordare: l'arcivescovo Thomas Cranmer (1489‑1556), il vescovo Hugh Latimer (circa 1485‑1555) e il vescovo Nicola Ridley (circa 1500‑1555). Indubbiamente il nazionalismo e gli interessi economici aiutarono la causa della Riforma, ma fu anche un movimento dettato da un profondo senso religioso bramoso di purificare la fede e di basare la vita cristiana sulle Scritture (UR 21). Il Concilio Vaticano II riconobbe che « la Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma » (UR 6). CfAnabattisti; Battisti; Calvinismo; Comunione anglicana; Conciliarismo; Concilio di Trento; Concilio di Vienne; Confessione di Augusta; Contro‑Riforma; Hussiti; Lingua volgare; Luteranesimo; Nominalismo; Presbiterianesimo; Protestante; Puritani; Valdesi; Zwinglianismo.

     

    Rigenerazione (Lat. « nuova nascita »). (inizio)

    La rinascita spirituale operata dal battesimo (Gv 3,5; Tt 3,5; 1 Pt 1,3). San Paolo parla in maniera equivalente del battesimo come morte all'uomo vecchio del peccato e vita nuova nel Cristo risorto (Rm 6,1‑11). Cf Battesimo.

      Rigorismo. Un sistema morale che nei casi dubbi insiste sulla priorità della legge rispetto alla libertà, anche quando il caso a favore della libertà avesse un alto grado di probabilità. Un simile modo di pensare soffoca la libertà per amore di certezza. Fu condannato nel 1690 (cf DS 2303). Cf Lassismo; Probabilismo; Teologia morale.

     

    Rinnovamento carismatico. (inizio)

    Cf Pentecostali.

     

    Riparazione(inizio)

    Fare ammenda per le offese commesse o per i danni recati ad altri. La riparazione può riferirsi alla compensazione che va fatta quando, per esempio, i beni o il buon nome di uno sono stati ingiustamente danneggiati. Nel campo della devozione al Sacro Cuore, per riparazione si intendono le preghiere e le buone opere che sono compiute come emendazione dei peccati commessi contro l'amore di Gesù manifestato nel dono del Santissimo Sacramento e nelle sofferenze che ha sopportato per salvarci. Cf Espiazione; Riscatto; Sacro Cuore; Sacramento della penitenza; Soddisfazione; Santissimo Sacramento.

     

    Riscatto. (inizio)

    È un termine usato spesso come sinonimo di redenzione. Il riscatto si riferisce all'effetto finale del processo di redenzione: la comunione con Dio (da cui eravamo prima alienati) e quindi la partecipazione alla vita divina. Nel concetto di riscatto, si intendono anche i mezzi per rimuovere la colpa e riconciliare i peccatori con Dio: in particolare, le varie cerimonie dell'AT (per es., quelle prescritte per lo Yòm Kippùr, o giorno annuo del riscatto) e, per il NT, la morte e risurrezione di Cristo. Cf Deificazione; Giustificazione; Redenzione; Salvezza; Yòm Kippùr.

     

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    00 21/08/2013 17:41

    Riserva eucaristica. (inizio)

    La prassi di conservare in un tabernacolo le ostie consacrate che servono per la comunione dei malati e per l'adorazione dei fedeli (CIC 934‑944). Una lampada accesa accanto al tabernacolo indica la presenza del Santissimo Sacramento. Cf Adorazione; Santissimo Sacramento.

     

    Risurrezione (Lat. « alzarsi », « essere rialzato »). (inizio)

    Non è un semplice ritorno alla vita terrena come è stato il caso della figlia di Giairo (Mc 5,22‑24.35‑43), ma il passaggio di Gesù attraverso la morte alla sua vita definitiva e trasformata (Rm 1,3‑4; 1 Cor 15,42‑50) che ha inaugurato la risurrezione finale degli esseri umani e del loro mondo (1 Cor 15,20‑28). Questa verità fondamentale della fede costituì l'annuncio iniziale dei cristiani (At 2,22‑24.32‑33.36; 1 Cor 15,1‑11) che praticamente definirono Dio (il Padre) come Colui che ha risuscitato Gesù dai morti (Rm 10,9; 1 Cor 6,14; Gal 1,1; 1 Ts 1,10; cf 1 Cor 15,15). Le tradizioni successive del NT come anche l'insegnamento del Magistero della Chiesa e i simboli di fede (Gv 10,17‑18; DS 359, 539) hanno parlato di Cristo che (in quanto divino) è risorto per virtù propria. Mediante le sue apparizioni (1 Cor 15,5‑8; Mc 16,7; Mt 28,9‑10.16‑20, ecc.), i primi discepoli giunsero a sapere che Cristo era risorto dai morti. La scoperta della tomba vuota da parte di Maria di Magdala (probabilmente con una o più donne che l'accompagnavano) servì come segno secondario e negativo per confermare l'evento della risurrezione (Mc 16,1‑8; Gv 20,1‑2). Come vertice della rivelazione divina (DV 4, 17), la risurrezione di Gesù crocifisso insieme all'invio dello Spirito Santo contiene implicitamente tutte le verità fondamentali del cristianesimo. Perciò il mistero pasquale va approfondito non solo nella sua fatticità, ma anche come mistero della rivelazione, della redenzione, della fede, della speranza e dell'amore. Cf Apparizioni del Signore risorto; Ascensione; Discesa agli inferi; Escatologia; Mistero pasquale; Pasqua; Pasqua ebraica.

     

    Risurrezione dei morti. (inizio)

    È la vita definitiva che sarà effettuata dalla potenza di Dio per l'essere umano tutto intero (= « corpo e anima »). Sebbene in quanto tale sia sorta tardi nell'AT, la speranza in una risurrezione generale ebbe origine dall'antica fede ebraica in Dio in quanto fedele, giusto, onnipotente e Signore della vita. Le interpretazioni sulla natura della risurrezione sono state varie: dalle immagini di una rianimazione fisica (2 Mac 7,1‑42; 12,44‑45; 14,46) alla speranza in una esistenza trasformata e gloriosa (Dn 12,1‑4) che si avvicina, anche se non è identica, alle attese di san Paolo circa un corpo « spirituale » (1 Cor 15,35‑54). La predicazione di Gesù sul Regno finale presupponeva una risurrezione generale (Mt 8,11; Mc 9,43‑48; Lc 11,31‑32). La risposta di Gesù ai Sadducei mostra che egli intendeva la risurrezione dei morti come una forma nuova di esistenza umana (Mc 12,18‑27; cf Rm 14,9; 1 Cor 15,22‑23; Col 1,18; Ap 1,15) in un mondo rinnovato e trasformato (cf LG 48‑49; 51; GS 14, 22). CfAnima; Cielo; Comunione dei Santi; Escatologia; Eternità; Letteratura apocalittica; Parusìa.

     

    Rito. (inizio)

    È il modo di celebrare una cerimonia religiosa o un sacramento. Il termine può riferirsi anche al complesso di cerimonie che vengono osservate in una data Chiesa. In Occidente, certi riti, come quello Ambrosiano di Milano, differiscono dal comune rito latino soltanto in certi particolari di secondaria importanza. Tra i Cattolici d'Oriente, però, la parola « rito » significa non solo notevoli differenze nella liturgia, ma anche l'intero stile di vita per una Chiesa particolare con una specifica spiritualità e disciplina. Rito, in questo senso, è sinonimo di tradizione ecclesiale. In Oriente, sono rimasti oggi sette riti principali: quello armeno, bizantino, copto, siriano‑orientale (chiamato anche assiro‑caldeo), etiopico, maronita (siro‑maronita), e siriano‑occidentale (chiamato anche antiocheno). Questi sette riti esistono sia nella tradizione ortodossa che in quella cattolica, eccetto il rito maronita che è cattolico. Cf Conferenza episcopale.

     

    Rito funebre. (inizio)

    Il complesso di cerimonie liturgiche per accomiatarsi dei cristiani deceduti dal momento della morte fino alla sepoltura o alla cremazione del corpo (cf CIC 1176‑1185). Il rispetto per il corpo, le preghiere per il defunto e la speranza nella risurrezione caratterizzano le varie cerimonie: in casa del defunto, in chiesa, al cimitero. La messa da « requiem » (Lat. « riposo »), come anche l'omelia, è dominata dal tema della risurrezione; il cimitero (Gr. « dormitorio ») è un posto sacro (CIC 1205). Nella Chiesa bizantina, il rito è molto differente, a seconda che si tratti di un bambino sotto i sette anni, di un laico, o di un presbitero; i vescovi sono sepolti con il rito per i presbiteri, mentre i diaconi sono sepolti con il rito dei laici. Cf Morte.

     

    Rituale. (inizio)

    Libro ufficiale che contiene le preghiere e azioni prescritte per la celebrazione dei sacramenti, funerali, pronuncia pubblica dei voti, consacrazione delle chiese e altre cerimonie religione.

     

    Rivelazione (Lat. « togliere il velo »). (inizio)

    La manifestazione da parte di Dio di ciò che prima era sconosciuto. L'AT riferisce la rivelazione divina comunicata primariamente con parole (Ger 23,18.22) e eventi della storia (Es 15,1‑21) e secondariamente mediante il mondo creato (Sal 19,2; Sap 13,1‑9). Come mediatori principali della rivelazione di Dio, i profeti classici parlarono anche della rivelazione futura della salvezza (Is 40,1‑11; Ger 31,31‑34). Nella sua incarnazione, vita, morte, risurrezione e con l'invio dello Spirito Santo (DV 4, 17), Cristo fu la pienezza dell'autorivelazione divina (Gv 1,14.18; Eb 1,1‑2), essendo ad un tempo il Rivelatore (= agente), la rivelazione (= il processo attivo della manifestazione) ed il contenuto della rivelazione. Per quanto concerne la dottrina della rivelazione, il Vangelo di Giovanni (con il suo linguaggio di gloria, luce, segni, verità, testimone, le affermazioni « io sono » e, soprattutto, l'incarnazione della parola), è il libro più ricco del NT. Con Cristo e con l'èra apostolica, la rivelazione fondante è compiuta e aspettiamo solo la rivelazione finale e gloriosa della parusìa (Tt 2,13; 1 Gv 3,2; DV 4). A partire dal Medioevo e specialmente a partire dall'Illuminismo, le verità della rivelazione sono sembrate in contrasto con quelle di ragione: queste sono accessibili senza che sia strettamente necessaria una comunicazione speciale di Dio. L'approccio di rivelazione « proposizionale » ha caratterizzato l'insegnamento del Concilio Vaticano I (DS 3004‑3007, 3026‑3029; FCC 1.061‑1.066, 2.015‑2.017). Il Concilio Vaticano II ha inteso la rivelazione primariamente come automanifestazione personale di Dio che chiede la nostra risposta personale di fede (DV 2, 6) e secondariamente come comunicazione di verità divine (DV 7, 9, 10, 11, 26). Il Vaticano II riconobbe la natura essenzialmente salvifica e sacramentale dell'autorivelazione di Dio mediata da eventi (azioni) e parole (DV 2, 4, 14, 17). La storia della salvezza e la storia della rivelazione sono inseparabili, pur costituendo due aspetti della stessa realtà. A partire dal Concilio Vaticano II, alcuni studiosi hanno fatto progredire la teologia della rivelazione col riflettere sull'autocomunicazione simbolica di Dio che gli esseri umanisperimentano nella fede. Sia la teologia cattolica che l'insegnamento ufficiale della Chiesa sono sempre più consapevoli che lo Spirito Santo media la rivelazione e la salvezza anche al di là del cristianesimo istituzionale. Cf Deposito della fede; Dogma; Esperienza religiosa; Grazia; Illuminismo; Logos; Mistero; Parola di Dio; Parusìa; Professione di fede; Scrittura e Tradizione; Simbolo; Storia della salvezza; Teologia giovannea; Teologia naturale.

     

    Rosario (Lat. « giardino di rose »). (inizio)

    Preghiera popolare in onore di Maria Santissima. Consiste in quindici decadi, ognuna della quali commemora un mistero che riguarda Cristo o Maria; ognuna comincia col Padre nostro seguito da dieci Ave, Maria e si conclude col Gloria al Padre... I cinque misteri gaudiosi sono concentrati sulla nascita e infanzia di Cristo. I cinque misteri dolorosi cominciano con l'agonia di Cristo nel Getsemani e terminano con la sua crocifissione e morte. I cinque misteri gloriosi iniziano con la risurrezione di Cristo e si concludono con la partecipazione di Maria alla vittoria del Figlio suo. Il Rosario non fu probabilmente introdotto da san Domenico (1170‑1221), anche se ciò è affermato dalla tradizione popolare. I predicatori domenicani lo hanno comunque divulgato, e un papa domenicano, san Pio V, lo ha approvato ufficialmente nel 1569. A motivo delle sue ripetizioni, il Rosario è stato chiamato « la preghiera di Gesù » del cattolicesimo occidentale. Cf Devozioni; Preghiera di Gesù.

     

    Rubrica (Lat. « rosso »). (inizio)

    Norme stampate in rosso nel testo principale (in nero) che viene letto o cantato nelle assemblee liturgiche. Le rubriche indicano come va eseguita una cerimonia. Cf Liturgia.

     

    Ruteno (Lat. « russo »). (inizio)

    Un cattolico che appartiene ad una delle Chiese che in origine dipendevano dal vescovo di Kiev. Il metropolita Isidoro di Kiev accettò l'unione con Roma subito dopo il Concilio di Firenze (1438‑1445). Questo finì per riportare molti Slavi a ritornare al cattolicesimo con l'Unione di Brest‑Litovsk (1596). Le Chiese rutene firmarono questa unione e sono descritte di solito come cattolici di lingua slava e di rito bizantino in Polonia, Ungheria e Boemia. Oggi, per « Ruteni » si intendono generalmente Bielorussi, Slovacchi e Ucraini. Questi cattolici non furono mai raggruppati insieme sotto un'unica giurisdizione. Il termine è usato anche per riferirsi specificamente ai cattolici bizantini che hanno avuto origine in un'area conosciuta come Carpato‑ucraina, Transcarpazia e così via. Cf ChieseOrientali.  

     

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    00 21/08/2013 17:43
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    Sabato (Ebr. « riposo »). (inizio)

    Il Sabato, o ultimo giorno della settimana ebraica, è ritenuto sacro per il culto di Dio e l'astensione dal lavoro (Es 20,10; 31,13‑17). Quel giorno ricorda come Dio « si riposò » dal lavoro della creazione (Gn 2,2‑3; Es 20,11; 31,17) e come il popolo fu liberato dall'Egitto (Dt 5,15). Contestando un'osservanza del Sabato che era divenuta strettamente legalistica (Mt 12,9‑14; Mc 2,23‑28; 13,10‑17), Gesù incontrò una forte opposizione quando affermò che « il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato » (Mc 2,28; cf Gv 5,2‑18). Gli Avventisti del settimo giorno osservano il sabato come il loro giorno sacro, come fa anche la Chiesa etiopica (non calcedonese). Cf Avventisti del settimo giorno; Cristianità etiopica; Domenica.

    Sabellianesimo. (inizio)

    Cf Modalismo; Monarchianismo; Patripassianismo 

    Sacerdoti. (inizio)

    Membri della comunità che sono messi « da parte » per offrire il sacrificio e praticare la mediazione tra Dio e gli esseri umani, in maniera cultica, come il sacerdozio levitico dell'AT (Es 28,1; 32,25‑29; Lv 8,1-9,24), come sacerdoti‑re come Melchisedech (Gn 14,18‑20) o in modo profetico come Ezechiele.  Unico Mediatore supremo tra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5), Gesù è chiamato nella Lettera agli Ebrei « grande sommo sacerdote » (Eb 4,14-5,10). Questa Lettera illustra la natura del sacrificio di Cristo, la mediazione della Nuova Alleanza e il sacerdozio di Cristo come superiore a quello levitico (Eb 6,20-10,18).

      a) Mediante il battesimo, tutti i credenti partecipano all'unico sacerdozio regale di Cristo (1 Pt 2,4‑10; SC 14; AA 3). Questo sacerdozio è chiamato « sacerdozio dei fedeli ».

      b) Mediante il sacramento dell'Ordine, i sacerdoti sono consacrati dallo Spirito Santo e per il bene dell'intera Chiesa ad un ministero speciale della parola, dei sacramenti e della guida pastorale (PO 2,4‑6). Questo sacerdozio è chiamato spesso « sacerdozio ministeriale », ma c'è chi preferisce il termine « presbiterato » per sottolineare la differenza essenziale dal sacerdozio dei fedeli. Oltre all'amministrazione del sacramento della riconciliazione, dell'unzione degli infermi e degli altri sacramenti, il ministero dei sacerdoti ordinati comporta l'offrire il sacrificio della Messa « in persona di Cristo e... a nome di tutto il popolo » (LG 10, 28). C'è un unico sacerdozio, quello di Gesù Cristo a cui partecipano in modo differente i battezzati e i ministri ordinati. Cf Battesimo; Celibato; Clero; Diacono; Iniziazione; Mediazione; Ministero; Ordinazione; Ordine; Pastore; Presbitero; Profeta; Protestante; Vescovo.

      Sacramentale. (inizio)

    Un segno sacro istituito dalla Chiesa, che assomiglia ai sacramenti, che significa e ottiene effetti spirituali mediante l'intercessione della Chiesa (SC 60; CIC 1166). Ampliando la definizione di sacramentali, da cose (per es., le palme distribuite la Domenica delle Palme) o pratiche (per es., il Rosario), fino a parlare di tutto ciò che ha valore di segno, il Concilio Vaticano II ha inteso affermare che tutti gli eventi della vita possono essere santificati. Una volta, solo i chierici erano ministri legittimi dei sacramentali. Oggi anche i laici possono amministrarne certuni, d'intesa col giudizio del vescovo del luogo e secondo le norme dei libri liturgici (SC 79; CIC 1168). Esempi di laici che amministrano i sacramentali possono essere l'imposizione delle ceneri il Mercoledì delle Ceneri e i genitori che guidano la recita del rosario in famiglia. CfOrdinario; Rosario; Sacramento; Settimana Santa.

    Sacramento (Lat. « giuramento pubblico di fedeltà »).(inizio)

    Un segno visibile istituito da Cristo che rivela e comunica la grazia. La Chiesa Cattolica e quella Ortodossa riconoscono sette sacramenti: il battesimo, la confermazione, l'Eucaristia, il matrimonio, l'ordine, l'unzione degli infermi e la penitenza (cf CIC 840‑1165). I cristiani orientali parlano di un « sacramento » come di un « mysterion » (Gr. « realtà nascosta »). Quest'ultimo termine rimanda ad un uso più generale (cf DS 860, 1310; FCC 9.001‑9.002). I Protestanti riconoscono generalmente solo due sacramenti: il battesimo e l'Eucaristia. Tre sacramenti (battesimo, confermazione e ordine) conferiscono un « carattere » permanente e non possono essere ripetuti (cf DS 781, 1313, 1767, 1774; FCC 9.005, 9.038, 9.291, 9.299). A partire dal Medioevo, i sacramenti sono stati considerati secondo la loro « forma », o parole, e « materia », o elementi come l'acqua, il pane, il vino o l'olio usati per la loro celebrazione. La confessione dei peccati da parte del penitente e lo scambio dei consensi nel matrimonio costituiscono la « quasi » materia di questi due sacramenti (cf DS 1601‑1816; FCC 9.007‑9.363). Notevoli contributi alla teologia dei sacramenti sono stati dati da sant'Agostino di Ippona (354‑430), da Pseudo‑Dionigi lo Areopagita (circa 500), da Pietro Lombardo (circa 1100‑1160), da Ugo di san Vittore (circa 1096‑1142), la cui interpretazione simbolica della realtà s'avvicina molto alla teologia orientale, da san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), da Mattia Giuseppe Scheeben (1835‑1888) e da Odo Casel (1886‑1948). La teologia contemporanea parla di:

      a) Cristo come sacramento primordiale o segno efficace della grazia di Dio, e

      b) della Chiesa istituita come sacramento fondamentale che si realizza concretamente nella vita dei sette sacramenti. Questa visione di vita sacramentale è stata sviluppata da Otto Semmelroth (1912‑1979), da Karl Rahner (1904‑1984) e da Edward Schillebeeckx (nato nel 1914) (cf SC 27; LG 7,11). Cf Battesimo; Carattere; Confermazione; Donatismo; Eucaristia; Ex opere operantis; Ex opere operato; Grazia; Matrimonio; Ministro; Ordine; Res et sacramentum; Sacramento della penitenza; Sphraghìs; Teologia del simbolo; Unzione degli infermi; Validità.

      Sacramento della penitenza. (inizio)

    È uno dei sette sacramenti, istituito da Cristo per il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Questo sacramento risponde ad un bisogno profondo di confessare i peccati, di ricevere il perdono da Dio e di riconciliarsi con la Chiesa ferita dai peccati (2 Sam 12,1‑25; Sal 51; Mc 1,4‑5; Lc 7,36‑50; 15,11‑32; 18,9‑14). Questo compito di riconciliazione è espresso bene in alcune parole di sant'Agostino di Ippona (354‑430): « Pax cum ecclesia dimittit peccata » (« La pace con la Chiesa rimette i peccati ») (cf PO 5). I Vangeli presentano Cristo che rimette i peccati (Mc 2,5‑11; Lc 7,36‑50) e che conferisce ai suoi discepoli il potere di rimettere i peccati (Gv 20,19‑23). Nella Chiesa primitiva, i cristiani battezzati che avevano commesso un omicidio, l'apostasia, o un adulterio e che poi si pentivano dovevano sottoporsi ad un periodo lungo, severo e pubblico di penitenza prima di essere riammessi dal vescovo alla santa comunione. A partire dal VI secolo, missionari irlandesi e altri diffusero la pratica di ripetute confessioni private fatte ai sacerdoti; le penitenze imposte ai penitenti divennero meno severe. Il Concilio Lateranense IV (1215) prescrisse la confessione almeno una volta all'anno per coloro che erano caduti in peccati mortali (cf DS 812; FCC 9.198). Il Concilio di Firenze (1438‑1445) dichiarò che l'accusa del peccatore è la materia del sacramento, mentre le parole dell'assoluzione costituiscono la forma (cf DS 1323; FCC 9.277).  Martin Lutero (1483‑1546) riconobbe la penitenza come sacramento, ma i riformatori seguenti ritennero come sacramenti soltanto il battesimo e l'Eucaristia. Il Concilio di Trento (1545‑1563) riaffermò la sacramentalità della penitenza (DS 1667‑1693; FCC 9.227‑9.256). In Oriente, c'è un approccio « medicinale » al sacramento, che mira a sanare gli esseri umani dalle loro ferite e cattive inclinazioni. Le condizioni per una recezione fruttuosa del sacramento sono: una vera contrizione del peccato; la confessione di almeno tutti i peccati mortali; il proposito sincero di non peccare di nuovo e di fuggire tutte le occasioni di peccato; la volontà di compiere la penitenza imposta dal sacerdote. Questa penitenza, che può assumere varie forme (per es., preghiera, digiuno, elemosina o qualche altra opera buona), serve a facilitare la conversione dal peccato a Dio. Cf Attrizione; Confessione; Contrizione; Peccato; Perdono; Riconciliazione; Sacramento.

    acrificio (Lat. « fare santo »). (inizio)

    Offrire nel culto un dono a Dio (Gn 4,2‑5). I sacrifici possono esprimere lode, ringraziamento e pentimento verso Dio, espiazione dei peccati (Eb 9,22), possono convalidare preghiere di intercessione, sancire un'alleanza (Es 24,4‑8) e rafforzare la comunione tra Dio e i suoi adoratori. Secondo la tradizione sia ebraica che cristiana, come anche altre, la natura e la realtà del sacrificio comportano di solito un sacerdote che offre una vittima in maniera cultuale. L'AT, specialmente i Profeti, ha insistito sulla retta intenzione e sull'onestà di vita di coloro che adorano Dio mediante sacrifici (Is 1,2‑31; Os 6,6; Am 5,21‑24; Sal 51,15‑17). Gesù ha richiamato Osea quando ha sottolineato la priorità della « misericordia » sui sacrifici (Mt 9,13; 12,7). Egli ha inteso la propria morte come un sacrificio che avrebbe espiato i peccati e che avrebbe portato un'alleanza nuova e definitiva (Mc 14,22‑24; 1 Cor 11,23‑26). Cf Alleanza; Culto; Espiazione; Eucaristia; Olocausto; Pasqua ebraica; Sacerdoti; Sangue di Cristo; Yom Kippur.

      Sacrificio della Messa. (inizio)

    È la ri‑presentazione nell'Eucaristia del sacrificio perfetto della morte e risurrezione di Cristo (Rm 3,25; 4,25; Eb 10,12.14). Ben lungi dall'essere un altro sacrificio, la Messa è l'offerta quotidiana « in memoria di » (Lc 22,19; 1 Cor 11,24‑25) e la ripresentazione di ciò che è accaduto una volta per sempre il Giovedì Santo, Venerdì Santo e Domenica di Pasqua. Ci sono molte Messe, ma un unico sacrificio. Il Concilio di Trento (1545‑1563) ha insistito sulla natura sacrificale della Messa che, in un modo incruento, attualizza a beneficio di tutti l'unico sacrificio del Calvario (cf DS 1733‑1762; FCC 9.168‑9.191). Il Concilio Vaticano II ha arricchito l'insegnamento sulla Messa (PO 2; SC 7; LG 3, 28) facendo notare, per esempio, che « il Sacrificio eucaristico » è « convito pasquale » (SC 47), ossia pasto sacrificale. La tradizione bizantina illustra l'unicità del sacrificio di Cristo col celebrare nelle chiese una sola Messa al giorno. Cf Anàmnesi; Eucaristia; Messa.

    Sacrilegio (Lat. « offendere il sacro »). (inizio)

    Offendere persone, eventi, cose e luoghi sacri. Alcuni esempi: profanare una chiesa, rubare calici, fare violenza a persone consacrate. Cf Consacrazione.

     Sacro Cuore. (inizio)

    Il Cuore ferito di Gesù, simbolo del suo amore sacrificale per tutti gli uomini (cf Gv 7,37‑39; 19,34). Già conosciuta nel Medioevo, la devozione al Cuore ferito di Gesù acquistò molta popolarità con le visioni di santa Margherita Maria Alacoque (1647‑1690), che esortarono, per esempio, ad atti di riparazione e alla pratica di comunicarsi il primo venerdì di ogni mese. CfAmore; Devozioni; Riparazione; Simbolo.

      Sadducei. (inizio)

    Considerati tradizionalmente discendenti del sacerdote Sadoc (2 Sam 8,17; 1 Re 1,8). A partire dal II secolo a.C., questo gruppo aristocratico sacerdotale esercitò una forte influenza economica e politica. Basandosi sulla Torah, essi rigettavano le tradizioni orali, la risurrezione dei morti e l'esistenza degli angeli (Mc 12,18‑27; At 23,6‑8). Il sommo sacerdote Caifa e altri Sadducèi con le loro motivazioni politiche e religiose contribuirono alla condanna di Gesù da parte di Ponzio Pilato (cf anche At 4,1; 5,17). Dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., i Sadducèi scomparvero come gruppo. Cf Angeli; Farisei; Risurrezione; Toràh.

      Salmi (Gr. « canti »). (inizio)

    Sono i canti religiosi dell'AT che esprimono al Dio santissimo l'adorazione, il rendimento di grazie, il lamento, il pentimento, la fedeltà e altri sentimenti del singolo e dell'intero popolo. Sebbene siano attribuiti tradizionalmente a Davide (morto all'incirca nel 970 a.C.), forse soltanto pochi dei 150 Salmi risalgono a lui. Questo libro liturgico degli Ebrei è usato dai cristiani dovunque per il culto pubblico e per la preghiera personale. Un libro fondamentale sull'AT e sui Salmi in particolare è uno studio di Hermann Gunkel (1862‑1932) che esamina le loro forme letterarie (cf DS 3521‑3528). Cf Critica biblica.

