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LA NOTTE OSCURA (s.Giovanni della Croce)

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    00 02/08/2013 17:17
    L'opera più celebre di Giovanni della Croce commenta i versi intitolati "En una noche oscura", che il carmelitano ha composto durante i nove mesi trascorsi nel carcere del convento di Toledo.

    È qui che Giovanni della Croce matura l'esperienza della notte. Notte dei sensi e dello spirito, momento di travaglio, sofferenza, dubbio, senso di solitudine e d'abbandono da parte di Dio, questa "oscurità" è voluta da Lui per purificare l'anima dall'ignoranza e liberarla dagli attaccamenti ad affetti, persone e cose, che le impediscono lo slancio verso l'alto e l'unione amorosa con Lui.
    "Viaggio" nell'anima e nella spiritualità di Giovanni della Croce, capolavoro senza tempo della letteratura mistica, "Notte oscura" è un classico della spiritualità tradotto in modo da renderlo quanto più possibile vicino alla sensibilità del lettore odierno.
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    00 02/08/2013 17:18

    Notte Oscura

    Spiegazione delle strofe che mostrano come l’anima debba comportarsi nel cammino spirituale per arrivare alla perfetta unione d’amore con Dio, quale è possibile raggiungere in questa vita. In queste strofe vengono, altresì, esposte le proprietà di colui che ha raggiunto tale perfezione. Tutto questo è a firma di fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo, autore tra l’altro delle suddette strofe.

    PROLOGO AL LETTORE

    In questo libro vengono innanzi tutto riportate le strofe che intendo esporre. In seguito verrà spiegata ogni singola strofa, posta prima del suo commento; dopo verranno spiegati i singoli versi, sempre citandoli prima. Nelle prime due strofe si descrivono gli effetti delle due purificazioni spirituali, rispettivamente della parte sensitiva e di quella spirituale dell’uomo. Nelle altre sei si illustrano i diversi e meravigliosi effetti dell’illuminazione spirituale e dell’unione d’amore con Dio.

    STROFE DELL’ANIMA

    1. In una notte oscura,

    con ansie, dal mio amor tutta infiammata,

    oh, sorte fortunata!,

    uscii, né fui notata,

    stando la mia casa al sonno abbandonata.

    2. Al buio e più sicura,

    per la segreta scala, travestita,

    oh, sorte fortunata!,

    al buio e ben celata,

    stando la mia casa al sonno abbandonata.

    3. Nella gioiosa notte,

    in segreto, senza esser veduta,

    senza veder cosa,

    né altra luce o guida avea

    fuor quella che in cuor mi ardea.

    4. E questa mi guidava,

    più sicura del sole a mezzogiorno,

    là dove mi aspettava

    chi ben io conoscea,

    in un luogo ove nessuno si vedea.

    5. Notte che mi guidasti,

    oh, notte più dell’alba compiacente!

    Oh, notte che riunisti

    l’Amato con l’amata,

    amata nell’Amato trasformata!

    6. Sul mio petto fiorito,

    che intatto sol per lui tenea serbato,

    là si posò addormentato

    ed io lo accarezzavo,

    e la chioma dei cedri ei ventilava.

    7. La brezza d’alte cime,

    allor che i suoi capelli discioglievo,

    con la sua mano leggera

    il collo mio feriva

    e tutti i sensi mie in estasi rapiva.

    8. Là giacqui, mi dimenticai,

    il volto sull’Amato reclinai,

    tutto finì e posai,

    lasciando ogni pensier

    tra i gigli perdersi obliato.

