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IL CONCILIO DI NICEA

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    00 24/07/2013 18:45

    da Cathopedia

    Il Primo concilio di Nicea è stato il primo concilio ecumenico[1] del mondo cristiano, secondo la prassi del Concilio di Gerusalemme di età apostolica.

    Convocato (e presieduto) dall'imperatore Costantino I, preoccupato dalle dispute tra cristiani che si facevano sempre più aspre. Se prima tali dispute erano tenute all'interno di luoghi di culto quasi in sordina o confinate nelle sedi ecclesiastiche, ora che Costantino aveva dato al Cristianesimo un'autorità all'interno dello stato, queste dispute erano diventate anche una questione di stato e come tali andavano trattate: infatti, se queste non fossero state risolte avrebbero dato un ulteriore impulso centrifugo all'impero in una fase in cui esso si trovava sulla via della disgregazione. Con queste premesse, in un clima di grande tensione, il concilio ebbe inizio il 20 maggio del 325; i partecipanti provenivano in maggioranza dalla parte orientale dell'Impero.

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    00 24/07/2013 18:46

    Introduzione

    Lo scopo del concilio era quello di rimuovere le divergenze nella Chiesa di Alessandria, e stabilire la natura di Cristo in relazione al Padre; in particolare, stabilire se il Figlio fosse della stessa ousìa, o sostanzadel Padre. Questo in quanto il Sinodo di Alessandria del 321, convocato da Alessandro, vescovo di Alessandria, pur concludendosi con la scomunica del presbitero Ario non ne aveva fermato la sua attività propagandistica. Infatti Ario, rifugiatosi in Palestina presso il suo antico compagno di scuola, l'influente Eusebio di Nicomedia, creò un centro per l'arianesimo.

    Un'ulteriore decisione del concilio fu stabilire una data per la Pasqua, la festa principale della Chiesa. Il concilio stabilì che la Pasqua si festeggiasse la prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera, in modo quindi indipendente dalla Pasqua ebraica, stabilita in base alcalendario ebraico. Il Vescovo di Alessandria (probabilmente usando il calendario copto) avrebbe d'allora in avanti stabilito la data e l'avrebbe poi comunicata agli altri vescovi.

    Con il Concilio Costantino auspicava che fosse chiarito, una volta per tutte, un dogma (verità di fede) riguardo a una diatriba sorta in un primo momento intorno ad una questione cristologica, ma le cui conseguenti lacerazioni teologiche avevano effetto anche sulla pace dell'impero, di cui egli si riteneva il custode.

    Siccome la disputa ariana nacque e coinvolse le chiese d'Oriente, di lingua greca, la rappresentanza latina al concilio fu ridotta: il papa Silvestro fu rappresentato da due preti (questa prassi divenne costante anche nei concili successivi). Più in generale, i 318 ecclesiastici presenti (il numero non è certo) erano tutti orientali tranne quattro europei e un africano: Marco di Calabria dall'Italia, Cecilio di Cartagine dall'Africa, Osio di Cordova dalla Spagna, Nicasio di Digione dalla Gallia, Domnus di Stridon dalla provincia danubiana.

    Il Concilio fu tenuto presso il palazzo imperiale, e gli ecclesiastici furono spesati nel viaggio come se fossero stati funzionari di stato. Il discorso inaugurale fu tenuto da Costantino, al quale stava a cuore l'unità dei sudditi; il documento conclusivo venne firmato prima dal rappresentante imperiale Osio di Cordova, e poi dai rappresentanti del papa. Nonostante la presenza di Ario e soprattutto diEusebio di Nicomedia (tanto in confidenza con l'imperatore che lo battezzò in punto di morte), la maggioranza fu contraria alle loro idee. Infatti il comportamento dei due, per nulla conciliante, indispose la fazione moderata che votò contro di loro.

    Il clima conciliare niceno fu a dir poco turbolento; il dibattito sulle tesi di Ario degenerò a tal punto che Nicola di Mira prese a schiaffi l'eresiarca.[2]

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    00 24/07/2013 18:47

    Organizzazione del concilio

    Teoria di santi, basilica di Sant'Apollinare Nuovo,Ravenna (VI secolo)

    Costantino invitò tutti i 1800 vescovi della Chiesa cristiana (circa 1000 in Oriente e 800 in Occidente). Tuttavia, solo da 250 a 320 vescovi furono in grado di partecipare. Riguardo al numero esatto di partecipanti, le fonti coeve non sono concordi: secondo Eusebio di Nicomediaerano 250; Eustazio di Antiochia, citato daTeodoro, ne cita 270; sant'Atanasio, nelle sue Epistole ai Solitati, parla di 300 (come Costantino), anche se nella lettera agli Africani, racconta di 318[3]. Essendo stati dei testimoni oculari, sono tutti degni di fede.