     Salvezza (Lat. « fare salvi », « soccorrere »). (inizio)

    Termine globale per indicare la liberazione da sofferenze e da mali personali o collettivi. La Pasqua ebraica ricorda la liberazione attraverso il Mar Rosso (Es 12,1‑28; 14,15‑31) di un popolo minacciato di genocidio (Es 1,8‑22). I liberatori umani hanno spesso un ruolo, ma nella salvezza è decisivo solo il ruolo di Dio (Es 15,1‑21; Sal 46, 48, 76, 87). L'AT presenta la natura della salvezza in senso materiale (Dt 33,28‑29; Is 2,1‑5), ma l'alleanza del Sinai e quello che ne consegue include sempre elementi spirituali, oltre a quelli materiali (Ez 36,22‑32). Le promesse profetiche (Ger 31,3‑34; Ez 37,1‑14), escatologiche (Is 43,5-44,5) e chiaramente apocalittiche (Dn 12,1‑3) orientano verso una salvezza futura che verrà da Dio. Il NT sottolinea la liberazione dalla schiavitù del peccato e dalla morte (Mc 1, 5; Rm 5,12-7,25; Eb 2,14‑18). Il Figlio di Maria è chiamato « Gesù » (= « Dio è salvezza »), perché « salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Mt 1,21; cf At 4,12). Il « governo di Dio » e il « regno dei cieli » sono espressioni riverenziali per indicare la salvezza di Dio che raggiungerà il suo apice nell'eschaton (Rm 5,8‑10; 13,11; Eb 9,28; 1 Pt 1,5). Praticamente ogni pagina della Bibbia ha qualcosa da dire, direttamente o indirettamente, circa la salvezza, la sua natura e la sua mediazione. Il Benedictus è forse la preghiera più bella di ringraziamento a Dio per i suoi interventi salvifici (Lc 1,67‑79). CfAlleanza; Eschaton; Giustificazione; Grazia; Letteratura apocalittica; Messia; Parusìa; Pasqua ebraica; Peccato; Redenzione; Regno di Dio; Riconciliazione; Riscatto; Risurrezione dei morti; Soteriologia; Spirito Santo; Storia della salvezza.

      Sangue di Cristo. (inizio)

    Inteso con il suo sfondo veterotestamentario, il Sangue di Cristo esprime e realizza la liberazione dalla morte alla vita (Es 12,7; 13,22‑23; 1 Pt 1,18‑19), lava dal peccato (Lv 16; Rm 3,25; Eb 9,12.14; 1 Gv 1,7; Ap 7,14) e instaura un nuovo rapporto d'amore con Dio (Es 24,3‑8; Mc 14,24). Cf Alleanza; Espiazione.

      Santa Sede. (inizio)

    Il governo del Papa, la cui autorità è simboleggiata dal suo trono come vescovo di Roma. Nel Diritto Canonico, il termine « Santa Sede » e quello di « Sede Apostolica » non si riferiscono soltanto al Papa, ma anche, quando viene indicato dal contesto, alla sua Segreteria di Stato e ad altri uffici che fanno parte del governo papale (CIC 361). Cf Cattedra; Insediamento; Papa.

      Santificazione (Lat. « farsi santi », « fare santo »). (inizio)

    L'azione di Dio che abilita gli esseri umani, i cui peccati sono stati perdonati, a partecipare più pienamente alla santità e perfezione di Dio. Per opera dello Spirito Santo (1 Pt 1,2), la santificazione continua e completa un processo che inizia con la giustificazione (cf 1 Cor 1,30; 6,11). La santificazione consiste nell'amore e viene dalla frequenza dei sacramenti (cf DS 225‑230; FCC 8.001‑8.007). Mentre i Protestanti tendono a enfatizzare il fatto che la santificazione in questa vita è radicalmente incompleta, il Concilio di Trento insiste sulla sua possibilità mediante la grazia abbondante di Dio (cf DS 1530‑1533; FCC 8.063‑8.066). I cristiani orientali preferiscono parlare di deificazione (2 Pt 1,4). Cf Deificazione; Giustificazione; Grazia; Santità.

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    00 21/08/2013 17:44

    Santissimo Sacramento. (inizio)

    Termine usato per il pane e il vino consacrati nell'Eucaristia. Cf Consacrazione; Eucaristia; Transostanziazione.

      Santità. (inizio)

    È l'attributo di un essere che raggiunge pienamente lo scopo della sua esistenza ed è così pienamente realizzato. Strettamente parlando, solo Dio è santo, in quanto è il mysterium tremendum et fascinans (il mistero tremendo e affascinante), « totalmente diverso » dagli altri esseri umani e indescrivibilmente santo (cf Is 6,3.5). D'altra parte, egli è la fonte di ogni perfezione spirituale e morale. Nell'AT il « Codice di santità » (Lv cc. 17‑26) esorta gli Israeliti a essere santi, perché il loro Dio è santo (Lv 19,2; 20,26). Per Paolo, la Chiesa, come anche i singoli cristiani, sono tempio dello Spirito Santo (1 Cor 3,16‑17; 6,19). Cose, località, cerimonie, scritture, legge e alleanza possono anche essere dette sante, in quanto sono santificate e consacrate a Dio. Cf Alleanza; Consacrazione; Doxa; Grazia; Hagios; Perfezione; Santificazione; Santo; Trisagio.

      Santità della Chiesa. (inizio)

    Una delle quattro « note » che caratterizzano la Chiesa e i suoi membri. È un articolo di fede che si trova nei primi simboli di fede (DS 1‑76; FCC 0.002‑0.003, 0.501‑0.517). Mediante il sacrificio di Cristo, lo Spirito Santo e il battesimo, l'intera Chiesa è stata santificata (Rm 5,5; 1 Cor 6,11; Ef 5,25‑27). Paolo si rivolge alle comunità cristiane come a comunità di « santi » (cf 2 Cor 1,1) o « santi per vocazione » (Rm 1,7; 2 Cor 1,2). In certe epoche, i Donatisti e altri hanno esagerato sulla santità della Chiesa qui e ora. La verità è piuttosto che, nel suo pellegrinaggio attuale, la Chiesa è stata resa santa dallo Spirito Santo, è continuamente sostenuta dalla testimonianza eroica di alcuni suoi membri, e d'altra parte (a causa dei molti peccati dei cristiani), ha continuamente bisogno di purificazione (LG 8). Alla fine, la Chiesa celeste, la nuova Gerusalemme, risplenderà della gloria di Dio (Ap 21,2.10‑11; 22,19). CfCanonizzazione; Comunione dei Santi; Donatismo; Note (segni) della Chiesa; Santificazione; Santo.

    Santo (Lat. « uno che è messo da parte »). (inizio)

    Si chiama così chi è chiamato alla piena perfezione morale o che gode già di questa condizione nella vita eterna con Dio. Tutti i battezzati sono chiamati alla santità (LG 39‑42). Dopo la loro morte, alcuni vengono riconosciuti ufficialmente per la loro santità eminente (SC 8, 104, 111; LG 50‑51). Léon Bloy (1846‑1917) disse che nella vita « c'è una sola tristezza: quella di non amare Dio, di non essere santi ». Cf Beatificazione; Canonizzazione; Perfezione; Santità; Santità della Chiesa; Trisagio; Venerazione dei Santi.

     Sapienziale. (inizio)

    Cf Letteratura sapienziale.

    Sardica. (inizio)

    Cf Concilio di Sardica.

      Sarx (Gr. « carne »). (inizio)

    La carne degli animali e degli esseri umani (1 Cor 15,39), il corpo umano (At 2,31), la condizione umana (Gv 1, 14), la discendenza terrena (Rm 1,3), le norme di vita puramente naturali (1 Cor 1,26) e la forza dell'esistenza corporea che porta al peccato e si oppone alla vita secondo lo Spirito (Gal 5,16‑26). Cf Cristologia del Lògos‑Sarx; Natura; Sòma; Spirito.

    Satana (Ebr. « avversario »). (inizio)

    Inteso dapprima come un avversario che lotta contro qualcuno (Gb 1,6-2,10) e poi come il demonio o il principe sommamente malvagio degli angeli ribelli che cerca di sabotare il piano salvifico che Dio ha sull'umanità (Mt 13,39; Mc 1,13; 4,15; Lc 10,18; 13,16; Gv 13,2.27). Avendo san Pietro tentato di opporsi alla sorte sofferente di Gesù, questi lo respinse chiamandolo: « Satana » (Mc 8, 33). Cf Angeli; Demoni; Diavolo.

    Scandalo (Gr. « ostacolo »). (inizio)

    Un'azione od una parola che induce altri a peccare (Rm 14,13; 16,17). Cristo ha messo in guardia contro coloro che danno scandalo (Mt 16,23; Mc 9,42), o contro chi si lascia scandalizzare (Mc 9,43‑47). Il Codice di Diritto canonico del 1983 esorta ad evitare gli scandali come anche a non provocarli e impone pene contro coloro che causano scandali gravi (cf CIC 277, 326, 695‑696, 703, 903, 990, 1132, 1184, 1211, 1455, 1560, 1722, 1727). Nel NT, il termine « scandalo » può riferirsi anche a qualcosa di buono che, però, produce disapprovazione e opposizione (Gv 6,61‑62; 1 Cor 1,23). Cf Diritto Canonico; Peccato.

      Scetticismo (Gr. « indagare, dubitare »). (inizio)

    Dubitare sulla possibilità di conoscere qualcosa con certezza. Gorgia (quinto secolo a.C.) e Pirro di Elide (circa 360‑270 a.C.) sostenevano che la razza umana non può raggiungere la certezza su nessuna cosa. Uno scetticismo così assoluto, chiamato alle volte pirronismo, è ovviamente autocontraddittorio. Lo scetticismo relativo si limita ad alcune aree di conoscenza: per esempio, la verità religiosa e quella morale. Cf Relativismo.

      Scienza e religione. (inizio)

    La tensione sorta a partire dal secolo XVII tra

      a) le scoperte, le leggi e i metodi scientifici e

      b) le credenze religiose.

      Sono sorte difficoltà da discipline come l'astronomia, la biologia, la paleontologia, la fisica, la psicologia e la sociologia. Con una punta di ironia si è potuto argomentare che la fede giudeo‑cristiana nel Dio creatore ha reso possibile la nascita della scienza occidentale. La controversia di Galileo Galilei (1564‑1642) creò l'immagine che stenta a scomparire di una Chiesa ufficiale che rifiuta di accettare le nuove scoperte e che cerca di limitare l'adeguata libertà scientifica. Questo caso, come anche il dibattito sulla teoria dell'evoluzionismo sviluppata da Charles Darwin (1809‑1882) mise in rilievo il problema della conveniente interpretazione dei testi biblici. Nel secolo XX, il progresso scientifico e tecnologico è stato spettacolare. Con ciò, si è fatta strada ora la convinzione largamente condivisa che la scienza non può da sé dare una risposta alle questioni fondamentali circa il significato e i valori, può essere disumanizzante e estremamente pericolosa (per es., le armi nucleari) e deve rispettare i diversi metodi usati in filosofia e in teologia. Il progresso nelle teorie della conoscenza ha mostrato che anche nelle scienze naturali gli appelli generici all'« oggettività » pura e imparziale vanno abbandonati. Per molti, il francese sacerdote e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881‑1955) è stato il simbolo del nuovo dialogo che ha sostituito il vecchio antagonismo tra scienza e religione. Che si trovi nella religione o nella scienza, tutta la verità si fonda su Dio e non può mai opporsi a se stessa (cf GS 36). Cf Autonomia; Creazionismo; Critica biblica; Evoluzionismo; Fondamentalismo; Dio « Tappabuchi »; Positivismo; Verità.

    Scienza infusa. (inizio)

    Conoscenza data gratuitamente mediante lo Spirito Santo per qualche compito speciale nella Chiesa, e elargita anche, secondo una lunga tradizione, a Cristo e ai profeti dell'AT. È distinta dalla scienza acquisita che è il risultato di sforzo e di studio normale. Cf Carismi.

      Scienza media (Lat. « conoscenza intermedia »). (inizio)

    Questo concetto è stato sviluppato dal gesuita Luis de Molina (1535‑1600) per conciliare la vera libertà umana con la prescienza divina che conosce in antecedenza tutto ciò che accadrà. Egli propose una conoscenza secondo cui Dio conosce le possibilità future con una conoscenza che è più che una conoscenza delle pure possibilità, ma è meno di una visione degli effettivi eventi futuri. Cf Molinismo; Prescienza.

      Scisma (Gr. « divisione »). (inizio)

    Separazione tra gruppi opposti (Gv 7,43; 1 Cor 1,10; 11,18; 12,25). Prefigurati dalla divisione nell'AT tra il Regno del Nord e quello del Sud dopo la morte di Salomone (931 a.C.), gli scismi hanno danneggiato la vita e l'unità della Chiesa. L'eresia e lo scisma non sono sempre nettamente distinti, ma si può dire così: mentre la vera eresia pecca contro la fede col negare volontariamente qualche verità rivelata, lo scisma pecca contro l'amore in quanto infrange la comunione con gli altri membri della Chiesa. Gli scismi non sono provocati primariamente da questioni dottrinali, ma da divergenze riguardanti l'autorità e la disciplina della Chiesa. Lo scisma più grave tra i cristiani è quello che è avvenuto tra i cattolici occidentali e gli ortodossi orientali. Sebbene la data convenzionale sia quella del 1054, lo scisma è stato preceduto da una parte da molte tensioni previe, e, d'altra parte, non è stato sentito pienamente tra le file dei cristiani di entrambe le parti se non molto tempo dopo. Nonostante la riconciliazione tra Roma e Costantinopoli avvenuta alla fine del Concilio Vaticano II, questo scisma ancora oggi non è pienamente sanato. Il Vaticano II ha riconosciuto le separazioni e divisioni (UR 3, 13), ma non ha mai usato i termini « scisma », o « scismatici », e in questo campo non ha neanche mai parlato di « eresia » e di « eretici ». Cf Concilio di Firenze; Concilio Vaticano II; Dialogo; Ecumenismo; Eresia; Filioque.

    Scolastica (Gr. « svago »; Lat. « studio », « insegnamento »). (inizio)

    Si tratta di una tradizione accademica e monastica che si serviva della filosofia di Aristotele e di Platone per capire, interpretare sistematicamente e riflettere sulle verità di fede. Avviata con sant'Agostino di Ippona (354‑430), Boezio (circa 480 ‑ circa 524) e altri, la Scolastica cominciò realmente con sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109) e col suo motto « fides quaerens intellectum » (Lat. « la fede che cerca di capire »). Dopo Pietro Abelardo (1079‑1142) e Pietro Lombardo (circa 1100‑1160), la Scolastica ebbe i suoi maggiori esponenti in san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), san Bonaventura (circa 1217‑1274) e beato Duns Scoto (circa 1265‑1308). Con Guglielmo di Occam (circa 1285‑1347), la Scolastica decadde in un vuoto nominalismo. Cf Aristotolismo; Filosofia; Filosofia perenne; Neoscolastica; Neotomismo; Nominalismo; Platonismo; Scuole teologiche; Summa; Tomismo.

     Scomunica (Lat. « esclusione dalla comunione »). (inizio)

    Esclusione dalla recezione dei sacramenti e dall'esercizio dei pieni diritti nella Chiesa (CIC 1331). La scomunica può scattare automaticamente in seguito a certi atti o può essere pronunciata da un'autorità o da un tribunale ecclesiastico. Cf Anatema; Ferendae sententiae; Latae sententiae.

      Scotismo. (inizio)

    Si chiama così il sistema sviluppato dal francescano beato Duns Scoto (circa 1265‑1308), proveniente dalla Scozia. Egli insegnò a Cambridge, Oxford, Parigi e Colonia. Per la sua grande capacità di riflessione, Scoto fu chiamato il « dottor sottile ». Diversamente da san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), il beato Scoto diede il primato all'amore e alla volontà (e non alla conoscenza e all'intelletto). Perciò affermò che la nostra felicità in cielo consisterà primariamente nell'amore (e non nella visione) di Dio. Il beato Scoto differisce da san Tommaso anche perché fu il campione dell'Immacolata Concezione di Maria. Secondo Scoto, l'incarnazione non è una pura opera di salvezza avvenuta a causa della caduta: l'Incarnazione, secondo lui, sarebbe avvenuta comunque. Il concetto di Scoto secondo cui gli esseri singoli sono individuati mediante una haecceitas (Lat. « l'essere questo ») che è qualcosa di intelligibile, come anche le sue riflessioni sui possibilia (Lat. « le cose possibili ») hanno influito su Martin Heidegger (1889‑1976). Cf Caduta (La); Immacolata Concezione; Incarnazione; Scolastica; Scuole teologiche; Tomismo; Visione beatifica.

      Scribi. (inizio)

    In origine, erano copisti e custodi di documenti, ma la loro destrezza riuscì a portarli alla loro promozione ufficiale (Sal 45,2; Esd 7,6; Sir 39,1‑11; cf Ger 8,8). Al tempo di Gesù, gli Scribi provenivano principalmente, ma non esclusivamente, dai Farisei e, con i capi dei sacerdoti e gli anziani, formavano i 71 membri del Sinedrio o Concilio supremo di Gerusalemme. A motivo del loro compito di interpretazione e applicazione della Scrittura, furono chiamati « dottori della legge » o giuristi » (Lc 7,30). Cf Bibbia; Toràh.

      Scrittura. (inizio)

    Cf Bibbia.

      Scrittura e tradizione. (inizio)

    La relazione che esiste tra la Parola di Dio scritta e ispirata e la realtà più ampia della Chiesa che, « nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede » (DV 8). Contro il principio dei Riformatori basato sulla sola Scrittura, il Concilio di Trento (1545‑1563) insegnò che il Vangelo è « la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale ». È « contenuto » non solo nei « libri scritti » ma anche nelle « tradizioni non scritte che sono giunte a noi » (DS 1501; FCC 2.006, 2.014). Sebbene il Concilio di Trento avesse parlato di una fonte (« il vangelo »), il suo insegnamento portò molti cattolici a sviluppare la teoria delle « due fonti », secondo cui alcune verità sarebbero contenute nella Tradizione e non nella Scrittura. Il Concilio Vaticano II intese la rivelazione primariamente come l'autocomunicazione della vita di Dio (DV 2‑6) più che come un corpo di proposizioni rivelate « contenute » nella Bibbia o in altre fonti. Il Vaticano II sottolineò il procedimento della tradizione (al singolare!) anzichè le tradizioni individuali (= insegnamenti o prassi particolari), insistette sul modo con cui la tradizione e la scrittura sono unite nella loro origine (= rivelazione), funzione e finalità (DV 9) e, mentre parlò solo della scrittura come parola di Dio, riconobbe il ruolo della tradizione nel chiarire e attualizzare la rivelazione (DV 8). Grazie ad un incontro della Commissione Fede e Ordine del Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1963 e all'influsso di Yves Congar (nato nel 1904), di Gerhard Ebeling (nato nel 1912), di Hans Georg Gadamer (nato nel 1900) e altri, un numero sempre maggiore di protestanti ammette che non è possibile un appello esclusivo alla sola Scrittura. La Tradizione è un mezzo essenziale per capire la rivelazione, mentre la Scrittura ha il suo ruolo speciale nel giudicare e riformare le tradizioni. Cf Bibbia; Luteranesimo; Magistero; Parola di Dio; Protestante; Riforma (La); Sola Scrittura; Spirito Santo; Sufficienza della Scrittura; Tradizione.

      Scuola della storia delle religioni. (inizio)

    Un vasto gruppo tedesco di studiosi fra cui Wilhelm Bousset (1865‑1920), Hermann Gunkel (1862‑1932) e Richard Reitzenstein (1861‑1931). Nell'interpretare l'ebraismo e il cristianesimo nelle loro origini, riscontrano molti parallelismi e fonti in altre tradizioni religiose del Medio Oriente. Cf Religioni comparate.

      Scuola di Francoforte. (inizio)

    Un gruppo di studiosi associati all'Università di Francoforte. La loro teoria critica ha messo in luce vari legami tra la nostra comprensione e i nostri interessi, e mira a realizzare una società più razionale col rendere libera la conoscenza dal dominio e dalla manipolazione. Tra i membri importanti di questa scuola (che ha esercitato una notevole influenza sulla teologia d'oggi), c'è da ricordare: Teodoro Adorno (1903‑1969), Jürgen Habermas (nato nel 1929), Max Horkheimer (1895‑1973) e Herbert Marcuse (1888‑1979). Cf Ermeneutica; Teologia della liberazione; Teologia politica.

    Scuole teologiche. (inizio)

    Vari gruppi di teologi che approfondiscono e presentano sistematicamente i dati della Scrittura e della Tradizione con caratteristiche proprie. I loro metodi e sistemi sono stati influenzati dalla loro formazione (per es., una università, un monastero o un seminario), dai loro destinatari (per es., seminaristi, o pubblico in genere, o la Chiesa nella sua globalità), e dalle loro differenze filosofiche (per es., aristotelismo, esistenzialismo, platonismo od altre correnti di pensiero). Nel Medioevo le grandi scuole teologiche (agostiniani, domenicani e francescani) sono state per lo più collegate con università come Bologna, Cambridge, Colonia, Napoli, Oxford e Parigi eo con grandi maestri come il francescano san Bonaventura (1221‑1274), i domenicani sant'Alberto Magno (circa 1200‑1280) e san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), e, un po' più tardi, i francescani beato Duns Scoto (circa 1265‑1308) e Guglielmo di Occam (circa 1285 ‑ circa 1347). Nei secoli XIX e XX, le scuole teologiche si sono pure associate con varie istituzioni (per es., l'università di Tubinga, l'università di Chicago e l'università Gregoriana di Roma), eo con personaggi come Karl Barth (1886‑1968), Karl Rahner (1904‑1984), Bernard Lonergan (1904‑1984), Hans Urs von Balthasar (1905‑1988) e Paul Tillich (1886‑1965). CfAgostinianismo; Neo‑scolastica; Neo‑tomismo; Nominalismo; Scolastica; Scotismo; Tomismo; Tubinga e le sue scuole.

      Secolarismo (Lat. « fede nel mondo »). (inizio)

      a) Una ideologia atea o agnostica che nega le credenze e i valori religiosi e spiega ogni cosa esclusivamente in termini di questo mondo.

      b) Il secolarismo va distinto dalla « secolarità », o atteggiamento di chi s'interessa di questo mondo e delle sue vicende, ma non necessariamente in un modo antireligioso.

      c) La « secolarizzazione » si riferisce a qualsiasi processo sociale e storico che sottrae qualcosa dal controllo ecclesiastico e da intenti sacri: per es., la soppressione dei monasteri nel secolo XVI in Inghilterra, l'impatto della rivoluzione francese in Francia e della politica di Napoleone Bonaparte (1769‑1821) in Germania. Terreni e edifici, usati prima per la vita religiosa, divennero proprietà di nobili, commercianti e altri per intenti puramente profani e mondani.

      d) Il clero « secolare » è costituito dai preti posti sotto l'obbedienza del vescovo della loro diocesi e si distinguono dai preti che appartengono ad un ordine religioso o ad una congregazione.

      Cf Autonomia; Clero; Diocesi; Ordinario; Vita religiosa.

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    00 21/08/2013 17:45

    Seconda venuta. (inizio)

    Cf Parusìa.

    Segni della Chiesa. (inizio)

    Cf Note della Chiesa.

      Semi‑arianesimo. (inizio)

    Si chiama così la teoria di Basilio di Ancira (= Ankara) e di altri dopo il Concilio di Nicea I (325). I semi‑ariani non seguirono la visuale ariana secondo cui Cristo sarebbe solo la prima tra le creature, ma non accettarono nemmeno la dottrina ortodossa del Figlio omooùsios (= della stessa sostanza) del Padre. Essi chiamarono il Figlio omoioùsios (Gr. « di una sostanza simile ») al Padre. Sebbene il loro termine fosse eretico, la differenza di una sola « i » creò una piattaforma di dialogo che portò molti semi‑ariani alla piena ortodossia. Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I; Omooùsios.

    Semi‑pelagianesimo. (inizio)

    Teoria proveniente da san Giovanni Cassiano di Marsiglia (circa 360‑435), san Vincenzo di Lérins (morto prima del 450) e da altri monaci del Sud della Francia. Secondo essi, gli esseri umani possono fare da sé il primo passo verso Dio senza l'aiuto della grazia divina. Mentre ammettevano che la grazia è indispensabile alla salvezza e rigettavano così il Pelagianesimo, coloro che svilupparono il semi‑pelagianesimo (come fu chiamata questa visuale alla fine del XVI secolo), si comportarono così almeno in parte per la loro opposizione alla versione estremista della predestinazione sostenuta da sant'Agostino di Ippona (354‑430). Il semi‑pelagianesimo finì per essere condannato nel secondo Concilio di Orange (529). L'insegnamento ufficiale della Chiesa, mentre seguì l'insegnamento di Agostino sulla grazia (cf DS 370‑397; 2004‑2005; 2618; 2620; FCC 3.052‑3.053; 8.031‑8.040, 8.139‑8140), non ha mai approvato la sua interpretazione della predestinazione. Cf Antropologia; Grazia; Pelagianesimo; Predestinazione.

     Semplicità. (inizio)

    La caratteristica di essere indivisibile e non composto di varie parti. Essendo spirituale e interamente presente a sé, Dio è semplice in questo senso ontologico (Gv 4,24; cf DS 297, 800, 805, 1880 e 3001; FCC 1.074, 5.002, 6.060, 6.065). Nella sfera morale, la semplicità si riferisce alla rettitudine d'intenzione senza complessi con cui agisce una persona veramente religiosa (cf Mt 10,16). Cf Immutabilità; Prudenza; Sofferenza di Dio.

      Sensi della Scrittura. (inizio)

    I vari significati che possono avere i testi biblici. Il senso letterale è il significato inteso dall'autore originale che ha scritto per uditori particolari, in determinate circostanze storiche ed usando forme letterarie specifiche. Una volta scritto, però, un testo biblico, come gli altri testi, comincia ad avere una sua vita. Sarà letto e interpretato in contesti differenti da quello in cui fu composto in origine. Comunicherà e richiamerà significati che vanno oltre a quello che intendeva l'autore originale. Lungo i secoli, coloro che ascoltano, leggono e usano i testi biblici per la preghiera portano in questo dialogo i loro problemi e interessi; possono così scoprire nuove gamme di significati. Col cercare e spesso con lo stabilire, almeno in parte, il senso letterale, la critica biblica rimane essenziale; tra le altre cose, può verificare voli sfrenati di interpretazione soggettiva. Nello stesso tempo, lo Spirito Santo che primo ha ispirato lo scritto dei testi biblici illumina i singoli e l'intera comunità a trovare in quei testi significati e vita per oggi (cf DV 12, 21‑25). Da Origene (circa 185‑circa 254) a Benedetto XV (1854‑1922, papa dal 1914) e oltre, i credenti hanno sempre attestato la loro convinzione che la Bibbia ha Cristo come centro e trova in lui il suo significato. Cf Allegoria; Critica biblica; Ermeneutica; Esegesi; Fondamentalismo; Ispirazione; Origenismo; Sensus plenior; Teologia alessandrina; Teologia antiochena; Tipologia.

     Senso della fede. (inizio)

    Cf Sensus fidelium.

      Sensus fidelium (Lat. « senso dei fedeli »). (inizio)

    Si chiama così l'intuito istintivo dell'intera comunità dei fedeli in campo di fede (LG 12; DV 8). La loro valutazione e il loro discernimento della rivelazione avvengono sotto la guida dello Spirito Santo (Gv 16,13; 1 Gv 2,20.27). Questo senso della fede fa sorgere e si manifesta nelconsensus fidelium (Lat. « consenso dei fedeli »), come una causa che produce effetti corrispondenti. Coloro che hanno contribuito a sviluppare questo concetto sono stati: John Henry Newman (1801‑1890), Matthias Joseph Scheeben (1835‑1888) e Johann Adam Möhler (1796‑1838). Cf Fede; Grazia; Indefettibllità; Spirito Santo.

      Sensus plenior (Lat. (« senso più pieno »). (inizio)

    Il modo con cui le Scritture (per es., testi dell'AT) possono avere significati che vanno oltre il senso letterale (= il significato inteso esplicitamente dall'autore umano originale). Significati del genere, intesi dall'autore principale (Dio), sono emersi alla luce di eventi successivi della storia della salvezza guidata da Dio. Cf Sensi della Scrittura.