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    00 02/08/2013 17:19
    Inizia la spiegazione delle strofe che mostrano in qual modo l’anima debba percorrere il cammino dell’unione d’amore con Dio, spiegazione composta dal padre fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo.
    Prima di cominciare la spiegazione di queste strofe è opportuno ricordare che l’anima le recita quando è già pervenuta allo stato di perfezione, cioè all’unione d’amore con Dio. Essa ha già superato le dure e tormentate prove interiori poste lungo la via stretta che conduce alla vita eterna, di cui parla il Signore nel vangelo (Mt 7.14) e attraverso cui abitualmente essa passa per giungere alla sublime e felice unione con Dio. Poiché questa via è così stretta e così pochi sono quelli che la percorrono, come dice ancora il Signore (Mt 7,14), l’anima deve considerare una sorte davvero fortunata l’essere pervenuta per mezzo di essa alla suddetta perfezione d’amore. Ciò è quanto canta in questa prima strofa, chiamando molto appropriatamente notte oscura questa via angusta, come spiegherò più avanti nei singoli versi della strofa. L’anima, dunque, tutta contenta di essere passata per questa via stretta e di aver ottenuto tanto bene, si esprime nel modo che segue.
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    00 02/08/2013 17:20
    LIBRO I Ove si tratta della notte dei sensi.
    Strofa
    In una notte oscura,
    con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
    oh, sorte fortunata!,
    uscii, né fui notata,
    stando la mia casa al sonno abbandonata.
    Spiegazione
    1. In questa prima strofa l’anima racconta in che modo si è dovuta distaccare affettivamente da se stessa e da tutte le cose, cioè come abbia dovuto praticare una radicale rinuncia per morire a queste cose e a se stessa. Solo così è riuscita a vivere una vita d’amore con Dio, piena di dolcezze e delizie spirituali. Afferma, altresì, che tale distacco è stato una notte oscura, termine che qui si riferisce alla contemplazione purificante. Mediante questa, come dirò più avanti, si opera passivamente nell’anima la suddetta rinuncia a se stessa e a tutte le cose.
    2. Se ha potuto operare il distacco – tiene a precisare –, lo ha fatto con la forza e la veemenza dell’amore che lo Sposo le ha concesso in questa contemplazione oscura. In tutto ciò riconosce la felice sorte, che le è toccata, di arrivare a Dio attraverso questa notte con così grande fortuna, che nessuno dei tre nemici, cioè il mondo, il demonio e la carne, che ostacolano sempre il cammino, ha potuto impedirle di avanzare. Difatti la notte della contemplazione purificante ha assopito e addormentato nella casa della sua sensibilità tutte le passioni e le tendenze che le erano contrarie. Per questo il verso dice: In una notte oscura.
    CAPITOLO 1
    Ove si comincia a parlare delle imperfezioni dei principianti.
    1. L’anima comincia a entrare in questa notte oscura quando Dio la fa uscire dallo stato dei principianti, cioè di coloro che si servono ancora della meditazione nel cammino spirituale, e la trasferisce gradatamente in quello dei proficienti, cioè quella dei contemplativi. Superato questo stadio, la conduce allo stato dei perfetti, che è quello dell’unione con Dio. Al fine di chiarire e meglio comprendere che notte sia quella che l’anima deve attraversare e per quale motivo il Signore ve la ponga, è opportuno prima d’ogni cosa accennare ad alcune imperfezioni dei principianti. Lo farò molto rapidamente, ma non per questo ciò sarà inutile agli stessi principianti. Difatti, anche in questo modo, essi potranno comprendere lo stato di vita in cui giacciono, per poi sentirsi spinti a desiderare che Dio li faccia entrare in questa notte, dove l’anima si fortifica attraverso l’esercizio delle virtù e gusta le inestimabili delizie dell’amore di Dio. Se mi dilungherò un po’, non sarà più di quanto basti per poter trattare subito dopo della notte oscura.
    2. Occorre quindi sapere che quando l’anima si decide a servire solo Dio, abitualmente viene da lui nutrita nello spirito e diventa l’oggetto delle sue compiacenze, come fa una madre amorosa verso il suo tenero bambino: lo scalda con il calore del suo seno, lo nutre con latte gustoso e con cibi delicati e dolci, lo porta in braccio e lo copre di carezze. Ma a mano a mano che cresce, la madre diminuisce le carezze, gli nasconde il suo amore tenero, lo distacca dal suo dolce seno, sul quale pone aloe amaro; facendo poi discendere il bambino dalle braccia, lo fa camminare sulle sue gambe, perché superi le limitazioni proprie dell’infanzia e acquisti le caratteristiche dell’uomo adulto. La grazia di Dio, come madre amorosa, si comporta allo stesso modo con l’anima dal momento in cui la rigenera con l’ardente desiderio di servire il Signore. Le fa trovare, senza alcuna fatica, la dolcezza e il sapore del latte spirituale in tutte le cose di Dio e gustare una gioia grande negli esercizi spirituali; in breve, il Signore le porge il suo petto amoroso come a un bambino piccolo (cfr. 1Pt 2,2-3).
    3. Così l’anima prova grande gioia nel trascorrere lunghi periodi e addirittura notti intere in orazione; ha piacere di darsi alle penitenze, è contenta di digiunare, si consola nel frequentare i sacramenti e occuparsi delle cose divine. Ma nonostante si dedichi a queste pratiche con impegno e assiduamente, ne approfitti e se ne serva con la più grande cura, tuttavia, da un punto di vista spirituale, abitualmente si comporta con molta fiacchezza e imperfezione. Difatti è spinta a queste pratiche ed esercizi spirituali dalla consolazione e dal gusto che vi prova e, non essendo ancora temprata dagli esercizi di una dura lotta per acquistare la virtù, commette molte mancanze e imperfezioni in queste pie pratiche. In realtà, ogni anima agisce secondo il grado di perfezione che possiede. Ma poiché non ha avuto modo di acquisire delle abitudini forti, necessariamente si comporterà con la debolezza di un esile bambino. Bisogna esporre con più chiarezza questa verità e mostrare come siano imperfetti nella virtù i principianti che agiscono con la facilità e il gusto sopra descritti. A tale scopo parlerò dei sette vizi capitali, enumerando alcune delle molte imperfezioni che i principianti commettono in ciascuno di essi. In questo modo si potrà chiaramente constatare quanto si comportino da bambini. Si potranno, altresì, notare i vantaggi che apporta la notte oscura, di cui parlerò tra poco, perché libera e purifica l’anima da tutte queste imperfezioni.
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    00 02/08/2013 17:20
    CAPITOLO 2
    Ove si parla di alcune imperfezioni spirituali proprie dei principianti relativamente alla superbia.
    1. I principianti, proprio perché agli inizi, si sentono pieni di fervore e sono molto diligenti nelle cose spirituali e negli esercizi di pietà. Ora, anche se è vero che le cose sante di per sé inclinano all’umiltà, tuttavia lo stato imperfetto dei principianti provoca in essi un certo orgoglio segreto che li induce a qualche soddisfazione per le loro azioni e per se stessi. Di qui nasce in loro una certa vanità, talora molto grande, di parlare delle cose spirituali in presenza di altri e, a volte, di voler loro insegnare più che essere disposti a imparare. Inoltre, in cuor loro, condannano gli altri quando non vedono in essi quella forma di devozione che vorrebbero praticassero. Capita anche che glielo dicano apertamente, come il fariseo che si vantava ringraziando Dio per le proprie opere, ma disprezzava il pubblicano (cfr. Lc 18,11-12).
    2. Tuttavia, molto spesso è il demonio che accresce nei principianti il fervore e il desiderio d’intraprendere queste e altre opere, perché aumentino in superbia e presunzione. Sa molto bene, infatti, che tutte queste opere e questi atti di virtù, che i principianti compiono, non solo non valgono nulla, ma si trasformano in vizi. Alcuni arrivano a tale distorsione da non volere che nessuno, all’infuori di loro, venga reputato buono. Così, all’occasione, li si vede parlare e agire per condannare e denigrare, osservando la pagliuzza nell’occhio del proprio fratello, mentre non si accorgono della trave che hanno nel proprio (Mt 7,3); filtrano il moscerino dell’altro e ingoiano il proprio cammello (Mt 23,24).
    3. A volte addirittura, quando i loro maestri spirituali, cioè i confessori e i superiori, non approvano il loro spirito e modo di agire, poiché vogliono che il loro operato venga stimato e lodato, dichiarano di non essere compresi: non considerano quelli come uomini spirituali, perché non approvano il loro comportamento e non vi accondiscendono. Maturano così il desiderio di avere un’altra guida e cercano di trovarne una che si adatti ai loro gusti. Di solito, infatti, cercano qualche persona disposta a lodare e stimare il loro operato. Fuggono, invece, come la peste quelle persone che demoliscono tale operato per rimetterli nel giusto cammino. A volte addirittura le prendono in antipatia. Nella loro presunzione sono soliti fare molti propositi e mantenerne pochi. Sentono il desiderio che altri conoscano il loro genere di spiritualità e la loro devozione, e a tale scopo ostentano gesti, emettono sospiri, assumono strani atteggiamenti. Talora hanno rapimenti, in pubblico preferibilmente che in privato, aiutati in questo dal demonio. Si compiacciono quando questi fenomeni, che ardentemente desiderano avere, sono conosciuti da tutti.
    4. Molti vogliono essere preferiti dal confessore e così nascono mille invidie e inquietudini. Si sentono imbarazzati a dire i propri peccati in maniera nuda e semplice per paura che il confessore li stimi meno, e cercano di colorarli perché non appaiano tanto brutti; in breve, s’industriano a scusarsi più che ad accusarsi. A volte cercano un altro confessore per accusare quanto hanno di grave, perché il confessore ordinario non pensi che hanno commesso qualcosa di male, ma conosca solo il bene. Così sono contenti di raccontargli solo le cose buone e spesso in termini esagerati o quanto meno con l’intenzione che le loro opere siano ritenute buone. Ma, come dirò più avanti, sarebbe più umile non parlare di tali opere, anzi desiderare che né il confessore né altri le stimino affatto.
    5. Inoltre alcuni di questi principianti considerano poca cosa le loro mancanze, mentre altre volte si rattristano troppo quando le commettono. Pensano che dovrebbero essere già dei santi e se la prendono con se stessi o s’impazientiscono, il che è una vera e propria imperfezione. Chiedono a Dio con viva insistenza di liberarli dalle loro imperfezioni e dalle loro mancanze, ma, più che per amor suo, per poter stare in pace senza il fastidio che esse procurano. Non si accorgono che, se Dio li esaudisse, forse diventerebbero più superbi e presuntuosi. Odiano elogiare gli altri, mentre amano essere lodati e a volte persino lo pretendono; sono simili alle vergini stolte che, avendo le lampade spente, volevano l’olio delle altre (Mt 25,8).
    6. Alcuni cadono in molte e più gravi imperfezioni o arrivano persino a commettere molti peccati. Per gli uni, il male è più o meno grande; altri non ne subiscono che i primi moti o poco più. Rari sono i principianti che al tempo dei primi fervori non cadono in simili imperfezioni. Quelli, invece, che in questo periodo seguono il cammino della perfezione agiscono in tutt’altra maniera e con uno spirito molto diverso. Difatti compiono progressi nell’umiltà e vi si consolidano molto, non solo considerando un nulla le loro opere, ma sentendosi altresì poco soddisfatti di se stessi. Ritengono migliori tutti gli altri e provano per essi una santa invidia, desiderosi di servire Dio come loro. Più il loro fervore è grande, più opere buone compiono provando in esse una viva gioia, dal momento che si tengono nell’umiltà; più riconoscono, altresì, l’onore e la gloria che spettano a Dio e quanto poco fanno per lui. Per questo motivo, più lavorano per la sua gloria, più si sentono insoddisfatti. È così intensa la carità e grande l’amore per il Signore che tutto ciò che fanno per lui è nulla in confronto a quanto vorrebbero fare. Tale sollecitudine d’amore li spinge, li preoccupa e li inebria talmente che non si accorgono se gli altri fanno o non fanno; e se vi pongono attenzione, sono convinti che tutti gli altri siano migliori di loro. Stimando poco se stessi, desiderano che anche gli altri non li stimino e non considerino, anzi disprezzino le loro opere. Ma c’è di più: ogni volta che qualcuno li loda o dimostra stima, non gli credono affatto e sembra ad essi davvero strano che si dica bene di loro.
    7. Costoro, nella massima serenità e umiltà, desiderano vivamente che s’insegni loro tutto ciò che può essere utile. Si comportano molto diversamente dai principianti, di cui sopra, che vorrebbero insegnare a tutto il mondo; anzi, quando s’accorgono che qualcuno vuole insegnare loro qualcosa, prendono subito la parola come se sapessero già quel che si andrà a dire. Le persone umili, invece, non si sentono maestre di nessuno; vanno spedite per la loro strada e sono totalmente disposte a imboccarne un’altra se qualcuno glielo comanda, perché pensano di non riuscire mai in nulla. Sono contente quando vengono lodati gli altri e si rammaricano solo di non servire Dio come loro. Non desiderano parlare delle loro cose, perché le stimano poco, e hanno ritegno persino a dirle al loro direttore spirituale, convinte che non siano meritevoli d’essere riferite. Amano parlare delle loro mancanze e dei loro peccati più che sciorinare le loro virtù. Di conseguenza, cercano preferibilmente il direttore che stima meno le loro opere e il loro comportamento; tutto questo è indice di spirito semplice, puro e sincero, molto gradito a Dio. Infatti, poiché Dio ha infuso lo spirito di saggezza nelle anime umili, le muove e le spinge a tenere segreti i loro tesori e a manifestare le loro miserie. Alle persone umili, insieme con le altre virtù, Dio dà questa grazia che nega ai superbi.
    8. Gli umili sono pronti a dare il sangue del loro cuore a colui che serve Dio e ad aiutare con tutte le forze chi lo serve. Quanto alle imperfezioni in cui si accorgono di cadere, sono motivo per essi di sopportarsi con umiltà, dolcezza di spirito e timore pieno di amore per Dio e di fiducia in lui. Ma le anime che all’inizio camminano in questa via di perfezione, come ho detto, sono molto poche; mi contenterei se non cadessero nei difetti contrari. Proprio per questo, come dirò in seguito, Dio introduce nella notte oscura coloro che vuole purificare da tutte queste imperfezioni per farli progredire.
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    00 02/08/2013 17:21
    CAPITOLO 3
    Ove si parla di alcune imperfezioni in cui cadono alcuni principianti circa l’avarizia spirituale, che è il secondo vizio capitale.
    1. A volte, molti di questi principianti cadono in una grande avarizia spirituale, perché non si contentano della vita spirituale che Dio dona loro. Sono molto scontenti e insoddisfatti perché non trovano la consolazione che si aspettavano dagli esercizi di pietà. Molti non si stancano mai di chiedere consigli o di apprendere regole di vita spirituale, di possedere o di leggere una grande quantità di libri che trattano di questo argomento. Spendono più tempo in questo che nel praticare la mortificazione o nel perfezionare la povertà di spirito come dovrebbero. Oltre a questo, si caricano d’immagini e di corone del rosario molto originali; ne lasciano alcune per prenderne altre; le cambiano e le ricambiano; le vogliono ora in un modo ora in un altro, affezionandosi più a questa croce che a quella, perché più originale. Inoltre si vedono altri principianti ricoperti di agnusdei, di reliquie o di «liste di santi», come i fanciulli dei loro giocattoli. In tutto questo io condanno lo spirito di possesso, perché l’attaccamento che nutrono per la forma, la quantità e la rarità di tali oggetti è contrario alla povertà di spirito. Questa bada unicamente alla sostanza della devozione, contentandosi di ciò che basta ad alimentarla, mentre la quantità e la rarità degli oggetti porta alla noia. La vera devozione, infatti, deve partire dal cuore e guardare solo alla verità e alla sostanza di ciò che tali oggetti di devozione rappresentano. Tutto il resto non è che attaccamento e spirito di possesso dovuto a imperfezione, sicché per arrivare in qualche modo allo stato perfetto occorre liberarsi da simili tendenze sregolate.
    2. Ho conosciuto una persona che per più di dieci anni si è servita di una croce fatta rozzamente con un ramo benedetto, fissata con un fil di ferro ripiegato all’intorno; non l’aveva mai lasciata e la portò sempre addosso finché non gliela tolsi. Ebbene, non era una persona di poco giudizio o di scarso buon senso. Ho conosciuto un’altra persona che pregava con una corona fatta di lische di pesce; certamente la sua devozione non era meno preziosa agli occhi di Dio. È fuori dubbio che queste due persone non riponevano la loro devozione nella forma o nel valore di tali oggetti. Coloro, quindi, che seguono rettamente questi principi non si attaccano a questi strumenti visibili, non se ne aggravano né si preoccupano di sapere più di quanto conviene sapere per poter agire; mirano solo ad approfondire il loro rapporto con Dio e a piacergli. Questo è il loro unico desiderio. Danno con generosità tutto ciò che possiedono e la loro gioia consiste nel privarsi dei beni, sia spirituali che temporali, per amore verso Dio e per carità verso il prossimo. Costoro, ripeto, mirano in realtà solo alla vera perfezione interiore, cioè a piacere a Dio e a rinunciare a se stessi, in tutto.
    3. Ma l’anima non può purificarsi completamente nemmeno da queste imperfezioni, come anche dalle altre, finché Dio non la colloca nella purificazione passiva di quella notte oscura di cui parlerò tra poco. È necessario, però, che l’anima, da parte sua, faccia quanto le è possibile per perfezionarsi, al fine di meritare che il Signore la sottoponga a quella purificazione che la guarisce da tutte le imperfezioni da cui non era riuscita a liberarsi da sola. Malgrado il suo impegno, l’anima non può con le sue forze raggiungere quella purificazione che la dispone, sia pure minimamente, all’unione con Dio nella perfezione dell’amore. Occorre che Dio prenda l’iniziativa e la purifichi nel fuoco per lei oscuro, e questo in un modo di cui dirò in seguito.
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    00 02/08/2013 17:21
    CAPITOLO 4
    Ove si parla di altre imperfezioni in cui abitualmente cadono i principianti relativamente alla lussuria, terzo vizio capitale.
    1. Oltre alle imperfezioni causate da ciascun vizio capitale, di cui sto parlando, molti principianti cadono in parecchie altre. Per il momento non parlo di queste ultime per evitare lungaggini; preferisco, invece, trattare solo di alcune delle principali, che sono come l’origine e la causa delle altre. Qui tratto del vizio della lussuria, ma mio unico intento non è quello di parlare dei peccati relativi a questo vizio capitale, nei quali cadono le persone spirituali, bensì di occuparmi delle imperfezioni da purificare nella notte oscura. Ora, sono molte le imperfezioni dei principianti su questo punto: si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non perché lo siano in realtà, ma perché derivano da cose spirituali. Molte volte, infatti, accade che durante gli stessi esercizi di pietà insorgano, anche se non si vogliono, moti di sensualità e atti disordinati. A volte ciò si verifica persino quando lo spirito è immerso in una profonda orazione o si sta celebrando il sacramento della penitenza o dell’eucaristia. Queste sensazioni, come ho detto, non dipendono da noi; derivano da una delle tre cause seguenti.
    2. La prima è il piacere che spesso la natura prova nelle cose spirituali. Difatti, come lo spirito e il senso provano piacere in tali cose, così ciascuna delle due parti dell’uomo si porta verso la soddisfazione secondo la propria natura e le proprie caratteristiche. Lo spirito, o parte superiore dell’uomo, si porta a godere Dio e a gustarlo, mentre la sensualità, o parte inferiore, ricerca il piacere e la soddisfazione dei sensi, perché non è capace di possedere o gustare altri piaceri: si attacca al piacere che le è più adeguato, cioè quello disordinato dei sensi. Accade così che l’anima, pur essendo tutta immersa con lo spirito in una profonda orazione alla presenza di Dio, nei sensi provi passivamente agitazioni, fermenti e atti sensuali, non senza grande ripugnanza da parte sua. Ciò accade spesso durante la comunione: poiché l’anima prova gioia e soddisfazione a compiere quest’atto d’amore, perché il Signore le concede questo dono proprio a questo scopo, anche la sensualità vuole la sua parte, come ho detto, però a modo suo. Poiché le due parti, in fondo, costituiscono un unico soggetto, ordinariamente ciascuna di esse partecipa in modo proprio a ciò che l’altra riceve. Dice infatti il Filosofo a tale proposito: Tutto ciò che si riceve, viene ricevuto secondo il modo di colui che riceve. Così, agli inizi e anche quando l’anima è già avanzata, essendo imperfetta la sensualità, molto spesso riceve lo spirito di Dio secondo il grado d’imperfezione in cui si trova. Al contrario, quando la parte sensitiva ha subito la purificazione della notte oscura, di cui parlerò dopo, non ha più queste debolezze; non è più essa, infatti, a ricevere lo spirito divino, ma piuttosto è ricevuta nello spirito divino; così tutto ciò che possiede, lo possiede secondo le modalità di questo spirito divino.
    3. La seconda causa, da cui provengono a volte queste agitazioni, è il demonio. Costui cerca d’importunare e turbare l’anima che è in preghiera o vi si prepara; suscita nella natura questi movimenti disordinati e reca all’anima, che vi presta attenzione, un grande danno. Difatti non solo per la paura che le insinua la rende svogliata nell’orazione, che è quanto egli vuole, dovendo l’anima lottare contro simili suggestioni, ma spinge alcune persone ad abbandonare completamente la preghiera. Tali anime credono che simili agitazioni si verifichino proprio durante la preghiera e non in altri momenti. Ciò è vero, perché il demonio le suscita più in questi momenti che in altri, proprio perché abbandonino questo pio esercizio. Ma non è tutto. Arriva persino a presentare loro molto vivamente immagini brutte e turpi, collegandole a volte con l’immagine di un oggetto spirituale o di persone che fanno loro del bene, per spaventarle e confonderle. Così le persone che cadono in questa tentazione non osano più guardare o pensare a nulla, perché subito s’imbattono nella difficoltà di cui sopra. Tutto ciò si verifica in modo particolare e frequentemente nelle persone malinconiche con una veemenza tale che esse suscitano compassione. La loro vita è triste; la sofferenza è tale quando soffrono di quest’umore che sono convinte di avere il demonio in corpo e di non essere capaci di liberarsene; ciò nonostante, alcune di esse riusciranno a respingerlo se si faranno coraggio. Quando queste prove capitano a tali persone a motivo della loro malinconia, esse di solito non se ne liberano finché non guariscono da quest’umore, inoltrandosi nella notte oscura che a poco a poco le purifica di tutti questi mali.