    Il numero di 318, che il papa san Leonedefinisce misterioso, è stato poi adottato dalla maggioranza di Padri della Chiesa. Ad esempio,Sant'Ambrogio spiegava che tale numero dava la dimostrazione della presenza del Signore Gesù nel Concilio, in quanto la croce ne indicava 300, mentre il nome di Gesù 18. Sant'Ilario, difendendo il termine "consustanziale" - approvato nel Concilio, anche se condannato 55 anni prima dalSinodo di Antiochia - spiegava che:

    «
    80 vescovi rigettarono il termine consustanziale, ma 318 l'hanno approvato. Quest'ultimo numero è per me santo, poiché è quello degli uomini che accompagnarono Abramo, quando, vittorioso dei re empi, venne benedetto da colui che è il sacerdote eterno »

    Infine Selden racconta che Doroteo, metropolita di Monembasa, diceva che il numero di padri conciliari era esattamente di 318, dato che erano passati esattamente 318 anni dall'incarnazione(tutti i cronologisti datano il concilio nel 325 dell'era volgare, ma Doroteo lo anticipa di 7 anni perché il suo ragionamento funzioni); d’altronde solo con il concilio di Lestina, nel 743, si iniziarono a contare gli anni a partire dalla nascita di Gesù.

    A causa delle riserve espresse sulla dottrina dell'homooùsion da Eusebio di Nicomedia e da Teognis di Nicea, entrambi, pur avendo firmato gli atti, vennero esiliati in Gallia tre mesi dopo. Infatti, i due avendo ripreso a predicare che il Figlio non era consustanziale al Padre, si disse che avevano guadagnato alla loro causa il custode degli atti del concilio nominato dall'imperatore per cancellarne le proprie firme. A quel punto venne pensato di ristabilire il numero misterioso di 318 partecipanti, mettendo gli atti del concilio distinti per sessione sulle tombe di Crisanzio e di Misonio, morti durante lo svolgimento del concilio; all'indomani, dopo aver passato la notte in orazioni, si scoprì che i due vescovi avevano firmato.

    Decisioni del Concilio

    Costantino convoca i vescovi a Nicea per il concilio: mosaico in Hagia Sophia,Istanbul, c. 1000)

    Le decisioni prese dal concilio con un'amplissima maggioranza - solo Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide votarono contro - furono essenzialmente tre:

    1. su proposta di Eusebio di Cesarea si arrivò ad una dichiarazione di fede [5], che ricevette il nome diSimbolo niceno o credo niceno. Il simbolo, che rappresenta ancora oggi un punto centrale delle celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina dell'homooùsion, cioè della consustanzialità del Padre e del Figlio: nega che il Figlio sia creato (genitum, non factum), e che la sua esistenza sia posteriore al Padre (ante omnia saecula). In questo modo, l'arianesimo viene negato in tutti i suoi aspetti. Inoltre, viene ribadita l'incarnazione,morte e risurrezione di Cristo, in contrasto alle dottrinegnostiche che arrivavano a negare la crocifissione.
    2. venne dichiarata ufficialmente la nascita virginale di Gesù, definita nel simbolo niceno: [Gesù] nacque da Maria Vergine. In realtà la nascita verginale di Gesù era già affermata nel vangelo di Matteo, pertanto nel simbolo niceno essa venne solo ribadita.
    3. fu condannata come eretica la dottrina cristologica elaborata da Ario, che sosteneva che Gesù non avesse natura divina come il Padre.

    Altre decisioni erano invece di carattere non solo dottrinale ma anche disciplinare, e riguardavano la posizione da tenere in particolare rispetto agli eretici e a coloro che avevano rinnegato il cristianesimo, e cioè:

    1. furono dichiarate eretiche le dottrine del vescovo Melezio di Licopoli.
    2. furono stabilite delle regole sul battesimo degli eretici.
    3. si presero delle decisioni su coloro che avevano rinnegato il cristianesimo durante la persecuzione di Licinio, cioè i cosiddetti lapsi.

    L'imperatore fece trasmettere le decisioni del concilio a tutti i vescovi cristiani esortandoli ad accettarle, sotto la minaccia dell'esilio.

    Alla fine del concilio vennero stabiliti i seguenti canoni (cioè, "regole"):

    1. proibizione dell'auto-castrazione; (vedi Origene[6]
    2. definizione di un termine minimo per la ammissione dei neo-catecumeni nella Chiesa; [7]
    3. proibizione della presenza di donne nella casa di un chierico; [8]
    4. ordinazione di un vescovo in presenza di almeno tre vescovi della provincia, subordinata alla conferma da parte del vescovo metropolita[9]
    5. sugli scomunicati, e sull'obbligo di tenere almeno due sinodi all'anno in ciascuna provincia;[10]
    6. preminenza dei Vescovi di Roma e Alessandria[11]
    7. riconoscimento di particolare onore per il vescovo di Gerusalemme[12]
    8. riconoscimento dei Novaziani[13]
    9–14. provvedimento di clemenza verso coloro che hanno rinnegato il Cristianesimo durante la persecuzione di Licinio[14]-[15]
    15–16. proibizione di trasferimento di presbiteri e vescovi dalle loro città; [16]-[17]
    17. proibizione dell'usura fra i chierici; [18]
    18. precedenza di vescovi e presbiteri sui diaconi nel ricevere l'Eucaristia[19]
    19. dichiarazione dell'invalidità del battesimo ordinato da Paolo di Samosata (vedi eresia adozionista); dichiarazione che le donne diacono sono da considerarsi come i laici[20]
    20. proibizione di inginocchiarsi durante la liturgia della domenica e nei giorni pasquali, fino allaPentecoste[21]