      Settanta. (inizio)

    La più importante versione greca dell'AT chiamata versione dei « Settanta », perché, secondo una leggenda, sarebbe stata fatta da settanta (o settantadue) studiosi che lavorarano ignorandosi tra di loro. Secondo la tradizione ebraica, fu commissionata da Tolomeo Filadelfo (285‑246 a.C.) per la sua famosa biblioteca di Alessandria. Mentre sembra essere il lavoro congiunto di molti traduttori, fu probabilmente ultimata più tardi: verso il 132 a.C. Su certi punti importanti, differisce dalla Bibbia ebraica. Certi libri che addirittura non si trovano nella Bibbia ebraica (come Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide e Baruc) sono stati introdotti nei « Settanta », mentre alcuni libri (per es. Ester) vi appaiono in una forma più lunga. Questi libri e passi tradizionali, chiamati « Apocrifi » nella tradizione protestante, sono ritenuti « deutero‑canonici » dai Cattolici e dagli Ortodossi. Nel citare l'AT, gli autori neotestamentari seguono spesso i « Settanta » anziché l'originale ebraico. Molti dei primi Padri della Chiesa hanno considerato i « Settanta » come la versione ufficiale dell'AT. Cf Antico Testamento; Apocrifi; Bibbia; Canone delle Scritture; Libri deuterocanonici; Volgata.

    Sette concili ecumenici (I). (inizio)

    Sono quei concili generali dal Niceno I (325) al Niceno II (787) che vengono riconosciuti come ecumenici sia dai Cattolici che dai Greci Ortodossi. Godono di un'importanza unica in qualsiasi dialogo tra l'Oriente e l'Occidente. Sebbene i Greci Ortodossi abbiano in seguito ritenuto importanti anche altri Concili, come quello di Costantinopoli nel 1351 e quello di Gerusalemme nel 1672, nessuno, però, di questi è stato riconosciuto come ecumenico. I Cattolici elencano di solito 21 concili come ecumenici; il ventunesimo è il Concilio Vaticano II. Cf Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano I; Concilio Costantinopolitano II; Concilio Costantinopolitano III; Concilio ecumenico; Concilio di Efeso; Concilio di Nicea I; Concilio di Nicea II.

      Sette peccati capitali (I). (inizio)

    Sono i peccati che tradizionalmente vengono ritenuti come la radice degli altri peccati. L'elenco, come è stato sviluppato da Evagrio Pontico (346‑399), san Gregorio Magno (circa 540‑604) e altri, è il seguente: la superbia, l'avarizia, la lussuria, l'invidia, la gola, l'ira e l'accidia. Quest'ultimo (Gr. « indifferenza ») significa; apatia, torpore o disgusto per le cose spirituali. Sotto « la proliferazione del peccato » il Catechismo della Chiesa Cattolica ha elencato i sette peccati capitali (n. 1866). Cf Peccato.

      Settimana Santa. (inizio)

    È la settimana più importante del calendario liturgico. Comincia la Domenica delle Palme con la benedizione e la processione delle Palme; ricorda l'istituzione dell'Eucaristia il Giovedì Santo, chiamato anche, nei paesi di lingua inglese « Maundy Thursday » (il Giovedì del precetto: il precetto di amarci gli uni gli altri come Cristo ci ha amati: Gv 13,34) e culmina con la Veglia Pasquale del Sabato Santo. In Oriente, questa Settimana si chiama anche « Settimana della Salvezza ». I Greci la chiamano « la Grande Settimana ». Le Lettere Festali di sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373) offrono la prima documentazione chiara delle celebrazioni della Settimana Santa. Quando Egeria fece il suo pellerinaggio dalla Spagna a Gerusalemme verso la fine del IV secolo, trovò una liturgia ben sviluppata della Settimana Santa nella città dove Cristo trascorse gli ultimi giorni della sua vita terrena. Cf Messa dei presantificati; Triduo pasquale.

      Settimo giorno. Cf Avventisti del Settimo Giorno. (inizio)

     Shekinàh (Ebr. « dimora, residenza » (inizio)

    formato dal verbo: « fissare una tenda »). La presenza gloriosa di Dio in mezzo a noi. Pur non usando questa parola, l'AT allude ad essa quando parla della Tenda del Convegno nel deserto dove si manifestò la gloria di Dio (cf Es 33,7‑11; Nm 11,16‑25; 12,1‑10). Nel Talmud, il termine può essere una circonlocuzione reverenziale per indicare Dio. Il quarto Vangelo usa il concetto di shekinàh nel parlare dell'Incarnazione (Gv 1,14). Cf Dòxa; Gloria; Tàlmud.

      Shema (Ebr. « ascolta »). (inizio)

    È la prima parola di una preghiera che nella sua forma piena era composta da Dt 6,4‑9; 11,13‑21 e Nm 15,37‑41, ma nella sua forma più breve suona così: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze » (Dt 6,4‑5). Cristo citò questo brano quando rispose allo scriba che gli chiedeva qual era il primo di tutti i comandamenti (Mc 12,28‑30). Lo Shemaoccupa nella pietà ebraica il posto fondamentale che occupa il Padre nostro nella pietà cristiana. Cf Amore; Preghiera.

      Sheol (etimologia incerta). (inizio)

    Luogo sotterraneo dove tutti i morti come tante ombre conducono la stessa esistenza (Gn 37,35; Nm 16,31‑34; Dt 32,22; Gb 3,13‑19; 26,5‑6; Is 14,9‑11). È desiderabile una lunga vita su questa terra, poiché i morti non possono più dare lode a Dio (Sal 6,5‑6; 88,3‑6.11‑13; Is 38,18). Cf Cielo; Escatologia; Inferno; Purgatorio.

      Simbolica. (inizio)

    Lo studio sistematico dei Simboli (professioni di fede) e delle verità fondamentali delle differenti confessioni cristiane. Sviluppato da Georg Callixtus (1586‑1656), Johann Adam Möhler (1796‑1838) ed altri, questo settore della teologia è stato ringiovanito dal movimento ecumenico, in particolare dai dialoghi bilaterali (dialoghi tra i rappresentanti ufficiali di due Chiese cristiane) e dalla Commissione Fede e Ordine del « Consiglio Ecumenico delle Chiese » (per es., il rapporto del 1982 su Battesimo, Eucaristia e Ministeri). Cf Consiglio Ecumenico delle Chiese; Confessione di Augusta; Dialogo; Ecumenismo; Fede e Ordine; Trentanove articoli.

      Simbolo (Gr. « qualcosa collegato insieme »). (inizio)

    Qualcosa che rappresenta « naturalmente » (per es., un leone che è simbolo di coraggio) o convenzionalmente (per es., una bandiera come simbolo di un dato paese) qualcosa d'altro. Col rendere presenti altre cose, i simboli entrano nella nostra fantasia, colpiscono i nostri sentimenti e influiscono sul nostro comportamento. Le spiegazioni razionali non riusciranno mai ad ottenere la vasta gamma di significati espressi da vari simboli. In particolare, quando assumiamo simboli religiosi che rappresentano le realtà ultime e trascendenti, c'è da aspettarsi che questi simboli siano inesauribili nel loro significato. Cf Croce; Professione di fede; Sacramento; Teologia del simbolo.

    Simbolo apostolico. (inizio)

    Il Simbolo promosso dall'Imperatore Carlomagno (circa 742‑814) e usato per il battesimo nella Chiesa d'Occidente. Consta di uno schema tripartito molto semplice, costruito attorno al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo (cf DS 16). Rufino (circa 345‑410) riporta una leggenda secondo cui i dodici Apostoli avrebbero ognuno composto un articolo del Simbolo.

      Simbolo atanasiano. (inizio)

    Professione di fede, chiamata anche Simbolo « Quicumque » (dalla prima parola latina: « Chiunque vuole essere salvo... »). È erroneamente attribuito a sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373) e ha avuto origine con tutta probabilità nel Sud della Francia nel V secolo. Si dilunga molto sulla Trinità, sull'Incarnazione e sulla Redenzione (cf DS 75‑76; FCC 0.520‑0.514).

     Simbolo niceno. (inizio)

    È il Simbolo che è stato ratificato a Nicea (325). Contro gli Ariani, esso proclama l'eterna divinità del Figlio, il quale è « della stessa sostanza » (omooùsios) del Padre (DS 125‑126; FCC 0.503‑0.504). Spesso, per Simbolo Niceno si intende più precisamente quello « Niceno‑Costantinopolitano », in connessione con il Concilio Costantinopolitano I (381). Questo Simbolo presuppone quello di Nicea, ma è più specifico per quanto riguarda la divinità dello Spirito Santo: questi va « adorato e glorificato » con il Padre e il Figlio (DS 150; FCC 0.509). Largamente usato nella celebrazione eucaristica e nel battesimo, il Simbolo Niceno‑Costatinopolitano è quello più comunemente accettato tra i Cristiani. Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I; Filioque; Omooùsios.

      Simonia. (inizio)

    Consiste nel trattare i beni spirituali come se fossero merce di acquisto. Vendere o comperare un ufficio ecclesiastico o un sacramento costituisce un peccato di simonia. Il nome viene da un mago chiamato Simone il quale voleva comperare da Pietro e da Giovanni il potere di donare lo Spirito Santo (At 8,9‑25). In certe epoche, la simonia ha sfigurato la vita della Chiesa, per cui è stata condannata più volte (cf DS 304, 473, 586, 691‑694, 707, 751, 820; CIC 149, 188 e 1380).

      Simul peccator et justus  (inizio)

    (Lat. « essere contemporaneamente peccatore e giusto »). Una frase che riassume la convinzione luterana secondo cui dobbiamo sempre confessarci peccatori quando ci guardiamo alla luce della legge che ci accusa e delle nostre possibilità naturali. Nello stesso tempo, dobbiamo ammettere che siamo realmente giustificati quando crediamo nella promessa del perdono e della misericordia di Dio. Cf Corruzione totale; Giustificazione; Imputazione; Luteranesimo; Peccato; Protestante.

      Sinagoga (Gr. « assemblea di persone o di cose »). (inizio)

    Una scuola e un luogo ebraico per il culto. La parola ebraica corrispondente era knesset usata oggi per indicare il Parlamento d'Israele. Luca colloca il primo discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16‑28) e leggiamo che ha compiuto altre visite nelle sinagoghe (Mt 9,35; 13,54; Mc 1,39; Lc 4,44; 13,10; Gv 6,59). San Paolo e altri dei primi cristiani si sono serviti delle sinagoghe per dialoghi e dibattiti con gli Ebrei (cf At 13,14‑43; 17,1‑2.10‑12). Costituite per la prima volta nel secolo VI avanti Cristo, le sinagoghe sono sempre rimaste il centro di culto e di formazione ebraica lungo i secoli. Tra gli Ebrei di oggi, quelli riformati intendono i « templi », mentre gli Ortodossi si riferiscono alle « scuole ». Cf Giudaismo; Israele.

      Sinassario (Gr. « libro per l'assemblea »). (inizio)

    Breve presentazione della vita di un santo o del significato di una festa particolare, letta nell'orthros, o ufficio del mattino nella liturgia delle Ore della Chiesa bizantina. Cf Liturgia delle Ore.

      Sinassi (Gr. « riunione »). (inizio)

    Un'assemblea riunita per la liturgia della Parola, per la celebrazione eucaristica o per qualche altra funzione religiosa. Praticamente sinonimo di « sinagoga » (Gr. « assemblea »), la parola è stata usata dapprima dai cristiani per distinguere il loro culto da quello degli Ebrei. Cf Culto; Eucaristia; Liturgia della Parola; Sinagoga.

      Sincretismo (Gr. « mettere due città di Creta contro una terza »). (inizio)

    Qualsiasi tentativo di conciliare o anche di fondere insieme princìpi e pratiche differenti o addirittura incompatibili. Spesso superficiale e transitorio, il sincretismo può verificarsi tra religioni, filosofie e all'interno dello stesso cristianesimo. Il primo a tentare un sincretismo ecumenico su larga scala fu Georg Callixtus (1586‑1656), teologo protestante che cercò di conciliare Luterani, Calvinisti e Cattolici sulla base della Bibbia, della fede dei primi cinque secoli e del Simbolo Apostolico. Cf Ecumenismo; Religioni comparate; Scuola della storia delle religioni; Simbolo apostolico.

     
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    00 21/08/2013 17:46

    Sinergismo (Gr. (« operare insieme »). (inizio)

    La Chiesa d'Oriente designa con questo termine la cooperazione di Dio e degli esseri umani in fatto di grazia e di libertà. Questa dottrina è stata alle volte ritenuta « semipelagiana » in quanto sembra intaccare la sovranità assoluta di Dio nell'intero processo della salvezza umana, dal primo passo verso la conversione fino alla perseveranza finale. In realtà, questa critica suppone erroneamente che Dio e gli esseri umani siano antagonisti, mentre si deve riconoscere che gli esseri umani sono resi capaci di pentirsi e di produrre i frutti di conversione liberamente mediante la grazia di Dio. Una teoria affine a quella del sinergismo è stata sviluppata dal teologo luterano Filippo Melantone (1497‑1560) e ha incontrato la stessa critica (infondata). CfSemipelagianesimo.

    Sinfonia (Gr. « vocisuoni armoniosi »). (inizio)

    Teoria della teologia orientale secondo cui la Chiesa e lo Stato dovrebbero agire all'unisono per la gloria di Dio. Cf Chiesa e Stato; Fonti del Diritto Canonico Orientale; Teocrazia.

      Sinodo (Gr. « concilio »). (inizio)

    Assemblea di vescovi e altri che si riuniscono per trattare materie riguardanti la dottrina e la prassi della Chiesa. Il nome è applicato a qualsiasi assemblea ufficiale, da un sinodo diocesano fino ad un concilio ecumenico (CD 36‑38). Cf Collegialità; Concilio ecumenico.

    Sinodo dei vescovi. (inizio)

    Assemblea di vescovi che rappresentano tutte le Conferenze  Episcopali e che si incontrano di solito ogni tre anni a Roma nel mese di ottobre. Il suo scopo è quello di promuovere l'unione collegiale tra i vescovi e il papa informandolo su materie di fede, morale e disciplina ecclesiastica (CD 5; CIC 342‑348). Il Sinodo del 1987 trattò della vocazione e missione dei Laici; quello del 1990 della formazione dei Presbiteri; quello del 1994 della vita consacrata e della sua missione. Cf Collegialita; Conferenza Episcopale.

      Sinodo diocesano. (inizio)

    Assemblea ufficiale di presbiteri e laici radunati dal vescovo di una diocesi particolare perche lo aiutino nel governo di quella diocesi (CIC 460‑468). Cf Diocesi; Ordinario; Vescovo.

      Sinodo trullano. (inizio)

    Un Sinodo convocato da Giustiniano II e tenutosi a Costantinopoli (692), nel trullus (Gr. « stanza a cupola ») del palazzo imperiale. Il suo intento era quello di trattare alcuni problemi canonici, in quanto il quinto concilio ecumenico, il Costantinopolitano II (553), e il sesto, il Costantinopolitano III (680‑681), non avevano emanato misure disciplinari. Per questo motivo, questo sinodo è chiamato spesso il Quinisesto (Lat. « quinto e sesto »). La legislazione trattò di impedimenti del matrimonio, dell'età dell'ordinazione del matrimonio dei chierici e dell'abito ecclesiastico. Proibiva anche di rappresentare Gesù sotto l'immagine di un agnello, considerata un'aberrazione monofisita. Nello stesso tempo, ci fu un'allusione all'iconoclasmo incipiente. Dal punto di vista del diritto canonico orientale, il Sinodo fu uno dei più importanti, anche se incontrò resistenze nello stesso Oriente e la sua legislazione non venne mai approvata da Roma. Solo il papa Adriano I (papa dal 772 al 795) diede una qualche approvazione a questi canoni dopo che furono erroneamente presentati come canoni del Costantinopolitano III. CfConcilio Costantinopolitano II; Concilio Costantinopolitano III; Fonti del Diritto canonico orientale; Iconoclasmo; Islamismo; Monofisismo.

      Sinottici. (inizio)

    Cf Vangeli sinottici.

      Sistemi della grazia. (inizio)

    Sono quei sistemi teologici che cercano di spiegare come l'assoluta libertà di Dio nel conferire la grazia e nell'anticipare le decisioni umane non compromette la collaborazione e la responsabilità dell'uomo. Cf Molinismo; Predestinazione; Semi‑pelagianesimo; Sinergismo; Teologia apofatica.

      Sitz im Leben (Tedesco « posto nella vita », « contesto di vita »). (inizio)

    Termine divulgato da Hermann Gunkel (1862‑1932) e da altri pionieri della critica delle forme. Si riferisce alla funzione che una particolare unità biblica (per es., un inno, un detto o un racconto) può avere avuto nella vita e nel culto della comunità. Riguardo al NT, si riferisce specialmente al modo con cui le tradizioni specifiche riguardo al Gesù terreno si sono formate e tramandate (oralmente o forse alle volte con scritti) durante il periodo dopo la Pentecoste fino a quando Marco e gli altri evangelisti hanno scritto i vangeli (dal 30 al 67 circa dopo Cristo). Alle volte, gli studiosi parlano del « Sitz im Leben Jesu »: intendono parlare delle circostanze storiche in cui Gesù ha narrato una parabola, ha guarito un infermo o ha pronunciato una data sentenza. Cf Critica biblica.

      Sobornost (Russo « conciliarismo »). (inizio)

    Termine che fu usato da Jurij Samarin (1819‑1876) nella traduzione russa delle opere inglesi e francesi di Alexej Chomjakow (1804‑1860), un ortodosso russo laico e teologo. Lo si può rendere con « conciliarità » o « collegialità » (dal russo: sobor che significa « riunione », « sinodo »). A partire dal secolo XI, la parola « soborny » era stata usata nella versione slavonica del Credo per tradurre « cattolica » in « Chiesa cattolica ». Chomjakow usòsobornost per indicare i caratteri distintivi della Chiesa Ortodossa: la collaborazione amorosa dei fedeli e della gerarchia nella loro vita, nella loro fede e nel loro culto. Sostenne che i cattolici avevano l'unità ma senza la libertà; i protestanti, la libertà ma senza l'unità, mentre gli Ortodossi avevano la libertà nel vincolo dell'amore. Sobornost corrisponde alla collegialità di tutti i membri della Chiesa. Cf Cattolicità; Chiese Orientali; Collegialità; Ortodossi; Sinodo.

      Sociale. (inizio)

    Cf Dottrina sociale.

     Società degli amici. (inizio)

    Si chiama così un gruppo di cristiani fondato da George Fox (1624‑1691) che si staccò dalla Chiesa Anglicana. Essi sono descritti come « amici della verità », ma popolarmente sono conosciuti come « Quaccheri », perché nell'ascoltare la Parola di Dio davano l'impressione di tremare (inglese: « quake »). La loro dottrina insiste sulla luce interiore del Cristo vivente e su una Chiesa basata sul sacerdozio dei fedeli, sia uomini che donne, col conseguente rifiuto dei sacramenti e dei ministeri ordinati. Ci sono, però, degli « Anziani » che guidano la Congregazione nella preghiera e degli « Ispettori » che vigilano sull'osservanza dell'ordine nella Chiesa. I Quaccheri sono famosi anche per la loro opposizione alla guerra. Cf Comunione anglicana.

      Socinianesimo. (inizio)

    Un sistema religioso che nega la Trinità e la divinità di Cristo. Il suo nome gli viene dall'italiano Lelio Francesco Maria Socini (1525‑1562) e da suo nipote Fausto Paolo Socini (1539‑1604) (cf DS 1880; FCC 5.002). Fausto Socini trascorse l'ultima parte della sua vita in Polonia. Molti sociniani finirono per unirsi con altri e formarono la Chiesa Unitaria. Cf Trinità immanente; Unitarianesimo.

      Soddisfazione (Lat. « fare ammenda »). (inizio)

      a) Un'interpretazione dell'incarnazione e redenzione secondo cui Cristo, accettando liberamente la morte, compì una soddisfazione « vicaria » per l'offesa recata dal peccato alla maestà divina. Sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109) sviluppò la versione classica di questa visuale ed ebbe numerosi seguaci nel Medioevo, nel periodo della Riforma e anche dopo. Cristo (e solo Cristo), essendo senza peccato, uomo e Dio, poteva soddisfare sufficientemente a nome dell'umanità per il disonore infinito che il peccato aveva recato a Dio. La teoria anselmiana è stata falsamente criticata perché avrebbe enfatizzato gli elementi legalisti e punitivi. Però, un punto debole sta nel fatto che Anselmo interpreta la redenzione senza tener conto della risurrezione (cf Rm 4,25).

      b) Per « soddisfazione » si intende anche la terza fase (dopo la contrizione e l'accusa) del sacramento della riconciliazione: la penitenza imposta dal sacerdote per riparare in maniera minima il danno causato dal peccato e ricevere ulteriormente la grazia sanante di Dio.

      Cf Confessione; Contrizione; Espiazione; Incarnazione; Redenzione; Riparazione; Riscatto; Sacramento della penitenza.

      Sofferenza di Dio. (inizio)

    È la questione se Dio può di fatto soffre, o se rimane « impassibile » di fronte alla miseria umana. Mentre Dio non può cambiare e soffrire nella natura divina, il Figlio di Dio incarnato, a motivo della sua natura umana, ha sofferto ed è morto su una croce. Questa morte atroce ha manifestato una volta per sempre l'interesse amoroso di Dio e una reale solidarietà per gli esseri umani nelle loro pene e sofferenze. Cf Controversia teopaschita; Impassibilità; Mistero del male; Patripassianismo; Teologia del processo.

      Sola fede. (inizio)

    Un assioma fondamentale che Martin Lutero (1483‑1546) ha dato alla Riforma protestante. La giustificazione viene dalla fede in Gesù Cristo (Rm 1,17) e non dalle opere della legge (Rm 3,28). Cf Fede; Giustificazione; Legge e Vangelo; Merito; Protestante.

    Sola grazia. (inizio)

    Un principio basilare dei Riformatori protestanti che esprime come un dato di fatto la stessa convinzione del principio « sola fede ». Noi siamo giustificati unicamente dalla misericordia di Dio e dai meriti di Cristo al quale aderiamo mediante la fede. Non siamo giustificati dall'osservanza della legge e dalle opere meritorie. Anche la teologia cattolica insegna l'assolutezza della grazia di Dio, ma ammette pure l'importanza della « collaborazione » umana con e nell'ambito dell'iniziativa onnicomprensiva dell'opera di Dio. Dio e gli esseri umani non sono in competizione: ogni successo umano ha necessariamente Dio come ispiratore e sostegno. Cf Fede e opere; Giustificazione; Imputazione; Pelagianesimo; Santificazione; Semi‑pelagianesimo; Sinergismo.

    Sola Scrittura. (inizio)

    Anche questo è un principio della Riforma che viene da Martin Lutero (1483‑1546). Esso afferma che la suprema autorità religiosa sta nella Parola di Dio come è attestata nella Scrittura. In questo senso, il principio può accordarsi con l'affermazione del Concilio Vaticano II dove si dice che il Magistero della Chiesa « non è superiore alla parola di Dio, ma ad essa serve » (DV 10). Non è invece accettabile (e addirittura impraticabile) se è preso nel senso di escludere il ruolo interpretativo ed attualizzante della tradizione (DV 9, 21, 24). Cf Bibbia; Magistero; Rivelazione; Scrittura e Tradizione; Sufficienza della Scrittura; Tradizione.

      Sóma (Gr. « corpo »). (inizio)

    Un corpo vivente (Mc 5,29), o un cadavere (Mc 15,43). Contrariamente al platonismo e al neoplatonismo, il concetto biblico di « sòma » non indica nessuna avversione alla materia, come se l'anima fosse imprigionata nel corpo. Nelle lettere di san Paolo, a differenza di sarx (Gr. « carne »), che può indicare l'essere umano nella sua globalità in quanto tendente al peccato, sòma ha un significato più neutrale. Può riferirsi semplicemente al corpo in quanto distinto dall'« anima » o « spirito » (1 Ts 5,23). Sòma è usato per indicare il corpo di Cristo nell'eucaristia (Mc 14,22; 1 Cor 11,24), il corpo di Cristo che è la Chiesa (Rm 12,4‑5; 1 Cor 12,12‑27) e il nostro corpo terrestre che sarà glorificato e « spiritualizzato » mediante la risurrezione (1 Cor 15,35‑58; Fil 3,21). Cf Corpo di Cristo; Eucaristia; Risurrezione; Sarx.

      Sophia (Gr. « sapienza »). (inizio)

      a) Una conoscenza pratica ed una capacità di discernimento, rappresentata classicamente nell'AT da Salomone (1 Re 3,1‑28; 4,9‑14). Rivelata attraverso la creazione e la storia umana (Sap 10,1-19,22), la hokmàh (Ebr. « sapienza ») è personificata come agente di Dio nella creazione e come profeta (Prv 8,1‑36) che invita al suo banchetto coloro che non sono ancora sapienti (Prv 9,1‑6). La sapienza è una guida sicura e benefica per la vita (Sap 6,1-9,18). Il NT ravvisa nella sapienza una prefigurazione di Cristo (Mt 12,42; 1 Cor 1,24‑30; Col 2,3). È, però, una sapienza che si esprime nella follia della croce (1 Cor 1,17‑25).

      b) Per i Valentiniani, e per alcuni altri antichi gnostici, la Sophia Prounicos e la Sophia Achamoth avevano un importante ruolo cosmologico ed ecclesiale.

      c) La chiesa più famosa d'Oriente era la chiesa Aghìa Sophia, o Santa Sophia, dedicata a Cristo come personificazione della sapienza. Costruita a Costantinopoli e consacrata sotto l'imperatore Giustiniano I nel 538, Santa Sophìa divenne un modello per molte altre chiese bizantine. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, divenne una moschea e in seguito un museo.

      d) Una sophiologia (Gr. « studio della sapienza ») o teologia in chiave di sapienza fu sviluppata da teologi russi come Vladimir Solovi'ev (1853‑1900), Sergei Bulgakov (1870‑1944), e Pavel Florenskij (1882‑circa 1937). Cf Cristologia; Creazione; Doni dello Spirito Santo; Gnosticismo; Letteratura sapienziale; Stolti per amore di Cristo; Valentiniani.

      Soprannaturale (Lat. « sopra la natura »). (inizio)

    Termine coniato dallo Pseudo‑Dionigi Areopagita (circa 500) per indicare Dio, il quale è sopra le nostre categorie, le nostre esperienze e la nostra natura. A partire dal Medioevo, il termine si riferisce alla libera e amorosa autodonazione di Dio che già nella vita della grazia ci innalza al disopra di ciò che è dovuto alla nostra natura umana e ci prepara alla vita di gloria. Cf Grazia; Esistenziale soprannaturale; Natura.

      Sostanza e accidenti. (inizio)

    Una realtà che rimane la stessa sotto i cambiamenti e le caratteristiche (spesso mutevoli) che ineriscono in essa. Una sostanza (Lat. « realtà che sta sotto ») può esistere in sé, mentre gli accidenti (Lat. « che accadono ») possono esistere soltanto in una sostanza, e non indipendentemente. Cf Accidente; Aristotelismo; Natura; Omooùsios; Persona; Transostanziazione.

      Soteriologia (Gr. « dottrina della salvezza »). (inizio)

    Interpretazione sistematica dell'opera salvifica di Cristo per gli esseri umani e per il mondo. Cristo è morto e risorto per salvare l'umanità peccatrice (Mc 14,24; Gv 11,49‑52; Rm 4,25; 5,6‑11; 1 Cor 15,3; 1 Pt 1,3). Il NT tiene insieme inseparabilmente la funzione salvifica e l'identità personale di Cristo come Figlio di Dio. Il NT, come applica vari titoli cristologici a Gesù, così intende la sua azione salvifica in una varietà di modi, soprattutto come liberazione vittoriosa, espiazione e amore trasformante (Gv 1,29; 13,1; 16,33). Sotto l'influsso di Filippo Melantone (1497‑1560) e altri, la riflessione sull'opera salvifica di Cristo è stata spesso separata dalla cristologia. Anche certi trattati di soteriologia hanno esaminato la salvezza « oggettiva » separata dalla sua appropriazione « soggettiva » mediante la grazia. In genere, la recente teologia occidentale ha cercato di porre fine al divorzio tra la soteriologia e la cristologia. CfAmore; Cristologia; Economia; Espiazione; Grazia; Redenzione; Riscatto; Salvezza; Soddisfazione.