    4. La terza causa, da cui solitamente procedono e muovono guerra questi moti disordinati, è in generale la paura di provare ancora queste sensazioni e rappresentazioni turpi. Difatti questa paura, che improvvisamente si desta nelle persone a motivo di ciò che vedono, dicono o pensano, fa sì che esse abbiano quelle sensazioni senza alcuna loro colpa.
    5. Ci sono, poi, delle anime dal temperamento così sensibile e delicato che, appena provano qualche gusto di devozione o di preghiera, si vedono pure immediatamente invase dallo spirito di lussuria. La sensualità le stordisce e le inebria a tal punto che sono come sommerse nelle attrazioni e nei piaceri di questo vizio. Entrambe queste sensazioni perdurano contemporaneamente e in modo passivo; a volte si constata anche che si sono verificati dei gesti grossolani e sconsiderati. Questo perché, come ho detto, hanno un temperamento sensibile e delicato; quindi alla minima emozione si agitano gli umori e il sangue, e provocano tali sconvolgimenti. Del resto, la stessa cosa accade loro quando si accendono d’ira o hanno qualche turbamento o qualche pena.
    6. A volte queste persone spirituali, quando parlano di argomenti di devozione o compiono esercizi di pietà, si lasciano andare a una certa superbia e petulanza al pensiero dei presenti, con i quali si comportano con una sorta di vana compiacenza. Anche questo sentimento è frutto di lussuria spirituale, come la intendo qui, e di solito la volontà vi acconsente.
    7. Alcune di queste persone nutrono per altre dell’affetto, facendolo passare per un fatto spirituale, ma molto spesso queste amicizie sono morbose e per niente spirituali. Si appura che è così quando il ricordo di quell’affetto, anziché riportare a Dio e accrescere l’amore per lui, produce solo rimorsi di coscienza. Difatti, se l’amicizia è puramente spirituale, crescendo essa, fa crescere anche l’amore per Dio; anzi, quanto più l’anima si ricorda di tale amicizia, tanto più si ricorda di quella con Dio e si porta ardentemente verso di lui. Crescendo nell’una, cresce anche nell’altra, perché lo spirito di Dio ha la proprietà di accrescere un bene con un altro bene a motivo della somiglianza e dell’affinità che esiste fra loro. Se, invece, quell’affetto umano nasce dal suddetto vizio della sensualità, produce effetti contrari: quanto più esso cresce, tanto più diminuisce l’amore per Dio insieme al ricordo di lui. Difatti, se cresce l’amore sensuale, immediatamente si vede l’anima raffreddarsi nell’amore per Dio, dimenticarsi di lui al ricordo dell’altro e provare rimorsi di coscienza. Al contrario, quando l’amore di Dio cresce in un’anima, questa si raffredda nell’amore sensuale e lo dimentica, perché sono due amori contrari: non solo l’uno non aiuta l’altro, ma quello che predomina spegne e soffoca l’altro rafforzando se stesso, come insegnano i filosofi. Per questo il Signore nel vangelo afferma che quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è spirito (Gv 3,6), cioè l’amore che nasce dalla sensualità termina nella sensualità, mentre quello che è dallo spirito termine nello spirito di Dio e lo fa crescere in noi. Tra i due amori vi è questa differenza che ci permette di riconoscerli.
    8. Quando l’anima entra nella notte oscura, tiene sotto il controllo della ragione questi due amori. A questo punto, però, purifica e rafforza l’amore che è secondo Dio, mentre abbandona e sopprime l’altro. Ma all’inizio fa in modo che entrambi si perdano di vista, come dirò in seguito.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:22
    CAPITOLO 5
    Ove si parla delle imperfezioni in cui cadono i principianti circa il vizio dell’ira.
    1. Spinti dalla concupiscenza, molti principianti si portano alla ricerca dei gusti spirituali. Per questo motivo, molto spesso cadono i numerose imperfezioni lasciandosi andare al vizio dell’ira. Difatti, quando non assaporano più le soavità e le delizie delle cose spirituali, naturalmente si trovano disorientati e, a causa di questo dispiacere interno, si comportano sgarbatamente; si adirano molto facilmente per qualsiasi inezia e a volte si rendono persino insopportabili. Tali fenomeni si verificano spesso quando, durante l’orazione, hanno provato qualche raccoglimento sensibile molto piacevole. Nel momento in cui non provano più la sensazione piacevole, essi si ritrovano naturalmente nell’aridità e nella svogliatezza. Assomigliano al bambino che viene allontanato dal seno materno che stava gustando con piacere. Se in quest’effetto della natura i principianti non si lasciano trasportare dal disgusto, non c’è colpa, ma solo imperfezione che va purificata attraverso le aridità e le prove della notte oscura.
    2. Vi sono, poi, persone spirituali che cadono in un’altra forma d’ira spirituale. Sono quelle che si armano di uno zelo spropositato contro i vizi altrui, censurandoli. A volte si sentono portati a rimproverarli bruscamente, e lo fanno anche, come se fossero maestri di virtù. Ora, questo modo di fare è contrario alla mansuetudine spirituale.
    3. Ve ne sono altri, infine, che dinanzi alle loro imperfezioni si spazientiscono in modo contrario a ogni umiltà, arrabbiandosi con se stessi. Sono talmente impazienti che vorrebbero divenire santi in un giorno. Molti di costoro fanno numerosi progetti e prendono grandi decisioni. Ma non essendo umili e non diffidando di se stessi, quanto più propositi fanno, tanto più cadono e s’irritano. Non hanno la pazienza d’aspettare il momento in cui Dio vorrà esaudirli. Anche questo comportamento è contrario alla suddetta mansuetudine spirituale. Non vi può esser miglior rimedio a tale situazione che la purificazione della notte oscura. Ciò nonostante, vi sono alcune persone che mostrano tale pazienza o lentezza nel voler progredire, che Dio non vorrebbe ne avessero proprio tanta!
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:22
    CAPITOLO 6
    Ove si parla delle imperfezioni relative alla gola spirituale.
    1. Circa il quarto vizio, che è la gola spirituale, c’è davvero molto da dire. Quasi nessuno dei principianti, per quanto virtuoso sia, evita di cadere in qualcuna delle numerose imperfezioni provocate da questo vizio, a motivo del gusto che, agli inizi, prova nelle pratiche di pietà. Molti di loro, ingolositi dal piacevole gusto che provano in tali esercizi, cercano più il sapore dello spirito che la purezza del cuore e la debita discrezione, virtù da Dio richieste e a lui accette lungo il cammino spirituale. Così, oltre all’imperfezione che commettono ricercando questi piaceri, la loro golosità li spinge a pretendere ancora di più, superando i limiti del giusto mezzo, dove risiede e si consolida la virtù. Attratti dal gusto che provano, alcuni si ammazzano a forza di penitenze e altri si debilitano con i digiuni, dandosi a pratiche superiori alle proprie forze, senza l’ordine e il consiglio di nessuno; addirittura sfuggono a chi dovrebbero obbedire in tale caso; alcuni, poi, non temono di fare il contrario di quanto è stato loro comandato.
    2. Costoro sono molto imperfetti, sono persone irragionevoli. Lasciano da parte la sottomissione e l’obbedienza, che sono la penitenza della ragione e della volontà pur sapendo che questo è il sacrificio a Dio gradito più di qualsiasi altra cosa e della stessa penitenza corporale. Questa non è che una penitenza animale, verso la quale si è portati al pari degli animali, mossi dal piacere che si prova in questo esercizio. Ora, poiché gli eccessi sono cattivi e in questo modo di fare tali persone seguono la loro volontà, crescono nei vizi anziché nella virtù: acquistano quanto meno gola spirituale e superbia, perché non seguono la via dell’obbedienza in quello che fanno. D’altra parte, il demonio domina molti di costoro al punto di spingerli alla gola, eccitando i loro gusti e appetiti. Così questi poveri principianti, non potendo resistergli, cambiano, aggiungono o modificano ciò che viene loro comandato, perché l’obbedienza su questo punto è per loro molto dura. Alcuni di loro arrivano a un tale eccesso che, per il fatto di praticare per obbedienza certi esercizi di pietà, perdono la voglia e la devozione di farli: ma questo non perché sono loro comandati, bensì perché loro unico gusto e voglia è seguire le proprie inclinazioni. Forse sarebbe meglio per loro non praticare simili esercizi di pietà.
    3. Vedrete molti di costoro insistere con i maestri spirituali per ottenere ciò che a loro piace, e metà lo ottengono quasi per forza. In caso contrario, si rattristano come bambini, si mostrano svogliati e credono di non servire Dio quando non li si lascia fare quello che vorrebbero. Infatti, essendo attaccati ai loro gusti e alla loro volontà, che considerano loro dio, quando queste cose vengono loro tolte affinché aderiscano alla volontà divina, si rattristano, si abbattono e si scoraggiano. Credono di servire Dio e di farlo contento, se loro sono contenti e soddisfatti.
    4. Vi sono poi altri che, a motivo del vizio della gola, conoscono così poco la loro bassezza e miseria e trascurano talmente l’amoroso timore e il rispetto che devono alla maestà divina, che non esitano a insistere molto con i loro confessori per avere il permesso di comunicarsi spesso. Il peggio è che molto sovente osano comunicarsi senza il permesso e il consiglio del ministro di Cristo e dispensatore dei suoi doni. Seguendo solo il proprio giudizio, cercano di nascondergli la verità. A tale scopo, per potersi comunicare, si confessano alla meglio, desiderando più il comunicarsi che comunicarsi con una coscienza pura e ben disposta. Al contrario, sarà più giusto e lodevole avere una disposizione diversa e pregare il confessore di non farli accostare alla comunione tanto spesso; sebbene, tra questi due estremi, la cosa migliore sia la rassegnazione umile, tuttavia la cosa che genera più mali e attira castighi su di loro è la temerarietà.
    5. Quando si comunicano, tutta la preoccupazione consiste nel cercare qualche sensazione e qualche gusto più che nell’adorare e lodare umilmente Dio presente in loro. E si attaccano tanto a quest’idea che, se non vi trovano qualche gusto o consolazione sensibile, pensano di non aver fatto nulla. Questo è un modo molto umano di giudicare Dio. Non comprendono che il vantaggio più piccolo che procuri il santissimo sacramento è proprio il diletto dei sensi, mentre il più grande, quello invisibile, è la grazia divina. Ciò spiega perché Dio, molto spesso, nega gusti e favori sensibili, proprio perché non li considerano con gli occhi della fede. Essi, invece, vogliono sentire e gustare Dio come se fosse comprensibile e accessibile, non solo su questo punto, ma anche negli altri esercizi di devozione. Tutto questo denota una grande imperfezione e una fede impura, contraria alla natura di Dio.
    6. Tali persone si comportano allo stesso modo nella preghiera. Pensano che questa consista esclusivamente nel provare gusto e devozione sensibile. E cercano di provarne, come si dice, a forza di braccia, stancandosi e rompendosi la testa. Se poi non vi riescono, si abbattono profondamente, pensando di non aver combinato nulla. A motivo di questa loro pretesa perdono la vera devozione e lo spirito di preghiera, che consiste nel perseverarvi con pazienza e umiltà, diffidando di se stessi, per piacere solo a Dio. Così, quando qualche volta non sentono piacere in tale o tal altro esercizio di pietà, provano dispiacere e ripugnanza a ripeterlo e a volte finiscono per abbandonarlo. Come ho detto, somigliano ai bambini che non si muovono e non agiscono secondo la ragione, ma secondo i loro gusti. Essi spendono tutte le loro energie nel cercare la gioia e le consolazioni spirituali. Non si stancano mai di leggere libri e di passare da una meditazione all’altra, e vanno a caccia della soddisfazione del proprio piacere nelle cose di Dio. Ma il Signore, molto giustamente, con discrezione e amore, nega queste cose, proprio perché non cresca questa loro golosità e la loro avidità spirituale non li induca in mali senza fine. Essi hanno estremo bisogno d’entrare nella notte oscura, di cui parlerò tra poco, per purificarsi da queste fanciullaggini.
    7. Quelli che si sentono così inclini alla ricerca dei loro gusti, cadono in un’altra imperfezione ancora più grande: si tratta d’un’eccessiva debolezza e tiepidezza nel seguire l’aspro sentiero della croce. Difatti l’anima che cerca le dolcezze, naturalmente rifiuta tutta l’amarezza della rinuncia personale.
    8. I principianti cadono in molte altre imperfezioni che derivano da questo non saper rinunciare. Ma il Signore li cura in tempo con tentazioni, aridità e prove che fanno parte della notte oscura. Per non dilungarmi, non ne parlo qui. Mi limito solo a dire che la sobrietà e la temperanza spirituale presentano un carattere assai diverso di mortificazione, timore e sottomissione in tutto. Dobbiamo constatare che la perfezione e il valore dei nostri atti non dipendono dalla quantità e dal piacere che vi proviamo, ma dal saper rinnegare noi stessi mentre li pratichiamo. I principianti, perciò, devono fare tutto il possibile, per quanto sta in loro, finché Dio li purificherà di fatto, introducendoli nella notte oscura. Ma poiché sto tardando a parlarne, mi affretto dunque a finir di trattare delle imperfezioni.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:23
    CAPITOLO 7
    Ove si parla delle imperfezioni che provengono dall’invidia e dall’accidia spirituale.
    1. Anche per quanto riguarda gli altri due vizi, che sono l’invidia e l’accidia spirituale, i principianti cadono in molte imperfezioni. Quanto all’invidia, di solito porta molti di loro a essere gelosi del bene spirituale altrui; provano una pena visibile quando vedono gli altri più avanti nel cammino spirituale e non vorrebbero che venissero lodati, perché le loro virtù li rattristano; a volte non possono sopportare questo fatto, al punto che oppongono il contrario, confutando come possono le lodi: crepano, come si dice, d’invidia. Si affliggono perché non vengono lodati come quelli e vorrebbero essere preferiti in tutto. Ma questi sentimenti sono estremamente contrari alla carità che, come dice san Paolo, si compiace della verità (1Cor 13,6); e se prova qualche invidia, si tratta d’invidia santa. Anzi, chi possiede la carità si rammarica di non avere le virtù degli altri. È contento che gli altri le abbiano ed è felice che gli altri siano superiori a lui, perché servono Dio molto meglio.
    2. Anche per quel che riguarda l’accidia spirituale, abitualmente i principianti si annoiano negli esercizi spirituali più elevati, anzi li evitano, perché li trovano contrari alle consolazioni sensibili. Poiché nelle cose spirituali sono molto attratti dalle dolcezze, quando non ve le trovano si annoiano a morte. Se talvolta non sentono nella preghiera la soddisfazione richiesta dal loro gusto – occorre pure che alla fine Dio li privi della soddisfazione e li metta alla prova –, non vorrebbero più ritornarvi; altre volte l’abbandonano o vi vanno di malavoglia. Così, cedendo all’accidia, non imboccano il cammino della perfezione, che consiste nella rinuncia alla propria volontà e nel piacere a Dio, e seguono invece quello della gioia e della soddisfazione della loro volontà. In questo modo cercano la soddisfazione personale più che la volontà di Dio.
    3. Molti di loro desiderano che Dio voglia ciò che essi vogliono; si rattristano per essere obbligati a volere ciò che vuole Dio, provando ripugnanza a conformare la loro volontà a quella di Dio. Molte volte arrivano a pensare che ciò a cui non sono portati e in cui non provano gusto non sia volontà di Dio; al contrario, quando si sentono soddisfatti, credono che lo sia anche Dio. Riducono Dio alla propria misura, anziché conformarsi a lui. Invece il Signore nel vangelo insegna proprio il contrario, quando afferma che chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).
    4. I principianti mostrano persino intolleranza quando viene comandato qualcosa che dispiace a loro. Lasciandosi guidare dal piacere e dalle delizie dello spirito, sono molto fiacchi di fronte allo sforzo e alla fatica richieste dalla perfezione. Sono simili a coloro che si nutrono di cose elevate, ma rifuggono con tristezza da ogni asperità; si scandalizzano della croce, nella quale si trovano tutte le delizie spirituali. Al contrario, le realtà, quelle più spirituali, procurano loro solo disgusto, perché pretendono di camminare a modo loro nelle vie dello spirito e di seguire i capricci della loro volontà. Per tutti questi motivi provano una profonda tristezza e una grande ripugnanza ad imboccare la via angusta che conduce alla vita, di cui parla Cristo (Mt 7.14).
    5. Basti per ora aver parlato di queste tra le molte imperfezioni in cui cadono i principianti nel primo stadio. Ciò dimostra quanto sia necessario che Dio li collochi nello stato dei proficienti. Tale passaggio si realizza quando vengono introdotti nella notte oscura, di cui parlerò tra poco. Nel corso di questa purificazione il Signore li distacca da tutti i gusti e le delizie, per poi immergerli nell’aridità pura e nelle tenebre interiori. In questo modo li purifica da tutte le loro imperfezioni e infantilismi, perché acquistino la virtù per vie molto diverse. Infatti, anche se i principianti si dedicheranno a una dura mortificazione di sé in tutte le loro azioni e passioni, non vi riusciranno né in parte né in tutto finché Dio non realizzerà tale trasformazione passivamente e purificherà l’anima nella suddetta notte oscura. Ma perché possa dire qualcosa di utile su di essa, voglia Dio concedermi la sua divina luce. Questa mi è proprio necessaria per parlare di una notte così oscura e per trattare di un argomento così difficile a spiegare e a far comprendere. Ecco, dunque, il verso: In una notte oscura.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:23
    CAPITOLO 8
    Ove si comincia a spiegare questa notte oscura.
    1. Questa notte, o contemplazione, produce due forme di tenebre o purificazione nelle persone spirituali, secondo le due parti dell’uomo, cioè la sensitiva e la spirituale. Così la prima notte o purificazione sarà sensitiva, se purifica l’anima nella sua parte sensitiva, rendendola più conforme a quella spirituale. La seconda notte o purificazione sarà spirituale, se purifica e spoglia l’anima nella sua parte spirituale, preparandola e disponendola all’unione d’amore con Dio. La notte dei sensi è abbastanza comune, e molti ne fanno esperienza, tra cui i principianti; di essa parlerò subito. Quella spirituale è riservata a pochissime persone, cioè a coloro che sono già esercitati e avanzati nella virtù; di questi mi occuperò in un secondo momento.
    2. La prima notte o purificazione è amara e terribile per i sensi, come dirò subito. La seconda non ha confronto, perché è orrenda e spaventosa per lo spirito, come dirò più avanti. Per procedere con ordine tratterò in primo luogo della notte dei sensi, che corrisponde alla prima purificazione. Dirò qualcosa di essa molto velocemente, perché è quella più comune e se n’è già scritto molto. Mi soffermerò a parlare in modo particolare della notte spirituale, perché se ne tratta poco, sia nelle conferenze che nei libri, e meno ancora se ne fa esperienza.
    3. Il modo di comportarsi dei principianti nel cammino verso Dio è imperfetto e molto condizionato dall’amor proprio e dai gusti sensibili, come ho detto sopra. Per questo motivo Dio vuole farli progredire gradatamente, liberarli da questo modo imperfetto di amare e condurli a un livello più alto d’amore. Allora li svincola da questo basso esercizio dei sensi e dei ragionamenti, attraverso cui cercano Dio in una maniera così meschina e piena d’inconvenienti; li colloca nell’esercizio dello spirito, dove potranno comunicare con Dio molto più fruttuosamente e diverranno più liberi dalle loro imperfezioni. Già essi si sono esercitati un po’ nel cammino della virtù; hanno perseverato nella meditazione e nell’orazione; il sapore e le delizie che hanno gustato in queste pie pratiche li hanno distaccati dalle cose del mondo; hanno trovato una certa forza spirituale in Dio per tenere a freno le loro sregolate inclinazioni verso le creature. Per questo motivo saranno in grado di sopportare per Dio qualche peso o qualche aridità senza voler tornare indietro, ai tempi più piacevoli. Quanto più gusto e gioia provano in questi esercizi spirituali, tanto più credono di essere illuminati dal sole delle grazie divine. Ma il Signore li priva di questa luce, chiude la porta delle sue delizie e dissecca le sorgenti delle acque spirituali di cui essi gustavano in lui la dolcezza ogni volta e per tutto il tempo che lo desideravano. Poiché erano deboli e fiacchi, per loro non c’erano porte chiuse, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (3,8). Il Signore li lascia, dunque, in tenebre così profonde che essi non sanno dove andare con l’aiuto dell’immaginazione e del ragionamento. Sono incapaci di meditare come prima; i loro sensi interiori sono come annegati in queste tenebre; sono in preda a una tale aridità che non solo non ricavano frutto e gusto dalle cose spirituali e dai buoni esercizi nei quali erano soliti trovare delizie e gioie, ma, al contrario, in queste stesse pratiche non trovano che disgusto e amarezza. Il motivo, ripeto, sta nel fatto che sono un po’ cresciuti, e allora Dio, per fortificarli e farli uscire dal loro infantilismo, li stacca dal petto delle sue consolazioni; non li tiene più in braccio e insegna loro a camminare da soli. In tutto questo essi avvertono una grande novità, che è opposta al loro modo precedente di trattare con Dio.
    4. Questo cambiamento di solito si verifica nelle persone ritirate dal mondo, più che in altre, e poco dopo il loro ingresso nella vita spirituale, perché sono più libere dalle occasioni di tornare indietro e più disponibili anche a riformare alla svelta le inclinazioni per i beni di questo mondo. Ciò è quanto si richiede per cominciare a entrare in questa beata notte dei sensi. Di solito non passa molto tempo dall’inizio, senza che entrino in questa notte dei sensi; ora, la maggior parte di esse vi entrano, perché le si vede attraversare queste aridità.
    5. Su questa forma di purificazione sensitiva, che è assai comune, potrei citare numerose affermazioni della sacra Scrittura, molto frequenti soprattutto nei Salmi e nei profeti. Ma non intendo dilungarmi su questo, perché a chi non sapesse trovarle lì può bastare l’esperienza comune che se ne ha.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:24
    CAPITOLO 9
    Ove si parla dei segni dai quali si riconosce che la persona spirituale è in questa notte o purificazione dei sensi.
    1. Quest’aridità molte volte può derivare non dalla notte o purificazione dei sensi, bensì dai peccati, imperfezioni, debolezze, tiepidezze, oppure da qualche cattivo umore o indisposizione fisica. Per questo motivo indicherò qui alcuni segni per discernere se quest’aridità ha come origine la purificazione dei sensi oppure qualcuno dei suelencati difetti. A tale proposito tre sono i segni principali.
    2. Il primo è l’assenza di gusto e consolazione nelle cose di Dio e in qualsiasi cosa creata. Infatti, allorché Dio introduce l’anima in questa notte oscura per condurla all’aridità e purificarla dall’appetito sensitivo, non le permette di provare consolazioni in cosa alcuna. Da ciò si riconosce abbastanza bene che tale aridità e disgusto non provengono da colpe o imperfezioni commesse recentemente; se così fosse, la natura dovrebbe sentire qualche inclinazione o attrazione per qualcosa di diverso da Dio. Difatti, quando la volontà si lascia andare a qualche imperfezione, si sente subito inclinata, più o meno fortemente, verso questa medesima imperfezione, secondo il piacere o l’affetto riversati su di essa. Ma poiché la ripugnanza per le cose del cielo e per quelle terrene potrebbe derivare da qualche indisposizione fisica o dal temperamento malinconico, che spesso non lascia provare piacere in nulla, occorre un secondo segno o una seconda condizione.
    3. Il secondo segno che conferma la presenza della purificazione dei sensi consiste nei ricordarsi abitualmente di Dio con una sollecitudine e un’attenzione che dà pena; ci si preoccupa di non servire Dio, anzi di regredire, perché non si prova più gusto nelle cose divine. Ciò dimostra che il disgusto e l’aridità non provengono da fiacchezza e tiepidezza. Difatti è proprio della tiepidezza non preoccuparsi molto né avere sollecitudine per le cose di Dio. C’è, quindi, molta differenza tra l’aridità e la tiepidezza. È proprio della tiepidezza generare una grande fiacchezza e svogliatezza nella volontà e nell’intelligenza, così da non preoccuparsi delle cose di Dio. Al contrario, l’aridità purificatrice per sua natura comporta una sollecitudine costante e un’attenzione sofferta, per paura di non servire Dio. Questa, sebbene a volte sia aggravata da malinconia o da altro umore cattivo – e accade spesso –, non per questo cessa di avere il suo effetto purificante nella volontà, poiché l’anima è privata di ogni consolazione e desidera solo servire Dio. Quando, invece, l’aridità è solo frutto di umore cattivo, si prova disgusto e spossatezza fisica; in altri termini, l’anima non prova questi desideri di servire Dio che le offre l’aridità purificatrice. Quando questa si verifica, la parte sensitiva è molto abbattuta, fiacca e avvilita a causa del poco piacere che trova nell’agire, mentre lo spirito è pronto e forte (cfr. Mt 26,41).
    4. Quest’aridità è dovuta al fatto che Dio trasferisce allo spirito i beni e la forza dei sensi, e poiché i sensi e la natura non sono capaci di tali beni spirituali, restano privi di nutrimento, nell’aridità e nel vuoto. La parte sensitiva, infatti, non è capace di accedere a ciò che è puro spirito. Così, quando lo spirito gode, la carne è scontenta e non ha voglia di agire. Quanto allo spirito, che si va nutrendo, si fortifica, diventa più vigile e attento di prima a non offendere Dio. A causa della novità di tale cambiamento, non sente subito all’inizio le gioie e le delizie spirituali, ma solo aridità e ripugnanza. Il suo palato è tuttora abituato ai gusti sensibili, ragion per cui fa ancora riferimento ad essi. D’altra parte, il suo palato spirituale non è ancora abituato a simili grazie e non è purificato per ricevere cibi così fini. Fin quando non si sarà gradualmente preparato attraverso questa notte arida e oscura, non potrà sentire i gusti e i beni spirituali. Proverà solo aridità e ripugnanza, venendogli a mancare il piacere che prima gustava con tanta facilità.
    5. Difatti coloro che Dio comincia a introdurre in queste solitudini desolare sono simili ai figli d’Israele. Da quando li condusse nel deserto, Dio offrì loro un pane capace di procurare ogni delizia, come si legge nella Scrittura, e che si adattava al gusto di chi l’inghiottiva (Sap 16,20-21). Ciò nonostante, gli ebrei rimpiangevano più il gusto e il sapore delle carni e delle cipolle d’Egitto, a cui il loro palato era da tempo assuefatto, che non la delicata dolcezza di questo cibo angelico. Pur abbondando di cibi celesti, piangevano sospirando quelle carni (Nm 11,4-6). Fino a tanto arriva la bassezza dei nostri appetiti: ci fa rimpiangere le nostre miserie e provare avversione per i beni straordinari del cielo!
    6. Ma, ripeto, quando queste aridità dipendono dalla purificazione che sta subendo l’appetito sensitivo, anche se lo spirito all’inizio non gusta il sapore per i motivi suddetti, sente però la forza e lo slancio ad agire che gli offre la sostanza di questo cibo interiore. Tale alimento segna l’inizio della contemplazione oscura e arida per i sensi, contemplazione nascosta e segreta anche per colui che la possiede. Di solito l’anima che prova questa aridità e vuoto dei sensi, è attratta dal desiderio di stare sola e in pace, senza dover pensare a qualcosa di particolare né averne voglia. Se le anime che si trovano in questa situazione sapessero rimanere nella calma, tralasciare qualsiasi opera interiore ed esteriore, senza preoccuparsi di fare qualcosa, allora nell’oblio e nell’intimo riposo gusterebbero subito quel cibo interiore. Esso è tanto delicato che, pur avendo la voglia e l’attenzione a sentirlo, di solito non si percepisce, perché, ripeto, esso agisce nel riposo più assoluto e nell’oblio totale dell’anima. È come l’aria che sfugge di mano quando la si vuole afferrare.
    7. Al riguardo possiamo capire ciò che la sposa dice allo Sposo nel Cantico: Distogli da me i tuoi occhi; il loro sguardo mi rapisce (Ct 6,4). Infatti Dio mette l’anima in uno stato tale e la guida per vie così insolite che, se essa volesse servirsi delle sue facoltà, disturberebbe l’opera di Dio anziché aiutarla; in breve, avviene il contrario di quanto accadeva prima. Questo perché l’anima è ormai nello stato di contemplazione; è uscita dalla fase discorsiva per entrare nello stato dei proficienti. Ormai è Dio che agisce in lei e imbriglia le sue potenze interiori, togliendo ogni appoggio all’intelletto, ogni gusto alla volontà e ogni ragionamento alla memoria. In questa fase, ciò che l’anima può fare di suo non serve, come ho già detto, anzi disturba la pace interiore e l’opera che Dio compie nello spirito per mezzo dell’aridità nei sensi. Ora, poiché quest’intervento divino è spirituale e delicato, l’opera si svolge nella calma e nella delicatezza; è un’opera segreta, soddisfacente, pacifica e affatto estranea a tutti i piaceri anteriori, che erano palpabili e sensibili. Tale è la pace che Dio annunzia all’anima, come dice Davide (Sal 84,9), per renderla spirituale. Da qui nasce il terzo segno.
    8. Il terzo segno per riconoscere la purificazione dei sensi è l’incapacità, da parte dell’anima, di meditare o di discorrere servendosi dell’immaginazione, come faceva prima, per quanti sforzi compia. Ora Dio comincia a comunicarsi all’anima non per mezzo dei sensi, come in precedenza; non per mezzo dell’attività discorsiva che compone e ordina le cognizioni; ma per mezzo dello spirito puro, nel quale non si sviluppa il ragionamento. Le si comunica in un atto di semplice contemplazione, a cui non possono giungere i sensi interni ed esterni della parte inferiore. Per questo motivo l’immaginazione e la fantasia non possono trovare in essi un punto d’appoggio per qualche considerazione, né fare affidamento su di essi in quel momento o in avvenire.
    9. A proposito del terzo segno occorre ricordare che l’impedimento in cui vengono a trovarsi le potenze e il conseguente loro disgusto non proviene da qualche cattivo umore. Se, infatti, la causa fosse questa, e quell’umore svanisse, in quanto è per sua natura mutevole, l’anima impegnandosi potrebbe ricuperare il potere di prima e le potenze ritroverebbero il loro appoggio. Ma non è così nella purificazione dell’appetito sensitivo, perché, appena ha inizio, aumenta sempre più l’impossibilità di discorrere con le potenze. È vero che in alcuni principianti non si verifica una notte continua al punto tale d’impedire loro di gustare talvolta qualche dolcezza o consolazione sensibile. Data la loro debolezza, forse non conveniva operare un distacco netto nella loro vita. Ciò nonostante, essi penetrano sempre più nella notte, lasciando poi da parte l’opera della purificazione sensitiva se sono chiamati ad altezze sublimi. Quanto a quelli che non seguono questo cammino di contemplazione, al contrario degli altri, si ha un modo di procedere molto diverso. Questa notte di aridità, di solito, non è continua nei loro sensi; a volte si verifica, altre volte no; talvolta alcuni non possono discorrere, altri possono farlo. Solo Dio, infatti, li introduce in questa notte per provarli, umiliarli, correggere il loro appetito e impedire che acquistino una golosità viziosa nelle cose spirituali, ma questo non per elevarli alla vita dello spirito, cioè alla contemplazione. Difatti non tutti quelli che deliberatamente si consacrano alla vita spirituale vengono da Dio elevati alla contemplazione: forse nemmeno la metà. Perché questo? Solo Dio lo sa. Ne segue che costoro non riescono a staccarsi mai completamente dalle considerazioni e dai ragionamenti; riescono, come ho detto, a farlo solo per qualche tempo e di tanto in tanto.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:24
    CAPITOLO 10
    Ove si descrive come ci si deve comportare nella notte oscura.
    1. Quando si verificano le aridità di questa notte dei sensi, nella quale Dio opera il cambiamento di cui ho parlato prima, egli sottrae l’anima alla vita dei sensi per elevarla a quella dello spirito, cioè la fa passare dalla meditazione alla contemplazione, dove essa non può più agire con le sue facoltà e discorrere sulle cose di Dio. Proprio a questo punto le persone spirituali soffrono grandi pene, non tanto per le aridità che subiscono, quanto per la paura di vedersi smarrire in questo cammino. Pensano che tutto il bene spirituale sia finito e che Dio le abbia abbandonate, perché non trovano né aiuto né consolazione alcuna negli esercizi di pietà. Allora si affaticano e cercano, com’erano solite, di fissare con un certo piacere le loro potenze su qualche oggetto discorsivo. Se non fanno così e non si sentono portate ad agire, credono di non fare nulla. Tutto ciò procura all’anima un profondo disgusto e una grande ripugnanza interiore, mentre essa voleva restare nella calma, nella tranquillità e nel riposo delle potenze. Così, dunque, da una parte essa si affatica, dall’altra non trae nessun bene. Volendo servirsi del proprio spirito, perde questo spirito di tranquillità e di pace che aveva. Somiglia a colui che abbandona il già fatto per rifarlo daccapo; a colui che esce dalla città per poi rientrarvi; o a colui che lascia la preda catturata per inseguirla di nuovo. Tale comportamento è assolutamente inutile perché, ripeto, l’anima non approderà a nulla ritornando al suo primo metodo.
    2. Se in tale situazione queste anime non trovano un padre spirituale che le comprenda, tornano indietro, abbandonando o rallentando il cammino, o perlomeno si creano ostacoli a procedere, a causa dei molteplici sforzi che fanno per seguire il cammino della meditazione e del ragionamento. Si affaticano e si tormentano fino all’eccesso, convinte che ciò accade a motivo delle loro negligenze e dei loro peccati. Ora, tutto ciò è inutile, perché ormai Dio le guida per un altro cammino, quello della contemplazione, totalmente diverso dal precedente: quest’ultimo, infatti, è quello della meditazione e del ragionamento, mentre il nuovo si sviluppa senza l’immaginazione e il ragionamento.
    3. Coloro che si trovano in questa situazione, si consolino perseverando nella pazienza, senza affliggersi. Confidino in Dio, che non abbandona coloro che lo cercano con cuore semplice e sincero. Egli non mancherà di dare loro l’aiuto necessario per il cammino, fino a elevarli alla pura e chiara luce dell’amore, che comunicherà loro nella notte oscura dello spirito, se meriteranno che Dio ve li faccia entrare.
    4. Il comportamento che l’anima deve tenere in questa notte dei sensi è quello di non preoccuparsi affatto del ragionamento e della meditazione, perché non è più il tempo per queste cose. Cerchi piuttosto di restare nella pace e nella calma, anche se ha la sensazione netta di non fare niente, di perdere tempo, e a motivo della sua tiepidezza non ha voglia di pensare a nulla. Sarà già molto se conserverà la pazienza e persevererà nell’orazione, pur non facendo altro. L’unica cosa da fare è lasciare l’anima libera, sgombra e al riparo da tutte le conoscenze e i pensieri, non preoccupandosi di cosa dovrà pensare o meditare. Si limiterà soltanto a un’attenzione piena d’amore e di pace in Dio, evitando ogni preoccupazione, desiderio ardente o semplice voglia di gustarlo o di sentirlo. Tutte queste pretese, infatti, turbano e distraggono l’anima dalla pacifica quiete e dal dolce riposo della contemplazione che le viene concesso.
    5. Anche se le viene lo scrupolo di perdere tempo e pensa che sarebbe bene fare qualcos’altro, poiché nell’orazione non può fare né pensare nulla, abbia pazienza e rimanga tranquilla, perché non si va all’orazione per cercarvi un piacere personale o la libertà di spirito. Se l’anima vuole fare qualcosa di sua iniziativa con le facoltà interiori, non farà che disturbare e perdere i beni che Dio sta imprimendo in lei attraverso la pace e la quiete dello spirito. È come se un pittore volesse dipingere o disegnare un volto: se la persona muove continuamente la testa per fare qualcosa, il pittore non può concludere nulla perché viene disturbato nel suo lavoro. Allo stesso modo, quando l’anima vuole stare nella pace e nella quiete interiore, qualsiasi azione, affetto o attenzione che essa volesse coltivare non farebbe che distrarla, metterla in agitazione e procurarle aridità e vuoto dei sensi. Quanto più vorrà appoggiarsi agli affetti e alle conoscenze, tanto più ne sentirà la mancanza che non può essere colmata attraverso questi mezzi.
    6. Pertanto quest’anima non deve preoccuparsi se le vengono meno le operazioni delle potenze. Al contrario dev’essere lieta che cessino, perché così, non disturbando più la contemplazione infusa in cui viene introdotta, Dio può accordarle maggiore abbondanza di pace. Egli le darà la possibilità di ardere e di infiammarsi nello spirito d’amore che questa contemplazione oscura e segreta comporta e le comunica. La contemplazione, infatti, non è altro che infusione segreta, piena di pace e d’amore per Dio che, all’occasione, infiamma l’anima d’amore, come essa fa intendere nel verso seguente: con ansie, dal mio amor tutta infiammata.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:25
    CAPITOLO 11
    Ove vengono spiegati i tre versi della strofa.
    1. Questo incendio d’amore, di solito, non si sente agli inizi, perché non è ancora cominciato a causa dell’impurità della natura, oppure perché l’anima, non comprendendolo, non lo accoglie in sé pacificamente. A volte, invece, con o senza questi ostacoli, l’anima comincia a provare improvvisamente un certo desiderio di Dio pieno si spasimo; quanto più questo desiderio aumenta, tanto più l’anima si sente trasportata verso Dio e infiammata d’amore per lui, senza sapere né comprendere né come né donde le vengano quest’amore e quest’affetto. A volte sente solo crescere in sé tanto questa fiamma e quest’incendio da desiderare Dio con un amore pieno di spasimo. Ciò è appunto quanto Davide, che pure attraversò questa notte, riferisce di sé nei seguenti termini: Il mio cuore era infiammato, nell’amore della contemplazione, i miei reni erano alterati (Sal 72,21-22 Volg.), cioè i miei gusti e i miei affetti sensibili sono stati trasformati, sono passati dalla vita sensitiva a quella spirituale, attraverso l’aridità e la rinuncia a tutti i gusti, di cui sto parlando. E io, aggiunge Davide, ero ridotto un niente e non capivo (ibid.); perché l’anima, senza sapere dove va, si vede annientata in tutte le cose di lassù e di quaggiù, ove era solita trovare le sue consolazioni. Essa constata soltanto di essere infiammata d’amore, senza sapere come né perché si sia prodotto tale cambiamento. E poiché a volte l’incendio d’amore assume proporzioni inverosimili, gli spasimi per Dio si fanno talmente intensi nell’anima da sembrare che questa sete ardente inaridisca tutte le ossa, indebolisca la natura, tolga all’anima il suo calore e la sua forza per l’acutezza della sete d’amore che l’anima sente tanto potentemente. Tale è la sete che Davide provava; dice infatti: L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sal 41,3). È come se dicesse: la sete della mia anima è molto ardente. Questa sete, essendo vivissima, si può ben dire che fa morire. Ma dobbiamo ricordare che la veemenza di questa sete non è continua, bensì intermittente, anche se l’anima abitualmente prova sempre un po’ dei suoi ardori.
    2. Occorre ricordare, come ho già detto in apertura, che ordinariamente quest’amore non si avverte all’inizio. Al contrario, l’anima prova l’aridità e il vuoto di cui sto parlando. E allora, invece di quest’amore, che pure va accendendosi e che l’anima consegue in mezzo alle aridità e al vuoto delle sue potenze, c’è una costante attenzione e sollecitudine di piacere a Dio, mista al dolore e al timore di non servirlo abbastanza. Ora, è sacrificio non poco gradito a Dio vedere un cuore affranto e sollecito per l’amor suo (Sal 50,19). Questa sollecitudine e attenzione si sviluppano nell’anima in seguito alla segreta contemplazione, finché, con il tempo, accendono nello spirito quest’amore divino, dopo che sono stati alquanto purificati i sensi, cioè le forze e gli affetti naturali della parte sensitiva, per mezzo dell’aridità che si viene a produrre. Ma nel frattempo l’anima assomiglia al malato che è tenuto sotto cura: tutto è sofferenza in quest’oscura e arida purificazione dei sensi, per guarire da molte imperfezioni, esercitarsi nella pratica delle virtù ed essere, così, degni dell’amore divino, come si dice nel verso seguente: oh, sorte fortunata!
    3. In un primo momento Dio introduce l’anima nella notte dei sensi al fine di purificare i sensi della parte inferiore, adattarli, assoggettarli e unirli allo spirito, immergendoli nelle tenebre e mettendo fine ai loro ragionamenti. In seguito poi, per purificare lo spirito e unirlo a sé, come dirò più avanti, Dio lo introduce nella notte spirituale. In questo modo l’anima, anche se non le sembra, ottiene così tanti vantaggi che ritiene sorte fortunata essere sfuggita ai lacci e alla presa dei sensi della parte inferiore attraverso questa notte, come recita il verso presente, oh, sorte fortunata! Al riguardo occorre sottolineare i vantaggi che l’anima ottiene in questa notte e a causa dei quali stima sorte fortunata l’averla attraversata. Ora, tutti questi vantaggi si trovano racchiusi nel verso seguente: uscii, né fui notata.
    4. Uscii qui si riferisce all’anima che si libera dall’asservimento in cui la teneva la parte sensitiva, costringendola a cercare Dio attraverso mezzi così deboli, limitati e pericolosi come quelli della parte inferiore. Ad ogni passo, infatti, cadeva in mille imperfezioni o ignoranze, come si è notato sopra parlando dei sette vizi capitali. Ma essa se ne libera, quando questa notte spegne tutte le soddisfazioni spirituali e terrene, immerge nelle tenebre tutti i suoi ragionamenti e le procura molti altri beni, arricchendola di virtù, come dirò subito. Sarà piacevole e molto consolante, per chi cammina su questa strada, constatare che ciò che sembrava all’anima così duro, amaro e contrario ai suoi gusti spirituali, sia divenuto la sorgente di tanti beni. Ora, torno a ripetere, l’anima ottiene questi beni quando, con il favore della notte, si allontana effettivamente ed effettivamente da tutte le cose create e si eleva verso i beni eterni. Ciò costituisce una felice e fortunata sorte per l’anima: prima di tutto perché è una grande vittoria aver spento le passione e gli affetti che la inclinavano alle cose create; in secondo luogo, perché sono pochissimi coloro che soffrono e perseverano nel passare per questa porta stretta e seguire la via angusta che conduce alla vita (Mt 7,14), come dice il Signore. La porta stretta è la notte dei sensi, dei quali l’anima si spoglia e si libera per entrare in essa, appoggiandosi alla fede, che è estranea a ogni senso, per poi percorrere la via angusta, o l’altra notte, che è quella dello spirito. Successivamente, attraverso questa seconda notte, l’anima avanza verso Dio, sostenuta solo dalla fede, che è il mezzo con cui si unisce a Dio. Poiché questo cammino è molto stretto, oscuro e terribile – non c’è paragone tra questa notte dei sensi e l’oscurità e le angosce della seconda, come dirò a suo tempo – sono molto pochi quelli che lo percorrono, ma i suoi vantaggi sono incomparabilmente superiori a quelli della prima notte. Comincio dunque a parlare dei vantaggi della notte dei sensi, il più brevemente possibile, per poi passare alla notte dello spirito.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:26
    Capitolo 12
    Ove si parla dei vantaggi procurati all’anima da questa notte.
    1. La notte o purificazione degli appetiti è vantaggiosa per l’anima a motivo dei grandi beni e profitti che le procura, anche se, come ho detto, a lei sembri che glieli tolga. Come Abramo fece gran festa quando svezzò il figlio Isacco (Gn 21,8), così in cielo ci si rallegra quando Dio toglie un’anima dalle fasce, non la tiene più in braccio, ma la fa camminare sui suoi piedi. E ci si rallegra anche perché, togliendole il latte e il nutrimento delicato e dolce dei bambini, le dà a mangiare il pane con la crosta e fa sì che vi prenda gusto. In quest’aridità e notte dei sensi comincia a essere offerto il cibo dei forti allo spirito libero e distaccato da ogni consolazione sensibile. Questo pane è la contemplazione infusa, di cui ho parlato.
    2. Il primo e principale vantaggio, procurato all’anima da quest’arida e oscura notte di contemplazione, è la conoscenza di sé e della propria miseria. È vero che tutte le grazie da Dio concesse all’anima abitualmente sono accompagnate da questa conoscenza; ma è altrettanto vero che l’aridità e il vuoto delle potenze comparati all’abbondanza di cui esse godevano in passato, insieme alla difficoltà che l’anima prova nel compiere il bene, le fanno scoprire in sé una grettezza e una miseria che non riusciva a vedere al tempo della sua prosperità. Nel libro dell’Esodo (cfr. 33,5) si può trovare un’ottima esemplificazione di tale situazione. Vi si legge che, volendo Dio umiliare i figli d’Israele e insegnar loro a conoscere se stessi, ordinò che deponessero l’abito e gli ornamenti festivi, che ordinariamente indossavano nel deserto, dicendo loro: «D’ora in poi deponete gli ornamenti festivi e indossate abiti comuni da lavoro, perché conosciate il trattamento che meritate». Tale espressione vuol dire questo: il vestito che indossate è un abito di festa e d’allegria; per voi è occasione di non ritenervi tanto umili quanto invece siete; toglietevi dunque queste vesti, perché d’ora in poi, vedendovi ricoperti di abiti dimessi, sappiate che non meritate di più e chi siete in realtà. Questo esempio mostra all’anima la realtà della propria miseria che prima ignorava, cioè quando era in festa e trovava in Dio molta gioia, consolazione e sostegno; si sentiva più soddisfatta e contenta; le sembrava di servirlo in qualcosa. Sebbene non nutrisse in sé espressamente questi sentimenti, tuttavia era portata, attraverso la soddisfazione che provava, alla gioia. Al contrario, ora che ha indossato l’abito da lavoro ed è nell’aridità e nell’abbandono e le luci di una volta si sono spente, possiede molto più verosimilmente questa virtù così eccellente e tanto necessaria della conoscenza di sé e si ritiene ormai un niente e non prova alcuna soddisfazione di sé: vede che da sola non fa e non può fare nulla. Ora, Dio stima di più la scarsa soddisfazione di sé e la desolazione in cui l’anima si trova per l’incapacità di servirlo, che non tutte le sue opere e tutte le gioie che sentiva prima, per quanto elevate fossero. In queste cose, infatti, vi era il pericolo di molte imperfezioni e di molta ignoranza. Al presente, invece, da quest’aridità, che è come un abito per l’anima, derivano non solo i beni di cui si è parlato, ma altresì i vantaggi di cui sto per trattare e molti altri che passerò sotto silenzio. Tutti questi beni nascono dalla conoscenza di sé come da loro fonte originaria.