      Speranza. (inizio)

    L'attesa attiva delle benedizioni future (1 Cor 15); si fonda sulla fede e si esprime mediante l'amore (1 Cor 13,13). La speranza risponde alle promesse di Dio comunicate nella storia dell'AT e del NT, in particolare nella storia dell'esodo dall'Egitto, nella risurrezione di Cristo dai morti (1 Pt 1,3; 2 Cor 1,9‑11; Eb 6,19‑20) e nel dono dello Spirito Santo. Con la speranza, noi andiamo oltre alla nostra attuale esistenza incompleta per anticipare il futuro pieno del regno finale di Dio e la risurrezione liberatrice dell'intero creato (Rm 8,18‑25). Lungi dall'incoraggiare l'attesa passiva dell'intervento definitivo di Dio, la speranza autentica obbliga i cristiani ad assumersi le responsabilità nel mondo e a lavorare qui e ora per una maggiore giustizia e pace (GS 21, 34, 39, 43). Cf Escatologia; Virtù teologali.

    Sphraghís (Gr. « sigillo »). (inizio)

    Parola usata nel greco profano per un sigillo ufficiale (per es., quello dell'imperatore) o come segno che indica il proprietario di qualcosa (cf anche Ap 5,1‑9; 6,1‑12). Nel linguaggio dei Padri Greci, il termine si riferisce alla croce fatta sui catecumeni durante il rito del battesimo per indicare che appartengono a Cristo. Sphraghìs si riferisce anche a ciò che i Latini chiamano il carattere sacramentale. Cf Battesimo; Carattere.

      Spirazione (Lat. « atto di respirare »). (inizio)

    Termine tecnico basato su Gv 3,8 e usato nella dottrina trinitaria per indicare il modo con cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Il NT chiama lo Spirito Santo lo « Spirito del Padre » (Mt 10,20) e lo « Spirito del Figlio » (Gal 4,6). La teologia latina aggiunge che lo Spirito è « spirato » da entrambi (cf DS 850; 1300; FCC 6.069‑6.070), distinguendo la spirazione attiva da quella passiva. La spirazione attiva, essendo comune al Padre e al Figlio, non costituisce un'altra persona, mentre la spirazione passiva è un altro nome per indicare lo Spirito Santo che è « spirato », ma non « spira ». In questo modo, la Chiesa Latina distingue tra la spirazione per opera del Padre che è principio senza principio, e origine senza origine, e la spirazione per opera del Figlio che è principio originato da un altro principio, e cioè, dal Padre. La maggior parte dei teologi della Chiesa greca negano, però, la partecipazione del Figlio come origine nella processione dello Spirito in quanto intaccherebbe la « monarchia » (Gr. « unico principio ») o origine senza origine del Padre. Il Concilio di Lione II (1274) e quello di Firenze (1439) hanno precisato che lo Spirito Santo è spirato dal Padre e dal Figlio come un unico principio (DS 850; 1300; FCC 6.069‑6.070) Cf Concilio di Lione II; Concilio di Firenze; Filioque; Processioni; Relazioni Divine.

      Spiritismo. (inizio)

    Sistema di pratiche basate sulla credenza che le anime dei defunti possono comunicare coi vivi, specialmente con l'aiuto di un medium. Mentre gli sforzi per venire a contatto coi morti erano abbastanza comuni nel passato (per es., 1 Sam 28,3‑25), lo spiritismo moderno risale al 1848 e alle esperienze anormali che Margaret e Kate Fox ebbero a Hydesville, New York. Il loro influsso propagò le sedute coi mediums nell'America del Nord e nelle Isole britanniche. Lo spiritismo è stato spesso caratterizzato da frode e da sfruttamento commerciale. Nel 1882, Federico W. H. Meyers fondò la Società di ricerche psichiche a Londra. La Società esiste ancora e studia fenomeni parapsichici e anormali. Però, il mondo degli scienziati è generalmente ancora riluttante a riconoscere la parapsicologia come una scienza genuina.

      Spirito. (inizio)

    Cf Anima; Spirito Santo.

    Spirito Santo. (inizio)

    È la terza Persona della Trinità, adorata e glorificata insieme al Padre e al Figlio, in quanto uno nella natura ed uguale in dignità personale con il Padre e il Figlio. Il Concilio di Braga (675), o possibilmente il terzo Sinodo di Toledo (589) aggiunse al Simbolo Costantinopolitano, che diceva che lo Spirito Santo procede dal Padre: « e dal Figlio » (Filioque). Le prime formulazioni orientali erano d'accordo nel ritenere che lo Spirito Santo non era generato come lo è, invece, il Figlio, ma procede dal Padre « attraverso il Figlio » (= per Filium). L'opera della santificazione, comune alle tre Persone divine, è attribuita o « per appropriazione » allo Spirito Santo, in quanto essa comporta l'autodonazione dello Spirito (Gv 20,22; Rm 5,5). Sia sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373) sia san Cirillo di Alessandria (morto nel 444) sostennero la divinità dello Spirito Santo proprio per il fatto che lo Spirito ci rende simili a Dio col divinizzarci o santificarci. La divinità dello Spirito Santo fu affermata nel Concilio Costantinopolitano I nel 381. Cf Appropriazione; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Firenze, Filioque; Pneumatologia; Teologia Trinitaria; Trinità Immanente.

     

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    00 21/08/2013 17:47

    Spiritualità. (inizio)

    Pratica sistematica e riflessione su una vita cristiana di preghiera, devozione e disciplina. Nella sua pratica, la spiritualità cristiana ha sempre richiesto una vita ascetica e di preghiera in cui una guida spirituale e la luce dello Spirito Santo aiutino a discernere la direzione che devono prendere i singoli e le comunità (1 Ts 5,19‑22; 1 Gv 4,1). Le scuole o correnti di spiritualità hanno seguito spesso i carismi di Ordini religiosi come i Benedettini, Carmelitani, Certosini, Domenicani, Francescani e Gesuiti. Come campo di studio, la spiritualità abbraccia elementi teologici (compresi quelli liturgici), scritturistici, storici, psicologici e sociologici. Cf Asceti; Contemplazione; Devozione; Discernimento degli spiriti; Esicasmo; Esperienza religiosa; Grazia; Imitazione di Cristo; Mistica; Monachesimo; Pneumatologia; Preghiera; Spirito Santo.

      Staretz (Russo « vecchio »). (inizio)

    Monaco che conduce una vita contemplativa e a cui si rivolgono per direzione spirituale i giovani monaci e i fedeli. Questo tipo di direzione è stato importante nella storia religiosa della Russia, ed anche fra i Greci che chiamano il direttore spirituale ghèron (gr. « vecchio »). CfApophthègmata Patrum; Spiritualità.

      Staurologia. (Gr. « studio della Croce »). (inizio)

    Cf Theologia Crucis.

      Stoicismo (Gr. « insegnamento del portico »). (inizio)

    Una scuola di filosofia fondata da Zenone di Cizio (335‑263 a.C.) e che prese il nome da stoà o portico di Atene dove veniva insegnata. Lo stoicismo proponeva una armonia tra l'essere umano come microcosmo (gr. « piccolo mondo ») e il macrocosmo (Gr. « grande mondo »). IlLògos (ragione o anima del mondo) governava l'universo; gli esseri umani avevano bisogno soltanto di controllare le loro passioni per vivere in sintonia con la natura e le sue leggi. Lo stoicismo, che era primariamente una filosofia morale, professava una cosmologia panteistica in cui Dio e la divina energia pervadevano ogni cosa. Dominante per vari secoli fra gli intellettuali nel mondo greco‑romano, lo Stoicismo ebbe tra i suoi aderenti Seneca (circa 4 a.C. ‑ 65 d.C.) e l'imperatore Marco Aurelio (121‑80 a.C.). Si può vedere il suo influsso sulla teologia cristiana dei primi secoli già in san Giustino Martire (circa 100‑165) che adottò la distinzione stoica tra Lògos endiàthetos (Gr. « parola immanente ») e Lògos prophorikós (Gr. « parola proferita ») per interpretare Dio ed il processo di rivelazione con cui il Padre esprime la Parola. Certi concetti stoici hanno esercitato qualche influsso sui Padri Cappadoci e nelle controversie trinitarie e cristologiche. La tradizione cristiana della legge naturale deve molto allo stoicismo. Cf Apologisti; Cosmologia; Immanenza; Leggi naturali; Lògos; Padri Cappadoci; Panteismo.

      Stolti per amore di Cristo. (inizio)

    Una categoria di santi di cui sono devoti in modo particolare ma non esclusivo i cristiani orientali e che hanno preso sul serio le parole di san Paolo : « Noi stolti a causa di Cristo... » (1 Cor 4,10; cf 1 Cor 1,18‑19.25; 3,18‑19; 2 Cor 6,8; Mt 5,11). Questo tipo di santità è già noto negli Apophthègmata Patrum. In greco, lo stolto per amore di Cristo è chiamato salos(probabilmente dal siriaco che traduce 1 Cor 4,10 con « saklà »). Tra i Greci il più amato di questi santi è forse il leggendario sant'Andrea di Costantinopoli (decimo secolo?), la cui vita è associata con la grande festa orientale chiamata « Pokrov Bogomateri » (Russo: « Protezione della Theotòkos »). La terra per eccellenza degli « stolti » è la Russia, dove lo stolto per amore di Cristo è chiamato «jurodivij »; si citano come esempi sant'Isacco Zatvornik (morto nel 1090) e san Basilio il Benedetto (morto nel 1552). Da ciò che può sembrare una semplice caricatura della santità reale, questi stolti per amore di Cristo sfidano profeticamente i falsi valori della società e la superficialità di molti cristiani. Tra i santi d'Occidente conosciuti per la loro santa stoltezza, si possono annoverare san Francesco d'Assisi (circa 1181‑1226), san Filippo Neri (1515‑1595) e san Benedetto Giuseppe Labre (1748‑1783). Il tema della santa stoltezza ha ispirato opere classiche di letteratura, come l'opera Blanquerna di Raimono Lullo (circa 1233 ‑ circa 1315), il Don Chisciotte  di Miguel de Cervantes (1547‑1616), l'Idiota, di Fiodor Dostoyevsky (1821‑1881), come anche vari personaggi nelle opere di Alexander Pushkin (1799‑1837) e di Leone Tolstoi (1828‑l910). Cf Apatìa; Apoghthègmata Patrum; Croce; Escatologia; Letteratura sapienziale; Santità; Santo; Theologia Crucis.

    Storia (Gr. « indagine », « narrazione »). (inizio)

    Consiste nel ricodare e nello studiare gli eventi importati delle vicende umane sul piano locale, nazionale, internazionale o mondiale. Gli storici moderni, sviluppando l'uso attento dell'evidenza partendo dal passato databile, sono giunti a riconoscere come i presupposti, i metodi e il ruolo inevitabile dell'interpretazione mostrino fallace l'intento di scrivere una storia puramente « oggettiva » e « scientifica ». Molti hanno anche abbandonato qualsiasi speranza di realizzare un sistema coerente che descriva e spieghi il significato, la direzione e l'unità di tutta la storia. Come religione storica, il cristianesimo è legato a una serie di eventi e personaggi specifici, e soprattutto a Gesù e agli eventi in cui fu implicato. Egli venne nella « pienezza del tempo » (Gal 4,4), portando al vertice definitivo l'autocomunicazione di Dio (DV 4). La Chiesa vive ora nell'attesa della fine (LG 48‑51), quando la parusia di Cristo, ossia la sua seconda venuta, terminerà e porterà la storia del mondo al suo pieno compimento (1 Cor 15,20‑28; Tt 3,1‑7). Come gli Israeliti (Es 20,1; Dt 26,5‑9), i cristiani accettano una rivelazione salvifica di Dio mediata dalla storia umana. Essi esperimentano la propria storia come fondata e nutrita dalla storia di Gesù. La loro fede non è semplicemente convalidata dall'indagine storica, ma anche confermata da segni storici e li esorta ad essere protagonisti attivi nella storia. Questa fede accetta la guida divina, il significato e l'unità dell'intera storia umana, anche se non è possibile discernere con tutta chiarezza le componenti di questa storia totale. Dal livello singolo a quello globale, rimane vero che « Dio scrive diritto anche su righe storte ». Cf Escatologia; Gesù storico; Parusìa; Storia della salvezza; Teologia della liberazione.

    Storia della salvezza. (inizio)

    L'intera storia dell'umanità e del mondo vista come il dramma della redenzione che va dalla creazione alla parusìa e che trova il suo centro in Cristo (Ef 1,3‑14; Col 1,15‑20). Sviluppata da studiosi protestanti come Johann Christian Konrad von Hofmann (1810‑1877), il tema della storia della salvezza ha fornito la chiave per la teologia dell'AT di Gerhard von Rad (1901‑1971), in cui presenta la storia d'Israele come fu confessata dapprima nelle antiche professioni di fede (Dt 26,5‑9; Gs 24,2‑13). Questa storia della salvezza è segnata da attese sempre più crescenti come promesse divine tese al compimento futuro. Per Oscar Cullmann (nato nel 1902), la realtà degli eventi esterni è fondamentale per gli atti salvifici di Dio che raggiungono in Cristo il loro vertice. Lo schema della storia della salvezza di Luca, che presenta Cristo come il centro del tempo, è per Cullmann il cuore della teologia del NT. Il Concilio Vaticano II parlò del tema della storia della salvezza, intendendola praticamente come storia della rivelazione (DV 2‑4; 14‑15; AG 3). Cf Parusìa; Professione di fede; Profeta; Redenzione; Rivelazione; Salvezza; Speranza.

      Storia della teologia. (inizio)

    È lo studio ordinato che cerca di capire e interpretare la rivelazione. Questo studio va dal NT al Concilio Vaticano II e al post‑concilio. Più dei loro predecessori veterotestamentari, san Paolo, san Giovanni, san Luca e gli altri autori del NT hanno lasciato visuali e approcci teologici ispirati, ma non trattazioni sistematiche strutturate mediante l'uso della filosofia. Con gli Apologisti e la lotta contro l'agnosticismo, la cultura greca cominciò a fornire alla teologia cristiana un linguaggio e concetti filosofici. La teologia dei Padri della Chiesa, rimanendo caratteristicamente biblica, liturgica, dossologica, catechetica e pastorale, fu sviluppata spesso attraverso grandi controversie, specialmente quelle trinitarie e i dibattiti cristologici del IV e V secolo. Col suo genio e col suo stile, sant'Agostino di Ippona (354‑430) influì massicciamente sull'insegnamento posteriore circa temi come il peccato, la grazia, i sacramenti e la Trinità. Sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109) lanciò la Scolastica che fu perfezionata da san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274) con la sintesi della filosofia aristotelica e platonica a servizio dei dati rivelati. Assieme alla teologia accademica delle nuove università, la teologia monastica di san Bernardo di Chiaravalle (1090‑1153) e di altri continuò la tradizione spirituale e liturgica dei Padri. La Scolastica decadde nel nominalismo del tardo Medioevo. Il neo‑umanesimo sviluppato da studiosi come Erasmo di Rotterdam (1469‑1536) e la stessa Riforma rivoluzionarono lo studio della Bibbia e della patristica. Per i cattolici, il Concilio di Trento (1545‑1563) fornì una base chiara per la teologia successiva che ebbe personaggi rappresentativi come Giovanni da san Tommaso (1589‑1644), Dionigi Petavio (1583‑1652), Francesco Suarez (1548‑1617) e Gabriele Vàsquez (1549‑1604). Prima la filosofia illuministica e poi la critica biblica e storica del XIX secolo, la teoria dell'evoluzionismo, varie forme di socialismo e le nuove discipline di psicologia e sociologia portarono sfide massicce ai teologi cristiani. Non solo il grande progresso negli studi filosofici e patristici, ma anche i movimenti biblici, ecumenici e liturgici hanno ridato vita alla teologia cattolica nel secolo XX, particolarmente in Francia, Germania e Paesi Bassi. Assieme ai grandi maestri protestanti come Karl Barth (1886‑1968), Rudolf Bultmann (1884‑1976) e Paul Tillich (1886‑1965) e teologi ortodossi come Sergio Bulgakov (1871‑1944) e Vladimir Lossky (1903‑1958), teologi cattolici come Yves Congar (nato nel 1904) e Karl Rahner (1904‑1984) guidarono il rinnovamento cattolico. A partire dal Vaticano II, la teologia, sia quella cattolica che quella non cattolica, è divenuta più antropologica, più dialogica e più spirituale. La teologia non è più come una volta un monopolio clericale ed europeo e si sta sviluppando vigorosamente in America, Asia e altrove. Cf Agostinianismo; Apologisti; Aristotelismo; Calvinismo; Concilio di Trento; Concilio Vaticano I; Concilio Vaticano II; Dottore della Chiesa; Dòxa; Giansenismo; Gnosticismo; Illuminismo; Luteranesimo; Modernismo; Movimento di Oxford; Neopalamismo; Neoplatonismo; Neoscolastica; Neotomismo; Origenismo; Padri della Chiesa; Palamismo; Platonismo; Protestantesimo liberale; Riforma (La); Scolastica; Scotismo; Stoicismo; Teologia alessandrina; Teologia antiochena; Teologia della liberazione; Teologia dialettica; Teologia kerigmatica; Tomismo; Tre Teologi (I); Tubinga e le sue scuole; Umanesimo.

    Strutturalismo. (inizio)

    Questo metodo è stato sviluppato da Ferdinand de Saussure (1857‑1913) nell'area della linguistica, usato da Claude Lévi‑Strauss (nato nel 1908) per analizzare i miti delle società tradizionali, ed applicato in discipline come la psicologia e la sociologia. Nell'esegesi biblica, lo strutturalismo non s'interessa della genesi di un testo e del significato inteso dall'autore (= esegesi storica), né dei lettori e della loro ricerca di auto‑comprensione (= esegesi esistenziale): lo strutturalismo s'interessa del significato veicolato dal testo medesimo. Questo metodo riflette sulle strutture profonde della funzione narrativa e simbolica del linguaggio (per es. nelle parabole). Cf Critica biblica; Ermeneutica; Esegesi; Esistenzialismo; Sensi della Scrittura.

      Subordinazionismo. (inizio)

    Questa eresia consiste nell'assegnare al Figlio una situazione inferiore al Padre e nel considerare lo Spirito Santo inferiore sia al Padre che al Figlio. Quando la dottrina trinitaria non era ancora chiarita e i teologi si stavano sforzando di salvaguardare la monarchia (Gr. « solo principio ») del Padre, la tendenza ad interpretare il Figlio e lo Spirito come agenti subordinati di un Padre assolutamente trascendente fu manifestata da san Giustino Martire (circa 100 ‑ circa 165), Taziano (morto verso il 160), sant'Ireneo di Lione (circa 130 ‑ circa 200), san Clemente Alessandrino (circa 150 ‑ circa 215) e soprattutto da Origene (circa 185 ‑ circa 254). Negando che il Figlio fosse realmente e pienamente divino per natura, Ario (circa 185 ‑ circa 254) portò il subordinazionismo ad un estremismo eretico che fu condannato nel 325 nel Concilio Niceno I (cf DS 125‑126; FCC 0.503‑0.504). Quando gli pneumatomachi (Gr. « che combattono lo Spirito ») sostennero un subordinazionismo del genere dichiarando che lo Spirito Santo era una creatura del Figlio, il Concilio Costantinopolitano I (381) affermò che lo Spirito è uguale in dignità al Padre e al Figlio e con essi va adorato e glorificato (cf DS 150; FCC 0.500). Cf Arianesimo; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I; Macedonianesimo; Monarchianismo; Omooùsios; Pneumatomachi; Teologia Trinitaria.

      Successione apostolica. (inizio)

    È la continuità ininterrotta per quanto riguarda l'essenziale della fede e della pratica tra la Chiesa di oggi e la Chiesa fondata da Gesù Cristo per mezzo degli apostoli. Si esprime questa visibilità col chiamare i vescovi successori degli apostoli. Come segno visibile di questa successione e dell'unione di ogni singolo vescovo con gli altri vescovi, i vescovi consacranti impongono le mani sul vescovo consacrando. Cf Apostolo; Ministero petrino; Vescovo.

      Suddiacono. (inizio)

    Un ministro della Chiesa che eraè avviato a diventare diacono permanente o diacono e poi prete. I suddiaconi esistevano già nel III secolo. Considerato un sacramentale più che un sacramento, il suddiaconato fu abolito in Occidente col Concilio Vaticano II. Nelle Chiese Orientali, è considerato un Ordine minore, ed il compito del suddiacono consiste principalmente nell'assistere il vescovo durante le cerimonie. CfClero; Diacono; Sacramentale.

      Sufficienza della Scrittura. (inizio)

    Consiste nel ritenere la Scrittura pienamente adeguata a comunicare la rivelazione fondante che ha raggiunto la sua pienezza assoluta ed insuperabile con Cristo e nella Chiesa del NT. Finché i cristiani concepivano la rivelazione primariamente come un corpo di verità (al plurale) svelate da Dio, la questione della sufficienza era duplice:

      - Le Scritture « contengono » tutte queste verità rivelate (= sufficienza materiale)?

    - Sono le Scritture « formalmente » sufficienti, nel senso che si trova già in esse l'interpretazione adeguata?

      Riconoscendo il ruolo della Tradizione (e del Magistero) nel « canonizzare », interpretare, applicare ed attualizzare le Scritture, anche quei cattolici che accettavano la sufficienza materiale delle Scritture respingevano la loro sufficienza formale.

      Quando, però, il Concilio Vaticano II presentò la rivelazione primariamente come l'auto‑manifestazione a noi del Dio Uno e Trino (DV 2‑6), non sembrò più appropriato parlare di questa realtà divina come « contenuta » in qualcosa, siano pure le Scritture. Perlomeno, il considerare la rivelazione come un evento interpersonale rende difficile indagare sulla sufficienza « materiale » delle Scritture per vedere se « contengono » o « non contengono » tutte le verità rivelate. Cf Canone delle Scrittura; Deposito della fede; Magistero; Rivelazione; Scrittura e Tradizione; Sola Scrittura; Tradizione.

    Summa (Lat. « parte principale »). (inizio)

    Sommario sistematico di ciò che è conosciuto in un dato campo, come per esempio la teologia. Nel Medioevo, una summa si distingueva dagli opuscula (Lat. « piccole opere ») che dibattevano questioni particolari, e dalle Sentenze o raccolte di dottrine dei Padri della Chiesa su argomenti vari. Tra coloro che hanno prodotto qualche Summa vanno ricordati: sant'Alberto Magno (circa 1200‑1280), Alessandro di Hales (circa 1170‑1245) e san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274). Con la Summa contra Gentiles e la Summa Theologiae, san Tommaso ha seguito brillantemente un metodo dialettico che consiste nel presentare anzitutto due affermazioni evidentemente contraddittorie prima di sviluppare la propria risposta a una data questione. CfScolastica.

      Sussidiarietà (Lat. « assistenza »). (inizio)

    È un principio confermato massicciamente dalla dottrina sociale della Chiesa secondo cui le decisioni e attività che appartengono naturalmente ad un livello inferiore non dovrebbero essere portate ad un livello superiore. Nella vita sociale e civile ciò significa, per esempio, che gli organi centrali di uno Stato non dovrebbero intervenire senza necessità al livello locale. Il Concilio Vaticano II si è appellato al principio di sussidiarietà nel trattare della cooperazione internazionale in fattori economici (GS 86) e nell'indicare i limiti della responsabilità dello Stato in fatto di educazione (GE 3, 6). All'interno della Chiesa, la sussidiarietà è stato un principio operativo in molte riforme post‑conciliari. Cf Chiesa e Stato; Dottrina sociale; Educazione.

      Sviluppo del dogma. (inizio)

    La crescita nell'insegnamento della Chiesa fin dall'età apostolica. Lo sviluppo autentico esige identità‑nel‑cambiamento tra il nuovo insegnamento e il deposito originale della fede o rivelazione che ha raggiunto il suo apice con Cristo. I Padri paragonavano l'identità‑nel‑cambiamento a un bambino che si sviluppa e diventa adulto pur rimanendo la stessa persona. Per la soluzione di questo problema, molto dipende dalla teoria che uno ha circa la comprensione e l'interpretazione. Cf Deposito della Fede; Dottrina; Tradizione.

      Sviluppo della fede. (inizio)

    Crescita nel vivere e nel comprendere la fede cristiana in seguito allo sviluppo della maturità umana. San Paolo fa notare come abbia superato lo stadio infantile (1 Cor 13,11) e interpreta la vita di fede come una trasformazione del nostro essere in Cristo secondo la sua immagine « di gloria in gloria » (2 Cor 3,18). Le prove assaggiano e perfezionano la fede (Gc 1,2‑12) e la « correzione » fa crescere in santità (Eb 12,5‑13). La maturazione nella fede richiede non solo una vita sacramentale piena, la costanza nella preghiera e nell'amore concreto verso i bisognosi, ma anche un regolare studio della rivelazione cristiana che proceda di pari passo con la crescita intellettuale. Cf Catechesi; Mistagogia; Neo‑catecumenato; Perfezione; Santificazione; Sviluppo morale.

      Sviluppo morale. (inizio)

    La crescita nella consapevolezza delle proprie responsabilità e una maturazione corrispondente nella libertà personale. L'insegnamento ufficiale della Chiesa parlava dei bambini che raggiungono « l'uso di ragione » verso i sette anni e che cominciano allora ad agire come esseri umani responsabili. La psicologia contemporanea, però, ha illustrato come spesso i fanciulli agiscono sotto costrizione e solo lentamente interiorizzano i princìpi morali per cominciare ad agire liberamente come persone responsabili. Le comunità cristiane devono curare le condizioni che favoriscono lo sviluppo della responsabilità morale in piena libertà. Cf Sviluppo della fede; Teologia morale.

       

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    00 21/08/2013 17:48
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    Talmud (Ebr. « istruzione »). (inizio)

    È la raccolta delle tradizioni ebraiche che contengono la Mishnah (insegnamenti orali) e la Ghemarà(discussioni circa la Mishnah). Ci sono due versioni: il Talmud palestinese e il Talmud babilonese più ampio. Entrambi furono completati durante il V secolo, ma comprendono materiale che può essere di gran lunga anteriore. Cf Mishnah; Haggadah.

      Taoismo (Cinese « via retta »). (inizio)

    Sistema di credenze e pratiche filosofiche e religiose che, col confucianesimo e col buddismo, ha contribuito a formare la storia e la cultura cinese. Fu fondato da Lao‑Tse, titolo onorifico (= « vecchio saggio ») dato a Li, un archivista di Stato cinese che visse verso il 600 a.C., o forse anche prima. Si ritiene che abbia scritto il Lao Teh Ching (Cinese « sul principio primordiale del mondo e sulla sua influenza »), in cui il Tao è visto come la via della realtà ultima, cioè come immanente nella via dell'universo (il principio ordinatore che sta dietro a tutta la vita) e nella via secondo cui gli esseri umani devono coordinare la loro vita in armonia con il Tao. Contro il sistema degli sconvolgimenti sociali che accadevano al tempo in cui la dinastia Chou era potente (circa 1127 ‑ circa 256 a.C.), il Taoismo insegnava un'armonia che veniva raggiunta col sintonizzare i propri atteggiamenti e comportamenti col principio primordiale. Il sistema fu sviluppato ulteriormente da Chuang Chou (circa 369‑286 a.C.). Cf Buddismo; Confucianesimo.

    Teandrico (Gr. « divino‑umano »). (inizio)

    Aggettivo coniato dallo Pseudo‑Dionigi l'Areopagita (circa 500) per descrivere gli atti del Dio‑uomo Gesù Cristo. Alcuni usano il termine in senso monofisita eo monotelita, come se Cristo avesse rispettivamente una sola natura (quella divina) eo una sola volontà (quella divina). Però, san Massimo il Confessore (circa 580‑662) e san Giovanni Damasceno (circa 675 ‑ circa 749) hanno usato il termine in un senso pienamente ortodosso. In e mediante le sue due nature e le sue due volontà (che non sono né confuse né separate), l'unica (divina) Persona di Cristo compie atti divino‑umani. CfCommunicatio Idiomatum; Concilio di Calcedonia; Monofisismo; Monotelismo.

      Teismo (Gr. « Dio »). (inizio)

    Fede in Dio trascendente e personale che crea, conserva ed interviene (per es., con miracoli) nel nostro mondo. A differenza del panteismo, il teismo non spinge l'immanenza divina fino al punto di identificare Dio col mondo. A differenza del deismo, il teismo ritiene che Dio non è un semplice creatore lontano, ma, con la sua provvidenza, con la sua rivelazione e con una grande varietà di atti salvifici, è incessantemente impegnato nei nostri riguardi. Un platonico di Cambridge, Ralph Cudworth (1617‑1688) è stato probabilmente quello che ha forgiato questo termine. Immanuel Kant (1724‑1804) ha distinto chiaramente tra teismo e deismo. Nonostante le loro grandi differenze, il cristianesimo, l'islamismo e l'ebraismo sono classificati tutti e tre come religioni teistiche (NA 3‑4). CfDio.