    3. Anzitutto, sorgono nell’anima maggior rispetto e affabilità nei suoi rapporti con Dio, condizioni richieste quando ci si avvicina all’Altissimo. Ora, qui l’anima trova ciò che non faceva quando godeva a iosa dei gusti spirituali e delle consolazioni. Questo favore dei gusti le suggeriva nei confronti di Dio più audacia di quanto non convenisse, meno rispetto e poca soggezione verso il Signore. Ciò è quanto accadde a Mosè quando si accorse che Dio gli parlava. Travolto dalla gioia e dal suo ardente desiderio, non pensava ad altro che ad avvicinarsi a Dio, se questi non gli avesse ordinato di fermarsi e di togliersi i calzari. Questo dice il rispetto, la discrezione e la povertà di spirito con cui si deve trattare con Dio. Così, dopo aver obbedito, Mosè divenne tanto prudente e discreto che, come dice la Scrittura, non solo non osava avvicinarsi, ma nemmeno guardare (Es 3,2-6; At 7,32); infatti, solo dopo aver tolto i calzari, cioè aver mortificato gli appetiti e i gusti, conobbe profondamente la sua miseria di fronte a Dio, cosa necessaria per ascoltare la parola di Dio. Tale è altresì la disposizione interiore che Dio concesse a Giobbe per parlare con lui. Non quando godeva le delizie e la gloria che era solito avere da Dio, di cui lo stesso Giobbe ci parla (Gb 1,1-8), ma quando fu posto tutto nudo sul letamaio, abbandonato e persino tormentato dai suoi amici, colmo di angoscia e di amarezza, ricoperto di vermi, sulla nuda terra (Gb 29-30), solo allora colui che solleva l’indigente dalla polvere (Sal 112,7), il Dio altissimo, si degnò di scendere e parlare con lui faccia a faccia, mostrandogli le profondità incommensurabili della sua sapienza, come non aveva mai fatto nel tempo della sua prosperità (Gb 38-42).
    4. È opportuno ricordare qui anche un altro prezioso vantaggio che proviene da questa notte o aridità della parte sensitiva, perché è arrivato il momento di parlarne. In questa notte si verifica ciò che dice il profeta: Brillerà fra le tenebre la tua luce (Is 58,10). Dio illumina l’anima, e questa non solo conosce la sua grettezza e la sua miseria, come ho detto, ma altresì la grandezza e l’eccellenza di Dio. Spenti infatti gli appetiti, i gusti e gli attaccamenti sensibili, l’intelletto ha acquistato la purezza e la libertà necessaria per comprendere la verità. I gusti sensibili e gli appetiti, anche per cose spirituali, offuscano e ingombrano lo spirito; mentre, al contrario, l’angustia e l’aridità dei sensi illuminano e vivificano l’intelletto, come dice Isaia: solo il terrore fa capire il discorso (Is 28,19). Quando l’anima è distaccata e libera come le occorre per rendersi disponibile all’influsso divino, passa attraverso la notte oscura e arida della contemplazione, e Dio, come ho detto, nella sua divina saggezza la istruisce soprannaturalmente, cosa che non faceva quando l’anima gustava le gioie e le soddisfazioni di una volta.
    5. Ciò è quanto ci fa capire chiaramente lo stesso lo profeta Isaia quando riferisce: A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole spiegare il discorso? Ai bambini divezzati, appena staccati dal seno? (Is 28,9). Queste parole ci fanno comprendere che la disposizione necessaria per ricevere le comunicazioni divine non è il primo latte della soavità spirituale, né il sostegno dei saporosi discorsi delle facoltà sensitive, già gustati dall’anima, ma la mancanza dell’uno e il distacco dall’altro. Per ascoltare Dio, infatti, l’anima deve stare all’erta e distaccata da ogni affetto e dai sensi, come dice il profeta: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza (Ab 2,1), cioè staccato dagli appetiti, a spiare e non a discorrere con i sensi per vedere che cosa mi dirà, cioè per sapere che messaggio mi viene da Dio. Dobbiamo, quindi, sapere che da questa notte arida deriva anzitutto conoscenza di sé e questa a sua volta è il fondamento della conoscenza di Dio. Per questo sant’Agostino prega così: Fa’, o Signore, che io mi conosca e ti conosca! E i filosofi aggiungono che un termine si conosce meglio confrontandolo con il suo contrario.
    6. Per meglio provare l’efficacia della notte dei sensi che, attraverso le aridità e il distacco attira sull’anima la luce divina, riporto un testo di Davide. Il salmista fa chiaramente capire il valore di questa notte in vista della conoscenza profonda di Dio con le seguenti parole: Come terra deserta, arida, senz’acqua, così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria (Sal 62,3). È sorprendente: Davide ci fa capire che le delizie spirituali e le abbondanti soavità che aveva provato non gli erano servite per conoscere la gloria di Dio; era invece riuscito nell’intento passando per le aridità e l’abbandono della parte sensitiva, rappresentata qui dalla terra arida e deserta. Inoltre egli dice che neanche i concetti e i discorsi celesti, di cui si era frequentemente servito, erano stati per lui una via per conoscere e contemplare la gloria di Dio. Al contrario, un mezzo adatto a tale scopo erano stati l’incapacità di fissare il suo pensiero in Dio, come pure l’impotenza a procedere con il ragionamento e le considerazioni dell’immaginazione, qui significata dalla terra senza una strada. Pertanto il mezzo che abbiamo per conoscere Dio e noi stessi è la notte oscura con le sue aridità e il suo deserto. Ma la pienezza e l’abbondanza di tale conoscenza si avranno solamente nella notte dello spirito: questa prima conoscenza non è che l’inizio dell’altra.
    7. Dall’aridità o deserto della notte dei sensi l’anima ricava anche l’umiltà di spirito, virtù contraria al primo vizio capitale, cioè la superbia spirituale, di cui si è parlato in precedenza. Quest’umiltà, che proviene dalla conoscenza di sé, purifica l’anima da tutte le imperfezioni d’orgoglio in cui cadeva al tempo della sua prosperità. Vedendosi, infatti, tanto arida e miserabile, non pensa, come faceva prima, nemmeno con moto istintivo, di essere migliore degli altri o di superarli in qualcosa; al contrario, riconosce che gli altri le sono superiori.
    8. Questa considerazione genera bell’anima l’amore del prossimo, perché stima gli altri e non li giudica come era solita fare prima, quando era piena di fervore e gli altri no. Ora considera solo la propria miseria e la tiene davanti agli occhi, tanto che questo pensiero non le consente di guardare i difetti altrui. Ciò è quanto Davide, attraversando questa notte oscura, afferma stupendamente in questi termini: Sono rimasto quieto, in silenzio; tacevo privo di bene, la sua fortuna ha esasperato il mio dolore (Sal 38,3). Si esprime così, perché gli sembra che i beni della sua anima siano talmente finiti che non solo non può dirne nulla e non trova il modo di parlarne, ma la conoscenza della propria miseria lo rende muto di dolore soprattutto se guarda alla virtù degli altri.
    9. Durante questa notte le anime diventano anche sottomesse e obbedienti nel cammino spirituale. Vedendosi così piene di miseria, non solo ascoltano quanto viene loro insegnato, ma desiderano altresì che chiunque dia loro consigli e avvisi su quanto devono fare. Perdono quella presunzione affettiva che a volte avevano nella prosperità. Infine, andando avanti, si spogliano di tutte le imperfezioni che ho ricordato qui e che derivano dal primo vizio, cioè dalla superbia spirituale.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:26
    CAPITOLO 13
    1. In questa notte arida e oscura l’anima si libera anche dalle imperfezioni che provengono dall’avarizia spirituale. Essa bramava ora questo ora quell’altro bene spirituale; non si sentiva mai soddisfatta di alcuni esercizi di pietà, a motivo del desiderio delle dolcezze e delle soddisfazioni che trovava in essi. Ora, invece, in questa notte arida e oscura è completamente trasformata. Non trovandovi più le gioie e i piaceri di prima, ma piuttosto disgusto e fatica, pratica le sue devozioni con tanta calma che potrebbe forse peccare per difetto, laddove in passato peccava per eccesso. Ciò nonostante, l’anima che è introdotta in questa notte riceve abitualmente da Dio umiltà e spirito di prontezza, perché compia solo per amore e senza consolazioni quanto Dio le comanda. Così essa si distacca da molte imperfezioni, nelle quali in passato trovava le sue compiacenze.
    2. Va aggiunto, altresì, che le aridità e il disgusto della parte sensitiva, che l’anima prova nelle pratiche di pietà, la liberano da quelle impurità di cui si parlava a proposito della lussuria spirituale; dicevo, infatti, che queste miserie comunemente derivano dalle compiacenze che dallo spirito si riversano sui sensi.
    3. Delle imperfezioni relative alla gola spirituale, quarto vizio capitale, di cui l’anima si purifica in questa notte, se n’è parlato a suo tempo, anche se non sono state elencate tutte perché innumerevoli. Non ne parlerò, dunque, qui, perché vorrei concludere con questa notte per passare all’altra, circa la quale ho da esporre importanti insegnamenti e una dottrina profonda. Per farsi un’idea degli innumerevoli vantaggi che, oltre a quelli già elencati, l’anima ottiene in questa notte contro il vizio della gola spirituali, basti dire che si libera da tutte le imperfezioni che ho elencato e da molti altri gravi danni e vizi detestabili di cui non ho detto nulla. In tali imperfezioni sono cadute molte persone, di cui ho avuto esperienza, perché non hanno corretto il vizio della gola spirituale. Infatti Dio, in quest’arida e oscura notte in cui introduce l’anima, tiene a freno la sua concupiscenza e i suoi appetiti, di modo che essa non può cibarsi di alcun gusto o piacere sensibile per cose celesti o terrene. Così l’anima prosegue in questo cammino in modo da rimanere sottomessa, trasformata e mortificata nella concupiscenza e negli appetiti. Le sue passioni e la sua concupiscenza hanno perso la loro forza, mentre la loro attività, non essendo più alimentata dai piaceri precedenti, è ormai senza vigore, come quando i condotti delle mammelle s’inaridiscono perché non si spreme più il latte. Una volta soggiogate le passioni, l’anima, oltre ai vantaggi suddetti, ne acquista altri meravigliosi grazie a questa sobrietà spirituale. In verità, sedate le passioni e spenta la concupiscenza, l’anima vive nella pace e nella tranquillità spirituale, perché dove non regnano più le passioni e la concupiscenza non c’è più turbamento, ma solo la pace e le consolazioni divine.
    4. Da ciò deriva un secondo vantaggio, ed è il sentimento abituale della presenza di Dio, accompagnato dal timore di tornare indietro, come ho detto, nel cammino spirituale. Il presente vantaggio è molto prezioso e certamente non il più piccolo in mezzo a quest’aridità e purificazione dei sensi, perché l’anima si purifica e si libera dalle imperfezioni che le si attaccano per mezzo delle passioni e degli affetti, che per loro natura la indeboliscono e la offuscano.
    5. In questa notte c’è un altro vantaggio molto grande, ed è che l’anima si esercita contemporaneamente nella pratica di più virtù. Si esercita nella pazienza e nella longanimità, a motivo dell’abbandono e dell’aridità, quando occorre perseverare nelle pratiche di pietà senza cercare gusto o consolazione. Si esercita, altresì, nella carità verso Dio, perché non è mossa dal gusto piacevolmente attraente che trova nelle opere, ma solo da Dio. Allo stesso modo pratica anche la virtù della fortezza, perché nelle difficoltà e nei disgusti che contrastano la sua attività, prende forza dalla sua debolezza e diviene più energica. In breve, tutte le virtù teologali, cardinali e morali agiscono sia sul corpo che sullo spirito durante quest’aridità.
    6. Questa notte, dunque, produce nell’anima i vantaggi che ho detto, cioè il diletto della pace, il ricordo abituale e attento di Dio, il candore e la purezza dell’anima e la pratica delle virtù. Ciò è quanto Davide ha sperimentato personalmente, trovandosi in questa notte. Ne parla nei termini seguenti: Io rifiuto ogni conforto; mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. E subito aggiunge: Un canto nella notte mi ritorna nel cuore; rifletto e il mio spirito si va interrogando su tutte le affezioni (Sal 76,3-4.7).
    7. Per quanto riguarda le imperfezioni degli altri tre vizi spirituali di cui ho parlato, e che sono l’ira, l’invidia e l’accidia, in quest’aridità dell’appetito l’anima se ne purifica e acquisisce le virtù contrarie. Difatti, temperata e umiliata da queste aridità e difficoltà e da altre tentazioni e fatiche di questa notte in cui talvolta Dio la esercita, diventa mite con Dio e con se stessa e anche con il prossimo; così non si agita per le proprie mancanze, né per quelle altrui si irrita contro il prossimo, né si disgusta o si lamenta inopportunamente con Dio perché non la rende buona in fretta.
    8. Contro ogni reale invidia, pratica la carità verso gli altri. E se prova qualche invidia, non si tratta di invidia viziosa come la precedente, quando soffriva perché altri le erano preferiti o erano più virtuosi di lei. Ora, invece, si dà per vinta, vedendosi tanto miserabile; e l’invidia che prova, se la prova, è virtuosa, perché desidera imitarli, e questa virtù è profonda.
    9. Quanto all’accidia e al tedio che l’anima prova nelle cose spirituali, non sono viziosi come prima. Difatti, in passato, questi sentimenti provenivano dai gusti spirituali che a volte provava e che desiderava avere quando li provava; mentre ora questo tedio non procede dal gusto imperfetto, perché Dio le ha tolto tale gusto in rapporto a tutte le cose create in questa purificazione dei sensi.
    10. Oltre a questi vantaggi appena elencati, ve ne sono innumerevoli altri che l’anima acquista attraverso quest’arida contemplazione. Difatti, in mezzo alle aridità e angustie, molte volte, quando meno se l’aspetta, Dio comunica all’anima soavità spirituale, amore purissimo e conoscenze spirituali, a volte molto elevate, ognuna delle quali è più vantaggiosa e preziosa di quelle gustate prima. Ma occorre dire che l’anima agli inizi non la pensa così, perché la comunicazione spirituale a lei accordata è elevata per natura, ragion per cui i sensi non possono percepirla.
    11. In conclusione, a questo punto, più l’anima si purifica dagli affetti e dai desideri sensitivi, più acquista libertà di spirito, nella quale si sviluppano i dodici frutti dello Spirito Santo. In questo stato si libera straordinariamente dalle mani dei suoi tre nemici, che sono il mondo, il demonio e la carne; infatti, scomparendo il sapore e il gusto sensibile per le cose, né il demonio né il mondo né la sensualità hanno armi o forze contro lo spirito.
    12. Queste aridità, dunque, fanno avanzare l’anima nella via del puro amore per Dio. Difatti essa non è più spinta ad agire perché influenzata dal gusto o dal sapore che provava nelle sue azioni, come forse faceva prima, ma solo per far piacere a Dio. Non è più arrogante né ammette soddisfazioni sul piano personale, come forse era abituata all’epoca della prosperità. Al contrario, è divenuta timorosa e sospettosa di sé e non cerca più soddisfazione in se stessa; insomma, vive nel santo timore di Dio, che conserva e accresce le virtù. L’aridità, inoltre, spegne anche le concupiscenze e gli slanci della natura, come ho detto; in questo stato, infatti, se Dio a volte non le concedesse qualche gioia, difficilmente l’anima potrebbe procurarsi con tutta la sua diligenza una gioia o un piacere sensibile nelle sue opere o pratiche di pietà, come ho già detto.
    13. In questa notte arida cresce l’attenzione per Dio e l’ardente desiderio di servirlo. Inaridendosi la fonte della sensualità, che nutriva l’accattivante cupidigia, all’anima resta soltanto, nel distacco assoluto, un ardente desiderio di servire Dio. Tale sentimento è molto gradito a Dio, perché, come dice Davide, uno spirito contrito è sacrificio a Dio (Sal 50,19).
    14. Poiché l’anima capisce che in quest’arida purificazione, che ha attraversato, ha ottenuto tanti e così preziosi vantaggi, come ho detto, non stupisce molto che nella strofa che sto spiegando esclami: Oh, sorte fortunata! Uscii, né fui notata, cioè mi liberai dai lacci e dalla soggezione in cui mi tenevano i miei appetiti sensibili e i miei affetti, senza essere notata, senza che i tre suddetti nemici me lo potessero impedire. Infatti sono gli appetiti e i vani piaceri che con i loro legami imprigionano l’anima e le impediscono di uscire da sé e di attingere nella libertà l’amore di Dio; ma privati dei legami, di cui sopra, essi non possono combattere l’anima.
    15. Perciò, quando, attraverso una continua mortificazione, si sedano le quattro passioni dell’anima, che sono la gioia, il dolore, la speranza e il timore; quando si addormentano gli appetiti naturali della sensualità attraverso un’aridità costante, allora i sensi e le potenze interne si stabiliscono in un’armonia perfetta, perché cessano le loro operazioni discorsive che, come ho detto, costituiscono tutto il mondo interiore della parte sensitiva, che qui l’anima chiama sua casa: allora essa può dire: stando la mia casa al sonno abbandonata.
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:27
    CAPITOLO 14
    1. Quando la casa della sensualità è ormai acquietata, cioè mortificata, le sue passioni sedate, gli appetiti sopiti e addormentati, per mezzo della beata notte della purificazione dei sensi, allora l’anima è uscita. In realtà, essa comincia a percorrere la via dello spirito, che è quella dei proficienti o di coloro che sono già avanzati. Tale cammino si chiama anche via illuminativi o della contemplazione infusa. È qui dove Dio nutre l’anima di se stesso e la ristora, senza che essa vi contribuisca con i suoi ragionamenti o collaborazione alcuna. Questa è, come ho detto, la notte o purificazione dei sensi, una notte che non è attraversata da un gran numero di persone. Infatti sono pochi quelli che ordinariamente l’attraversano, per poi entrare nell’altra notte più terribile dello spirito fino a raggiungere l’unione d’amore con Dio. Di solito è accompagnata da terribili tribolazioni e tentazioni nei sensi. È una prova che dura a lungo, in alcuni più, in altri meno. Alcuni sono assaliti dall’angelo di Satana (2Cor 12,7), un vero e proprio spirito di fornicazione, che frusta i loro sensi con odiose e possenti tentazioni, oppure tormenta il loro spirito con brutti pensieri e la loro immaginazione con rappresentazioni molto vive nella fantasia, infliggendo loro maggior dolore della stessa morte.
    2. A volte coloro che attraversano questa notte sono tentati dallo spirito di bestemmia: tutti i loro pensieri e concetti sono attraversati da esecrande parole blasfeme. Anzi molte volte vengono suggerite all’immaginazione con tanta forza da indurli quasi a pronunciarle, procurando loro grande tormento.
    3. Altre volte essi vengono assaliti da un altro detestabile spirito che Isaia chiama spiritus vertiginis, spirito di smarrimento (Is 19,14). Tale spirito mira non tanto a farli peccare, quanto a metterli alla prova. Questo spirito offusca talmente i loro sensi da riempirli di mille scrupoli e perplessità tanto intricate per il loro animo che non si sentono soddisfatti di niente né sono capaci, secondo il loro giudizio, di seguire il consiglio e i suggerimenti di altri. Ciò costituisce uno dei più gravi tormenti e orrori di questa notte, molto simile a quanto avverrà nella notte dello spirito.
    4. Di solito Dio invia simili tempeste e prove in questa notte e purificazione sensitiva a coloro che, come dico, deve introdurre più tardi nell’altra notte, anche se non tutti vi arrivano. Quando sono provati e tartassati in questo modo, essi si esercitano, si preparano e adattano i loro sensi e le loro facoltà all’unione con la Sapienza, ove saranno accolti in quella notte. Se l’anima non è tentata, esercitata e messa alla prova con pene e sofferenze, non può affinare i suoi sensi per accogliere la sapienza. Per questo l’Ecclesiastico dice: Chi non è stato tentato, che sa mai? Chi non ha subito prove, conosce poco (Sir 34,11 e 10). Di questa verità rende testimonianza anche Geremia quando afferma: Tu mi hai castigato e io ho imparato (Ger 31,18). Ora, la correzione più sicura per introdurre l’anima nella sapienza divina è data dalle prove interiori di cui sto parlando. Sono proprio quelle più dure a purificare i sensi da tutte le soddisfazioni e consolazioni a cui erano attaccati per naturale debolezza. Se a questo punto l’anima è veramente umiliata, lo è in vista dell’esaltazione cui è destinata.
    5. Non si può dire con esattezza quanto tempo l’anima trascorra in questo digiuno e penitenza dei sensi, perché non tutti subiscono le stesse tentazioni né alla stessa maniera. Ciò dipende dalla volontà di Dio. Questi, in base alle maggiore o minore imperfezione che dev’essere purificata in ciascun’anima, come pure in base al grado d’amore unitivo al quale intende elevarla, la umilierà più o meno intensamente o più o meno a lungo. Nondimeno, la purificazione di coloro che sono più forti e più capaci di sopportare la sofferenza è più intensa e più rapida. Al contrario, i più deboli sono molto meno provati e tentati, ma restano più a lungo in questa notte. Di solito il Signore concede loro qualche consolazione sensibile, perché non tornino indietro. In questo modo essi arrivano tardi alla purezza perfetta in questa vita, anzi alcuni non vi arrivano affatto, perché non sono completamente immersi in questa notte né sono fuori di essa. Sebbene non procedano oltre, tuttavia, perché si mantengano nell’umiltà e nella conoscenza di sé, Dio li esercita per qualche tempo o per qualche giorno in quelle tentazioni e aridità; di tanto in tanto li sostiene con alcune consolazioni, perché non perdano coraggio e non tornino a cercare i piaceri del mondo. Con altre anime ancora più deboli Dio si comporta ora mostrandosi e ora nascondendosi per esercitarle nel suo amore, perché senza tali assenze non imparerebbero mai ad avvicinarsi a lui.
    6. Quanto alle anime che devono arrivare al beato e sublime stato dell’unione d’amore, per quanto presto Dio ve le conduca, di solito restano molto a lungo nelle aridità e nelle prove, come dimostra l’esperienza. Ma ora è il momento di cominciare a parlare della seconda notte.
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    00 02/08/2013 17:29
    Libro II
    Ove si parla della purificazione più profonda che avviene nella notte dello spirito.


    CAPITOLO 1

    Ove si comincia a parlare della notte oscura dello spirito. Si indica, altresì, il momento in cui ha inizio.
    1. Quando Dio vuol far progredire un’anima, non la pone nella notte dello spirito appena è uscita dalle aridità e dalle prove della prima purificazione o notte dei sensi. Di solito passa molto tempo, a volte anni, prima che l’anima, superato lo stato dei principianti, si eserciti in quello dei proficienti. Simile a colui che è uscito da un angusto carcere, l’anima avanza nelle cose di Dio con molta maggiore facilità e soddisfazione, insieme a una gioia più abbondante e intima, di quanto non avesse fatto agli inizi, prima di entrare nella notte dei sensi. Ormai la sua immaginazione e le sue facoltà non sono più condizionate, come prima, dal ragionamento e dalle preoccupazioni spirituali, perché con grande facilità trova subito in sé una contemplazione molto serena e piena d’amore, come pure un piacere spirituale senza alcun bisogno di ragionare. Tuttavia la purificazione dell’anima non è ancora compiuta, perché le manca la fase principale, che è quella dello spirito. Se questa non si verifica – tra l’una e l’altra c’è relazione di continuità, dato che avvengono nello stesso soggetto –, anche la purificazione dei sensi, per quanto profonda sia stata, risulta incompiuta e imperfetta. Così l’anima non mancherà, di tanto in tanto, di passare attraverso abbandoni, aridità, tenebre e angosce, a volte anche più intense che in passato. Sono come presagi e messaggeri della futura notte dello spirito. Non durano però quanto la notte che si aspetta, ragion per cui, trascorso un periodo o alcuni giorni di questa notte tempestosa, l’anima ritorna alla sua abituale serenità. In questo modo Dio purifica alcune anime che non devono arrivare all’alto grado d’amore come le altre; a volte, e a intervalli, le fa passare per questa notte di contemplazione e purificazione spirituale; spesso le fa passare dalle tenebre della notte alla luce del giorno. È in questo modo che si avvera quanto afferma Davide, che cioè Dio getta la sua grandine, ossia la sua contemplazione, come briciole (Sal 147,17), sebbene questi chicchi di oscura contemplazione non siano mai penetranti come quelli dell’orrenda notte della contemplazione – di cui sto per parlare – nella quale Dio introduce di proposito l’anima per elevarla all’unione con sé.
    2. Il godimento intimo, che con abbondanza e facilità i proficienti provano e gustano nel loro spirito, viene loro comunicato più copiosamente che in passato, riversandosi nei sensi più di quanto non accadesse prima della purificazione dei sensi. Difatti, quanto più i sensi sono purificati, con tanta maggiore facilità possono gustare a modo loro le gioie dello spirito. In definitiva, poiché la parte sensitiva dell’anima è debole e inadeguata alle forti impressioni dello spirito, ne deriva che i proficienti, data l’espansione dello spirito sulla parte sensitiva, provano in questa numerose debolezze, sofferenze in genere, languore di stomaco e affanni spirituali. Ciò è quanto dice il Saggio in questi termini: Un corpo corruttibile appesantisce l’anima (Sap 9,15). Di conseguenza, le comunicazioni dello spirito non possono essere molto forti né troppo intense né molto spirituali, come invece devono essere quelle per l’unione con Dio, perché partecipano della debolezza e della corruzione dei sensi. Tutto questo spiega i rapimenti, le estasi, le slogature di ossa che si verificano ogni volta che le comunicazioni non sono soltanto spirituali, cioè fatte al solo spirito, come nel caso dei perfetti. Essendo già stati purificati nella seconda notte dello spirito, in loro non si verificano più estasi e tormenti del corpo. Ormai godono della libertà di spirito, senza che i loro sensi ne siano offuscati o strapazzati.
    3. Per ben comprendere la necessità, in cui si trovano i proficienti, di entrare in questa notte dello spirito, annoterò qui sotto alcune imperfezioni e pericoli a cui sono esposti.
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    00 02/08/2013 17:29
    CAPITOLO 2
    Ove si continua a parlare di alcune imperfezioni dei proficienti.
    1. I proficienti cadono in due tipi di imperfezioni, alcune abituali, altre attuali. Quelle abituali sono gli affetti e le abitudini difettose, le cui radici sono ancora rimaste nello spirito, dove non può giungere la purificazione dei sensi. La differenza che intercorre tra le due purificazioni è simile a quella che esiste tra l’estirpare la radice di una pianta e il tagliarne un ramo; ovvero: togliere una macchia fresca oppure una secca e incrostata. Come ho detto, la purificazione dei sensi non è che la porta e il principio della contemplazione che conduce alla purificazione dello spirito. Ho pure detto che il suo scopo è più quello di adattare i sensi allo spirito che di unire lo spirito a Dio. Ma le macchie dell’uomo vecchio rimangono ancora nello spirito, anche se non se ne accorge e non le vede; se tali macchie non vengono tolte con il sapone e la lisciva forte della purificazione di questa notte, lo spirito non potrà pervenire alla purezza dell’unione divina.
    2. I proficienti hanno ancora, come imperfezioni abituali, la hebetudo mentis, cioè l’ottusità della mente, e la rozzezza naturale che ogni uomo contrae con il peccato, e nel loro spirito sono distratti e superficiali. Per questo motivo occorre che siano illuminati, purificati e messi nel raccoglimento attraverso le sofferenze e le angustie della notte dello spirito. Tutti quelli che non sono ancora passati per lo stato di proficienti sono soggetti a queste imperfezioni abituali, che, come tali, sono incompatibili con lo stato perfetto dell’unione d’amore.
    3. Non tutti incorrono allo stesso modo nelle imperfezioni attuali. Alcuni accolgono i beni spirituali in modo così strano e conforme ai sensi, che cadono in inconvenienti e pericoli più grandi di quelli elencati all’inizio. Difatti ricevono molte comunicazioni e percezioni nei loro sensi e nel loro spirito; molto spesso hanno visioni immaginarie e spirituali. Del resto, in questo stato essi hanno di frequente anche sentimenti piacevoli. È allora che il demonio e la fantasia tendono inganni all’anima. Il maligno insinua e suggerisce simili percezioni e sensazioni con un incantesimo tale da ingannarla e sedurla molto facilmente, se essa non ha l’avvertenza di vivere nella rassegnazione alla volontà di Dio e di difendersi con forza nella fede, da tutte le visioni e immaginazioni. In questo stato il demonio spinge molte persone a credere in false visioni e in false profezie, insinuando in loro la presunzione che sia Dio o qualche santo a parlare, mentre il più delle volte non si tratta che della loro immaginazione. Il demonio è solito ancora riempirli di presunzione e di superbia, e queste persone, spinte dalla loro vanità e arroganza, amano farsi vedere in atteggiamenti da santi, come in estasi o in altri fenomeni straordinari. Tali persone si mostrano piene di audacia nei confronti di Dio, tanto da perderne il santo timore, chiave e salvaguardia di tutte le virtù. Alcune di esse moltiplicano a tale punto il numero delle loro falsità e degli inganni e s’induriscono così tanto da rendere molto incerto il loro ritorno al cammino puro della virtù e del vero spirito. Cadono in queste miserie perché agli inizi, quando cominciano a progredire nelle vie soprannaturali dello spirito, si affidano con troppa sicurezza alle conoscenze o sensazioni spirituali.
    4. Ci sarebbe molto da dire su queste imperfezioni, ma poiché sono incurabili al punto tale che le si ritiene più spirituali delle prime, non voglio dirne nulla. Aggiungo soltanto, per confermare la necessità della notte dello spirito o della purificazione spirituale di colui che deve andare avanti, che nessuno dei proficienti, malgrado i suoi sforzi, è esente da questi affetti naturali e da queste abitudini imperfette, da cui è necessario purificarsi per passare all’unione divina.
    5. Inoltre, come ho detto in precedenza, per quanto la parte inferiore possa avere comunicazioni di favori spirituali, questi non saranno mai così intensi, puri e forti come si richiede per l’unione divina. All’anima che deve arrivare all’unione conviene, perciò, entrare nella seconda notte, quella dello spirito. Qui i sensi e lo spirito vengono completamente spogliati di tutte le percezioni e i gusti sensibili. Ivi l’anima sarà obbligata a camminare nell’oscurità e nella purezza della fede, unico mezzo proprio e adeguato per l’unione con Dio, come afferma Osea: Ti farò mia sposa per sempre, cioè ti unirò a me nella fede (Os 2,21-22).
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    00 02/08/2013 17:30
    CAPITOLO 3
    Osservazioni su quanto segue.
    1. Le persone spirituali hanno fatto dei progressi, dunque, durante il tempo trascorso a nutrire i loro sensi di dolci comunicazioni. Così la parte sensitiva, attratta e invogliata dalle delizie della parte spirituale, si adegua e si unisce ad essa. L’una e l’altra si cibano, ognuna a suo modo, dello stesso alimento spirituale; lo prendono dalla stessa fonte e lo offrono a un solo e unico soggetto. Congiunti in qualche maniera, il senso e lo spirito sono insieme pronti a soffrire la dura e penosa purificazione dello spirito che li attende. È qui dove le due parti dell’anima, la spirituale e la sensitiva, devono essere purificate completamente, perché la purificazione dell’una non avviene mai senza che anche l’altra venga purificata, e quella del senso non è efficace se non è veramente cominciata quella dello spirito. Questo è il motivo per cui quella che si è chiamata notte dei sensi si può e si deve chiamare riforma e imbrigliamento degli appetiti piuttosto che purificazione. Questo perché tutte le imperfezioni e i disordini della parte sensitiva hanno la loro forza e la loro radice nello spirito, dove si formano tutte le abitudini buone e cattive; quindi, finché queste non vengono purificate, non potranno mai essere purificate completamente nemmeno le ribellioni e i vizi dei sensi.
    2. Nella notte, di cui sto per parlare, la parte sensitiva e quella spirituale vengono purificate allo stesso tempo. Per questo motivo è stato conveniente che il senso passasse attraverso la riforma della prima notte, al fine di ricuperare la quiete che da essa deriva. Una volta unito allo spirito, si purificano in qualche modo insieme e sopportano con più forza le sofferenze. Per sostenere una purificazione così dolorosa e aspra, occorre una disposizione tale che, se la debolezza della parte inferiore non fosse stata prima riformata e non avesse acquistato forza in Dio, nel dolce e piacevole rapporto con lui, non avrebbe mai avuto la forza e la capacità di affrontare una sì grande sofferenza.
    3. Ma il modo di comportarsi di questi proficienti con Dio è ancora molto grossolano e molto naturale. L’oro del loro spirito non è ancora purificato e lucidato. Per questo pensano di Dio come bambini e parlano di Dio come bambini e ragionano e sanno di Dio come bambini, come dice san Paolo (1Cor 13,11), perché non sono ancora pervenuti alla perfezione, cioè all’unione dell’anima con Dio. È in forza di quest’unione che essi diventano grandi. Una volta investiti dallo Spirito divino, essi compiono grandi opere, perché ormai le loro opere e le loro facoltà sono più divine che umane, come dirò in seguito. Dio vuole effettivamente spogliarli del vecchio uomo e rivestirli dell’uomo nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza a immagine del suo Creatore, come dice san Paolo (Col 3,10). Il Signore opera la spoliazione delle loro facoltà, dei loro affetti e sentimenti, sia spirituali che sensibili, sia esteriori che interiori. Lascia al buio l’intelletto, arida la volontà e vuota la memoria; getta gli affetti dell’anima nella più profonda afflizione, nell’amarezza e nell’angustia; priva l’anima del sentimento e del gusto che essa provava precedentemente nei beni spirituali. Tale privazione è una delle condizioni richieste perché s’introduca nell’anima e si unisca ad essa la forma spirituale dello spirito che è l’unione d’amore. Ciò è quanto il Signore opera in essa per mezzo della pura e oscura contemplazione, come lo dà a intendere la prima strofa. Anche se essa è stata già spiegata quando si è parlato della prima notte, quella dei sensi, l’anima deve comprenderla soprattutto attraverso questa seconda notte, quella dello spirito, che costituisce la parte principale della purificazione dell’anima. È per questo motivo che la ripropongo e la spiego un’altra volta.
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    00 02/08/2013 17:30
    CAPITOLO 4
    Ove si riporta la prima strofa e la sua spiegazione.
    Prima strofa
    In una notte oscura,
    con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
    oh, sorte fortunata!,
    uscii, né fui notata,
    stando la mia casa al sonno abbandonata.
    Spiegazione
    1. Applicando ora questa strofa alla purificazione, alla contemplazione, allo spogliamento o povertà di spirito, realtà tutte che significano quasi la stessa cosa, posso spiegare nel modo seguente ciò che dice l’anima. In povertà, abbandono e distacco da tutte le percezioni della mia anima, cioè nell’oscurità del mio intelletto, nell’aridità della mia volontà, nell’afflizione angosciosa della memoria, uscii da me stessa. Ciecamente abbandonata alla fede pura, che è notte oscura per le facoltà naturali, con la volontà colpita da dolore, da afflizione e da spasimi d’amore per Dio, uscii da me stessa, cioè dal mio modo umano di comprendere Dio, dalla mia debole volontà di amarlo, nonché dalla mia scarsa e povera maniera di goderlo, senza che la sensualità o il demonio abbiano potuto impedirmelo.
    2. Questa fu per me una sorte fortunata, perché mentre finivano di annientarsi e acquietarsi le facoltà, le passioni, gli appetiti e gli affetti della mia anima, con cui percepivo e gustavo Dio imperfettamente, abbandonai il mio comportamento umano per assumere quello di Dio. Ciò vuol dire che il mio intelletto è uscito da se stesso, trasformandosi da umano e naturale in divino. Difatti, unendosi per mezzo di questa purificazione a Dio, non comprende più in virtù delle sue forze naturali, ma in virtù della Sapienza divina, alla quale si è unito. Anche la mia volontà è uscita da se stessa, diventando divina, perché, unita all’amore divino, non ama più umanamente con la sua forza naturale, ma con la forza e la purezza dello Spirito Santo. Ciò spiega perché essa non agisce più in modo umano nei confronti di Dio. La stessa cosa si può dire della memoria, i cui ricordi si sono trasformati in pensieri eterni di gloria. Infine tutte le forze e gli affetti dell’anima, per mezzo di questa notte e purificazione del vecchio uomo, si sono rinnovati completamente nelle perfezioni e nelle delizie della divinità. Si commenta il verso: In una notte oscura.
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    00 02/08/2013 17:31
    CAPITOLO 5
    Ove si comincia a spiegare come questa contemplazione oscura non solo è notte per l’anima, ma anche pena e tormento.
    1. Questa notte oscura è l’azione che Dio esercita sull’anima per purificarla dalle sue ignoranze e imperfezioni abituali, naturali e spirituali. I contemplativi la chiamano contemplazione infusa o teologia mistica. Qui Dio istruisce segretamente l’anima e le insegna a perfezionarsi nell’amore, senza che essa faccia nulla o sappia come avvenga. La contemplazione infusa, in quanto sapienza piena d’amore per Dio, produce due effetti principali nell’anima: la dispone all’unione d’amore con Dio purificandola e illuminandola. Quella sapienza, piena d’amore, che purifica i beati in cielo illuminandoli, è la stessa che qui sulla terra purifica e illumina l’anima.
    2. Ma a questo punto può sorgere un dubbio: perché la sapienza eterna, che è luce divina e che, come si diceva, illumina e purifica l’anima dalle sue ignoranze, è qui chiamata notte oscura? A tale interrogativo rispondo così: la divina sapienza non solo è notte e tenebre per l’anima, ma anche sua pena e tormento per due motivi. Il primo è l’elevatezza della sapienza divina, che supera le capacità dell’anima, alla quale proprio per questa ragione si presenta piena di oscurità. Il secondo è la bassezza e l’impurità dell’anima. Questi due limiti fanno sì che la luce divina sia per l’anima penosa, dolorosa e anche oscura.
    3. A sostegno del primo motivo è opportuno ricordare qui la dottrina del Filosofo, il quale afferma con certezza che quanto maggiormente le verità divine sono in sé chiare e palesi, tanto più sono per loro natura oscure e occulte all’anima. La stessa cosa accade riguardo alla luce; quanto più è forte, tanto più acceca e oscura la pupilla della civetta; così il sole: quanto più è fissato direttamente, tanto più abbaglia la potenza visiva e la priva della luce, perché è troppo superiore alla debolezza dell’occhio. Pertanto, quando questa luce divina della contemplazione investe l’anima non ancora totalmente illuminata, le provoca tenebre spirituali, perché non solo la supera, ma la priva altresì della sua intelligenza naturale e ne oscura l’atto. Per questo motivo san Dionigi e altri teologi mistici chiamano questa contemplazione infusa raggio di tenebra, cioè tenebre per l’anima non ancora illuminata e purificata, perché la grande luce soprannaturale di detta contemplazione paralizza la forza naturale dell’intelletto. Per questo Davide dice che nubi e tenebre avvolgono il Signore (Sal 96,2), non perché egli sia tale in se stesso, ma a causa dei nostri sensi deboli che di fronte a una luce così immensa si oscurano e rimangono offuscati, non essendone all’altezza. Lo stesso Davide per maggior chiarezza aggiunge: Davanti al tuo fulgore si interposero le nuvole (Sal 17,13 Volg.), cioè tra Dio e il nostro intelletto. Questo spiega perché, quando Dio immette nell’anima non ancora trasformata qualche raggio splendente della sua sapienza segreta, produce nell’intelletto dense tenebre.
    4. D’altronde appare evidente come questa contemplazione oscura agli inizi sia dolorosa per l’anima. Difatti, se da una parte tale contemplazione divina infusa racchiude in sé molti beni d’una superiorità estrema, dall’altra l’anima che li riceve, non essendo ancora purificata, presenta in sé molte e persino gravi miserie. Perciò, non potendo due contrari coesistere nell’unico soggetto che è l’anima, necessariamente essa deve penare e soffrire come campo di combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue imperfezioni. Lo proverò per induzione nel modo seguente.
    5. Anzitutto, poiché la luce o sapienza di questa contemplazione è molto luminosa e chiara, mentre l’anima – che ne è investita – è oscura e impura, quando la riceve soffre molto. Succede un po’ come quando gli occhi sono ammalati e sofferenti per umori cattivi e soffrono se colpiti da viva luce. Ora, la sofferenza dell’anima, dovuta alla sua impurità, è realmente immensa quando viene investita dalla luce divina. Quando, infatti, l’anima è investita da questa purissima luce al fine di essere liberata dalle sue impurità, si sente talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro e che essa stessa sia diventata nemica di Dio. Pensando che Dio l’abbia scacciata, avverte tanta pena e sofferenza da sperimentare una delle prove più dure alle quali fu sottoposto Giobbe in situazione simile. Per questo egli gridava al Signore: Perché mi hai preso a bersaglio e sono diventato un peso a me stesso? (Gb 7,20 Volg.). In questo stato, infatti, l’anima, anche se nelle tenebre, vede chiaramente, illuminata com’è da questa luce divina, la sua impurità; riconosce chiaramente di non essere degna di Dio né di qualsiasi creatura. Ciò che la fa soffrire di più è il pensiero che non ne sarà mai degna e che ormai non vi potrà essere più felicità per lei. Tutto questo perché la sua mente è profondamente immersa nella conoscenza e nel sentimento dei suoi mali e delle sue miserie. A questo punto essa li scopre tutti alla luce di questa divina e oscura luce; comprende, del resto, con evidenza che potrà avere in sorte, per quello che è, solo malizie. Tale è il senso che si può dare alla seguente affermazione di Davide: Per l’iniquità tu punisci l’uomo e fai consumare la sua anima, come il ragno che produce la tela spingendo fuori il suo interno (Sal 38,12 Volg.).
    6. Il secondo motivo per cui l’anima soffre è la debolezza morale e spirituale della sua natura. Poiché questa divina contemplazione investe l’anima con una certa violenza per fortificarla e disciplinarla, essa soffre nella sua fragilità, e quasi viene meno, soprattutto quando è investita con maggiore intensità. Allora i sensi e lo spirito sono, per così dire, oppressi da un peso immenso e invisibile. Soffrono e vengono sottoposti a un’agonia tale che considerano la morte un sollievo. Giobbe aveva sperimentato un simile stato e per questo esclamava: Non vorrei che (Dio) trattasse con me con la sua grande potenza e mi schiacciasse sotto il peso della sua grandezza (Gb 23,6 Volg.).
    7. In mezzo a questa oppressione e sotto questo peso l’anima non si sente assolutamente favorita e le sembra che anche quello in cui era solita trovare un certo appoggio sia svanito con il resto e che nessuno provi compassione per lei. A questo riguardo dice ancora Giobbe: Pietà, pietà di me, almeno voi amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso (Gb 19,21). È cosa strana e degna di compassione che la debolezza e l’impurità dell’anima facciano sentire pesante e avversa la mano di Dio, che per natura è così lieve e dolce. Dio non fa mai pesare la sua mano sull’anima, ma la tocca solamente e con tanta misericordia, perché suo unico scopo è quello di concederle grazie, non di castigarla.
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    00 02/08/2013 17:32
    CAPITOLO 6
    1. Il terzo motivo delle sofferenze e delle pene che l’anima subisce in questa notte proviene dai due estremi, il divino e l’umano, che qui operano congiuntamente. Il divino è la contemplazione purificatrice e l’umano è l’anima quale soggetto di questa contemplazione. L’elemento divino investe l’anima per purificarla, rinnovarla e renderla divina, spogliandola degli affetti abituali e delle caratteristiche dell’uomo vecchio, al quale è molto unita, assimilata e conformata. Immergendola in una profonda e densa tenebra, sconnette e scompone la sua sostanza spirituale, in modo tale che l’anima si sente annientare e struggere alla vista delle sue miserie, come se sperimentasse una dura morte spirituale. Le sembra di essere come inghiottita nel ventre tenebroso d’una balena, ove si sente digerita, mentre soffre le stesse angosce di Giona (2,1) nel ventre del cetaceo. Ma le conviene passare per questa tomba di oscura morte per arrivare alla risurrezione spirituale che l’attende.
    2. Davide descrive questo genere di tortura e di tormento, anche se trascende ogni comprensione, nei seguenti termini: Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi… nel mio affanno invocai il Signore (Sal 17,5-7). Ma in questo stato l’anima soffre soprattutto perché le sembra chiaro che Dio l’abbia abbandonata e, aborrendola, l’abbia gettata nelle tenebre. La convinzione di essere respinta da Dio costituisce per l’anima una pena insopportabile, che le merita compassione. È per aver provato intensamente questa sofferenza che Davide esclama: È tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi (Sal 87,6-8). In realtà, quando questa contemplazione purificatrice prende il sopravvento, l’anima sente molto vivamente l’ombra e i gemiti della morte nonché i tormenti dell’inferno. Questo stato consiste nel sentirsi privata di Dio, punita e da lui respinta, oggetto della sua indignazione e della sua collera. Tutto quello che prova in questo stato è tanto più intenso in quanto pensa che sia per sempre.
    3. L’anima, inoltre, si sente oggetto del medesimo abbandono e disprezzo anche da parte delle creature, soprattutto da parte degli amici. Per questo Davide prosegue dicendo: Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore (Sal 87,9). Anche Giona testimonia molto bene tutti questi tormenti, perché li ha sperimentati, corporalmente e spiritualmente, nel ventre della balena: Mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare, e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passate sopra di me. Io dicevo: sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio (dice così perché Dio in questo stato purifica l’anima affinché torni a vederlo); le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, le alghe si sono attorcigliate al mio capo. Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le spranghe dietro a me per sempre (Gio 2,4-7). In questo caso le spranghe rappresentano le imperfezioni dell’anima, che la tengono prigioniera in modo che non goda della contemplazione gustosa.
    4. Il quarto motivo di sofferenza è causato dalla contemplazione oscura, la cui eccessiva sublimità le fa sentire l’altro estremo, quello della sua povertà e miseria; questa è una delle sofferenze maggiori che sperimenta durante la purificazione. Difatti avverte in sé un profondo vuoto e la mancanza di tre forme di beni destinati a compiacerla: beni temporali, naturali e spirituali. Inoltre si vede immersa in tre mali opposti, che sono la miseria delle sue imperfezioni, l’aridità o il vuoto delle sue facoltà e l’abbandono spirituale in mezzo alle tenebre. In verità, poiché Dio a questo punto purifica le facoltà sensitive e spirituali dell’anima, come pure le sue potenze interiori ed esteriori, l’anima dev’essere posta nel vuoto, nella povertà e nell’abbandono di tutte queste parti, lasciata arida, vuota e nelle tenebre. La parte sensitiva, infatti, si purifica nell’aridità e le facoltà nel vuoto delle loro percezioni e lo spirito nella profondità delle tenebre.
    5. Dio produce tutti questi effetti per mezzo della contemplazione oscura. L’anima, allora, soffre non solo per il vuoto e la mancanza di appoggi naturali e di conoscenze – il che è già una sofferenza piena d’angoscia, come se uno fosse tenuto sospeso in aria senza che possa respirare –, ma soffre altresì perché Dio la purifica, come fa il fuoco con la ruggine sul metallo. Egli annienta, svuota e consuma in lei tutti gli affetti e le abitudini manchevoli contratte nel corso della vita. Ora, poiché questi difetti sono profondamente radicati nella sostanza dell’anima, essa soffre inquietudini e tormenti interiori, che si aggiungono all’indigenza e alla miseria naturale e spirituale. In questo modo sembra che si verifichi l’affermazione di Ezechiele: Ammassa la legna, fa’ divampare il fuoco, fa’ consumare la carne, riducila in poltiglia e le ossa siano riarse (Ez 24,10). Questo spiega la sofferenza che l’anima prova nel vuoto e nella povertà della sua sostanza sensitiva e spirituale. A questo proposito lo stesso profeta subito dopo aggiunge: Metti la pentola vuota sulla brace, perché si riscaldi e il rame si arroventi; si distrugga la sozzura che c’è dentro e si consumi la sua ruggine (Ez 24,11). Queste parole ci fanno capire l’indicibile tormento che l’anima affronta quando viene purificata dal fuoco di questa contemplazione. Difatti il profeta dice che, per purificarsi e liberarsi dalla ruggine degli affetti che ha dentro di sé, occorre che l’anima in certo modo si annichili e si distrugga, tanto si è assimilata alle passioni e imperfezioni.
    6. Pertanto questa fucina purifica l’anima come l’oro nel crogiolo (Sap 3,6), come dice il Saggio. L’anima avverte questo profondo liquefarsi fin nella sua stessa sostanza, e raggiunge il colmo della sua indigenza, tanto da sembrare un’agonizzante. Davide, rivolgendosi a Dio, esprime tutto questo con le seguenti parole: Salvami, o Dio, l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge; sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio (Sal 68,2.4). In questo stato Dio umilia profondamente l’anima ma per poi esaltarla. Se egli non disponesse che quelle acute pene si calmassero presto, l’anima non vivrebbe che pochissimi giorni. A intervalli essa sente quanto è profonda la sua indegnità. A volte il suo tormento è così vivo che ha l’impressione di vedere l’inferno spalancato e sentirsi sicuramente perduta. Queste sono, in verità, le anime che discendono vive all’inferno (Sal 54,16), perché in questa condizione si purificano come avverrebbe laggiù, se la cosa fosse possibile. Pertanto l’anima che passa per questa prova, o non va in purgatorio o vi resterà molto poco, perché un’ora sola di queste sofferenze quaggiù basta a purificarla assai più che molto tempo in purgatorio.
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    00 02/08/2013 17:32
    CAPITOLO 7
    Ove si prosegue sullo stesso argomento parlando di altre afflizioni e sofferenze della volontà.
    1. Le sofferenze e le afflizioni della volontà in questo stato sono indicibili. Alcune volte trafiggono l’anima con il ricordo improvviso dei mali in cui si trova immersa e con l’incertezza di trovarvi un rimedio. A ciò si aggiunge il ricordo della prosperità passata, perché, di solito, le anime prima di entrare in questa notte hanno ricevuto da Dio molte consolazioni e gli hanno reso molta gloria. Tutto questo accresce il loro dolore, perché si vedono private di quei favori e pensano di non poterli più riavere. Ciò è quanto Giobbe, che ne aveva fatto esperienza, esprime molto bene in questi termini: Me ne stavo tranquillo ed egli mi ha rovinato, mi ha afferrato per il collo e mi ha stritolato; ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri mi circondano; mi trafigge i fianchi senza pietà, versa a terra il mio fiele, mi apre ferita su ferita, si avventa contro di me come un guerriero. Ho cucito un sacco sulla mia pelle e ho prostrato la fronte nella polvere. La mia faccia è rossa per il pianto e sulle mie palpebre c’è una fitta oscurità (Gb 16, 12-16).