      Teleogico. (inizio)

    Cf Argomento teleologico.

    Temperanza (Lat. « moderazione »). (inizio)

    Una delle quattro virtù cardinali che ci rende capaci di moderare i nostri appetiti e di controllare le nostre passioni. Platone (427‑347 a.C.) espresse questa virtù con l'immagine di un carro trainato da tre stalloni che il guidatore deve tenere a briglie strette se non vuole finire in un fossato. La temperanza era una virtù della massima importanza per gli Stoici. Gli ultimi libri del NT esaltano la temperanza (tradotta alle volte con « sobrietà », « auto‑controllo », o « modestia ») specialmente (ma non esclusivamente) tra le guide delle Chiese e le persone anziane (1 Tm 3,2; Tt 1,8; 2,2.5; cf anche 1 Tm 2,9.15; At 26,25). Le associazioni moderne di « temperanza », invece di educare la gente ad un uso moderato, chiedono ai loro soci l'astinenza totale da bevande alcooliche. Cf Astinenza; Castità; Stoicismo; Virtù cardinali.

      Tempio (Il). (inizio)

    È il santuario religioso centrale degli Ebrei, costruito in Gerusalemme, e l'unico luogo dove si potevano offrire sacrifici (cf Dt 12,1‑31). Costruito la prima volta durante il regno di Salomone (circa 97 ‑ circa 930 a.C.), il Tempio fu distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C. I profeti Aggeo e Zaccaria incoraggiarono la costruzione del secondo Tempio (520‑515 a.C.; cf Es 3,1‑13; Ag 2,1‑9.15‑19). Dopo essere stato profanato (Ag 2,15‑19) da Antioco Epifane nel 167 a.C. (Dn 9,2‑7; 11,31; 1 Mac 1,41‑64; 2 Mac 6,1‑6), Giuda Maccabeo lo purificò e lo dedicò nuovamente (1 Mac 4,36‑59). L'Hannukah, una festa annuale di luci, commemora questa purificazione del Tempio. Erode il Grande, che governò dal 37 al 4 a.C., costruì il meraviglioso terzo tempio, distrutto dai Romani nel 70 d.C. Sulle sue rovine sorge la Moschea Al‑Aqsisa, il « Palazzo della Roccia », dove la tradizione colloca la venuta di Abramo per sacrificare Isacco e l'ascensione di Maometto al cielo. Per i Musulmani, questo è il secondo posto più sacro al mondo dopo El‑Kaaba alla Mecca. Cf Gerusalemme; Islamismo; Sinagoga.

      Tempo. (inizio)

    Definito da Platone (427‑347 a.C.) come « l'immagine mobile dell'eternità », e da Aristotele (384‑322 a.C.) come la misura del movimento. Gli Scolastici aggiunsero che il tempo era creato dalla ragione, perché solo la ragione è in grado di misurare il prima e il poi. Il tempo vissuto quando aspettiamo, soffriamo, godiamo e riposiamo non è propriamente misurabile da un orologio e neanche dal trascorrere dei giorni e delle notti e dell'avvicendarsi delle stagioni. Con la loro memoria dell'esodo e delle aspettative messianiche, gli Ebrei avevano un concetto del tempo e della storia che era primariamente lineare. Essi ricordavano il passato per sperare un futuro più pieno. Dovunque manchi un senso di svolgimento della storia, prevarrà l'immagine greca ciclica della storia, che Federico Nietzsche (1844‑1900) imprigionò nel « mito dell'eterno ritorno ». L'escatologia cristiana illustra la direzione del tempo e della storia che culminerà nella parusìa di Cristo e nel Regno finale di Dio (1 Cor 15,20‑28; Ap 21,1-22,20). Cf Avvento; Escatologia; Eternità; Kairòs; Letteratura Apostolica; Quaresima; Parusìa; Sabato; Storia; Storia della Salvezza.

      Tentazione (Lat. « mettere alla prova »). (inizio)

    Saggiare una cosa per giudicarne il valore (Gc 1,2-4,12), oppure indurre a peccare (Gc 1,4‑15). Si dice che Dio « tentò » Abramo (Gn 22,1‑19; Eb 11,17‑19 ), o permise che Giobbe venisse « tentato » (Gb 1,1-2,13). La debolezza della carne (Mc 14,38) e le circostanze difficili (Lc 8,13) possono portarci a compiere il male. Come grande tentatore, il diavolo cercò di indurre Cristo a peccare, specialmente durante il periodo che trascorse nel deserto dopo il battesimo (Mt 4,1‑11; Mc 1,13; Lc 4,1‑13). Tentato come lo siamo noi, Gesù, però, non peccò (Eb 4,15). Gli esseri umani possono peccare anche col « tentare » Dio chiedendogli dei segni (Mt 12,39) e lamentandoci della loro situazione (Es 17,1‑7; Dt 6,16; 9,22; 33,8; Sal 95,8; 106,32; Eb 3,8‑10). Come Cristo (Mt 6,13; Lc 11,4), la Chiesa insegna a riconoscere la nostra debolezza di fronte alla tentazione e ci esorta alla preghiera e alle pratiche ascetiche come rimedio (cf DS 1533‑1535; 1574; 1576; 2192; 2217; 2224; 2237; 2241‑2253; FCC 8.066‑8.068, 8.107, 8.109). Cf Ascesi; Peccato; Preghiera; Sarx.

      Teocentrismo (Gr. « Dio al centro »). (inizio)

    Un sistema di pensiero che centra ogni cosa su Dio. È spesso in contrasto con l'« antropocentrismo » (Gr. « l'uomo al centro »), che prende l'esistenza umana, la sua esperienza e i suoi valori come centro e guida. L'antropocentrismo esagerato ignora o addirittura rigetta Dio. D'altra parte, un teocentrismo esclusivo è inaccettabile, in quanto Dio ha fatto gli esseri umani a sua immagine e somiglianza (Gn 1,26‑27) e la Parola si è fatta carne (Gv 1,14). Nel campo del cristianesimo e in altre religioni, un approccio teocentrico (che alle volte enfatizza troppo il pluralismo e il valore di ogni credenza in Dio) è spesso in contrasto con un approccio cristocentrico (che insiste sul fatto che, si conosca o non si conosca questa verità, Cristo è il rivelatore e il salvatore di tutti gli esseri umani: Gv 1,9; 14,6; At 4,12; 2 Cor 5,18‑19). Cf Antropocentrismo; Cristiani anonimi; Cristocentrismo; Pluralismo.

      Teocrazia (Gr. « governo di Dio »). (inizio)

    Governo da parte di Dio o di qualche suo rappresentante. Nell'antichità, molti paesi credevano che i loro governanti fossero investiti di autorità divina o addirittura venivano identificati con esseri divini. Giuseppe Flavio (circa 37 ‑ circa 100) creò il termine « teocrazia » e lo applicò ad un esempio classico: il popolo ebraico. I salmi regali, composti spesso per una incoronazione, celebravano il dominio di Dio rivelato e esercitato attraverso i re (per es., Sal 2, 45, 110). Le leggi di Israele (per es., i dieci comandamenti) non solo espressero la volontà di Dio, ma anche veicolarono sanzioni civili, perfino la pena di morte. Dopo il tempo di Gesù, la teocrazia si manifestò non solo in movimenti religiosi nuovi, come l'islamismo, ma anche nello stesso cristianesimo. Nell'Impero bizantino, il sovrano era visto come un'immagine di Cristo, il Pantocràtor (Gr. « onnipotente »), e lo Stato come un'immagine dell'ordine celeste. Elementi teocratici si trovavano nelle riforme del papa san Gregorio VII (circa 1021‑1085). Sia Ulrico Zwinglio (1484‑1531) sia Giovanni Calvino (1509‑1564) si adoperarono per stabilire un governo divino rispettivamente a Zurigo e a Ginevra. Seguì il loro esempio il Lord Puritano Protettore Oliver Cromwell (1599‑1658). Cf Calvinismo; Chiesa e Stato; Decalogo; Islamismo; Pantocràtor; Sinfonia; Zwinglianismo.

      Teodicea (Gr. « giustificazione di Dio »). (inizio)

    Termine introdotto dal filosofo Goffredo Guglielmo Leibniz (1641‑1716) nella sua risposta a Pietro Bayle (1647‑1706) che una volta aveva suscitato il problema: Se Dio è infinitamente buono e onnipotente, da dove viene il male e che cosa vuol dire? Il problema è più vecchio del libro di Giobbe e viene riproposto nel modo più angoscioso nell'abbandono di Gesù sulla croce (Mc 15,34). Come possono i credenti spiegare la sofferenza degli innocenti e dei buoni? Auschwitz, Dresda, Hiroscima ed altri scenari di mali misteriosi nell'epoca nostra hanno più volte sollevato la questione. Si può dire con ragione che molto spesso gli esseri umani, anziché Dio, possono essere citati a rispondere dell'uso omicida che fanno della libertà. D'altra parte, una certa dose di sofferenza misteriosa e immeritata rimane. Mentre aspettiamo la Parusia, una risposta provvisoria viene dal modo con cui Gesù ha sofferto con noi e per noi. Oggi, il termine « teodicea » è usato in un senso più largo, come sinonimo di teologia naturale. Cf Mistero del male; Parusia; Sofferenza di Dio; Teologia naturale.

      Teofania (Gr. « apparizione di Dio »). (inizio)

    Manifestazione visibile di Dio. Mentre viene detto ripetutamente che non è possibile vedere Dio e rimanere in vita (Es 19,21; 33,20; Gdc 13,22), l'AT riferisce teofanie sperimentate da Mosè e da altri (Es 3,1‑6; 33,17‑23; 34,5‑9; Is 6,1‑5). I Vangeli riportano le quasi‑teofanie nel battesimo di Cristo e nella trasfigurazione (Mc 1,9‑11; 9,2‑8). Nella Chiesa primitiva, l'Epifania o manifestazione di Cristo ai pagani (Mt 2,1‑12) fu chiamata una teofania; è un uso che dura tuttora in Oriente. Cf Cristofania; Doxa; Epifania; Esperienza religiosa.

      Teologia (Gr. « scienza di Dio ». (inizio)

    È lo sforzo metodico per capire e interpretare le verità rivelate. Come fides quaerens intellectum (Lat. « la fede che cerca di capire »), la teologia si serve del contributo della ragione, ricorrendo in particolare alle discipline della storia e della filosofia. Di fronte al mistero divino, la teologia è sempre « in ricerca » e non raggiunge mai risposte ultime e visuali definitive. La teologia abbraccia vari sistemi e settori di cui ne indichiamo qui alcuni. Cf Apologetica; Cristologia; Ecclesiologia; Ermeneutica; Filosofia; Metodi in teologia; Metodo teologico; Mistagogia; Patristica; Storia; Rivelazione; Spiritualità; Storia della teologia; Teologia apofatica; Teologia biblica; Teologia catafatica; Teologia della missione; Teologia femminista; Teologia fondamentale; Teologia morale; Teologia negativa; Teologia nera; Teologia pastorale; Teologia politica; Teologia positiva; Teologia sistematica.

      Teologia alessandrina. (inizio)

    Scuola teologica che iniziò ad Alessandria come scuola di catechesi verso la fne del II secolo dopo Cristo. Interpreta le Scritture in modo allegorico, e, come cristologia dall'alto, privilegia l'aspetto del Verbo che si fece carne e la natura divina del Verbo Incarnato. Gli esponenti più celebri della teologia alessandrina comprendono: san Panteno (morto verso il 190), san Clemente di Alessandria (circa 150 ‑ circa 215), Origene (circa 185 ‑ circa 254), sant'Atanasio di Alessandria (morto nel 373), Didimo il Cieco (circa 313‑398) e san Cirillo di Alessandria (morto nel 444). Cf Cristologia dall'alto; Cristologia dal basso; Cristologia del Lògos‑Sarx; Monofisismo; Origenismo; Sensi della Scrittura; Teologia antiochèna.

      Teologia antiochena. (inizio)

    Si chiama così l'orientamento teologico, connesso con la comunità cristiana di Antiochia, dove emerse nel IV secolo un profilo esegetico ben distinto. Questa teologia sottolineava l'interpretazione letterale e storica della Bibbia, ma cercava anche una teoria (Gr. « visuale ») che andasse oltre il senso puramente letterale. Mentre correva il pericolo di un inadeguato duofisismo (Gr. « due nature ») per il fatto di non collegare correttamente la natura divina e la natura umana nell'unica persona di Gesù Cristo, la sottolineatura della piena umanità di Gesù Cristo anticipò in parte la cristologia moderna dal basso. Generalmente, si ritiene che la teologia antiochena abbia ricevuto la sua forma dal martire san Luciano di Antiochia (morto nel 312) che aveva studiato a Edessa. Fu sviluppata in particolare da Diodoro di Tarso (morto nel 390 circa) e raggiunse il suo vertice con san Giovanni Crisostomo (circa 347‑407), Teodoro di Mopsuestia (circa 350‑428) e Teodoreto di Ciro (circa 393 ‑ circa 466). CfCristologia alessandrina; Cristologia dal basso; Cristologia dall'alto; Cristologia del Lògos‑Anthropos; Edessa; Nestorianesimo; Sensi della Scrittura; Tre capitoli (I).

    Teologia apofatica (Gr. « ineffabile », « negativo »). (inizio)

    Concetto fondamentale per la teologia orientale, che viene tradotto spesso con « teologia negativà ». Insiste sulla inadeguatezza di qualsiasi tentativo di descrivere il mistero assoluto di Dio. Qualsiasi affermazione intorno a Dio va qualificata con una negazione corrispondente col riconoscere che Dio supera infinitamente le nostre categorie. La conoscenza di Dio non è mai puramente intellettuale, ma richiede un'ascesa verso Dio con una purificazione morale e religiosa, descritta in maniera classica nella Vita di Mosè di san Gregorio Nisseno (circa 330 ‑ circa 395). Cf Essenza ed energie; Notte oscura; Teologia catafatica; Teologia negativa.

      Teologia biblica. (inizio)

    Qualsiasi teologia che si basi primariamente sulla Scrittura. Le teologie bibliche particolari sviluppano temi dell'AT e del NT, come, per es., alleanza, giustificazione, promessa, profezia, storia della salvezza, ecc., per ricavare dalla Scrittura un messaggio unificato per oggi. Cf Ermeneutica; Teologia.

      Teologia catafatica (Gr. « affermativa »). (inizio)

    Concetto complementare della « teologia apofatica », e chiamata qualche volta « teologia positiva ». Nonostante l'inadeguatezza radicale delle nostre categorie, possiamo comunque asserire parecchie verità intorno a Dio come ce l'ha rivelate nel modo perfetto Gesù Cristo e come le possiamo conoscere ora mediante lo Spirito Santo. Tuttavia, la teologia apofatica insiste nel dire che anche dopo l'autorivelazione divina e l'autocomunicazione nella grazia, Dio rimane il mistero primordiale. CfTeologia apofatica; Teologia positiva.

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    00 21/08/2013 17:50

     Teologia congregazionalista. (inizio)

    Una forma di cristianesimo sorto dalla Riforma protestante e che rivendica per le Chiese locali il diritto di regolare le proprie faccende in una indipendenza completa, secondo un principio che avrebbe il suo fondamento nella Bibbia. Cf Chiesa; Protestante; Riforma.

     Teologia dialettica. (inizio)

    Un movimento importante della teologia protestante degli anni '20 guidato da Karl Barth (1886‑1968) in aperto dissenso col Protestantesimo liberale allora prevalente. Sottolineando la differenza qualitativa infinita tra Dio e gli esseri umani, la teologia dialettica si esprimeva con paradossi (per es., eternità e tempo) che non permettevano nessuna sintesi intellettuale. Cf Protestantesimo liberale.

      Teologia della bellezza. (inizio)

    Nell'estetica, la bellezza è quella qualità o insieme di qualità che procura diletto. L'armonia delle perfezioni di Dio e l'interazione delle forze nel dramma della salvezza producono diletto mediante la loro bellezza. Possiamo contemplare questa bellezza nella gloria, ossia nello splendore di Cristo che si rivela come il Figlio Unigenito del Padre (Gv 1,14). Nell'epoca contemporanea, Hans Urs von Balthasar (1905‑1988) in Occidente Pavel Florenskij (1882 ‑ circa 1937) e Paul Evdokimov (1900‑1970) in Oriente fecero molto per sviluppare la teologia della bellezza. Cf Estetica; Gloria; Trascendentali.

     

      Teologia della liberazione. (inizio)

    Movimento Latino‑Americano largamente diffuso, il quale

      a) si ispira all'Esodo, ai richiami dei Profeti per la giustizia e all'annuncio del Regno da parte di Gesù;

      b) legge la Bibbia in chiave di liberazione integrale e

      c) ha messo radici profonde là dove strutture di ingiustizia e di dipendenza economica opprimono grandi masse di poveri.

      Tra i suoi migliori esponenti figurano: Juan Luis Segundo (nato nel 1925), Jon Sobrino (nato nel 1938) e soprattutto Gustavo Gutierrez (nato nel 1928) il cui libro Teologia della liberazione (tr. it. Ed. Queriniana, Brescia, 1973; l'originale è del 1972) ha dato vigore al movimento. Fortemente interessati nel compito pubblico della teologia nel promuovere i cambiamenti sociali, i « leaders » di questo movimento hanno sempre sviluppato una spiritualità della liberazione. Nella sua EnciclicaSollicitudo rei socialis del 1987, il papa Giovanni Paolo II ha auspicato una vasto processo di « sviluppo e di liberazione » che si esprima in « amore e servizio » del prossimo, « specialmente dei più poveri » (n. 46). Cf Metodi in teologia; Opzione per i poveri; Teologia femminista; Teologia nera; Teologia‑politica.

     

    Teologia della missione. (inizio)

    Riflessione sistematica sul modo con cui l'intera Chiesa e i singoli cristiani sono mandati da Cristo. Prima del Concilio Vaticano II, quattro encicliche pontificie trattarono appositamente dell'attività missionaria: Maximum illud di Benedetto XV (1919), Rerum Ecclesiae di Pio XI (1926), Evangelii praecones di Pio XII (1951) e Princeps pastorum di Giovanni XXIII (1959). Mentre ribadivano il dovere della Chiesa di diffondere dovunque il vangelo, questi papi indicarono la necessità di edificare le Chiese locali (Benedetto XV), di promuovere un clero indigeno (Pio XI), di incoraggiare i laici nel rinnovare la situazione sociale (Pio XII) e di adattarsi alle culture locali (Giovanni XXIII) come fece Matteo Ricci in Cina (1552‑1610). Il Vaticano II vide la missione della Chiesa radicata nel comando di Cristo dato agli apostoli, così come egli era stato mandato dal Padre (LG 17; GS 91). Per sua natura, la Chiesa ha per missione il mondo intero (AG 2, 10). Nel passato qualche attività missionaria ha patito lo scandalo delle divisioni cristiane, ha tollerato molte ingiustizie politiche, economiche, razziali e culturali, e ha potuto in parte essere una forma di colonialismo spirituale. Oggi, la teologia della missione riconosce quasi unanimemente che lo sviluppo integrale e la liberazione fanno parte del pieno compito missionario della Chiesa. Per i Cattolici, il Papa Paolo VI in Evangelii nuntiandi (1975) offre orientamenti importanti sulla natura dell'evangelizzazione nel mondo d'oggi. Giovanni Paolo II ritorna sull'argomento nella Redemptoris missio (1990) Cf Chiesa locale; Cristiani anonimi; Inculturazione; Proselito.

     

    Teologia della morte di Dio. (inizio)

    Movimento teologico degli anni '60, diffuso specialmente negli Stati Uniti d'America. Alle volte, intendeva semplicemente intavolare un dialogo con l'ateismo contemporaneo, mentre altre volte sosteneva la vera assenza di Dio nel nostro mondo o addirittura seguiva Federico Guglielmo Nietzsche (1844‑1900) nell'affermare che Dio è morto per opera degli uomini.

     

    Teologia del processo. (inizio)

    Si chiama così un movimento teologico che si ispira a Alfred North Whitehead (1861‑1947). La sua filosofia, come anche altre, sottolinea il primato del divenire sull'essere, ma le supera nel cercare di sintetizzare questo approccio alla realtà con i risultati delle scienze naturali. Whitehead intende i costituenti ultimi della realtà come « entità effettive » più che sostanze. Il suo punto di partenza sono le « occasioni effettive », o entità che interagiscono nell'intero universo. Mediante l'amore, Dio è all'opera, non coercitivamente, essendo « il grande compagno, l'amico sofferente che capisce ». La traduzione della metafisica tradizionale nei termini dinamici di Whitehead ha attratto vari discepoli negli Stati Uniti, nelle Isole Britanniche e altrove. Alcuni, come Charles Hartshorne (nato nel 1897) hanno sviluppato il pensiero del « processo » in un modo alquanto differente. Pur riconoscendo la sottolineatura valida delle categorie personali, i commentatori hanno criticato la filosofia di Whitehead su vari punti, in particolare, sul concetto di un « Dio finito ». Cf Panenteismo.

     

    Teologia del simbolo. (inizio)

    Consiste nel concepire il mondo visibile come immagine di quello invisibile. Nel suo Timeo, Platone (427‑347 a.C.) scrivendo circa l'origine e la costituzione del mondo, dice: « Il tempo è l'immagine mobile dell'eternità ». Nelle sue parabole, Gesù mostra le cose e gli eventi quotidiani come finestre su Dio e come inviti a rispondere alla sua attività. Origene (circa 1851 ‑ circa 254) sviluppò una forte teologia simbolica. Nel suo simbolismo filosofico e nella sua interpretazione biblica, sant'Agostino di Ippona (354‑430) diede un impulso vivo all'interpretazione simbolica della realtà. L'agostiniano Ugo di san Vittore (circa 1096‑1141) interpretò ogni cosa nell'universo come una specie di sacramento delle realtà divine. Hugo Rahner (1901‑1967) descrisse la teologia di suo fratello Karl Rahner (1904‑1984) come una « teologia del simbolo ». Un approccio simbolico rimane fondamentale nella teologia orientale dell'icona. Cf Concilio di Nicea II; Icona; Origenismo; Sacramento.

     

    Teologia dogmatica(inizio)

    Il settore principale della teologia che, fondandosi sulla Scrittura e sulla Tradizione per il dato rivelato, esamina e presenta in modo sistematico tutte le dottrine importanti del cristianesimo. I tentativi contemporanei di rinnovare questa disciplina si riflettono sulla fede comune alla luce dell'intera storia del cristianesimo e delle circostanze mutevoli dei nostri tempi (OT 16). Cf Dogma; Teologia; Teologia sistematica.

     

    Teologia femminista. (inizio)

    È un approccio teologico (sviluppato ampiamente negli U.S.A. a partire dal 1968) che protesta contro inveterati pregiudizi maschilisti nella teologia cristiana, nell'esegesi e nella vita della Chiesa. Le sue richieste comprendono l'ordinazione delle donne e l'uso di un linguaggio inclusivo che non sia riflesso e non serva da sostegno a strutture di potere maschiliste. Cf Teologia della liberazione; Teologia nera; Teologia politica.

     

    Teologia fondamentale. (inizio)

    Quel settore della teologia che studia i problemi fondamentali: in particolare, la rivelazione divina nella storia d'Israele e di Gesù Cristo; le condizioni che abilitano gli esseri umani all'autocomunicazione di Dio; i segni che rendono la fede in e per mezzo di Gesù Cristo un'opzione razionale; la trasmissione (attraverso la tradizione della Chiesa e le Scritture ispirate) dell'esperienza dell'autocomunicazione di Dio. Cf Apologetica; Fede; Ispirazione biblica; Preamboli della fede; Rivelazione; Teologia dogmatica; Tradizione.

     

    Teologia giovannea. (inizio)

    La teologia contenuta nel quarto Vangelo, nella prima e, in misura minore, nella seconda e terza lettera di Giovanni e nell'Apocalisse. Il Vangelo di Giovanni fa uso di simboli (per es., pane, acqua, gregge), immagini contrastanti (per es., veritàmenzogna; amoreodio) e, in genere, di un linguaggio orante, esperienziale e trinitario per incoraggiare la fede in Gesù come Cristo e Figlio di Dio (Gv 20,31). Questo Vangelo abbonda nel linguaggio di rivelazione (per es., gloria, segni, verità, e testimone), senza, però, trascurare quello che Cristo, la vite vera a cui dobbiamo essere uniti (Gv 15,1‑8), comporta come condivisione di vita (passim) e come forza perché i credenti diventino figli di Dio (Gv 1,12‑13). Il prologo del Vangelo (Gv 1,1‑18) annuncia una lotta tra la luce e le tenebre. L'accoglienza positiva a Gesù che viene come la divina « luce del mondo » (Gv 8,12; 9,5; 12,46) porta ad una divisione tra

      a) coloro che rimangono spiritualmente ciechi, odiano la luce (Gv 1,5; 3,19; 9,39‑41) e precipitano nella notte (Gv 13,30), e

      b) coloro che sono sanati e vedono la verità (Gv 1,39; 9,1‑33; 20,29).

      Dopo le ultime parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli più intimi la promessa dello Spirito Santo e la preghiera sacerdotale (Gv 13,1‑17.26 »), il potere delle tenebre sembra avere il sopravvento durante la passione, ma deve cedere il posto alla vittoria abbagliante della risurrezione. Contro l'interpretazione deviante dei doceti, Giovanni afferma che « il Verbo si fece carne » (Gv 1,14) e nella 1 Gv ritorna con insistenza sulla realtà dell'Incarnazione (1 Gv 4,2‑3). Questa rivela Dio come Amore (1 Gv 4,7‑12). La Chiesa d'Oriente onora san Giovanni come il Teologo. Patmos, il luogo dove si ritiene che abbia scritto l'Apocalisse, è una meta di pellegrinaggi. Cf Docetismo; Doxa; Rivelazione; Tre teologi (I).

     

    Teologia kerigmatica. (inizio)

    Si chiama così una teologia orientata alla proclamazione degli eventi decisivi della storia della salvezza. Negli anni '30, alla Facoltà di Teologia di Innsbruck, Franz Lakner sviluppò una teologia kerigmatica centrata su Cristo così come deve essere predicato. Questo esperimento non ebbe successo. Comunque, attraverso l'opera di Hugo Rahner, Joseph Jungmann e altri, un approccio più kerigmatico ha sostituito ampiamente le speculazioni astratte della Scolastica. Cf Scolastica; Scuole di teologia; Teologia.

     

    Teologia morale. (inizio)

    Il campo della teologia che studia e insegna come i cristiani (e gli altri) debbono vivere. Questa riflessione sistematica sul comportamento cristiano attinge dalla Bibbia (per es., il decalogo, il discorso della montagna e le esortazioni di Paolo), dal ragionamento filosofico, dall'esperienza tradizionale e dall'insegnamento della Chiesa. Deve basarsi su una visione piena di ciò che comporta la creazione originale (Gn 1,26‑27) e la ri‑creazione dell'umanità in Cristo (Rm 6,4; 8,28‑30; 1 Cor 15,49; 2 Cor 5,17; Ef 4,24; Col 3,10). Dopo san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), la teologia morale si è spesso isolata dalle sue radici dogmatiche e scritturistiche, e alle volte un'abbondante casistica è caduta in un vuoto legalismo. L'insegnamento morale di sant'Alfonso de' Liguori (1696‑1787) è stato segnato da un grande apprendimento e da un profondo interesse pastorale. Giovanni Battista Hirscher (1788‑1865) di Tubinga ha presentato sistematicamente la moralità in termini di Regno di Dio. Recentemente, gli studi biblici, le scienze umane, gli sviluppi filosofici e, soprattutto, il rinnovamento in cristologia, ecclesiologia e antropologia hanno stimolato e arricchito la teologia morale. Con Leone XIII (1810‑1903), l'insegnamento pontificio ha sempre più incoraggiato i teologi moralisti non solo a studiare i problemi di morale individuale, ma anche ad affrontare questioni più ampie di giustizia sociale, i rapporti fra Chiesa e Stato e la pace fra le nazioni. CfAntropologia; Casistica; Chiesa e Stato; Decalogo; Dottrina sociale; Etica; Giansenismo; Giustizia; Opzione fondamentale; Parenèsi; Perfezione; Probabilismo; Rigorismo; Santità; Tubinga e le scuole.