    2. Sono tante e così terribili le sofferenze di questa notte e così numerose le affermazioni della Scrittura che si potrebbero citare a questo riguardo, che non basterebbero il tempo e la forza per descrivere tutto. Del resto, tutto ciò che si può dire è sempre insufficiente. Dai testi citati possiamo averne un’idea. Tuttavia, prima di terminare la spiegazione di questi versi e allo scopo di far meglio comprendere ciò che l’anima prova in questa notte, riporterò i sentimenti di Geremia. La sua sofferenza è tale che scoppia in lacrime e si esprime in questi termini: Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e d’affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo. Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri. Egli era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti. Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Ha teso l’arco, mi ha posto come bersaglio alle sue saette. Ha conficcato nei miei fianchi le frecce della sua faretra. Sono diventato lo scherno di tutti i popoli, la loro canzone d’ogni giorno. Mi ha saziato con erbe amare, mi ha dissetato con assenzio. Mi ha spezzato con la sabbia i denti, mi ha steso nella polvere. Son rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere e dico: «È sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore». Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima (Lam 3,1-20).
    3. Sono questi i lamenti di Geremia che vuole dipingere al vivo le sofferenze della sua anima in questa purificazione o notte dello spirito. Per questo motivo occorre nutrire una grande compassione per l’anima che Dio introduce in questa notte tempestosa e terribile. Senza dubbio, sarà una sorte beata per l’anima ricuperare i beni incomparabili che le procurerà questa notte; ciò si verifica, come dice Giobbe, quando Dio strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce le cose oscure (Gb 12,22), ragion per cui, come dice Davide, nemmeno le tenebre per te sono oscure (Sal 138,12). Ciò nonostante, l’anima sperimenta una sofferenza immensa ed è nella più grande incertezza circa la sua guarigione, perché crede, come dice lo stesso profeta, che il suo male non finirà, sembrandole, come afferma ancora Davide, che Dio mi ha relegato nelle tenebre come i morti da gran tempo; in me languisce il mio spirito, si agghiaccia il mio cuore (Sal 142,3-4). Per questo motivo è degna di grande pietà e commiserazione. Oltre alle sofferenze che le vengono dalla solitudine e dall’abbandono che prova in questa oscura notte, l’anima soffre anche per il fatto di non trovare consolazione in solide letture né sostegno in maestri spirituali. Per quanto le si facciano notare i motivi di consolazione che le vengono dai beni racchiusi in simili sofferenze, essa non può credervi. Difatti è completamente presa e immersa nel sentimento di quei mali in cui vede così chiaramente le sue miserie; le sembra che i suoi direttori le dicano così perché non vedono quello che essa sente e non la capiscano. Anziché consolazione riceve nuovo dolore, pensando che non è quello il rimedio del suo male, ed è proprio così. Finché il Signore non avrà finito di purificarla come a lui piace, nessun mezzo o rimedio serve o aiuta a sollevarla dal suo dolore. Tanto più che l’anima, in questo stato, può fare molto poco; è come un prigioniero rinchiuso in una cella oscura con le mani e i piedi legati. Non può muoversi né vedere né ricevere alcun favore dall’alto o dal basso. Questa situazione dura finché lo spirito non si umilia, non si addolcisce e non si purifica, diventando talmente sottile, semplice e puro da poter costituire un tutt’uno con quello di Dio, secondo il grado di unione d’amore che egli nella sua misericordia vorrà concedergli. In vista di questo grado da raggiungere, la purificazione è più o meno intensa e dura più o meno a lungo.
    4. Ma se tale purificazione dev’essere qualcosa di serio, per quanto sia profonda, dura alcuni anni. Tuttavia essa presenta delle pause di sollievo, durante le quali, per disposizione divina, questa contemplazione oscura non investe più l’anima per purificarla, bensì per illuminarla e accordarle tanto amore. L’anima, allora, sembra uscire dal carcere e dalle catene. Libera e distesa spiritualmente, sente e gusta soavità di pace, amabilità e familiarità piena d’amore con Dio, inoltre riceve le comunicazioni spirituali con molta facilità. Per l’anima tutto ciò è indizio della salvezza che la suddetta purificazione va operando nel suo intimo nonché preludio dell’abbondanza dei beni che l’aspetta. Inoltre la sua gioia è, a volte, così profonda, da sembrarle che siano finite le sue prove. Tale è, in realtà, la natura delle cose spirituali, soprattutto quando si tratta di cose molto elevate. Infatti, quando si riaffacciano le sofferenze, all’anima sembra di non uscirne più e aver perduto tutti i beni, come si è visto nelle citazioni riportate sopra. Quando, al contrario, le vengono accordati beni spirituali, l’anima ha la sensazione che siano finiti i suoi mali e che non le mancheranno più i beni, come confessò Davide quando si trovò in una situazione simile: Nella prosperità ho detto: nulla mi farà vacillare! (Sal 29,7).
    5. Questo accade perché due contrari non possono stare allo stesso tempo nel medesimo soggetto: l’uno scaccia naturalmente l’altro e il sentimento dell’uno esclude quello dell’altro. La stessa cosa avviene nella parte sensitiva dell’anima, perché la sua capacità di percezione è debole. Ma poiché lo spirito in questo stato non è ancora ben purificato e libero dagli affetti contratti dalla sua parte inferiore, anche se come spirito non può vacillare, tuttavia in quanto unito alla parte inferiore può essere soggetto alla sofferenza. Ciò è quanto constatiamo in Davide che vacillò quando fu sottoposto a grandi sofferenze, sebbene al tempo della sua prosperità avesse detto: Nulla mi farà vacillare! (Sal 29,7). Anche l’anima, quando si vede fornita di abbondanti beni spirituali e non riesce a scorgere la radice delle imperfezioni e impurità che le restano ancora, pensa che le sue sofferenze siano finite.
    6. Ma sono rare le volte in cui le viene in mente questo pensiero, perché, fin quando non è ultimata la purificazione spirituale, molto raramente la comunicazione soave sarà così abbondante da coprire la radice dei mali che restano nell’anima. Essa avverte, allora, nel più profondo del suo essere, che qualcosa manca o resta da compiere, e ciò non le permette di godere appieno di quei favori. Sente interiormente come un nemico che, anche se sopito e addormentato, fa temere di risvegliarsi per compiere qualcuna delle sue imprese. Ed è così. Quando l’anima si sente più sicura ed è meno all’erta, questo nemico torna per farla cadere in uno stato peggiore del primo, più duro, più oscuro e doloroso, la cui durata si protrae per un lungo periodo di tempo, forse più lungo del precedente. E l’anima crede ancora una volta che tutti i beni siano ormai perduti per sempre. Non le basta più l’esperienza del bene passato, goduto dopo il primo periodo di sofferenza, quando pensava di non avere più da penare. Pensa che in questo secondo periodo di sofferenza tutto il bene sia finito per sempre e che non le succederà come la volta precedente. Infatti, ripeto, questa sorta di certezza è talmente radicata nell’anima dall’attuale convinzione dello spirito, da annientare ogni pensiero che le è contrario.
    7. Questo è il motivo per cui coloro che si trovano in purgatorio soffrono per il dubbio fortissimo che non ne usciranno mai e che le loro pene non avranno fine. Sebbene possiedano abitualmente le tre virtù teologali, cioè la fede, la speranza e la carità, attualmente hanno la sensazione delle loro sofferenze e della privazione di Dio. Per il momento non possono godere del bene e della consolazione derivante da quelle virtù. Benché sappiano con certezza di amare Dio, ciò non li conforta, perché hanno l’impressione di non essere amati da Dio nella loro indegnità. Anzi, vedendosi privati di lui e immersi nelle loro miserie, pensano di avere in sé motivi più che sufficienti per essere aborriti e rifiutati da Dio, giustamente e per sempre. Similmente, l’anima che attraversa questo stato di purificazione è consapevole di amare Dio. È altresì disposta a dare mille vite per lui, ed è veramente così, perché davvero ama Dio in mezzo alle sofferenze; tuttavia non solo non trova in tutto questo alcun sollievo, ma ne riceve una pena maggiore. Essa ama tanto Dio da non preoccuparsi di null’altro che di lui, ma si vede tanto misera da non poter credere che Dio la ami, perché non ha e non avrà mai motivi per farlo. Scopre in sé motivi per essere sempre detestata da Dio e da ogni creatura. Il suo tormento consiste nel constatare in sé le ragioni per cui merita di venire respinta da chi essa ama tanto e desidera con tutto il cuore.
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    00 02/08/2013 17:34
    CAPITOLO 8
    Ove si parla di altre sofferenze che affliggono l’anima in questo stato.
    1. C’è un’altra cosa che rattrista e tormenta molto l’anima in questo stato. Poiché le sue potenze e i suoi affetti sono bloccati in questa notte di contemplazione, l’anima non può, come prima, elevare i suoi affetti e la sua mente a Dio né può pregarlo. Come accadde a Geremia, le sembra che Dio si sia avvolto in una nube che impedisce alla supplica di giungere fino a lui (Lam 3,44). Questa espressione spiega la citazione già riportata: Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra (Lam 3,9). Se poi qualche volta prega, lo fa senza convinzione e devozione, perché le sembra che Dio non l’ascolti e non le badi, come fa capire lo stesso profeta quando dice: Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera (Lam 3,8). In verità questo non è il momento di parlare con Dio, ma di mettere, come dice Geremia, nella polvere la bocca: forse c’è ancora speranza (Lam 3,29), sopportando con pazienza la prova di questa purificazione. Poiché Dio sta purificando l’anima passivamente, essa non può far nulla: non può pregare né assistere con attenzione alla liturgia né tanto meno attendere alle cose di questo mondo. Oltre a ciò, molte volte le accade di essere talmente distratta e avere delle dimenticanze così gravi da passare molto tempo senza sapere cosa ha fatto o ha detto, né ciò che fa o farà e, anche volendolo, non può prestare attenzione a nulla.
    2. Quando l’anima è in questo stato non solo l’intelletto viene purificato del suo lume e la volontà dei suoi affetti, ma anche la memoria si spoglia dei suoi discorsi e delle sue conoscenze; è, quindi, necessario che quest’ultima sia come annientata nei confronti di tali conoscenze, perché in questa purificazione si verifichi ciò che Davide dice di sé: Io ero stolto e non capivo (Sal 72,22). Questo non capire si riferisce alle amnesie e dimenticanze della memoria, provocate dal raccoglimento interiore in cui l’anima è immersa durante questa contemplazione. Difatti, perché l’anima sia disposta e preparata alle realtà divine con tutte le sue facoltà e giunga all’unione d’amore con Dio, è opportuno che venga prima assorbita con tutte le sue potenze da questa divina e oscura luce della contemplazione; in seguito occorre che venga distolta da tutti i suoi affetti e conoscenze delle creature. Tutto questo lavoro dura più o meno a lungo in ciascuna persona e corrisponde al grado d’intensità della luce. Questo è il motivo per cui, quanto più semplice e pura è questa luce divina che investe l’anima, tanto più la getta nelle tenebre, la spoglia dei suoi affetti particolari e la priva delle sue conoscenze spirituali e temporali. Similmente, quanto meno semplice e pura è questa luce, tanto meno spoglia l’anima e la oscura. Sembra incredibile che la luce soprannaturale e divina tanto più getti l’anima nelle tenebre quanto più è chiara e pura, e tanto meno l’ottenebri quanto meno è pura! Ora tutto questo si comprende bene se ricordiamo l’affermazione del Filosofo, che ho già provato, secondo cui le realtà soprannaturali sono tanto più oscure per la nostra intelligenza quanto più chiare ed evidenti sono in se stesse.
    3. Per far meglio comprendere questa dottrina prendo a paragone la luce naturale e comune. Il raggio di sole che entra da una finestra, quanto più è limpido e privo di pulviscolo, tanto meno chiaramente lo si vede; al contrario, quanto più l’aria è polverosa e irrespirabile, tanto più il raggio si fa visibile agli occhi. Questo perché la luce non è visibile per se stessa, ma è il mezzo con cui si vedono gli oggetti che essa investe; e solo allora può essere vista, cioè solo per il riflesso che si determina sugli oggetti, altrimenti non si vedrebbe nulla. Allo stesso modo, se un raggio di sole entrasse attraverso la finestra di una stanza e uscisse dall’altra e non s’imbattesse in nulla, né vi fossero nell’aria particelle su cui possa riflettersi, non vi sarebbe più luce di prima nella stanza, né il raggio potrebbe essere visto. Al contrario, se si osserva bene, c’è più oscurità proprio dove passa il raggio, perché esso oscura e diminuisce alquanto ogni altra luce; esso poi non si vede perché, come ho detto, non ci sono oggetti visibili su cui possa riflettersi.
    4. In modo simile si comporta nell’anima il raggio della contemplazione. Investendola con la sua luce divina, trascende le forze naturali dell’anima e la introduce nelle tenebre. La priva, poi, di tutte le conoscenze e gli affetti naturali che prima sperimentava mediante la luce naturale. In questo modo non solo la lascia nelle tenebre, ma spoglia altresì le sue facoltà e le sue tendenze sia spirituali che naturali. Svuotandola e lasciandola nell’oscurità, la purifica e la illumina con la sua luce divina, senza che l’anima si accorga di possederla; anzi, crede di essere sempre nelle tenebre. Ciò è quanto si è detto del raggio del sole che, pur trovandosi nella stanza, resta invisibile a noi se è puro e non s’imbatte in qualche oggetto che lo rifletta. Ma quando questa luce spirituale, da cui l’anima è investita, incontra qualche oggetto che la riflette, cioè quando le si presenta qualche problema spirituale di perfezione o d’imperfezione, per quanto di poco conto, oppure un giudizio di ciò che è vero o falso, subito essa lo vede e lo comprende molto più chiaramente di prima, quando non era ancora immersa in queste tenebre. Inoltre sa di possedere anche la luce spirituale per conoscere con facilità l’imperfezione che le si presenta. È come il raggio di cui si è detto, il quale resta oscuro nella stanza e invisibile per se stesso, ma appena una mano o un oggetto s’interpone, subito si fa visibile la mano e si conosce che lì c’è la luce del sole.
    5. Questa luce spirituale è molto semplice, pura, di carattere generale, e per questo motivo non è condizionata né specificata da nessun particolare oggetto intelligibile, né divino né umano, perché conserva spoglie e vuote di tutte queste conoscenze le potenze dell’anima. Ne segue che l’anima conosce e penetra con grande facilità ed estensione qualsiasi fatto divino e umano che le si presenta. Ciò è quanto l’Apostolo ha detto: Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio (1Cor 2,10). Possiamo attribuire a questa sapienza generale e semplice ciò che, per bocca del Saggio, dice lo Spirito Santo: Per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa (Sap 7,24), perché non è legata a nessun intelligibile particolare né ad alcun affetto. Questa è la proprietà dello spirito purificato da tutti gli affetti e le conoscenze particolari. E poiché non vuole gustare né intendere nulla in particolare, rimanendo nel suo vuoto e nella sua tenebra, possiede una grande disposizione a penetrare tutto, così che si verifica in lui quanto afferma san Paolo: Nihil habentes et omnia possidentes: Gente che non ha nulla, mentre possediamo tutto (2Cor 6,10). Tale beatitudine è riservata ai poveri di spirito.
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    00 02/08/2013 17:35
    CAPITOLO 9
    Ove si dice come questa notte, pur gettando lo spirito nelle tenebre, lo illumini e gli infonda luce.
    1. Ora non ci resta che mostrare come questa gioiosa notte, se produce tenebre nello spirito, è solo per illuminarlo su tutte le cose; se lo umilia e lo priva di ogni bene, lo fa solo per elevarlo ed esaltarlo; se lo rende povero e spoglio d’ogni possesso e attaccamento umano, lo fa solo perché sia divinamente preparato a godere e gustare le cose soprannaturali e naturali, in perfetta libertà di spirito. Difatti, come gli elementi per entrare a far parte di tutti i composti e gli esseri della natura devono essere privi di ogni colore, odore e sapore al fine di adattarsi a tutti i sapori, gli odori e i colori, così dev’essere lo spirito. Occorre che sia semplice, puro e spoglio di tutti i possibili affetti naturali, sia attuali che abituali, per poter comunicare in totale libertà di spirito con la Sapienza divina, nella quale gusta tutti i sapori di tutte le cose, in modo eminente, grazie alla sua purezza. Senza questa purificazione non potrà sentire né gustare in alcun modo il sapore di questa abbondanza di delizie spirituali. Basta un affetto o un oggetto particolare al quale sia attaccato, attualmente o abitualmente, perché lo spirito non senta, non gusti e non partecipi al delicato sapore dello spirito d’amore, che contiene in grado eminente tutti i sapori.
    2. I figli d’Israele, soltanto perché avevano conservato un unico affetto e ricordo della carne e del cibo d’Egitto (Es 16,3), non potevano gustare il delicato pane degli angeli nel deserto, che era la manna e che, come dice la sacra Scrittura, si adattava al gusto di chi lo inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava (Sap 16,21). Così è dello spirito: esso non può riuscire a gustare le delizie dello spirito di libertà, come vuole la volontà, se è ancora attaccato a qualche affetto attuale o abituale o si sofferma su qualche conoscenza particolare o su qualsiasi altra percezione. Questo perché gli affetti, i sentimenti e le percezioni dello spirito perfetto, essendo divini, sono di un genere talmente diverso da quello naturale e talmente eminente che, per possederli attualmente e abitualmente, occorre necessariamente espellere e distruggere abitualmente e attualmente gli altri; due contrari, infatti, non possono esistere contemporaneamente nello stesso soggetto. Perciò è opportuno, anzi necessario, che la notte oscura della contemplazione prima distrugga e faccia sparire le imperfezioni dell’anima, perché possa raggiungere tali altezze, e poi la introduca nelle tenebre, nell’aridità, nelle angustie e nel vuoto. Difatti la luce che l’anima deve ricevere è un’altissima luce divina che supera qualsiasi luce naturale e non è compresa naturalmente da alcuna intelligenza.
    3. Per poter arrivare a unirsi con essa e divenire divino nello stato di perfezione, l’intelletto deve, come prima operazione, aver purificato e ridotto a nulla la sua luce naturale; solo così potrà entrare nelle tenebre attraverso questa oscura contemplazione. È opportuno che resti in queste tenebre il tempo necessario per espellere e ridurre a nulla l’abitudine, da tempo contratta, di comprendere a modo proprio e mettere, invece, al suo posto la rivelazione e la luce di Dio. Poiché la facoltà di comprendere che aveva precedentemente era una facoltà naturale, ne consegue che le tenebre che ora soffre sono profonde, orribili e molto dolorose. E poiché sono avvertite nelle profondità della sostanza dello spirito, sembrano tenebre sostanziali. L’amore che sarà comunicato all’anima nell’unione d’amore è divino, quindi è molto spirituale, delicato e interiore; supera ogni affetto e sentimento naturale e imperfetto della volontà, come pure tutti i suoi appetiti. Questo è il motivo per cui, se la volontà deve arrivare a sentire e a gustare tramite l’unione d’amore questa gioia divina così sublime, che naturalmente non è in suo potere, occorre che venga prima purificata e spogliata di tutti i suoi affetti e attaccamenti. È necessario, altresì, che resti nell’aridità e nell’angoscia tutto il tempo necessario perché scompaiano i suoi affetti naturali verso le cose divine e umane. Una volta purificata, spogliata e completamente liberata nel fuoco di questa contemplazione divina da ogni genere di demoni, come avvenne quando il cuore del pesce da Tobia fu posto sulla brace degli incensi (Tb 6,17), avrà una disposizione pura e semplice, e il suo palato sarà purificato e sano per apprezzare gli elevati e insoliti tocchi dell’amore divino, in cui si vedrà divinamente trasformata. Ormai, come dicevo prima, sono stati eliminati tutti gli ostacoli attuali e abituali presenti nell’anima.
    4. Affinché l’anima divenga idonea all’unione divina, verso cui cammina mentre attraversa la notte oscura, occorre che sia colma d’una certa splendidezza densa di gloria per comunicare con Dio, splendidezza che racchiude in sé innumerevoli beni e abbondanti delizie, e che l’anima non può possedere naturalmente, data la sua natura debole e impura, come dice Isaia: Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto, né è entrato in cuore umano ciò che è apparso… (Is 64,3). Occorre, dunque, prima d’ogni cosa, che l’anima sia nel vuoto e nella povertà di spirito, purificata da ogni attaccamento, conforto e percezione naturale di cose divine e umane. Una volta svuotata di tutto, è veramente povera di spirito e spoglia dell’uomo vecchio; può finalmente vivere quella nuova e beata vita che si raggiunge attraverso questa notte oscura e che è lo stato dell’unione con Dio.
    5. Inoltre l’anima deve giungere ad avere una sensazione e una conoscenza divina molto alta e gustosa di tutte le cose divine e umane. La sua non sarà né una sensazione volgare né una conoscenza naturale, ma guarderà quelle cose con occhi tanto diversi da prima, quando diverso è lo spirito rispetto ai sensi e il divino rispetto all’umano. Lo spirito deve purificarsi e liberarsi dai mezzi volgari e naturali di comprensione; occorre farlo passare attraverso angustie e amarezze in questa contemplazione purificatrice. Quanto alla memoria, essa dovrà allontanarsi da ogni nozione piacevole e serena; dovrà nutrire un sentimento molto intimo e una disposizione che la renderanno estranea a tutto e l’allontaneranno da ogni cosa. Solo allora le apparirà che tutto quaggiù è completamente diverso da come l’immaginava in passato. Questa notte, dunque, toglie lo spirito dal suo modo abituale e comune di conoscere la realtà, per sostituire ad esso sentimenti divini; è talmente elevato e lontano da ogni modo umano di agire, che sembra essere fuori di sé, con grande angustia. Altre volte si chiede se quello che prova sia incantesimo o intontimento e si meraviglia di ciò che vede e sente, quasi si trattasse di cose insolite e strane, mentre sono le stesse di cui si occupava abitualmente in altri tempi. Tutto ciò è dovuto al fatto che l’anima si sta allontanando ed estraniando dal comune modo di sentire le cose e di conoscerle. Tale modo di conoscere è stato ridotto a nulla ed è divenuto divino. In questa situazione, l’anima sembra appartenere più all’altra vita che alla presente.
    6. L’anima sopporta tutte queste dolorose purificazioni dello spirito al fine di essere rigenerata alla vita nuova dello spirito per mezzo di questo influsso divino. È in queste doglie che essa arriva a generare lo spirito di salvezza, secondo quanto dice il profeta Isaia: Davanti a te, Signore, abbiamo concepito, abbiamo avuto dolori di partoriente…, abbiamo generato lo spirito di salvezza (cfr. Is 26,17-18). Inoltre, per mezzo di questa notte contemplativa l’anima si prepara alla tranquillità e alla pace interiore che è così profonda e piena di delizie che, come afferma la Chiesa, sorpassa ogni intelligenza (Fil 4,7). È opportuno che l’anima sacrifichi completamente la sua pace anteriore, la quale, essendo carica d’imperfezioni, non era pace vera. All’anima che si vedeva piena di abbondanze spirituali sembrava vera questa pace, perché conforme al suo gusto; pensava, cioè, che fosse pace, anzi pace due volte, avendo conquistato la pace dei sensi e dello spirito. Ma essendo ancora imperfetta questa pace, occorre che l’anima ne venga prima purificata, liberata e separata. Questo è quanto provava ed esprimeva piangendo Geremia nella citazione riportata sopra per descrivere le prove di questa terribile notte: Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere (Lam 3,17).
    7. Si tratta di una purificazione molto dolorosa per l’anima a causa di numerosi timori, delle immaginazioni e delle lotte che l’anima prova dentro di sé. La visione e sensazione delle proprie miserie fa credere all’anima che sia perduta e che siano altresì perduti per sempre tutti i suoi beni. Di conseguenza si lascia andare a un dolore e a gemiti così profondi da scoppiare in forti grida e strida spirituali, che a volte le sfuggono dalle labbra e si sciolgono in lacrime quando ne ha la forza e il coraggio, sebbene goda raramente di questo sollievo. Davide, che aveva sperimentato questa prova, la descrive molto bene in un salmo: Afflitto e sfinito all’estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore (Sal 37,9). Questo ruggito è segno di grande dolore, perché a volte, per l’improvviso e vivo ricordo delle sue miserie, l’anima avverte i suoi affetti talmente avviluppati dal dolore e dalla tristezza che non so come esprimerlo. A tale scopo sarà meglio prendere in prestito le parole di Giobbe, che aveva fatto un’esperienza del genere: I miei ruggiti sgorgano come acqua (Gb 3,24). Difatti, come l’acqua a volte produce tale inondazione da sommergere tutto, così questo ruggito doloroso dell’anima talvolta cresce tanto da inondarla e penetrarla interamente. Tutti i suoi affetti e le sue forze più profonde sono prese da angosce e dolori spirituali tali che è impossibile descrivere.
    8. Tali sono gli effetti prodotti nell’anima da questa notte che nasconde la speranza di rivedere la luce del giorno. Sempre a questo proposito il profeta Giobbe afferma: Di notte mi sento trafiggere le ossa, e i dolori che mi rodono non mi danno riposo (Gb 30,17). Per ossa, qui, s’intende la volontà che è trafitta da questi dolori che non danno tregua e non cessano di lacerare l’anima, perché i dubbi e i timori che la tormentano non conoscono sosta né riposo.
    9. Questa lotta e questo combattimento sono tremendi, perché la pace che si aspetta dev’essere molto profonda; anche il dolore spirituale è intimo e sottile, perché anche l’amore che si dovrà raggiungere dev’essere molto elevato e puro. Quanto più perfetta e accurata dev’essere e risultare l’opera, tanto più intimo, accurato e puro dev’essere l’impegno; un edificio è tanto più solido quanto più stabili sono le sue fondamenta. Per questo dice Giobbe: Ora mi consumo… e le mie viscere ribollono senza posa (Gb 30,16 e 27). Poiché l’anima è chiamata a possedere e godere nello stato di perfezione, verso il quale cammina attraverso questa notte purificatrice, innumerevoli beni di doni e di virtù, a livello sia di sostanza che di potenze, deve anzitutto vedersi e sentirsi privata in generale di tutti questi beni. Deve sentirsi vuota e povera di ogni bene, tanto da credere d’esserne così lontana da non riuscire mai a raggiungerlo e che tutto il bene sia finito per lei. Questo è quanto dà a intendere Geremia in un passo già citato: Ho dimenticato il benessere (Lam 3,17).
    10. In questa situazione sorge una difficoltà da risolvere. Si tratta di sapere perché questa luce di contemplazione, pur molto soave e dolce per l’anima tanto da non trovare nulla di più desiderabile – ho detto, infatti, che per suo tramite l’anima deve unirsi e raggiungere tutti quei beni nello stato di perfezione che ricerca –, con i suoi assalti all’inizio le procuri effetti dolorosi e strani come quelli che ho descritto.
    11. Si può facilmente rispondere a questo dubbio ripetendo ciò che in parte ho già spiegato, e cioè che tutto ciò non è dovuto alla contemplazione o infusione divina, che di per sé non può dare dolore ma piuttosto grande dolcezza e piacere, come dirò in seguito. La causa di queste sofferenze sta nella debolezza e nell’imperfezione in cui si trova in quel momento l’anima, come pure nelle sue disposizioni interiori contrarie a ricevere tali favori. Questo spiega perché quando l’anima riceve questa luce divina necessariamente prova le sofferenze di cui si è parlato.
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    00 02/08/2013 17:35
    CAPITOLO 10
    Ove si spiega a fondo, mediante un paragone, questa purificazione.
    1. Per maggior chiarezza di quanto sto dicendo e ancora dirò, è opportuno ora osservare che la conoscenza amorosa e purificatrice, o luce divina, di cui sto parlando, purifica l’anima e la dispone alla perfetta unione con Dio, come fa il fuoco con il legno per trasformarlo, appunto, in fuoco. Il fuoco, appiccato al legno, prima lo dissecca, espellendone l’umidità e facendogli lacrimare tutto l’umore, poi lo rende nero, brutto e anche maleodorante. Essiccandolo a poco a poco, gli cava fuori tutti gli elementi interni incompatibili, anzi contrari, all’azione del fuoco. Alla fine, quando comincia a incendiarlo all’esterno e a farlo crepitare, lo trasforma in fuoco, rendendolo brillante com’è esso stesso. A questo punto il legno non presenta più alcuna sua proprietà e capacità naturale, se non il peso e la densità che sono superiori a quelli del fuoco, di cui ora possiede le proprietà e le forze attive. È secco e dissecca; è caldo e riscalda; è luminoso e diffonde il suo chiarore; è molto più leggero di prima, avendogli il fuoco comunicato le sue proprietà e i suoi effetti.
    2. Ora possiamo applicare il nostro ragionamento al fuoco divino dell’amore contemplativo che, prima di unirsi all’anima e trasformarla in sé, la purifica da tutti i suoi elementi contrari. Ne fa uscire tutte le sue brutture, la rende nera e oscura, tanto da sembrare più sporca e obbrobriosa di prima. Questa purificazione divina, infatti, rimuove gradualmente tutti gli umori cattivi e viziosi che l’anima non riusciva a vedere perché profondamente radicati in lei. Non si rendeva conto di quanto male avesse dentro; ora, invece, perché li possa buttare fuori e distruggere, le vengono posti davanti agli occhi e li vede benissimo, illuminata dalla luce della contemplazione divina, anche se per questo motivo non è peggiore di prima, né in se stessa né nei confronti di Dio. Poiché riesce a vedere dentro di sé ciò che prima non vedeva, ha la sensazione chiara non solo di non essere guardata da Dio, ma addirittura di essere aborrita da lui. Da questo paragone si possono finalmente capire molte cose circa quanto ho detto e intendo ancora dire.
    3. Anzitutto, possiamo comprendere come questa luce e sapienza piena d’amore, che deve unirsi all’anima per trasformarla, è la stessa che all’inizio l’ha purificata e preparata. È come il fuoco che trasforma il legno penetrandolo, quello stesso fuoco che prima lo aveva predisposto a tale scopo.