     

    Teologia narrativa. (inizio)

    Un tentativo moderno di rinnovare la teologia cristiana come teologia di una religione storica che non ha soltanto qualcosa da dire, ma anche una storia da narrare. Prendendo le distanze dagli asserti dottrinali astratti, la teologia narrativa trova il suo terreno nei racconti biblici e in altri racconti religiosi. Mentre corregge giustamente le tendenze ad isolare la teologia dalla vita e dal culto, la teologia narrativa ha bisogno di criteri critici per stabilire il significato e la verità. Tra i cristiani orientali, l'elemento narrativo in teologia è salvaguardato dalla liturgia e dalle icone. Cf Icona; Liturgia; Teologia.

     

    Teologia naturale. (inizio)

    La disciplina che tratta della conoscenza di Dio in base alla sola ragione (cf Sal 19,1‑4; Sap 13,1‑9; At 14,17; 17,22‑31; Rm 1,18‑23; 2,14‑15). Sviluppata da san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274), la teologia naturale fu criticata al tempo dell'Illuminismo quando venne contestata la validità degli argomenti riguardanti l'esistenza di Dio. Il Concilio Vaticano I definì che « Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza con la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create » (DS 3004; FCC 1.061; cf DV 6). Il Concilio affermò la possibilità (« può essere conosciuto »), ma non indicò le vie per conoscere Dio (Con prove logiche? Per intuizione? Per esperienza mistica?) e non ha inteso dire che qualcuno abbia effettuato tale possibilità senza l'aiuto nascosto della grazia. Karl Barth (1886‑1968) e altri esponenti della teologia dialettica escludono energicamente qualsiasi tipo di teologia naturale per il fatto che il peccato avrebbe reso l'intelletto umano totalmente incapace di conoscere Dio con le sole sue forze. La teologia naturale è stata prevalentemente praticata da credenti cristiani. Anche se prescindono da quanto conoscono attraverso la rivelazione, nondimeno sollevano questioni intorno a Dio che presuppongono una familiarità previa alle risposte. Infine, un approccio di teologia puramente naturale presenta una visuale astratta e filosofica dell'umanità, totalmente differente dalla visuale concreta dell'umanità peccatrice come si trova nelle teologie della storia della salvezza. Il Concilio Vaticano II stabilì la conoscenza, di Dio attraverso il creato (e quindi la teologia naturale) all'interno del contesto della storia della rivelazione e della salvezza (DV 2‑6). CfArgomenti per l'esistenza di Dio; Cinque vie (Le); Illuminismo; Storia della salvezza; Teodicea; Teologia; Teologia dialettica.

     

    Teologia negativa. (inizio)

    Come la teologia apofatica, è un approccio al mistero divino che insiste sul fatto che possiamo dire di più quello che Dio non è che non quello che realmente è. È un modo di fare teologia che mette più l'accento sulla sapienza che non sulla scienza. Cf Mistero; Teologia; Teologia apofatica; Teologia catafatica.

     

    Teologia nera. (inizio)

    Scuola teologica nord‑americana sviluppata dai Cristiani neri sulle orme del movimento di Martin Luther King (1929‑1968) per i diritti civili. Si è opposta alle interpretazioni razziste ed esclusiviste dei Bianchi riguardo alla fede; ha sostenuto ulteriori cobattimenti per i diritti sociali e ha unito le proprie forze a movimenti analoghi, come la teologia femminista e la teologia Latino‑Americana della liberazione. Cf Teologia della liberazione; Teologia femminista; Teologia politica.

     

    Teologia orientale. (inizio)

    Si chiama così la teologia sviluppata dai Padri della Chiesa greci e siriaci. Generalmente, la teologia orientale ha il compito di salvaguardare l'intera tradizione, in quanto è guidata dallo Spirito Santo, è fondata sulla Bibbia, è insegnata specialmente dai primi concili generali ed è celebrata nel culto e nelle icone. La sua caratteristica principale è il primato dello spirituale. La spiritualità è considerata come il dogma vissuto; e il dogma non è altro che la spiritualità che ha trovato la sua conferma ufficiale nella sua espressione verbale. Nell'unire armonicamente l'insegnamento della Chiesa, la spiritualità e la disciplina, questa teologia è mantenuta e sistematizzata dalla liturgia e dal monachesimo. Cf Concilio ecumenico; Culto; Doxa; Dossologia; Icona; Liturgia; Metodi in teologia; Monachesimo; Origenismo; Padri della Chiesa; Sette Concili Ecumenici (I); Spirito Santo; Stolti per amor di Cristo; Teologia alessandrina; Teologia antiochena; Teologia apofatica; Teologi giovannea; Teologia del simbolo; Tradizione; Tre teologi.

     

    Teologia paolina. (inizio)

    La teologia sviluppata da san Paolo (morto verso il 67) la cui chiamataconversione (1 Cor 9,1; 15,8‑11; At 9,3‑9) avvenuta verso il 34 lo cambiò da Fariseo zelante (Fil 3,5‑8; At 22,3‑5) persecutore dei cristiani (1 Cor 15,9; Gal 1,13‑14; At 7,58-8,3; 9,1‑2) nel grande Apostolo delle Genti (Gal 1,12.15‑16; 2,7; At 9,15). Centrato radicalmente sulla risurrezione di Gesù crocifisso (Rm 4,25; 1 Cor 1,17‑25; 15,14‑15; Fil 2,6‑11), Paolo insegna che la nostra giustificazione viene dalla fede e dalla grazia di Cristo che ci riconcilia (Rm 5,6‑11) e non dalle opere della legge (Gal 2,16-4,31). Col battesimo, i credenti esistono « in » Cristo (Rm 8,1; 16,7; 1 Cor 15,22; Fil 3,8‑9) e mediante lo Spirito vivono una vita nuova (Rm 5,1-8,39), sono progressivamente cambiati nell'immagine di Cristo (Rm 8,29) e formano insieme il Tempio dello Spirito (1 Cor 3,16‑17) e il corpo di Cristo (1 Cor 12,12‑17). Nel nuovo « Israele di Dio » (Gal 6,16), tutti i battezzati godono di una unità fondamentale (Gal 3,26‑28), e sono chiamati a fare uso dei loro vari carismi (1 Cor 12,1‑31), a costruire la comunità nell'amore (Rm 5,5; 1 Cor 12,31-13,13) e a manifestare nella loro vita i frutti dello Spirito (Gal 5,16‑26). Insieme alla teologia giovannea, quella paolina costituisce la teologia primaria del NT e ha esercitato un grandissimo influsso sulla storia del cristianesimo. Cf Apparizioni del Signore risorto; Carisma; Corpo di Cristo; Giustificazione; Grazia; Legge; Spirito Santo.

     

    Teologia pastorale. (inizio)

    La teologia in quanto si occupa di e riflette su:

      a) il passaggio alla predicazione e alla catechesi dallo studio della Scrittura e della teologia sistematica;

      b) la prassi della vita liturgica e sacramentale;

      c) proposte morali e spirituali;

      d) la cura della gente nell'affrontare problemi speciali (per es., i profughi, i drogati, i malati, gli anziani, i moribondi);

      e) le lotte per la giustizia e la pace;

      f) le cure di cui necessitano le persone nelle differenti età e nelle differenti situazioni di vita.

      Molti vedono la teologia pastorale come sinonimo di teologia pratica o riflessione critica sulle multiformi missioni della Chiesa nel mondo. Lungo i secoli, importanti contributi alla teologia pastorale sono venuti da personaggi eminenti come san Gregorio Magno (circa 540‑604) e ai giorni nostri da Karl Rahner (1904‑1984). Cf Catechesi; Evangelizzazione; Ministero; Omiletica; Teologia; Teologia della missione; Ufficio pastorale.

     

    Teologia politica. (inizio)

    Una teologia che protesta contro la privatizzazione della religione e insiste sulla responsabilità sociale dei cristiani. Dopo che la perestroika di Costantino il Grande (circa 280‑337) ebbe portato la libertà religiosa, cristiani come Eusebio di Cesarea (circa 260 ‑ circa 340) si servirono alle volte della fede per legittimare certe pretese, tattiche e pratiche imperiali. Un nuovo e falso connubio dell'ordine politico con la religione portò guerre e persecuzioni. L'Illuminismo andò all'estremo opposto col sostenere che la religione e la politica sono interamente due cose separate e che la fede è un fatto privato che riguarda unicamente la coscienza dei singoli. Ben lungi dal voler politicizzare la religione, la teologia politica di Johann Baptist Metz (nato nel 1928) e di altri mira piuttosto ad esprimere le implicanze della fede cristiana per l'ordine sociale e politico, soprattutto col protestare contro l'ingiustizia dilagante del nostro mondo e col sottolineare la solidarietà con Gesù crocifisso e con le innumerevoli vittime del mondo della storia passata e presente. Questa teologia della prassi ha trovato una specie di conferma ufficiale nell'Enciclica del 1987, Sollicitudo rei socialis, di Giovanni Paolo II. Cf Chiesa e Stato; Illuminismo; Opzione per i poveri; Prassi; Sinfonia; Teologia femminista; Teologia della liberazione; Teologia nera.

     

    Teologia positiva. (inizio)

    Quel settore della teologia che si occupa dei dati storici e dei fatti particolari (tratti dalla Bibbia e dalla tradizione per determinare le dottrine che i cristiani devono credere). È contrapposta alla teologia naturale che tratta dei princìpi religiosi universali conosciuti dalla ragione. Oggi, la teologia positivaappare con fatica tra gli schemi di divisione del campo teologico, in quanto il suo posto è stato spesso occupato dalla « teologia storica ». Cf Patristica; Teologia biblica; Teologia dogmatica; Teologia fondamentale; Teologia morale; Teologia sistematica.

     

    Teologia pratica(inizio)

    Cf Teologia Pastorale.

     

    Teologia sistematica. (inizio)

    l tentativo di esporre in maniera coerente e scientifica le principali verità cristiane. Nella pratica, coincide spesso con la teologia dogmatica, ma può differire in quanto comprende una trattazione di questioni morali. Può ancora differire dalla teologia dogmatica per il fatto di prestare maggiore attenzione alla metodologia, alla terminologia, all'uso di princìpi filosofici, ad una prospettiva strettamente unificata e a questioni riguardanti le condizioni e i limiti della conoscenza teologica. CfEpistemologia; Filosofia; Teologia Dogmatica; Teologia Fondamentale.

     

    Teologia trascendentale. (inizio)

    Un orientamento teologico affine alla filosofia trascendentale e collegato specialmente con Karl Rahner (1904‑1984) e Bernard Lonergan (1904‑1984). Si riferisce alle risposte possibili che sorgono quando si prende in considerazione il soggetto umano. Per usare un esempio del Rahner, la penitenza non è semplicemente un dovere oggettivo da eseguire, ma una virtù che spinge il soggetto a cambiare. Ogni questione oggettiva ha il suo lato soggettivo il quale, quando viene esplorato, getta una nuova luce sui problemi teologici che sono sul tappeto. Cf Metodi in teologia; Metodo teologico; Sacramento della penitenza.

     

    Teologia trinitaria. (inizio)

    Tentativo di capire e di interpretare il mistero centrale cristiano di un solo Dio in tre Persone uguali e distinte, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Mt 28,19; 2 Cor 13,13). Richiamandosi alle operazioni del nostro intelletto e della nostra volontà, sant'Agostino di Ippona (354‑430) interpretò la generazione del Figlio (o Parola) in base all'analogia dell'auto‑conoscenza umana, mentre l'autentico amore di sé illustra l'origine dello Spirito Santo, l'amore reciproco « personificato » del Padre e del Figlio. Per molti secoli, i teologi hanno seguito Agostino od anche assunto altre analogie dall'esperienza e dalla filosofia come « Io ‑ Tu ‑ Noi » del pensiero personalista sviluppato da Martin Buber (1878‑1965). Questi approcci a Dio tri‑personale possono essere di qualche aiuto. Però, essendo tratti dalla realtà umana creata e dall'esperienza comune, non sono radicati immediatamente nell'autocomunicazione di Dio nella storia della salvezza che ha raggiunto il suo vertice col mistero pasquale. La famosa icona trinitaria di A. Roublev (circa 1360‑1430), che è ora conservata nella Galleria di Mosca, rappresenta la scena della philoxenia (Gr. « ospitalità ») di Abramo con tre angeli seduti attorno ad una mensa (Gn 18,1‑15): questa scena richiama al cristiano l'ineffabile mistero trinitario. Un calice che si trova sulla mensa collega questo mistero con l'Eucaristia, e di qui la storia della salvezza con la passione, morte e risurrezione di Cristo. Questa icona ci ricorda una verità basilare circa la teologia trinitaria: essa dovrebbe partire dalla Trinità Economica (quella che si rivela nella storia della salvezza) per passare alla Trinità Immanente (dove le analogie tolte dalla realtà creata ci possono aiutare) e non viceversa. Nella teologia trinitaria, come anche altrove, l'ordine della redenzione deve avere la precedenza sull'ordine della creazione. Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I; Economia; Filioque; Generazione; Mistero; Mistero Pasquale; Modalismo; Persona; Processioni; Relazioni divine; Spirazione; Trinità Immanente; Unitarianismo.

     

    Teonomia (Gr. « legge divina »). (inizio)

    È un'etica per cui la volontà di Dio, mediata attraverso il nostro intelletto creato e la libertà, e l'autorità ultima. Cf Autonomia; Eteronomia.

     

    Teopaschita. (inizio)

    Cf Controversia teopaschita.

     

    Teoria delle due fonti. (inizio)

      a) L'ipotesi largamente accettata secondo cui i Vangeli di Matteo e di Luca avrebbero due fonti principali: il Vangelo di Marco e Q (una raccolta di detti di Gesù).

      b) Una teoria comunemente sostenuta dal XVI secolo fino al Vaticano II secondo cui ci sarebbero due « fonti » della rivelazione separate e ugualmente valide: la Tradizione e la Scrittura.

      Cf Quelle; Rivelazione; Scrittura e Tradizione; Vangeli sinottici.

     

    Testimoni di Geova. (inizio)

    Una setta che iniziò negli Stati Uniti d'America con Charles Taze Russell (1852‑1916) e che venne chiamata in un primo tempo « Associazione internazionale di studenti della Bibbia ». Riteneva imminente la seconda venuta di Cristo e propagò le sue idee nella « Torre di Guardia ». Ostili verso le Chiese più importanti e sovversivi nei riguardi dell'autorità civile, i suoi seguaci si scontrarono spesso con la legge e furono difesi da Joseph Franklin Rutherford (1869‑1941). Questi divenne il secondo capo della setta che prese il nome di « Testimoni di Geova ». Sono divenuti meno aggressivi nei loro metodi missionari, ma continuano a interpretare la Bibbia e la storia del mondo in maniera fantasiosa. Cf Fondamentalismo; Millenarismo; Parusìa.

     

    Tetrarchia. (inizio)

    Cf Pentarchìa.

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    00 21/08/2013 17:52

    Theologia crucis (Lat. « teologia della croce »). (inizio)

    Espressione coniata da Martin Lutero (1483‑1546) per qualificare il modo esatto di fare teologia. In quanto Salvatore e misericordioso, Dio è conosciuto soltanto come nascosto nel Cristo crocifisso e in tutte le esperienze di sofferenze e tentazioni che rivelano la nullità degli esseri umani dinanzi a Dio. Dio si rivela in un modo che va contro alle nostre aspettative: la povertà come debolezza, la sapienza come follìa (cf 1 Cor 1,17‑31). Cf Luteranesimo; Theologia gloriae.

     

    Theologia gloriae (Lat. « teologia della gloria »). (inizio)

      a) Contrastata polemicamente da Martin Lutero (1483‑1546) con la sua « teologia della croce », questa teologia è riferita alla teologia Scolastica e alla Mistica. Lutero vede in esse dei tentativi per voler conoscere Dio presuntuosamente con le proprie forze e capacità, anziché credere umilmente e confidare in Dio. « Teologia della gloria » significa in questo senso una teologia dell'autoglorificazione.

      b) In un altro contesto, il termine si riferisce alla teologia orientale che illustra la glorificazione di Cristo e la nostra partecipazione alla sua gloria. Questa teologia trae la sua ispirazione dal Vangelo di san Giovanni: « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria » (Gv 1,14). Come è intesa da san Paolo, la gloria può essere associata col tema caro a Lutero della giustificazione. « Quelli che (Dio) ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati » (Rm 8,30). Cf Dòxa; Gloria; Scolastica; Theologia Crucis; Teologia giovannea; Teologia naturale.

     

    Theologoùmenon (Gr. « dimensionecomponente teologica »). (inizio)

    Una tesi teologica non vincolante che non è chiaramente fondata nella Scrittura né si trova nel Magistero definitivo della Chiesa. Certe tesi di grandi teologi possono avere la qualifica ditheologoùmeni e in seguito possono in qualche modo entrare nell'insegnamento della Chiesa. Gli Ortodossi usano alle volte questo termine per distinguere le definizioni dei primi sette concili ecumenici dai successivi pronunciamenti di fede della Chiesa Cattolica. Cf Magistero; Sette Concili Ecumenici (I); Teologia.

     

    Theotókos (Gr. « Genitrice di Dio »). (inizio)

    Questo titolo, dato a Maria ed usato forse già al tempo di Origene (circa 185 ‑ circa 254), esprime il fatto che ella generò il Figlio di Dio fatto uomo. L'equivalente latino esatto è Deipara, ma lo si rende più spesso con Dei Genitrix (Genitrice di Dio, Madre di Dio). Il Concilio di Efeso (431) condannò Nestorio che aveva messo in discussione questo titolo popolare e, ribadendo l'unità della persona di Cristo, proclamò la legittimità del titolo Theotókos (DS 250‑252; FCC 4.003‑4.004). Maria non divenne la Madre di un semplice uomo, ma del Figlio di Dio che si fece uomo. Cf Concilio di Efeso; Mariologia; Nestorianesimo.

     

    Tiara papale (Gr. « turbante regale persiano »). (inizio)

    Ampio copricapo con cui i papi venivano incoronati e che portavano in funzioni solenni extra‑liturgiche. Il papa Paolo VI vendette la sua tiara e diede il ricavato ai poveri. Giovanni Paolo I non volle essere incoronato. Il suo successore, Giovanni Paolo II, a sua volta, non volle introdurre nuovamente la tiara e rifiutò qualsiasi incoronazione solenne all'inizio del suo pontificato, nel 1978. Cf Papa.

     

    Timor di Dio. (inizio)

    Nell'AT, è quel sentimento profondo di religione e di pietà filiale che sintetizza l'atteggiamento conveniente verso Dio (Gb 28,28; Prv 1,7; 9,10; Sir 1,11‑20). Non va confuso con il timore servile (dello schiavo). Cf Amore; Hesèd; Religione; Santo.

     

    Tipologia. (Gr. « studio delle immagini, dei prototipi »). (inizio)

    Modo di interpretare gli eventi, le persone e le cose come « tipi » che adombrano gli « antitipi » del NT i quali compiono la rivelazione e la salvezza. Così, Adamo e Melchisedech sono tipi di Cristo (Rm 5,14; Eb 6,20-7,28). La storia del Popolo di Dio nell'Esodo dall'Egitto prefigura le difficoltà che i cristiani devono affrontare e i sacramenti che ricevono (1 Cor 10,1‑11). Il diluvio prefigura il battesimo (1 Pt 3,20‑21) e la manna nel deserto anticipa « il pane di vita » (Gv 6,48‑51). Sant'Ireneo (circa 130 circa 200) e poi la scuola di Alessandria sono stati attenti a questo senso tipico della Scrittura che Origene (circa 185 ‑ circa 254) sviluppò in una direzione allegorica. In Occidente, l'interpretazione tipologica fu adottata da sant'Ambrogio (circa 339‑397) e poi da sant'Agostino di Ippona (354‑430) dal quale passò ai Latini del Medioevo. Cf Allegoria; Origenismo; Sensi della Scrittura; Teologia alessandrina; Teologia antiochena.

     

    Titoli cristologici. (inizio)

    Designazioni del NT per Gesù come Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Costituiscono vari approcci per comprendere chi era e chi è Gesù, che cosa ha fatto e che cosa fa. Cf Kyrios; Messia.

     

    Tolleranza (Lat. « sopportare »). (inizio)

    Lasciare in pace coloro la cui fede e prassi differiscono dalle proprie. Dopo aver sofferto la persecuzione da parte di alcune autorità giudaiche e poi, per secoli, dai governatori romani, i cristiani acquistarono la libertà religiosa col cosiddetto « Editto di Milano » (312). Molto presto e specialmente dopo che Teodosio il Grande (imperatore dal 379 al 395) ebbe dichiarato il cristianesimo religione di Stato, i cristiani cominciarono a manifestarsi intolleranti verso gli altri, fra cui cristiani accusati di essere eretici o scismatici, gli Ebrei e più tardi i Musulmani. Con la Riforma, la tolleranza fu proclamata, ma fu di solito intesa solo a proprio vantaggio. Giovanni Calvino condannò Michele Serveto (1511‑1553) a morte; un altro teologo protestante, Teodoro Beza (1519‑1605), confermò questa decisione. La Pace di Augusta (1555) con la sua massima: « Cuius regio eius religio » (Lat. « colui che governa lo stato determina la sua religione »), tollerò in ogni nazione solo una confessione cristiana, come fu praticamente il caso in Inghilterra sotto il regime elisabettiano. Alcuni Battisti, Cattolici, Puritani e Quaccheri fuggirono dall'Inghilterra per cercare la libertà religiosa in Europa e nel Nord America. L'Illuminismo e la Guerra americana d'Indipendenza servirono ad incoraggiare, almeno alla lunga, una tolleranza razziale, religiosa e culturale basata sul rispetto dei diritti naturali umani. Oggi, almeno in campo religioso, la pura indifferenza a problemi di fede e a pratiche religiose può camuffarsi come autentica tolleranza. Il Concilio Vaticano II esortò tutti i cattolici a vivere e a proclamare il vangelo, ma sempre nel rispetto e nell'amore verso gli altri (GS 28, 73, 75; AG 11; DH 1). Cf Chiesa e Stato; Crociate; Diritti umani; Illuminismo; Inquisizione; Libertà religiosa; Pluralismo; Priscillianesimo.

     

    Tomismo. (inizio)

    L'insegnamento filosofico e teologico di san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274). Arricchito dal sapere enciclopedico del suo maestro e confratello domenicano sant'Alberto Magno (circa 1200‑1280), Tommaso diede forma a una quantità di intuizioni che si erano accumulate lungo i secoli, specialmente a partire da sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109). Creò una stupenda sintesi tra la fede e la ragione. Quantunque non sia stata portata a termine, la sua Summa Theologiae è il massimo lavoro di teologia medievale. Si dice che Tommaso abbia battezzato Aristotele (384‑322 a.C.) per avere mutuato dal filosofo greco tematiche come la teoria della causalità. Nello stesso tempo, Tommaso adottò anche un numero discreto di lineamenti platonici, in qualche modo connessi con l'uso ampio che fece di sant'Agostino di Ippona (354‑430) e dello pseudo Dionigi Areopagita (circa 500). Dal 1300 al 1500, gli interpreti di Tommaso, o « Tomisti » si occuparono soprattutto di opporsi allo scotismo, al nominalismo e al ritorno di un neo‑platonismo. Coi secoli XVI e XVII, siamo nell'età d'oro dei tomisti fra cui eccellono il cardinale Caietano (1469‑1534), Silvestro di Ferrara (1474‑1528), Francisco de Vitoria (circa 1485‑1546), Giovanni da san Tommaso (1589‑1644), Melchior Cano (1509‑1560), Domenico Soto (1494‑1560), Domenico Bañez (1528‑1604). Mentre il Codice di Diritto Canonico del 1917 riteneva ancora Tommaso il maestro per la filosofia e la teologia nei seminari cattolici (cf il vecchio CIC 589, 1366), il Codice del 1983 si limita a raccomandarlo come particolarmente utile (cf il nuovo CIC 252; OT 16; GE 10). Cf Agostinianismo; Aristotelismo; Cinque Vie (Le); Concilio di Trento; Locus theologicus; Molinismo; Neoplatonismo; Neotomismo; Nominalismo; Platonismo; Scolastica; Scotismo; Scuole di teologia; Summa; Trascendentali.

     

    Tonsura (Lat. « tagliare »). (inizio)

    Taglio circolare dei capelli per esprimere la separazione dal mondo e la totale donazione a Dio. Questo simbolo non si trova solo nel cristianesimo, ma anche in altre religioni, come il buddismo. Prima di conferire gli Ordini minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato), il vescovo tagliava una ciocca di capelli del candidato in forma di corona. Nel rito latino, la tonsura è stata abolita nel 1972 insieme agli Ordini minori. Però, in alcuni ordini religiosi, specialmente contemplativi, la cerimonia della tonsura è tuttora compiuta dall'Abate. Subito dopo il battesimo, nel rito bizantino, c'è la cerimonia della trichokuria (Gr. « taglio dei capelli »): i capelli sono tagliati da quattro parti del capo per indicare che il neofita è completamente donato a Dio. In Oriente, i chierici ricevono ancora la tonsura prima degli Ordini minori, come fanno i monaci quando entrano in monastero. Cf Accolito; Chierico; Esorcismo; Lettore; Monachesimo; Ordine.

     

    Torah (Ebr. « istruzione », « legge »). (inizio)

    Si chiama così la legge che Dio ha dato a Mosè (Dt 1,5; 4,44) e che è contenuta nel Pentateuco. La parola « Toràh » può anche riferirsi all'insegnamento o all'autorità dei genitori (cf Prv 1,8; 3,1; 4,2). Può significare le istruzioni date dai sacerdoti in nome di Dio (Dt 17,11; 24,8; 33,10). Può anche indicare la legge che Dio scrive nel cuore degli uomini (Ger 31,33; Mal 2,7). I Samaritani ritenevano come Bibbia soltanto il Pentateuco. Questo indica quanto l'autorità della Toràh fosse (ed è) più grande di quella dei « Profeti » e degli « Scritti » (= le altre parti della Bibbia ebraica). Cf Antico Testamento; Bibbia; Pentateuco; Sadducei.

     

    Tradizionalismo. (inizio)

    Una reazione contro il razionalismo e l'individualismo che erano stati promossi dall'Illuminismo. Il tradizionalismo fu espresso nella sua forma classica da Félicité Robert de Lamennais (1782‑1854) nei suoi quattro volumi: Essai sur l'indifférence en matière de religion (Saggio sull'indifferenza in fatto di religione). Altri che ebbero visuali simili furono: Louis de Bonald (1754‑1840), Joseph de Maistre (1753‑1821), Louis‑Eugène‑Marie Bautain (1796‑1867), Gerhard Casimir Ubaghs (1800‑1875) e Augustin Bonnetty (1798‑1879). I tradizionalisti sostenevano che una rivelazione era stata fatta all'umanità nelle sue origini e poi si era trasmessa in modo ininterrotto nella storia successiva. Questa rivelazione sarebbe la fonte autorevole delle nostre verità filosofiche, morali e religiose. De Lamennais asseriva che il consenso comune attesta infallibilmente la rivelazione delle origini. Il Concilio Vaticano I ripudiò l'affermazione dei tradizionalisti secondo cui la conoscenza di Dio può venire solo mediante la rivelazione e il nostro assenso di fede ad essa. Con la luce naturale della ragione, gli esseri umani possono anche conoscere Dio (cf DS 3004‑3005, 3026; FCC 1.061‑1.064). CfFede; Fideismo; Illuminismo; Razionalismo; Teologia naturale; Tradizione.

     

    Tradizione (Lat. « trasmissione »). (inizio)

    È il processo di tramandare (tradizione come atto) o di vivere l'eredità tramandata (tradizione come contenuto). Mediante lo Spirito Santo (il portatore invisibile della tradizione), l'intero popolo di Dio è stato coinvolto nel tramandare nella memoria, nell'esperienza, nell'espressione e nell'interpretazione l'autorivelazione fondante di Dio. Questa ha raggiunto la sua pienezza con Cristo e nella comunità del NT. « Così la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede » (DV 8). Con l'identificare e l'unificare la Chiesa, la tradizione assicura la continuità dalle sue origini al futuro. All'interno di tutto il Popolo di Dio, i vescovi e altri hanno una responsabilità speciale come agenti visibili e interpreti della tradizione. Le tradizioni particolari possono essere difettose nel comunicare il vangelo e possono aver bisogno di riforme (cf Mc 7,1‑23; 10,2‑12). Per gli Ortodossi, la tradizione, espressa soprattutto nel culto, è indispensabile per comprendere qualsiasi problema. La recezione da parte della Chiesa indica se un nuovo sviluppo è in linea con la tradizione. Cf Deposito della fede; Rivelazione; Scrittura e Tradizione; Sensus fidelium; Sola Scrittura.

     

    Trascendentali (Lat. « cose che superano »). (inizio)

    Parola usata dagli Scolastici per indicare quelle proprietà che appartengono ad un essere in quanto essere e che così « trascendono » le categorie per classificare le cose (per es., essenza, qualità, tempo e spazio). In ultima analisi, si possono elencare sei trascendentali: a) la realtà; b) l'essere; c) l'unità; d) la verità; e) la bontà; f) l'essere qualcosa. Un essere è tutto questo appunto perché esiste. San Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274) elenca solo tre trascendentali: l'unità, la verità e la bontà. Gli Scolastici ne hanno spesso aggiunto un quarto (la bellezza), ma hanno avuto la tendenza a dire che la bellezza è semplicemente il funzionamento armonioso dell'unità, della verità e della bontà. Hans Urs von Balthasar (1905‑1988) ha invece affermato la priorità del bello come prima via di Dio per attrarci in Gesù Cristo. Cf Dòxa; Filosofia trascendentale; Gloria; Scolastica; Teologia trascendentale; Trascendenza.

     

    Trascendenza (Lat. « che supera »). (inizio)

    L'alterità di Dio la cui esistenza « va oltre » l'universo e non si identifica con esso. Cf Immanenza; Incomprensibilità, Panteismo; Teologia naturale; Teologia apofatica.

     

    Transfinalizzazione (Lat. « cambiare di finalità »). (inizio)

    È un termine usato da alcuni teologi per cercare di illustrare quello che avviene nell'Eucaristia quando il pane ed il vino sono cambiati nel corpo e sangue di Cristo. Invece di fare ricorso alla terminologia di sostanza e accidenti (che si applica anche agli esseri sub‑razionali), essi vanno nel campo delle relazioni interpersonali e fanno notare come la nostra esperienza umana cambia quando qualcosa assume una finalità radicalmente nuova. Alcuni parlano anche di una trans‑significazione (Lat. « cambiamento di significato »), in quanto il pane ed il vino subiscono un profondo cambiamento di significato, esprimendo Cristo che dona se stesso a noi. Nel 1965, l'enciclica di Paolo VI Mysterium Fidei (Lat. « Mistero della fede ») avverte che queste teorie possono al massimo completare l'insegnamento tradizionale della Chiesa sulla transostanziazione, ma su alcuni punti sembrano essere in contrasto con questo insegnamento. Ci si può, infatti, chiedere: la « transfinalizzazione » e la « trans‑significazione » indicano davvero un cambiamento del pane e del vino che ci permette di confessare la presenza reale di Cristo? Cf Transostanziazione.

     

    Transustanziazione (Lat. « cambiamento di sostanza »). (inizio)

    Il cambiamento (mediante le parole della consacrazione eucaristica) della sostanza del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, mentre rimangono le specie del pane e del vino. Il Concilio Lateranense IV (1215) usò il termine « trans‑sostanziati » nella sezione eucaristica della sua professione di fede (DS 802; cf 782, 1642, 1652; FCC 7.025, 9.089, 9.140, 9.150). Al tempo della Riforma, Ulrich Zwinglio (1484‑1531) sostenne una visuale puramente simbolica dell'Eucaristia, e negò qualsiasi cambiamento. Una simile visuale era stata già anticipata da Berengario di Tours (circa 999‑1088) che respingeva la transostanziazione e negava la presenza reale (DS 700; FCC 9.088). Martin Lutero (1484‑1531) sostenne che, mentre rimangono le sostanze del pane e del vino, il corpo ed il sangue di Cristo si fanno presenti per il credente. Questa teoria è chiamata consostanziazione(Lat. « con il pane »). Nel suo insegnamento sull'Eucaristia, il Concilio di Trento ribadì la fede secondo cui, mediante la consacrazione, il pane e il vino sono transostanziati nel corpo e nel sangue di Cristo e vanno perciò adorati (DS 1651‑1654, 1356; FCC 9.149‑9.152). La Chiesa Ortodossa greca usa il termine metabolè (Gr. « cambiamento »), o metousíois (Gr. « cambiamento di essenza »), anziché il termine « transostanziazione ». Però, l'unica vera divergenza con la Chiesa Cattolica riguarda il momento della consacrazione. Cf Accidente; Concilio di Costanza; Concilio Lateranense IV; Consacrazione; Epìclesi; Eucaristia; Presenza reale; Zwinglianismo.

     

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    00 21/08/2013 17:53

    Trasfigurazione. (inizio)

    L'episodio nella vita di Cristo in cui salì su un monte (probabilmente il monte Tabor vicino a Nazaret) con Pietro, Giacomo e Giovanni e fu visto da essi radiante di gloria e in compagnia di Mosè ed Elia (Mt 17,1‑9; Mc 9,2‑10; Lc 9,28‑36; 2 Pt 1,16‑19). Mosè ed Elia rappresentavano, rispettivamente, la legge e i profeti ed entrambi avevano visto la gloria di Dio (cf Es 24,12‑18; 33,7‑23; 34,29‑35; 1 Re 19,1‑18). Nella mistica orientale, la « luce del Tabor » divenne sinonimo dell'esperienza più profonda che trasforma completamente il nostro essere dopo l'ardua salita sul monte (la nostra ascetica). Comunque, la nota predominante èera non lo sforzo indispensabile, ma la gloria di Dio sempre più grande che diviene nostra se noi lasciamo che Dio cambi il nostro essere (2 Cor 3,18). In questa assimilazione alla gloria di Dio mediante la purificazione (cf 1 Gv 3,2), il mistico bizantino san Gregorio Palamas (circa 1296‑1359) vide all'opera le energie di Dio. La festa della Trasfigurazione illumina Cristo stesso, il Figlio di Dio per natura, la cui eterna gloria rivelata attraverso la sofferenza sostiene nel tempo il pellegrinaggio cristiano in cammino verso Dio. Almeno a partire dal IV secolo, i Greci celebravano questa festa, che venne largamente adottata in Oriente verso l'anno mille. Il papa Callisto III fece della Trasfigurazione una festa della Chiesa universale per ringraziare Dio della vittoria sui Turchi a Belgrado il 6 agosto 1456. Cf Dòxa; Esicasmo; Mistica; Palamismo; Teologia.

     

    Trasmigrazione delle anime. (inizio)

    Cf Reincarnazione.

     

    Tre capitoli (I). (inizio)

    Tre autori, accusati di essere favorevoli al nestorianesimo e condannati postumi da Giustiniano I verso il 534. Egli lo fece come gesto di buona volontà verso l'opposizione monofisita contraria al Concilio di Calcedonia (451). La condanna colpì le opere e la persona di Teodoro di Mopsuestia (circa 350‑428), gli scritti che Teodoreto, vescovo di Ciro (circa 393 ‑ circa 466), aveva diretto contro san Cirillo di Alessandria (morto nel 444) e la lettera che Iba vescovo di Edessa (vescovo dal 435 al 449) aveva mandato nel 433 a Mari, vescovo di Hardascir in Persia. Sebbene fosse stato convocato a Costantinopoli nel 547, il papa Vigilio rifiutò dapprima di sottoscrivere la condanna. Nel suo Iudicatumdel 548, egli condannò le proposizioni di Teodoro, che era morto in pace con la Chiesa, solo in quanto potevano prestarsi ad una interpretazione nestoriana contro Calcedonia. Soprattutto, papa Vigilio rifiutò di acconsentire ad una condanna postuma. Quando fu convocato un concilio ecumenico, il Costantinopolitano II (553), il papa finì per firmare la condanna. Questa condanna dei « tre Capitoli » portò l'Occidente ad un grave scisma che fu sanato solo verso il 689. Per quanto infelici siano state le circostanze, questo modo insolito di censurare può comunque essere interpretato come una garanzia che non c'è nulla nella dottrina della Chiesa che possa legittimare l'errore nestoriano. Cf Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano II; Monofisismo; Nestorianesimo.

     

    Trentanove articoli (I). (inizio)

    Sono un elenco di proposizioni dottrinali adottate dalla Chiesa d'Inghilterra nel 1571. Su problemi controversi, la posizione anglicana si distingue, da una parte, dal Cattolicesimo e, dall'altra, dal Protestantesimo continentale. Questi Articoli, che si prestano spesso ad interpretazioni alquanto divergenti, rimangono una testimonianza importante della fede della Comunione anglicana. CfComunione anglicana.

     

    Trento. (inizio)

    Cf Concilio di Trento.

     

    Tre teologi (I). (inizio)

    Quelli che in Oriente sono ritenuti i teologi per eccellenza: san Giovanni Evangelista, san Gregorio Nazianzeno (329‑389) e san Simeone il nuovo teologo (949‑1022).

    a) Il Vangelo di Giovanni è una contemplazione orante della gloria di Dio rivelata e sperimentata in Cristo, Figlio di Dio (Gv 20,31). Il Vangelo di Giovanni è il più profondo dei quattro Vangeli. L'autore del quarto Vangelo è stato tradizionalmente identificato con Giovanni, figlio di Zebedeo (cf Gv 21,2) e col discepolo « che Gesù amava » (Gv 13,23; 19,26‑27; 20,2‑8; 21,7.20‑24).

    b) San Gregorio Nazianzeno partecipò al secondo concilio ecumenico, il Costantinopolitano I (381). Divenne vescovo di Costantinopoli durante il concilio, ma qualche tempo dopo rassegnò le dimissioni e si ritirò a Nazianzo, nella Cappadocia. I suoi scritti comprendono: « Cinque orazioni teologiche », in cui difese la divinità dello Spirito Santo; molti poemi e varie lettere contro l'apollinarismo.

    c) San Simeone il nuovo Teologo (949‑1022) dopo essere entrato nel monastero costantinopolitano di Studios, lasciò quella che secondo lui era una comunità di religiosi rilassati per farsi monaco e per venticinque anni fu superiore del monastero di san Mammas, esso pure a Costantinopoli. Considerato il più grande teologo mistico della Chiesa bizantina, diede un contributo originale nel modo con cui comunicò le proprie esperienze di Dio in inni e poesie basati sul tema della deificazione. CfApollinarismo; Concilio Costantinopolitano I; Deificazione; Dottore della Chiesa; Filocalìa; Padri Cappadoci; Teologia giovannea.

     

    Triduo pasquale (Lat. « tre giorni »). (inizio)

    Celebrazioni liturgiche che iniziano con la Messa vespertina del Giovedì Santo e finiscono coi Vespri della Domenica di Pasqua. La Messa del Giovedì Santo ricorda l'ultima Cena di Cristo e l'istituzione dell'Eucaristia. Il Venerdì Santo, dopo la lettura della Passione di Cristo secondo san Giovanni, si tengono preghiere speciali per il mondo intero; segue l'adorazione della Croce e la cosiddetta « Messa dei presantificati », in cui non c'è la consacrazione, ma vengono distribuite ostie già consacrate. Il Sabato Santo, dopo il tramonto del sole, si celebra la Veglia Pasquale che festeggia la risurrezione di Cristo e la nostra morte e risurrezione con lui nel battesimo. Un ufficio della luce e la benedizione del Cero pasquale introduce una serie di letture bibliche che ricapitolano l'intera storia della salvezza dalla creazione alla risurrezione. Poi, vengono battezzati i catecumeni eo l'intera comunità rinnova le promesse battesimali prima che venga celebrata l'Eucaristia. Cf Catecumeni; Messa dei Presantificati; Mistero pasquale; Risurrezione; Settimana Santa.

     

    Trinità immanente. (inizio)

    Il mistero assoluto delle tre Persone divine nella loro vita eterna. Attraverso l'economia o storia della salvezza, cominciata nell'AT e giunta a pienezza nel NT con l'incarnazione del Figlio di Dio e con l'invio dello Spirito Santo, il Dio uno e trino si è rivelato. Così, dalla Trinità « economica » possiamo risalire alla Trinità « immanente » Cf Economia; Teologia trinitaria.

    Triodion (Gr. « tre odi »). (inizio)

    Il libro del proprio delle stagioni della liturgia bizantina per l'ufficio divino dalla quarta domenica prima della Quaresima fino al Sabato Santo compreso. Durante questo periodo, normalmente si cantano a Mattutino solo tre odi o canti, anziché i soliti nove. Cf Cantillazione; Ottoeco; Quaresima.

     

    Trisagio (Gr. « tre volte santo »). (inizio)

    Un antico ritornello (« Santo Dio! Santo potente! Santo immortale! Abbi pietà di noi! ») che sottolinea la santità di Cristo, la sua potenza e immortalità contro coloro che vorrebbero attribuire la sofferenza alla sua natura divina. In affetti troviamo il primo (documentabile) uso del Trisagio nel Concilio di Calcedonia (451) che accuratamente distingue in Cristo la natura divina da quella umana, ma senza separarle (DS 302; FCC 4.012). Poi, gli avversari del Concilio, guidati a quanto pare da Pietro il Fullone (morto nel 488), « monofisita », patriarca di Antiochia, aggiunsero all'inno, dopo « Immortale », le parole: « che fosti crocifisso per noi ». I sostenitori del Concilio di Calcedonia reagirono col rivolgere il trisagio alla Trinità, anziché a Cristo. Con o senza l'aggiunta, la preghiera si trova in tutte le liturgie antiche, di solito nel rito di introduzione. Fino a tempi recenti, nel rito latino, il Trisagio era cantato in latino e in greco durante l'adorazione della croce il Venerdì Santo. Cf Aftartodocetismo; Concilio di Calcedonia; Controversia teopaschita; Monofisismo.

     

    Trullano. (inizio)

    Cf Sinodo trullano.

     

    Tubinga e le sue scuole. (inizio)

    Sono orientamenti abbastanza differenti in teologia che vennero a identificarsi con l'Università di Tubinga. Nel fondare questa Università nel 1477, il conte Eberhard di Württemberg fu aiutato dallo Scolastico Gabriele Biel (circa 1420‑1495), il cui nominalismo influì notevolmente su Martin Lutero (1483‑1546). Nel 1534‑1535, la facoltà di teologia divenne protestante. Il braccio destro di Lutero, Filippo Melantone (1497‑1560), aveva studiato a Tubinga. Qualche secolo dopo vi studiarono Giorgio Guglielmo Federico Hegel (1770‑1831) e Federico Guglielmo Giuseppe von Schelling (1775‑1854).

    Tra il 1573 e il 1581 tre teologi luterani, Jacob Andreae, Lukas Osiander e Jakob Heerbrand, come anche lo studioso greco Martin Crusius, tutti dell'università di Tubinga, mantennero una corrispondenza col patriarca ecumenico Geremia II di Costantinopoli, al quale mandarono una traduzione greca della Confessione di Augusta nel 1573‑1574. Nonostante un'accoglienza amichevole del patriarca, non fu raggiunto nessun accordo.

    All'inizio del XIX secolo, Ferdinand Christian Baur (1792‑1860) fondò una rinnovata « Scuola di Tubinga » che comprendeva Adolf Hilgenfeld (1823‑1907), Albert Schwegler (1819‑1857) e David Friedrich Strauss (1808‑1874). Applicando alla storia e alla teologia cristiana la dialettica hegeliana dello sviluppo (tesi ‑ antitesi ‑ sintesi), Baur affermò che nel cristianesimo primitivo la dialettica della corrente ebraica di Pietro e quella « gentile » di Paolo erano state sopraffatte nel secolo II dall'emergere del cattolicesimo. La scuola di Baur declinò dopo la partenza di Albrecht Ritschl (1822‑1889) e di Adolf von Harnack (1851‑1930). Una « scuola cattolica di Tubinga » emerse quando una facoltà cattolica di teologia vi si stabilì proveniete da Erlangen nel 1819. Il primo periodo annoverò personaggi importanti come Johann Sebastian Drey (1777‑1853), Johann Baptist Hirscher (1788‑1853), che andò a Friburgo nel 1837, e Johann Adam Möhler (1796‑1838). Nel secondo periodo della scuola cattolica di Tubinga incontriamo Johann Evangelist Kuhn (1806‑1887), Franz Anton Staudemeier (1800‑1856), che andò poi a Friburgo, e Karl Joseph Hefele (1809‑1893), il famoso storico dei concili e vescovo di Rottenburg. Un terzo periodo fu contraddistinto dall'insegnamento di Paul Schanz (1841‑1905), Franz Xaver Funk (1840‑1907), Karl Adam (1876‑1966) e Josef Rupert Geiselmann (1890‑1970). Mentre i programmi erano differenti, i temi comuni comprendevano il Regno di Dio, la tradizione dinamica, la Chiesa come organismo e lo studio critico della storia. Attraverso l'influsso di Johannes Michael Sailer (1751‑1832), questi teologi cattolici di Tubinga riuscirono a superare l'Illuminismo col « battezzarlo ». Dopo il Concilio Vaticano II, è difficile parlare ancora di « scuole » di Tubinga. Però tra i docenti famosi di Tubinga c'è da ricordare Joseph (poi Cardinale) Ratzinger (nato nel 1927), Hans Küng (nato nel 1928), e Walter Kasper (nato nel 1933), divenuto vescovo di Rottenburg. Tra i docenti protestanti famosi c'è da ricordare Gerhard Ebeling (nato nel 1912), Eberhard Jüngel (nato nel 1934), Ernst Käsemann (nato nel 1906) e Jürgen Moltmann (nato nel 1926). Cf Confessione di Augusta; Illuminismo; Scuole di teologia.

     

      U

     

    Ubiquità di Dio. (inizio)

    Cf Onnipresenza.

     

    Ufficio di divino (Lat. « dovere », « servizio »). (inizio)

    È la Liturgia delle Ore, o preghiere ufficiali (specialmente i Salmi), usata da presbiteri, religiosi e altri (SC 83‑101). In questa pratica cristiana, derivata dall'usanza ebraica di pregare in certe ore fisse del giorno o della notte, la Chiesa loda Dio e intercede per la salvezza del mondo. L'Ufficio divino era chiamato « opus Dei » (Lat. « lavoro di Dio ») da san Benedetto di Norcia (circa 480 ‑ circa 550). CfAcemeti; Breviario; Liturgia delle Ore.

     

    Ufficio pastorale(inizio)

    Il ministero del clero, come pastori a servizio del Popolo di Dio. Il termine può essere applicato a coloro ai quali il vescovo ha affidato un ministero particolare, come l'istruzione religiosa, la pastorale familiare, ecc. Cf Clero; Giurisdizione; Laico; Ministero.

     

    Ultramontanismo (Lat. « oltre le montagne »). (inizio)

    Nome dispregiativo usato dai Gallicani per indicare coloro che accentuavano l'autorità del papa e cercavano tutte le soluzioni « al di là delle Alpi », cioè, a Roma. Gli Ultramontani reagivano contro movimenti come il Febronianesimo, il Gallicanesimo e il Giansenismo i quali, sia pure in modi differenti, sostenevano la giurisdizione delle Chiese locali contro l'autorità centrale di Roma. Esponenti ultramontanisti furono: Joseph de Maistre (1753‑1821), Félicité Robert de Lamennais (1782‑1854) per una parte della sua vita, Louis Veuillot (1813‑1883), il cardinale Nicola Wiseman (1802‑1865), arcivescovo di Westminster, il suo successore il cardinale Enrico Edoardo Manning (1802‑1892) e William George Ward (1812‑1882). La restaurazione dei Gesuiti nel 1814, le rivoluzioni sconvolgenti del 1830 e del 1848, il lungo pontificato di Pio IX (1846‑1878) ed altri fattori portavano molti a cercare l'autorità come risposta a quasi tutti i problemi. Il movimento ultramontanista culminò con la definizione dell'infallibilità pontificia proclamata dal Concilio Vaticano I; nel 1870 (cf DS 3065‑3075; FCC 7.190‑7.199). Tuttavia i termini precisi della definizione criticavano implicitamente le esagerazioni del movimento. Con il suo insegnamento sulla collegialità di tutti i vescovi con e sotto il papa, il Concilio Vaticano II (1962‑1965) diede una visuale più equilibrata dell'autorità papale (LG 22‑25). Cf Chiesa; Concilio Vaticano I, Concilio Vaticano II; Febronianesimo; Gallicanesimo; Giansenismo; Tradizionalismo.

     

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    Coordin.
    00 21/08/2013 17:54

    Umanesimo. (inizio)

    Qualsiasi movimento che valorizzi l'intelletto, la libertà e la dignità degli esseri umani nonché la loro capacità di imparare e di migliorare l'intera loro situazione culturale. La riscoperta della cultura classica ispirò l'umanesimo del Rinascimento. I suoi « leaders » tipici, mentre erano spesso critici riguardo alla Chiesa e alla società, potevano essere devoti e religiosi: Lorenzo Valla (circa 1406‑1457), Pico della Mirandola (1463‑1494), Erasmo di Rotterdam (1469‑1536) e san Tommaso Moro (1478‑1535). Gli umanisti recenti sono stati spesso non credenti (GS 7, 56), ritenendo gli uomini assolutamente autonomi e « misura di tutte le cose ». Tuttavia, un nuovo umanesimo che cerchi responsabilmente di costruire un mondo migliore basato sulla verità e sulla giustizia (GS 55) è pienamente conciliabile con la fede cristiana. Cf Antropologia; Ateismo; Autonomia; Riforma (La).

     

    Uniati. (inizio)

    Si dà questo nome ai Ruteni che, nel Sinodo di Brest‑Litovsk nel 1596, accettarono la piena comunione con Roma. Il termine, usato spesso in senso dispregiativo, fu poi esteso agli altri cristiani orientali uniti a Roma. Gli Ortodossi considerano spesso i Cattolici di rito orientale come un ostacolo infido sulla via verso l'unica Chiesa voluta da Cristo e denunciano casi che secondo loro sono falsoproselitismo anziché reale ecumenismo. Comunque, nel dialogo teologico ufficiale con gli Ortodossi Orientali, esiste una sottocommissione riguardante i cattolici orientali di rito bizantino il cui scopo è quello di studiare questo problema del proselitismo e dell'uniatismo. I Cattolici Orientali partecipano a questo dialogo a parte piena. Cf Chiese Orientali; Cristianità armena; Maroniti; Melkiti; Proselitismo; Ruteno.

     

    Unione ipostatica(inizio)

    L'unione tra la piena divinità e umanità in una persona (divina) di Gesù Cristo. Ciò avvenne quando « il Verbo si fece carne » (Gv 1,14; cf DS 252‑263; 301‑302; FCC 4.012). Cf Apollinarismo; Arianesimo; Monofisismo; Nestorianesimo.

     

    Unitarianismo. (inizio)

    Si chiama così quella teoria che nega la divinità del Figlio e dello Spirito Santo e che confessa un rigido monoteismo ammettendo una sola persona divina. Sebbene vari dubbi siano sorti ripetutamente nella storia primitiva del cristianesimo circa la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, tuttavia l'unitarianismo è in realtà un'eresia moderna, sviluppata da Martino Cellario (1499‑1564), Michele Serveto (1511‑1553) e Fausto Socini (1539‑1604). Negli Stati Uniti, il prestigio intellettuale dell'unitarianismo provenne da personaggi come William Ellery Channing (1780‑1842), Ralph Waldo Emerson (1803‑1882) e dal riformatore della scuola di teologia di Harvard, Charles W. Eliot (1869‑1909). Gli Unitariani non hanno un credo formale. Sono calati di numero, in quanto molti sono divenuti agnostici o sono tornati alle forme principali del cristianesimo. Cf Adozionismo; Arianesimo; Monarchianismo; Monoteismo; Pneumatomachi; Socinianesimo; Subordinazionismo; Teologia trinitaria.

     

    Universali. (inizio)

    Concetti generali come rosa, casa, giustizia, creatura. Con una forma di realismo esagerato, Platone (427‑347 a.C.) affermò che le forme o idee eterne e sussistenti in un mondo più alto servono da modelli per i termini universali che noi applichiamo alle cose individuali nel nostro mondo mutevole e visibile. La visuale opposta è quella di Guglielmo di Occam (circa 1285‑1347) e di Gabriele Biel (circa 1420‑1495), secondo cui solo gli esseri singoli sono reali; i termini universali sono invece convenienze più o meno arbitrarie. Il realismo moderato di san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274) sostiene che i concetti generali esistono nella nostra mente, ma sono fondati sulla natura reale delle cose. CfFilosofia; Nominalismo; Platonismo; Tomismo.

     

    Universalismo. (inizio)

    Convinzione sorta dopo l'esilio di Babilonia secondo cui attraverso Israele la salvezza di Dio era offerta a tutte le nazioni (Is 42,6; 49,6; 52,10; cf Giona; Lc 2,30‑32; Gv 8,12). « Universalismo » si riferisce anche a quella ipotesi secondo cui alla fine tutti gli esseri umani saranno salvati. CfApocatàstasi; Inferno; Israele; Salvezza.

     

    Univocità (Lat. « una sola voce »). (inizio)

    L'essere predicato di soggetti differenti, compreso Dio, esattamente allo stesso modo. Siccome questo procedimento può comportare che non ci sia nessuna differenza essenziale tra Dio e le creature, la conseguenza verrebbe ad essere il monismo in filosofia e il panteismo in teologia. CfAnalogia; Equivocità; Monismo; Panteismo.

     

    Unzione. (inizio)

    Azione di ungere o versare olio su persone (o alle volte anche su cose) per cambiarle e stabilirle in un nuovo rapporto con Dio e con la comunità. L'AT parla di re, sacerdoti e profeti unti e perciò investiti dello Spirito di Dio (cf Es 29,22‑30; 30,25; 1 Sam 10,1; Sal 2,2; 20,7; Is 45,1). I cristiani ungono con olio gli infermi, coloro che vengono battezzati, cresimati, ordinati sacerdoti (in Occidente) o intronizzati re. Cf Confermazione; Crisma; Messia.

     

    Unzione degli infermi. (inizio)

    È il nome nuovo che ha sostituito quello di « Estrema Unzione » dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Come sacramento, richiama il servizio agli infermi del NT (cf Mc 6,13; Gc 5,14‑15) ed esprime l'intera solidarietà della Chiesa verso i malati, gli anziani e i moribondi, mettendoli in grado di attingere la guarigione spirituale e fisica dalla vittoria di Cristo sulla malattia e sulla morte (DS 1694‑1700; FCC 9.274‑9.280). In Occidente, questo sacramento è amministrato da un solo sacerdote, mentre in Oriente, da parecchi. Cf Sacramento.

     

      V

     

    Valdesi. (inizio)

    Membri di un movimento di rinnovamento che ebbe inizio nel XII secolo e finì per diventare una Chiesa con un credo calvinista. Nel 1174, un ricco mercante di Lione, Pietro Valdo (morto prima del 1219), dopo aver sentito l'invito di Cristo al giovane ricco (Mt 19,21), distribuì le sue ricchezze ai poveri e cominciò a predicare il vangelo nel Sud della Francia. Con frequenti attacchi sulla mondanità della Chiesa, Valdo e i suoi seguaci provocarono costanti urti. Dopo il fallimento del Concilio Lateranense III (1179) di riportarli all'unità, furono scomunicati nel Concilio di Verona (1184). La loro rinuncia a qualsiasi uso di violenza, il loro rifiuto di fare giuramenti (DS 913), la predicazione senza l'approvazione ufficiale della Chiesa (cf DS 809) scavarono un fosso troppo ampio per poterlo colmare. Nel 1207, Innocenzo III bandì una crociata contro gli Albigesi che colpì anche le basi dei Valdesi nel Sud della Francia. Molti Valdesi emigrarono in Spagna, Germania, Boemia, Polonia, Savoia e Piemonte. I Valdesi che ritornarono alla Chiesa Cattolica nel 1207 dovettero fare una professione di fede che riguardava i problemi discussi (cf DS 790‑797; FCC 3.009; 7.055‑7.56). I Valdesi italiani cercarono un contatto con la Riforma protestante nel Sinodo di Chanforans (1532) e adottarono la confessione di fede calvinista. Dopo il massacro di Valdesi nel 1655, pianti da John Milton nella sua poesia: « Sul recente massacro in Piemonte », alcuni comuni di montagna ottennero il permesso di praticare liberamente la loro religione. Dopo il 1848, godettero di una vera libertà politica e religiosa. Nel 1922, istituirono la loro Facoltà di teologia, proprio nelle vicinanze del Vaticano. Sono una Chiesa di circa trentamila aderenti e costituiscono in Italia il gruppo protestante più forte. Cf Calvinismo; Hussiti; Protestante; Riforma.