    4. In secondo luogo, possiamo renderci conto che queste sofferenze non vengono prodotte nell’anima dalla suddetta sapienza, perché, come dice il Saggio, insieme con essa mi sono venuti tutti i beni (Sap 7,11). Tali sofferenze provengono, invece, dalla debolezza e dalle imperfezioni dell’anima che, senza questa purificazione, è incapace di ricevere la luce divina e gustarne la soavità e le delizie. L’anima è come il legno che non può incendiarsi immediatamente, senza essere prima trasformato e predisposto; per questo motivo soffre tantissimo. A tale proposito ci viene in aiuto la testimonianza dell’Ecclesiastico che racconta quanto dovette soffrire per attingere la sapienza e goderne: Ho impegnato tutte le mie forze per la sapienza… Il mio intimo si è sconvolto per cercarla, ma dopo ho fatto un grande acquisto (Sir 51,19.21).
    5. In terzo luogo, possiamo farci un’idea, solo incidentalmente, di come soffrono le anime del purgatorio. Il fuoco, infatti, non avrebbe potere su di esse, anche se le avvolgesse, se non avessero delle colpe da espiare. Tali colpe costituiscono la materia del fuoco. Così è pure dell’anima in questo stato: una volta purificata dalle imperfezioni, cessa di soffrire e non le rimane che la gioia.
    6. Quarto: possiamo dedurre che, a mano a mano che si spoglia e si purifica grazie a questo fuoco d’amore, l’anima se ne infiamma sempre più, come il legno s’incendia più o meno presto secondo che viene più o meno predisposto a ricevere il fuoco. L’anima, però, non sempre avverte questo incendio d’amore, ma solo a tratti, quando non è investita troppo intensamente dalla contemplazione. In questo caso l’anima ha modo di vedere e anche di apprezzare il lavoro che si va realizzando in lei, perché le si manifesta. La mano che la prova sembra fermarsi e tirarla fuori dalla fucina perché essa possa constatare la trasformazione che si va operando nel suo intimo. L’anima può così scorgere in sé il bene che non riusciva a vedere durante le sofferenze. Similmente, quando la fiamma cessa di investire il legno, si vede bene quanto ne abbia bruciato.
    7. Quinto: da questo paragone possiamo dedurre anche quello che ho detto sopra, cioè quanto sia vero che, dopo questa pausa di sollievo, l’anima riprende a soffrire più intensamente e profondamente di prima. Infatti, dopo quella breve pausa che si ha quando l’anima è stata purificata soprattutto dalle imperfezioni esterne, il fuoco d’amore torna a ferirla ancora, la consuma e la purifica in profondità. La sofferenza dell’anima è tanto più intima, penetrante e spirituale, quanto più la purificazione raggiunge le imperfezioni più intime, penetranti e spirituali o più radicate nel fondo del suo essere. Accade proprio come al legno: quando il fuoco penetra più profondamente, aumenta la forza e il furore per trasformarlo fin nelle fibre più intime e, così, impossessarsene.
    8. Sesto: dal paragone fatto possiamo dedurre anche il motivo per cui l’anima crede che tutto il bene sia perduto e che, anzi, sia piena di mali, perché durante questa purificazione non prova altro che amarezza. Così è del legno che brucia: l’aria o altra cosa non fa che alimentare il fuoco che lo divora. Ma se si verificano altre pause di sollievo come le prime, la sua gioia sarà più intima, perché la purificazione è stata più profonda.
    9. Settimo: possiamo pure dedurre che in questi intervalli l’anima goda maggiormente e che a volte le sembri addirittura che le sofferenze non debbano più tornare; ma poiché ritorneranno ben presto, se ci fa caso, e a volte anche se non ci fa caso, continuerà ad avvertire la cattiva radice che le rimane e le impedisce di gustare una gioia piena. Le sembra di sentire, infatti, la minaccia di un nuovo assalto; quando è così, esso non tarda a venire. Infine, ciò che resta da purificare e illuminare nella parte più intima dell’anima non può essere nascosto completamente a quella parte dell’anima già purificata. Anche nel legno è ben visibile la differenza tra la parte esterna già accesa e quella interna non ancora bruciata. Quando poi la purificazione tocca la parte più intima, non dobbiamo meravigliarci se l’anima crede un’altra volta di aver perduto tutto il bene e di non poterlo mai più riavere; infatti, immersa nelle sofferenze più intime, perde di vista tutti i beni esteriori.
    10. Ora, tenendo presente questo paragone insieme alle spiegazioni del primo verso della prima strofa della «Notte oscura» e delle sue terribili caratteristiche, sarà opportuno passare oltre queste cose tristi dell’anima e cominciare invece a trattare del frutto delle sue lacrime nonché delle sue proprietà preziose che sono annunciate dal secondo verso: con ansie, dal mio amor tutta infiammata.
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    00 02/08/2013 17:36
    CAPITOLO 11
    Ove si dice che l’anima, come frutto di queste dolorose prove, si sente animata da una veemente passione d’amore per Dio.
    1. In questo verso l’anima lascia intendere che il fuoco d’amore, di cui si è parlato, si diffonde in lei – proprio come fa il fuoco naturale che brucia il legno – col favore della dolorosa notte di contemplazione. Se da una parte questo incendio d’amore è simile, in certo modo, a quello che si è verificato nella parte sensitiva dell’anima, come ho illustrato in precedenza, dall’altra è assai diverso, quanto lo è l’anima dal corpo o la parte spirituale da quella sensitiva. Si tratta di un fuoco d’amore che si accende nello spirito. Ivi, oppressa da tenebrose angosce, l’anima si sente ferita vivamente e profondamente da un forte amore divino; allo stesso tempo prova una certa sensazione, un vago presentimento che Dio è là, senza tuttavia comprendere nulla in particolare, perché, ripeto, l’intelletto è all’oscuro.
    2. La persona sente ora il suo spirito travolto da un intenso amore, perché l’incendio spirituale produce una passione amorosa. Dal momento che quest’amore è infuso, è più passivo che attivo, e così genera nell’anima un’intensa passione d’amore. Tale amore ha già in sé qualcosa dell’unione con Dio, di conseguenza partecipa in qualche modo alle sue proprietà. Queste ultime sono azioni di Dio ricevute passivamente dall’anima, mediante il suo consenso. Ma il calore, la forza, la resistenza, la passione o incendio d’amore, come qui è chiamato, procedono solo dall’amore di Dio che attira l’anima per unirla a sé. Ora quest’amore trova tanto più spazio e accoglienza nell’anima, per unirla a sé e ferirla, quanto più essa ha domato, sottomesso e inabilitato tutti i suoi appetiti, privandoli della gioia delle cose celesti e terrene.
    3. Ciò è quanto accade in modo singolare in questa purificazione piena di tenebre. Infatti Dio ha così privato l’anima di tutti i suoi gusti e li ha raccolti in sé al punto che non possono più gustare le cose che vorrebbero. Dio fa questo perché, separando tali gusti dal resto e riservandoseli tutti per sé, l’anima abbia più forza e capacità per accogliere quest’intensa unione d’amore con lui, che egli comincia a concederle attraverso la purificazione. È a questo punto che l’anima deve amare con grande forza, con tutte le sue forze e con tutte le sue passioni spirituali e sensitive, cosa che non potrebbe accadere se esse si distraessero nell’amare altre cose. Davide, per poter ricevere la forza dell’amore di quest’unione con Dio, diceva al Signore: A te, mia forza, io mi rivolgo (Sal 58,10), cioè con tutta la capacità, la brama e la forza delle mie facoltà, e non voglio impiegare la loro azione o la loro soddisfazione in nient’altro al di fuori di te.
    4. Da quanto esposto possiamo in qualche modo farci un’idea dell’intensità e della forza di questo incendio d’amore nello spirito, ove Dio tiene concentrate tutte le forze, le facoltà e gli appetiti dell’anima, sia spirituali che sensitivi. Egli desidera che l’anima impieghi armonicamente le sue forze e le sue virtù in quest’amore e così compia realmente il primo precetto che, non disprezzando nulla dell’uomo né escludendo niente di suo da quest’amore, dice: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua mente, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt 6,5).
    5. E allora, poiché tutte le facoltà e le forze dell’anima sono concentrate in questo incendio d’amore e l’anima stessa è ferita, raggiunta in ogni facoltà dalla passione d’amore, quali saranno i movimenti e gli slanci di tali facoltà, vedendosi infiammate e ferite da intenso amore, senza averne tuttavia il possesso e la gioia, perché nelle tenebre e nell’incertezza? Esse indubbiamente, come dice Davide, ringhiano come cani, si aggirano per la città, vagando in cerca di cibo, e, se non possono saziarsi di quest’amore, latrano (Sal 58,15-16). Il contatto di quest’amore o fuoco divino, infatti, inaridisce lo spirito e ne accende le passioni al punto che, per soddisfare la sete d’amore divino, l’anima si agita in mille modi per mostrare a Dio la sua brama. Ciò è quanto Davide esprime molto bene, quando dice: Di te ha sete l’anima mia, in molti modi a te anela mia carne (Sal 62,2), cioè con i suoi desideri. Un’altra versione dice: La mia anima ebbe sete di te, la mia anima si perde o muore per te.
    6. Questo è il motivo per cui l’anima nel verso dice con ansie dal mio amor, e non con ansie nell’amore infiammata. Difatti l’anima ama in mille modi, nei suoi pensieri, nelle sue occupazioni e negli avvenimenti che le si presentano; i suoi desideri non smettono di tormentarla in ogni tempo e in ogni luogo, ragion per cui non trova mai pace. Prova quest’ansia, tutta infiammata e ferita d’amore, come fa intendere il profeta Giobbe quando afferma: Come lo schiavo sospira l’ombra e il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: «Quando mi alzerò?». Si allungano le mie tenebre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba (Gb 7,2-4). Tutto diventa angusto per l’anima; perde il controllo di sé; i suoi desideri superano il cielo e la terra; i dolori la sommergono fino alle tenebre di cui parla Giobbe. Parlando spiritualmente e in riferimento al nostro argomento, si tratta di una pena e di una sofferenza senza consolazione alcuna e senza offrire alcuna speranza di luce o di soccorso spirituale. Perciò l’ansia e la sofferenza dell’anima in questo incendio d’amore sono tanto più grandi in quanto hanno due cause: da una parte, le tenebre spirituali in cui l’anima si vede immersa e che sono i dubbi e i timori che l’affliggono; dall’altra, l’amore di Dio che la incendia, la stimola con la sua ferita d’amore e la intimorisce in modo indicibile.
    7. Queste due forme di sofferenza sono descritte molto bene dal profeta Isaia quando dice: La mia anima anela a te di notte, cioè nella mia miseria. Tale è la sofferenza che proviene da questa notte oscura. Al mattino il mio spirito ti cerca, aggiunge il profeta (Is 26,9). Questo è il secondo modo di soffrire, che scaturisce dai desideri e dall’ansia d’amore nell’intimo dello spirito, cioè dalle affezioni spirituali. Anche se immersa in queste pene che provengono dalle tenebre e dall’amore, l’anima avverte in sé una certa presenza amica e una forza che l’accompagnano e la sostengono. Così, quando cessa il peso di queste angoscianti tenebre, molte volte si sente sola, vuota e debole. Questo accade perché la forza e l’energia le venivano comunicate passivamente dal fuoco tenebroso d’amore da cui era investita. Di conseguenza, quando cessa l’azione del fuoco, cessano le tenebre, ma anche la forza e il calore d’amore nell’anima.
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    00 02/08/2013 17:36
    CAPITOLO 12
    Ove si mostra come questa terribile notte sia purificazione e come in essa la Sapienza divina illumini gli uomini qui sulla terra allo stesso modo con cui purifica e illumina gli angeli in cielo.
    1. Quanto esposto sopra ci permette di notare che questa notte oscura di fuoco d’amore, come nelle tenebre purifica l’anima, così pure nelle tenebre la illumina gradualmente. Si vedrà pure che, come nell’altra vita un fuoco tenebroso e materiale purifica gli spiriti, così in questa vita un fuoco pieno d’amore, tenebroso e spirituale, purifica ed emenda l’anima. Questa infatti è la differenza: di là vengono purificati con il fuoco e di qua vengono purificati e illuminati solo con l’amore. Tale è l’amore che Davide chiedeva quando pregava: Cor mundum crea in me, Deus, ecc.: Un cuore puro crea in me, o Dio… (Sal 50,12). La purezza del cuore, infatti, non è nient’altro che l’amore e la grazia di Dio. Perciò i puri di cuore sono chiamati dal Signore beati (Mt 5,8), vale a dire innamorati, perché la beatitudine non si dà che all’amore.
    2. Che l’anima venga purificata allorquando viene illuminata dal fuoco della sapienza piena d’amore (Dio non concede mai la sapienza mistica senza accordare allo stesso tempo l’amore, perché è lo stesso amore che la infonde), lo dimostra molto chiaramente Geremia quando dice: Dall’alto ha scagliato un fuoco e nelle mie ossa lo ha fatto penetrare (Lam 1,13). E Davide aggiunger che i detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiolo (Sal 11,7), cioè nel fuoco purificatore dell’amore. Quest’oscura contemplazione, difatti, infonde nell’anima sia l’amore sia la sapienza, a ognuno secondo le proprie capacità e i propri bisogni, quando appunto l’anima è illuminata e purificata dalle sue ignoranze, come dice il Saggio (Sir 51,19), che ne aveva fatto esperienza.
    3. Da ciò possiamo anche dedurre che queste anime sono purificate e illuminate dalla stessa sapienza di Dio che purifica gli angeli dalle loro ignoranze, istruendoli e illuminandoli su ciò che non sanno. Essa discende da Dio attraverso le prime gerarchie fino alle ultime e poi agli uomini. Per questo nella Scrittura si dice, giustamente e con proprietà di linguaggio, che tutte le opere e le ispirazioni degli angeli provengono da Dio e da loro. Infatti Dio ordinariamente comunica la sua volontà per mezzo degli angeli. Questi, a loro volta, se la comunicano gli uni agli altri senza alcuna esitazione, come il raggio del sole passa attraverso molte vetrate poste l’una dopo l’altra. Sebbene il raggio le attraversi tutte da solo, tuttavia ognuna lo rinvia all’altra modificato, secondo la natura di quella vetrata, più o meno intensamente, secondo la sua lontananza dal sole.
    4. Ne segue che gli spiriti superiori e quelli inferiori più sono vicini a Dio, più sono purificati e illuminati e ricevono un’illuminazione generale; mentre i più lontani ricevono quest’illuminazione molto più debolmente e remotamente. Ne segue, ancora, che l’uomo, essendo l’ultima persona alla quale perverrà questa contemplazione amorosa di Dio, quando Dio gliela vorrà concedere la riceverà secondo le sue capacità, in modo molto limitato e come a stento. La luce di Dio che illumina l’angelo, lo illumina e lo colma delle soavità del suo amore, perché è puro spirito, quindi disposto all’infusione di simili grazie; l’uomo, invece, essendo impuro e debole, viene illuminato secondo la sua natura, come ho detto sopra, introducendolo nella notte e causandogli pene e angosce, come fa il sole con l’occhio sporco e ammalato. Lo illumina riempiendolo d’amore e di afflizione, finché tale fuoco d’amore non lo spiritualizza e lo raffina, perché, purificato, possa partecipare con soavità all’unione di quest’amoroso influsso, similmente agli angeli, come dirò in seguito, con l’aiuto di Dio. Nell’attesa, egli riceve la contemplazione e la conoscenza amorosa nell’angoscia e nell’ansia d’amore, di cui sto parlando.
    5. Ma non sempre l’anima sente quest’incendio e quest’ansia d’amore. Agli inizi della purificazione spirituale, infatti, il fuoco divino si volge più ad asciugare e disporre il legno dell’anima che a riscaldarla; ma poi, con il passare del tempo, quando il fuoco comincia a riscaldare l’anima, assai sovente essa percepisce questi ardori e questo calore d’amore. Poiché attraverso questa tenebra l’intelletto viene purificato progressivamente, accade che molte volte questa mistica e amorosa teologia, oltre a infiammare la volontà, ferisca anche, illuminandola, la facoltà dell’intelletto donandogli qualche conoscenza o luce divina, molto saporosa e celestiale. Allora la volontà, sostenuta dall’intelletto, s’accende di un fervore meraviglioso. Senza fare nulla, sente ardere così tanto nel suo intimo questo fuoco divino fiammeggiante d’amore che le sembra, grazie alla viva intelligenza che le è stata offerta, di essere divenuta un braciere ardente. A ciò si riferisce Davide quando in un salmo dice: Ardeva il cuore nel mio petto, al ripensarci è divampato il fuoco (Sal 38,4).
    6. Quest’incendio d’amore, nell’unione delle due potenze, intelletto e volontà, che avviene in questo momento, è fonte di grande ricchezza e diletto per l’anima. È un certo contatto con la Divinità e un inizio della perfezione dell’unione d’amore verso cui l’anima tende. Ma non si arriva a questo contatto così elevato di conoscenza e d’amore di Dio se non dopo aver attraversato molte prove e compiuto gran parte della purificazione. D’altra parte, per arrivare agli altri gradi inferiori della perfezione, ove di solito pervengono le anime, non è necessaria tanta purificazione.
    7. Da quando ho detto si deduce che la volontà, ricevendo da Dio questi beni spirituali passivamente, può amare molto bene senza che l’intelletto comprenda, così come l’intelletto può comprendere senza che la volontà ami. Difatti, poiché questa notte oscura di contemplazione consta di luce e d’amore divino, come il fuoco che rischiara e riscalda, non è impossibile che, quando questa luce piena d’amore si comunica, a volte la volontà sia ferita e infiammata d’amore, mentre l’intelletto rimanga nelle tenebre e all’oscuro di tutto. Altre volte, invece, la luce illumina l’intelletto, fornendogli le sue conoscenze, mentre lascia la volontà nell’aridità. Avviene così per il fuoco: può donare il suo calore senza la sua luce, oppure la sua luce senza il suo calore. Tutto questo è opera del Signore che distribuisce i doni a suo piacimento (cfr. 1Cor 12,11).
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    Coordin.
    00 02/08/2013 17:37
    CAPITOLO 13
    Ove si parla di altri meravigliosi effetti prodotti nell’anima da questa notte oscura della contemplazione.
    1. Quest’incendio d’amore ci permette di comprendere alcuni effetti gradevoli prodotti nell’anima dalla notte oscura della contemplazione. A volte, infatti, come ho appena detto, in mezzo a queste tenebre l’anima viene illuminata e la luce risplende nelle tenebre (Gv 1,5). Questa intelligenza mistica si comunica all’intelletto, mentre la volontà rimane nell’aridità, cioè incapace di emettere effettivamente atti d’amore unitivo. In compenso è avvolta da una pace e una semplicità tanto dolci e piacevoli ai sensi da non poterle descrivere; a volte ama Dio in un modo, altre volte in un altro.
    2. Altre volte, invece, intelletto e volontà sono feriti insieme da tale incendio, come ho detto, e allora l’amore arde improvvisamente, teneramente e intensamente. Talvolta, infatti, queste due potenze si uniscono in maniera così perfetta e sublime che la purificazione dell’intelletto risulta più completa. Ma prima di giungere a questo grado, è più facile che si senta il tocco del calore nella volontà che il tocco dell’illuminazione nell’intelletto.
    3. A questo punto sorge una domanda: se queste due potenze si vanno purificando contemporaneamente, perché all’inizio la volontà avverte l’incendio d’amore della contemplazione purgativa più facilmente di quanto l’intelletto ne avverta la conoscenza? A tale domanda si risponde che a questo punto l’amore passivo non ferisce direttamente la volontà, perché essa è libera; quest’incendio d’amore è più passione d’amore che atto libero della volontà, in quanto colpisce la sostanza dell’anima e quindi ne eccita passivamente gli affetti. Per questo motivo occorre chiamarlo passione d’amore piuttosto che atto libero della volontà: infatti lo si può dire atto della volontà in quanto è libero. Ma poiché queste passioni e questi affetti riguardano la volontà, per questo si dice che, se l’anima è attaccata a qualche passione, lo è anche la volontà. Ed è vero, perché è in questo modo che la volontà viene catturata e perde la sua libertà, tanto da farsi trascinare dalla forza impetuosa della passione. Possiamo, quindi, affermare che quest’incendio d’amore risiede nella volontà, cioè ne infiamma l’appetito. Per questo motivo, ripeto, deve chiamarsi passione d’amore piuttosto che atto libero della volontà. E poiché la passione ricettiva dell’intelletto può solo ricevere una conoscenza pura e passivamente – il che non può avvenire se esso non è purificato –, risulta che prima di tale purificazione l’anima sente meno frequentemente il tocco dell’intelligenza che quello della passione d’amore. Del resto, per ricevere questo tocco, non è necessario che la volontà sia, come l’intelletto, purificata dalle passioni, perché le passioni stesse l’aiutano a sentire l’amore appassionato.
    4. Questa fiamma o sete d’amore che si produce nell’anima è già opera dello Spirito. I suoi effetti sono molto diversi da quelli osservati nella notte dei sensi. Infatti, sebbene in questo caso anche i sensi abbiano la loro parte, perché partecipano alla sofferenza dello spirito, tuttavia la sorgente di questa sete d’amore è avvertita nella parte superiore dell’anima, cioè nello spirito. Questo percepisce e comprende tale sete o la privazione del bene che desidera, tanto da non dare alcun peso alle sofferenze dei sensi, sebbene siano incomparabilmente superiori a quelle della notte dei sensi, perché sente nell’intimo la mancanza di un bene così grande che non può essere sostituito con nessun altro.
    5. A questo punto occorre osservare quanto segue: se è vero che all’inizio della notte dello spirito non si avverte ancora quest’incendio d’amore, perché non ha ancora cominciato ad agire, tuttavia al suo posto il Signore dona subito all’anima un amore estimativo nei suoi confronti. Si tratta di un amore così elevato, che tutto ciò che l’anima soffre e sopporta di penoso nelle prove della notte oscura è il pensiero angosciante di aver perso Dio e di essere da lui abbandonata. Si può, quindi, affermare che fin dal principio di questa notte l’anima è ferita da ansie d’amore, amore dovuto sia alla considerazione di Dio sia all’incendio dell’anima. Ma nonostante tutto questo la sofferenza maggiore che l’anima sopporta in queste prove è quella di sentirsi abbandonata da Dio. Se soltanto potesse persuadersi che non tutto è perduto e finito per lei, ma che tutto quello che passa è per il meglio, come è di fatto, e che Dio non è irritato con lei, non le importerebbe nulla di tutte quelle pene; al contrario, se ne rallegrerebbe sapendo che servono a dare gloria a Dio. Difatti nutre per Dio un amore estimativo così profondo, anche se non se ne rende conto e non lo avverte, che non solo sopporterebbe quelle sofferenze, ma sarebbe anche contenta di morire mille volte per fargli piacere. Ma quando all’amore estimativo che nutre per Dio viene ad aggiungersi la fiamma che l’ha già consumata, l’anima di solito acquista slancio e zelo tesi a servire Dio. Sono ardori d’amore comunicati all’anima, che con grande audacia, senza guardare a nulla e senza rispetto per niente, nell’impeto e nell’ebbrezza dell’amore e del desiderio, senza tener conto di quello che fa, compie cose straordinarie e insolite, in qualsiasi modo le si presentino, pur di poter incontrare colui che ama.
    6. Questo è il motivo per cui Maria Maddalena, pur essendo così ben conosciuta, non fece caso a quella moltitudine di uomini – importanti o meno – presenti al banchetto e non stette a pensare se era bene o male andare a piangere e versare lacrime tra i convitati (Lc 7,37-38); le interessava soltanto poter incontrare senza indugi Colui dal quale la sua anima era stata ferita e infiammata. Era tanta l’ebbrezza e l’ardire del suo amore! Pur sapendo che il suo Amato era chiuso nel sepolcro con una grande pietra sigillata e vigilata dai soldati – questi facevano la guardia perché i suoi discepoli non lo portassero via (Mt 27,60-66) –, non si fermò dinanzi a questi ostacoli e andò di primo mattino con gli unguenti a ungere il suo corpo (Gv 20,1).
    7. E ancora, spinta dall’ebbrezza e dall’ansia del suo amore, chiese a colui che credeva l’ortolano se avesse portato via lui dal sepolcro il corpo del Signore e dove l’avesse nascosto, perché voleva andare a prenderlo (Gv 20,15). La sua richiesta, analizzata a mente serena, era insensata, dal momento che se l’ortolano avesse rubato lui il corpo, evidentemente non gliel’avrebbe detto, né tanto meno gliel’avrebbe fatto portare via. Ma la forza e la veemenza dell’amore ha proprio la caratteristica di credere che tutto sia possibile e che tutti pensino la stessa cosa; crede, infatti, che nessuno possa occuparsi di qualcos’altro o ricercare cosa diversa da ciò che essa ricerca o ama; pensa che l’oggetto del suo amore e della sua sollecitudine sia lo stesso per tutti. Questo è il motivo per cui, quando la sposa del Cantico uscì per cercare il suo Amato per le piazze e le contrade, credendo che gli altri stessero facendo la stessa cosa, disse loro che, se l’avessero trovato, gli dicessero che lei soffriva d’amore per lui (Ct 5,8). Tale era la forza dell’amore di Maria Maddalena. Pensava che, se l’ortolano le avesse detto dove aveva nascosto il corpo del Signore, lei sarebbe andata a prelevarlo, anche se gliel’avesse impedito.
    8. Sono di questo genere le ansie d’amore che l’anima avverte a poco a poco, quando è già avanzata in questa purificazione spirituale. Difatti si alza di notte, cioè durante queste tenebre purificatrici, e agisce secondo gli affetti della volontà. Simile alla leonessa o all’orsa che con forza e ansia corrono in cerca dei loro cuccioli che hanno lasciato e non trovano (2Sam 17,8; Os 13,8), quest’anima ferita dall’amore va in cerca del suo Dio. Trovandosi nelle tenebre, si sente priva di lui e muore d’amore per lui. Tale è l’amore impaziente in cui non si può durare a lungo: o si ottiene ciò che si desidera o si muore. È un amore simile a quello di Rachele che desiderava avere dei figli e diceva a Giacobbe: Dammi dei figli, se no io muoio! (Gn 30,1).
    9. È bene ora osservare come l’anima, pur sentendosi così miserabile e indegna di Dio in queste tenebre purificatrici, abbia tanto coraggio e ardire da aspirare all’unione con Dio. Questo è possibile perché l’amore le dà la forza di amarlo davvero e la caratteristica dell’amore è proprio quella di tendere all’unione, alla fusione, all’uguaglianza, all’assimilazione con l’oggetto amato, per raggiungere la perfezione dell’amore. Perciò l’anima che non è ancora pervenuta alla perfezione dell’amore, perché non è giunta all’unione, ha fame e sete di ciò che le manca, cioè dell’unione. Così le forze che l’amore ha immesso nella volontà, accendendone la passione, la rendono coraggiosa e ardita, anche se l’intelletto, che si trova ancora nelle tenebre e senza luce, si sente indegno e si riconosce miserabile.
    10. Non voglio tralasciare di dire qui il motivo per cui questa luce divina, che è pur sempre luce per l’anima, non la illumina subito appena la investe, come invece farà in seguito, ma le procura piuttosto tenebre e afflizione, come si diceva sopra. Qualcosa ho già detto, ma ora occorre scendere nei particolari. Le tenebre e le altre sofferenze che l’anima sperimenta, quando è investita dalla luce divina, non provengono dalla luce bensì dall’anima stessa, anche se è la luce che gliele manifesta. Da qui si desume che la luce divina illumina l’anima istantaneamente; ora, servendosi di tale luce, l’anima non può vedere prima se non ciò che le è più vicino, o meglio, ciò che le è dentro, cioè le sue tenebre e miserie, che ormai vede grazie alla misericordia di Dio, mentre precedentemente non le scorgeva perché non illuminata da quella luce soprannaturale. Questo è il motivo per cui all’inizio non sente che tenebre e dolore; ma una volta purificata mediante la conoscenza viva delle sue miserie, avrà occhi per contemplare i beni di questa luce divina; eliminate tutte queste tenebre e imperfezioni dall’anima, sembra che questa cominci a scorgere a poco a poco i vantaggi e i beni innumerevoli che va acquisendo in questa beata notte di contemplazione.
    11. Da quanto detto, si comprendono le grazie che Dio accorda in questo stato all’anima quando la purifica e la guarisce con queste dure e amare tribolazioni. In realtà egli purifica la sua parte sensitiva e spirituale da tutti gli affetti e abitudini difettose che essa ha in sé nell’ambito temporale, naturale, sensitivo, speculativo e spirituale. Dio ottenebra le sue potenze interiori e le spoglia di tutto; fa passare i suoi affetti sensitivi e spirituali attraverso l’angoscia e il deserto; debilita e rettifica le forze naturali dell’anima in rapporto a tutto, cosa che l’anima non sarebbe mai riuscita a conseguire da sola, come dirò presto. Insomma, Dio la distacca naturalmente in questo modo da tutto ciò che non è lui, per rivestirla a nuovo, una volta spogliata e liberata della sua vecchia pelle. Così rinnova come aquila la sua giovinezza (Sal 102,5), venendo essa vestita dell’uomo nuovo, che, come dice l’Apostolo, è creato secondo Dio (Ef 4,24). Questo non significa altro che illuminarle l’intelletto con la luce soprannaturale, di modo che da intelletto umano diventi divino, unito a quello di Dio. D’altra parte, essendo la volontà infiammata d’amore divino, diviene divina, quindi ama come Dio ama, perché forma una cosa sola con la volontà e l’amore di Dio. La stessa cosa si può dire della memoria, degli affetti e degli appetiti, che sono cambiati e trasformati secondo Dio e in maniera degna di lui. Si può dire così che quest’anima appartiene ormai al cielo, è celestiale, più divina che umana. Tutte queste trasformazioni, come si può vedere da quanto stiamo dicendo, Dio le compie e realizza nell’anima per mezzo di questa notte, illuminandola e infiammandola divinamente del desiderio di Dio solo e nulla più. Per questo motivo, giustamente e coerentemente, l’anima aggiunge subito il terzo verso della strofa che dice: oh, sorte fortunata!
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