     

    Valentiniani. (inizio)

    Seguaci di Valentino che fondò una delle sètte gnostiche più importanti nel II secolo. Pare che sia nato in Egitto e che abbia guidato gli Gnostici di Alessandria prima di venire a Roma verso il 135. Vi stette per circa vent'anni e ad un certo punto sperò di divenire vescovo di Roma. Insegnò un sistema complicato di eoni che originariamente formavano il pleroma. Più tardi, mediante la syzigies (Siriaco « accoppiare », « unire in matrimonio »), la dèa Sophia ed uno degli eoni inferiori diedero origine al Demiurgo o creatore dell'universo, identificato con il Dio (cattivo) dell'AT. Questo sistema fu combattuto energicamente da sant'Ireneo di Lione (circa 130 ‑ circa 200) (cf anche DS 1341). CfDemiurgo; Dualismo; Gnosticismo; Marcionismo; Platonismo; Pleroma.

     

    Validità (Lat. « forte », « efficace »). (inizio)

    Termine divenuto comune nella Chiesa col Concilio di Trento (DS 1809; FCC 9.356) e col papa Benedetto XIV (1675‑1758, papa dal 1740). Riguarda le condizioni che vanno osservate perché un atto sia efficace, anche nel Diritto Canonico (cf CIC 124). I sacramenti, per esempio, oltre ad essere primariamente segni dell'amore fedele di Cristo, hanno i loro elementi essenziali e perciò possono essere validi o invalidi. Una condizione per ricevere validamente un sacramento è di essere innanzitutto battezzati (CIC 842). L'invalidità è sinonimo di nullità; un atto invalido può essere descritto come nullo e vuoto. La recezione valida di un sacramento significa il suo valore; la recezione fruttuosa significa che la grazia è impartita o accresciuta. Un cristiano che si sposa secondo le condizioni richieste dalla Chiesa, ma lo fa in stato di peccato mortale, è sposato validamente ma non ha (ancora) ricevuto la grazia del sacramento. Cf Forma del matrimonio; Grazia; Impedimenti del matrimonio; Peccato; Sacramento.

     

    Vangeli apocrifi. (inizio)

    Scritti cristiani che vanno dal II al IV secolo e che hanno l'intento di completare e di rivedere quello che dicono i vangeli canonici sulla nascita di Gesù, sulla sua vita, dottrina, morte e risurrezione. Comprendono « il Vangelo di Giacomo », « il Vangelo di Pietro », « il Vangelo di Tommaso », e « il Vangelo di Verità ». Cf Vangelo.

      

    Vangeli dell'infanzia. (inizio)

    Si chiamano così alcune opere apocrife come il Libro, o Protovangelo di Giacomo, e il Vangelo dell'infanzia di Tommaso, che inventano miracoli e altri particolari per narrare, spesso in modo fantastico, la storia della nascita e dell'infanzia di Gesù. Questi libri, non canonici, vanno distinti dai racconti dell'infanzia dei Vangeli di Matteo (1,1-2,23) e di Luca (1,5-2,52). Sebbene ci siano differenze nei particolari, Matteo e Luca sono tuttavia concordi nell'affermare che, dopo essere stato concepito verginalmente per opera dello Spirito Santo, Gesù nacque da Maria a Betlemme. La sua venuta diede compimento alla preparazione dell'AT e portò la rivelazione salvifica a tutti i popoli della terra (Mt 2,1‑12; Lc 2,30‑32). Cf Apocrifi; Concepimento verginale di Gesù; Protovangelo.

     

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    00 21/08/2013 17:55

    Vangeli Sinottici (Gr. « veduta simultanea »). (inizio)

    Sono i Vangeli di Matteo, Marco e Luca che sono spesso strettamente paralleli fra di loro come contenuto e fraseologia. Il termine viene da uno studioso protestante Jakob Johann Griesbach (1745‑1812) che pubblicò i tre Vangeli su colonne parallele in modo che si potessero cogliere con una veduta simultanea le loro grandi convergenze e le loro piccole divergenze. Per spiegare il loro ovvio rapporto letterario, la maggior parte degli studiosi contemporanei accettano la teoria delle « Due Fonti » secondo cui Marco scrisse per primo. Poi, Matteo e Luca si basarono su Marco e su una raccolta di detti di Gesù (Q o Quelle), avendo così due fonti distinte. Cf Quelle.

     

    Vangelo (Gr. Buona novella »).  (inizio)

    Il messaggio o la proclamazione che il Regno di Dio è a portata di mano (Mc 1,14‑15) e che Gesù è effettivamente rivelato come il Figlio di Dio e il nostro Salvatore mediante la sua risurrezione dai morti (Rm 1,3‑4; 1 Cor 15,1‑11). Questo lieto annuncio porta la salvezza a chiunque crede (Rm 1,16), riassume il messaggio di san Paolo (Gal 1,11) e invita al sacrificio personale (Mc 8,35; 10,29). Nel II secolo, la parola « Vangelo » divenne il titolo per indicare i quattro libri del NT che trattano dell'insegnamento, attività, morte e risurrezione di Gesù: si ha così il Vangelo secondo Matteo, il Vangelo secondo Marco, il Vangelo secondo Luca, il Vangelo secondo Giovanni. Cf Evangelismo; Vangeli apocrifi.

     

    Vaticano(inizio)

    Cf Concilio vaticano.

     

    Vecchia ortodossia protestante. (inizio)

    La fedeltà ai punti di fede cristiani che provengono dalla Scrittura e dalla Chiesa primitiva e che fu sostenuta dalle Chiese principali della Riforma nel secolo XVI e XVII. Cf Calvinismo; Luteranesimo; Neo‑ortodossia; Protestante; Riforma (La).

     

    Vecchi cattolici. (inizio)

    Quei cattolici che lasciarono la Chiesa Cattolica romana per vari problemi pur conservando parecchio della stessa tradizione. Il gruppo più importante è quello di lingua tedesca che si staccò dalla Chiesa per protestare contro i dogmi dell'infallibilità e del primato pontificio proclamati nel Vaticano I nel 1870 (DS 3050‑3075; FCC 7.176‑7.199). Questo gruppo si sentì incoraggiato a comportarsi così da un prete bavarese, storico della Chiesa, Johann Joseph Ignaz von Döllinger (1799‑1890). Nel 1889, la Chiesa giansenista di Utrecht, che si era staccata da Roma nel 1724, si unì ai Vecchi Cattolici. Nel 1932, i Vecchi Cattolici entrarono in piena comunione con la Chiesa d'Inghilterra. Cf Concilio Vaticano I; Giansenismo; Giurisdizione; Infallibilità; Papa.

     

    Vecchi credenti. (inizio)

    Quei Russi, specialmente contadini, che rifiutarono le riforme (principalmente liturgiche) di Nikon, patriarca di Mosca (1605‑1681). Scomunicati nel 1667 come Raskolniki  (= scismatici), furono perseguitati dallo Stato, specialmente sotto Pietro il Grande (1672‑1725). Il loro capo, l'arciprete Avvakum, fu bruciato sul rogo (1682). Siccome nessun vescovo si unì a loro, i Vecchi Credenti si divisero in due gruppi: quelli che cercarono di avere sacerdoti dalla loro parte e coloro che cercarono di sopravvivere senza di loro. Nel 1846, un vescovo deposto, Ambrogio di Bosnia, si unì a loro e il riconoscimento dello Stato avvenne nel 1881. Cf Calendario gregoriano.

     

    Venerazione dei santi. (inizio)

    Devozione che si manifesta verso persone defunte di santità eminente, cercando di imitarne la vita e di ottenere la loro intercessione presso Dio. I Santi sono venerati in un modo speciale dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa (UR 15), e, in una estensione minore, dalla Comunione Anglicana, in particolare a partire dal Movimento di Oxford. Gli Ebrei trassero ispirazione da grandi personaggi della storia del loro passato (Sir 44,1-50,21; cf 2 Mac 15,12‑16). Questo tema è ripreso dalla Lettera agli Ebrei che elenca molti eroi e eroine della fede (Eb 11,1-12,1). I primi cristiani veneravano la Beata Vergine Maria e i martiri. Origene (circa 185 ‑ circa 254) fu il primo a riflettere seriamente sulla devozione ai Santi. I primi non martiri venerati furono sant'Antonio Abate (circa 251‑356) e san Martino di Tours (morto nel 397). Il Concilio di Nicea II (787) contro gli iconoclasti d'Oriente, e quello di Trento (1545‑1563), contro l'iconoclasmo protestante, affermarono l'importanza di venerare i Santi. Gli altari vengono consacrati soltanto dopo che sono state fissate in essi reliquie di Santi. Nella Chiesa Orientale, la liturgia eucaristica è celebrata sull'antimension: è un pezzo di panno che contiene reliquie e che è posto sull'altare; compie una funzione analoga al corporale latino (panno inamidato su cui sono posti il calice e la patena). Cf Beatificazione; Canonizzazione; Comunione dei Santi; Concilio di Nicea II; Concilio di Trento; Iperdulìa; Martire; Miracolo; Movimento di Oxford; Pellegrinaggio; Reliquie; Santo.

     

    Verginità. (inizio)

    Uno stato di astensione dal matrimonio e dai rapporti sessuali. Fin dal tempo della Chiesa delle origini, comunità maschili e femminili hanno praticato una vita di verginità consacrata, alla sequela di Cristo, vivendo un programma di preghiera costante, servendo i bisognosi e agendo come un segno del regno finale di Dio (cf LG 42; PC 12, OT 10; CIC 604). Cf Bogomili; Castità; Catari; Celibato; Encratiti; Monachesimo; Vita religiosa.

     

    Verità. (inizio)

    Una caratteristica (a) della conoscenza, (b) dell'essere, (c) dell'attività.

      a) La conoscenza è vera quando i giudizi di uno sono logicamente coerenti e corrispondono al modo con cui sono le cose.

      b) Ogni realtà è vera, in quanto è intrinsecamente conoscibile e conosciuta da Dio.

      c) Le nostre parole e azioni sono vere quando attestiamo fedelmente ciò che noi conosciamo, viviamo secondo ciò che crediamo e troviamo le nostre teorie verificate dalle loro conseguenze pratiche.

      La parole ebraica per verità (emeth) è affine a amen e indica fedeltà vissuta. Dio è chiamato « ricco di grazia (hesed) e di fedeltà » (Es 34,6; cf Sal 117,2); è un ritornello dell'AT che riecheggia in Gv quando descrive il Verbo fatto carne « pieno di grazia e di verità » (Gv 1,14). Come perfetta rivelazione del Padre, Cristo è la verità (Gv 14,6). Il suo Santo Spirito ci « guiderà alla verità tutta intera » (Gv 16,13). I credenti sono resi liberi per « fare » la verità (Gv 3,21; 8,32). Mentre la filosofia intende la verità come una proprietà (della conoscenza, della realtà e dell'attività), il NT intende la verità in un modo profondamente personale che riguarda Cristo, lo Spirito Santo e i credenti. Cf Hesed; Rivelazione; Spirito Santo; Trascendentali.

     

    Vescovo (Gr. « epìskopos », « ispettore »). (inizio)

    Uno che è stato ordinato nella pienezza del sacerdozio e che ha l'incarico di guidare una Chiesa particolare, o diocesi, con l'insegnamento, la cura pastorale e il ministero liturgico. Come successore degli Apostoli, condivide con l'intero corpo o collegio dei vescovi la responsabilità dell'intera Chiesa (cf LG 22‑23). Conferisce i sacri Ordini, e, in Occidente, è il ministro ordinario della Confermazione; la benedizione degli olii sacri è a lui riservata (cf CIC 375‑430) Cf Cattedra; Collegialità; Conferenza episcopale; Diocesi; Giurisdizione; Ordinario; Sacramento; Successione apostolica.

     

    Vespri (Lat. « stella della sera »). (inizio)

    Canto o preghiera della sera nella Liturgia delle Ore. Nella riforma del 1970, i Vespri di rito latino hanno la seguente struttura:

      a) un versetto introduttorio;

      b) un inno che corrisponde al giorno, o alla festa o al periodo liturgico;

      c) tre salmi, uno dei quali è sostituito alle volte da un cantico biblico;

      d) una breve lettura tolta dalla Scrittura;

      e) un breve inno responsoriale;

      f) il Cantico di Maria, ossia il Magnificat (Lc 1,46‑55);

      g) le Intercessioni, seguite dal Padre nostro e dalla Colletta del giorno;

      h) la benedizione finale.

      Nel rito bizantino, la preghiera della sera è chiamata hesperinos (Gr. « preghiera della sera »). Durante la Quaresima, serve da introduzione per la Messa dei Presantificati. Cf Liturgia delle Ore; Lodi; Messa dei Presantificati.

     

    Vestigia trinitatis  (inizio)

    (Lat. « impronte, tracce della Trinità »).

    Accenni dell'essere tripersonale di Dio che si possono trovare nel mondo creato, specialmente negli esseri umani. Sant'Agostino di Ippona (354‑430) vide la Trinità rispecchiata nella memoria, nell'intelletto e nella volontà dell'essere umano. Altre tracce della Trinità possono essere l'« Io ‑ Tu Noi » dei rapporti interpersonali, la struttura della famiglia: padre ‑ madre ‑ figlio e la ricerca umana per la pienezza di vita, di significato e di amore. Cf Analogia; Creazione; Gloria; Immagine di Dio; Teologia naturale; Teologia trinitaria.

     

    Via affirmationis, negationis, eminentiae  (inizio)

    (Lat « via di affermazione, via di negazione, via di eminenza »).

    Queste tre regole per parlare analogicamente di Dio sono state formulate in modo classico da san Tommaso d'Aquino (circa 1225‑1274). La nostra esperienza della bontà umana, per esempio, ci permette di parlare della bontà di Dio. D'altra parte, Dio non è buono nel modo limitato con cui si dicono buoni gli esseri umani. Infine, Dio essendo la bontà infinita, è buono in un modo eminente che trascende la nostra comprensione e il nostro linguaggio. Cf Analogia; Cinque vie (Le); Teologia apofatica; Teologia catafatica; Teologia negativa; Trascendenza.

     

    Viatico (Lat. « cibo per il viaggio »). (inizio)

    La Santa Comunione data a coloro che sono in pericolo di morte per prepararli alla vita futura. La legge ecclesiastica elimina ogni restrizione per i cristiani che sono in punto di morte affinché possano confessare i loro peccati e ricevere l'Eucaristia (cf CIC 566, 844, 865, 867, 883, 913, 921, 961). CfEucaristia.

     

    Vienne. Cf Concilio di Vienne. (inizio)

     

    Virtù (Lat. « forza »). (inizio)

    È l'atteggiamento di comportamento buono che rende capaci di fare ciò che è bene con facilità, piacere e coerenza. L'opposto è il vizio, ossia l'inclinazione abituale a fare il male. Cf Abito; Castità; Etica; Opzione fondamentale; Personalismo; Teologia morale.

     

    Virtù cardinali (Lat. « cardine »). (inizio)

    Sono la prudenza, temperanza, fortezza e giustizia che insieme sostengono l'intera struttura della vita morale. Cf Giustizia; Prudenza; Temperanza; Teologia morale.

     

    Virtù della penitenza (Lat. « pentimento »). (inizio)

    Il desiderio reale di abbandonare il peccato e di orientarsi nuovamente verso Dio. Cf Attrizione; Contrizione; Conversione; Metànoia.

     

    Virtù eroiche. (inizio)

    Si tratta della pratica delle virtù cristiane in un grado straordinario. Un simile eroismo è caratterizzato dalla carità, dall'umiltà e dalla sopportazione delle difficoltà per lunghi periodi. Perché uno venga beatificato e canonizzato, bisogna dimostrare che ha praticato le virtù in un modo superiore alla norma comune. I martiri formano l'unica eccezione, in quanto la natura eroica della loro morte pone l'intera loro vita in una prospettiva nuova. Cf Beatificazione; Canonizzazione; Martire; Santità; Virtù.

     

    Virtù teologali. (inizio)

    Sono la fede, la speranza e l'amore che sono diretti immediatamente verso Dio come Bene infinitamente verace e amabile e al quale possiamo affidare l'intera nostra vita e quella futura (1 Cor 13,13; Gal 5,5‑6; Col 1,4‑5; 1 Ts 1,3; 5,8; DS 1530‑1531; FCC 8.063‑8.064 DV 5). Cf Agàpe; Amore; Fede; Speranza.

     

    Visione beatifica. (inizio)

    È la visione immediata di Dio in cielo, che costituisce il nucleo della felicità eterna degli eletti (cf DS 1000‑1002; 1304‑1306; FCC 0.016‑0.018, 0.022‑0.024). Cf Cielo; Luce di gloria; Palamismo.

     

    Visioni. (inizio)

    Esperienze insolite in cui si manifestano esseri dell'altro mondo e che possono essere allucinazioni puramente soggettive o invece genuine comunicazioni di Dio (Is 6,1‑5; Lc 24,23; At 7,31; 10,17.19; 11,5; 12,9; 16,9‑10; 2 Cor 12,1‑4). La Chiesa gerarchica ha ritenuto degne di essere credute solo poche apparizioni di Maria, come quelle al beato Juan Diego, un contadino azteco, a Guadalupe, in Messico (1531), a santa Caterina Labouré, Parigi (1830), a La Salette, Francia (1846), a Bernardetta Soubirous a Lourdes (Francia) (1858), e a Lucia, Francesco e Giacinta a Fatima, Portogallo (1917). Le visioni possono essere corporee, quando si vede qualcosa; immaginative, quando l'immaginazione interiore è colpita (mentre non lo sono i sensi esterni); intellettive, quando il veggente riceve una percezione subitanea e non mediata delle verità divine. Le visioni autentiche non possono mai aggiungere un « nuovo » contenuto al deposito della fede. Esse non fanno che ricordare ai cristiani ciò che è già stato rivelato in Cristo e danno un incoraggiamento pratico ad una riforma morale e spirituale. Presunte visioni che, almeno a lungo andare, non producono « i frutti dello Spirito » (Gal 5,22‑23; cf Mt 7,15‑20) sono, proprio per questo motivo, fortemente sospette. Cf Apparizioni del Signore risorto; Deposito della fede; Mistica; Rivelazione.

     

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    00 21/08/2013 17:56

    Visita ad limina (Lat. « al limine »). (inizio)

    È la visita che i vescovi sono tenuti a fare al Papa per rendere conto della situazione delle loro diocesi (cf CIC, can. 395). Cf Collegialità; Diocesi; Papa; Vescovo.

     

    Vita dopo morte. (inizio)

    È l'esistenza cosciente e personale degli esseri umani che, per la potenza di Dio, continua dopo che sono morti biologicamente. Il Magistero insegna che la sorte definitiva degli esseri umani è il cielo o l'inferno, ma non è possibile specificare dettagliatamente come sia questa vita dopo la morte. I racconti di quanti sono tornati in vita dopo che erano stati creduti morti non sono affidabili per darci qualche informazione al riguardo. Queste persone si sono avvicinate alla morte, ma non sono ritornate in vita dopo essere state veramente morte e avere sperimentato la vita dell'al di là. CfAnima; Cielo; Eternità; Giudizio universale; Inferno; Limbo; Purgatorio; Risurrezione; Visione beatifica.

     

    Vita religiosa. (inizio)

    Una forma di esistenza cristiana che pratica i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza e conduce una vita comune sotto la guida di un superiore. Si comincia con un periodo di noviziato e poi i voti regolano lo stile di vita. In Occidente, le forme approvate di vita religiosa comprendono gli ordini monastici (come i Benedettini, i Certosini e i Cistercensi), i canonici regolari (come i Premonstratensi, fondati da san Norberto nel XII secolo), i mendicanti (come i Francescani e i Domenicani, fondati nel XIII secolo), i chierici regolari (come i Gesuiti e i Teatini, fondati nel XVI secolo). Gli Istituti di vita consacrata fondati in tempi più recenti si chiamano Congregazioni se i loro membri pronunciano soltanto voti semplici (a differenza degli Ordini che fanno voti solenni). La vita religiosa è composta di laici non ordinati e di chierici ordinati. Il Concilio Vaticano II insegnò:

      a) che tutti i battezzati sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e della perfezione dell'amore (LG 39‑42) e

      b) che i religiosi abbracciano il loro stile di vita per consacrarsi con maggior libertà all'amore e al servizio di Dio e del prossimo (LG 43‑47; PC 1).

      Il Concilio chiese anche un aggiornamento degli Istituti religiosi col ritorno allo spirito genuino dei loro fondatori (cf PC 2; CIC 573‑709). Gli « Istituti secolari » sono associazioni di laici, di sacerdoti, o di laici e sacerdoti sorti a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Sono una forma di vita cristiana consacrata, non, però, di vita religiosa (CIC 710‑730). Fra i risultati durevoli del Movimento di Oxford, c'è stata la rinascita della vita religiosa nelle comunità anglicane. Simili rinascite si sono avute tra i Protestanti, come la Christusbruderschaft in Germania e la comunità ecumenica di Taizé. CfAnacoretismo; Castità; Celibato; Cenobiti; Consigli evangelici; Eremita; Monachesimo; Movimento di Oxford; Obbedienza; Perfezione; Povertà; Voto.

     

    Volgata. (inizio)

    Questo nome deriva da vulgata editio (Lat. « edizione popolare ») e si riferisce alla traduzione latina più diffusa della Bibbia. Quando si sentì a Roma la necessità di una traduzione comune, san Girolamo (circa 340‑420) intraprese di rivedere alcune traduzioni latine del NT già esistenti. Costretto a lasciare Roma, Girolamo imparò l'ebraico e cominciò a tradurre anche l'AT. Verso il 404, egli terminò di tradurre (o di rivedere le traduzioni esistenti) l'intera Bibbia. Nel 1546, il Concilio di Trento dichiarò che la Volgata era la traduzione autentica della Bibbia (cf DS 1506; FCC 2.009). Un'edizione riveduta del testo fu pubblicata sotto Sisto V (1590) e un'altra revisione avvenne sotto Clemente VIII (1592). Nel 1908, fu cominciata una nuova edizione dell'intera Volgata, ma terminerà adesso con un'edizione riveduta soltanto dell'AT. Negli anni 1965‑1978 un'apposita Commissione Pontifica ha pubblicato unaNova Vulgata, Neo‑Volgata, che diventerà il testo biblico ufficiale delle Chiese. Cf Bibbia.

     

    Volontà di Dio. (inizio)

    Il principio supremo che deve guidare l'intera vita degli esseri umani (Mt 6,10; cf 6,33). Basata sull'infinita sapienza e bontà di Dio, la volontà divina è un progetto personale di amore per tutti gli esseri umani e mira a portarli alla loro piena e finale felicità. Non sempre facile da discernere nella pratica, la volontà di Dio può alle volte chiedere sacrifici dolorosi (Mc 14,35‑36). Cf Coscienza; Decalogo; Discernimento degli spiriti; Perfezione; Provvidenza; Santità; Teologia morale.

     

    Volontarismo (Lat. « volontà »). (inizio)

    Qualsiasi teoria che sottolinei la volontà a spese dell'intelletto. La discussione seria del volontarismo fu lanciata da Platone (427‑347 a.C.) nel dialogo Euthyphro quando Socrate pose la questione: « Gli dèi amano la legge perché è santa, o la legge è santa perché gli dèi l'amano? ». Il volontarismo afferma la seconda alternativa. Per i sistemi volontaristi, la volontà di Dio o le preferenze dell'agente morale hanno avuto la tendenza ad essere decisive nello stabilire i valori morali. Il volontarismo ha avuto un ruolo anche nella metafisica: per esempio, nello scotismo e nel nominalismo. Cf Etica; Metafisica; Nominalismo; Scotismo; Teologia morale.

     

    Voto. (inizio)

    È una promessa fatta liberamente da un adulto di compiere una cosa che di per sé non è richiesta dai comandamenti di Dio, né dai precetti della Chiesa, né da altri obblighi. L'adempimento dei voti cade sotto la virtù della religione (cf CIC 1191‑1198). Nell'AT, esisteva già la pratica di fare dei voti (Lv 27,1‑33; Dt 23,22‑24; 1 Sam 1,11), alle volte con tragiche conseguenze (Gdc 11,30‑40). Questa prassi continuò nel NT (At 21,23‑26). I voti possono essere privati o pubblici. Sono pubblici se vengono pronunciati alla presenza di testimoni, com'è il caso dei primi voti, semplici (non solenni) emessi dai membri di Istituti religiosi subito dopo il noviziato. Se questi voti pubblici legano per tutta la vita, si chiamano voti perpetui. Se impegnano solo per un certo periodo di tempo, dopo di che possono essere rinnovati, si chiamano voti temporanei. I voti perpetui solenni comportano maggiori esigenze per chi li pronuncia; sono riconosciuti tali dall'autorità competente della Chiesa e solo l'autorità pontificia può concedere la dispensa. Cf Castità; Novizio; Obbedienza; Povertà; Vita religiosa.

     

      Y

     

    Yom kippur (Ebr. « Giorno dell'espiazione »). (inizio)

    L'unico giorno obbligatorio di digiuno, celebrato in settembreottobre (Lv 16,1‑34; Nm 29,7‑11). Per espiare i peccati d'Israele, un rito elaborato veniva celebrato nel Tempio. Le osservanze di quel giorno sono ora regolate dalla Mishnah. La Lettera agli Ebrei ricorre alle immagini dello Yom Kippurper esprimere il significato della redenzione e specialmente il fatto che Cristo, essendo una volta per sempre morto per i nostri peccati, li ha espiati e così ha reso superflua l'intera cerimonia dello Yom Kippur (Eb 9,6‑10,18). Cf Espiazione; Mishnah; Riscatto; Tempio.

     

      Z

     

    Zeloti. (inizio)

    Combattenti contro i Romani per la libertà giudaica all'inizio del I secolo d.C. e poi durante la guerra che portò alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Non è certo che gli Zeloti fossero attivi al tempo di Gesù. Il soprannome « Zelota » dato a Simone, uno dei dodici (Lc 6,15), si riferiva probabilmente soltanto al suo zelo religioso (cf Gv 2,17; Gal 1,14). Cf Farisei; Sadducei; Scribi.

     

    Zen (Sanscrito « meditazione »). (inizio)

    Una forma di meditazione fiorente nel contesto del buddismo. Cominciò a quanto pare con Bodhidharma, un monaco indiano residente in Cina. Lo zen è ora principalmente associato col Giappone. Comprende varie pratiche come la cerimonia della bevuta di tè e l'arte del tiro con l'arco. Sono modi per raggiungere la pace dell'anima col « perdersi » nelle cose. Molti cristiani come i gesuiti William Johnston (nato nel 1925) e Makibi Enomiya (Ugo Lassalle, 1898‑1990) hanno cercato di mostrare come lo zen sia un metodo (senza il credo buddista) conciliabile col cristianesimo. Una lettera della Congregazione della Fede nel 1989, mentre riconosceva che lo zen può favorire la meditazione cristiana, metteva però in guardia contro i pericoli e gli abusi. Cf Buddismo; Contemplazione; Meditazione; Preghiera.

     

    Zwinglianismo. (inizio)

    Un movimento all'interno della Riforma protestante, iniziato da Ulrico (o Huldreich) Zwinglio (1484‑1531) con la sua riforma nella città di Zurigo. Rifiutando l'autorità del papa, la messa come sacrificio, l'invocazione dei santi e il celibato dei preti, egli cercò di stabilire a Zurigo una teocrazia. La sua interpretazione dell'Eucaristia intesa come presenza puramente simbolica lo portò ad una disputa infruttuosa con Martin Lutero (1483‑1546) a Marburgo nel 1529. Zwinglio richiamò l'attenzione cristiana sul fatto che l'Eucarestia è anche un pasto comunitario (cf DS 1635‑1661; FCC 9.132‑9.159). Morì portando la bandiera nella guerra di Zurigo contro i cantoni cattolici. Cf Calvinismo; Luteranesimo; Presenza reale; Protestante; Riforma (La); Teocrazia; Transostanziazione.   

     

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