    Il 25 luglio 325 il Concilio si concluse, e i Padri convenuti celebrarono il ventesimo anniversario di regno dell'imperatore. Nel suo discorso conclusivo, Costantino confermò la sua preoccupazione per le controversie cristologiche e sottolineò la sua volontà che la Chiesa vivesse in armonia e pace. In una lettera fatta circolare nella prima festa della Pasqua, annunciò la raggiunta unità di fatto dell'intera Chiesa.

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    00 24/07/2013 18:48

    Il credo niceno: differenze e similitudini con il credo cattolico

    Icona russa che raffigura Costantino I fra i Padri conciliari al primo Concilio di Nicea: il rotolo contiene il testo del Simbolo Niceno.

    Sin dai primi tempi in cui il cristianesimo si tramandava solo oralmente, vari tipi di Credo erano segni distintivi di una comunità: a Roma, per esempio, era popolarissimo il Credo detto "degli apostoli", soprattutto durante la Quaresima e nella liturgia di Pasqua. Al Concilio di Nicea persino Ario avrebbe potuto citare il suo credo. Ma per Alessandro di Alessandria, e i suoi sostenitori, occorreva maggiore chiarezza. La sua opinione alla fine prevalse. Il Concilio, infatti, adottò un credo specifico per stabilire in modo chiaro la fede di tutta la Chiesa, includendo coloro che la professavano ed escludendo gli altri.

    Alcuni elementi distintivi del credo niceno furono probabilmente aggiunti da Osio di Cordova, e cioè:

    1. Dio è uno solo: è il primo articolo del credo niceno: "Credo in unum Deum" (Credo in un solo Dio).
    2. Cristo è descritto come Deum de Deo, lumen de lumine (Dio da Dio, luce da luce), confermando la sua divinità. In un'epoca in cui tutte le sorgenti di luce erano naturali, l'essenza della luce era da considerarsi identica, indipendente dalla sua forma estrinseca. È singolare che un ragionamento del genere fosse usato dagli eretici modalisti, che erano stati condannati dalSinodo di Antiochia nel 264-268.
    3. Gesù Cristo è affermato essere genitum, non factum(generato, non creato), in opposizione diretta con l'arianesimo.
    4. La dottrina dell'homooùsion (vedi più sotto) viene sancita esplicitamente (in latino, consustantialem Patri). Alcuni ascrivono questo termine a Costantino stesso, il quale, su questo punto in particolare, potrebbe avere scelto di manifestare chiaramente la sua volontà.

    Del terzo articolo di fede, solo le parole et in Spiritum Sanctum ([Credo] nello Spirito Santo) erano presenti: il credo niceno finiva con queste parole, ed era immediatamente seguito dai 20 canoni del concilio. Quindi, invece di un credo battesimale che poteva essere accettato sia dagli ortodossi, sia dagli Ariani (come proposto da Eusebio), il concilio ne promulgò uno che era chiarissimo nei termini di contesa fra le due parti, e quindi era totalmente incompatibile con la posizione degli Ariani.

    Il ruolo del vescovo Osio di Cordova, uno dei primi sostenitori dell'homooùsion, fu probabilmente decisivo nel portare il concilio a un consenso. Al tempo del concilio, egli era il primo consigliere dell'imperatore bizantino sulle questioni ecclesiastiche. Osio è presente come primo della lista dei vescovi, e Atanasio attribuisce a lui la formulazione attuale del Credo. I Padri che più difesero la dottrina dell'homooùsion furono Eustazio di AntiochiaAlessandro di AlessandriaAtanasio eMarcello di Ancyra.

    Nonostante la simpatia personale per ArioEusebio di Cesarea aderì alla decisione del concilio, accettando il credo come era stato formulato. La dottrina nicena fu ratificata da Costantino, e l'imperatore affermò che chiunque si fosse opposto alle decisioni del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio. A causa delle riserve espresse da Eusebio di Nicomedia e da Teognis di Nicea, e della frode che secondo Costantino perpetrarono (nella parola originariamente concordata homoùsios inserirono una iota che cambiò la parola inhomoioùsios, cioè di "simile sostanza", in luogo del significato originario di "medesima sostanza") essi, pur avendo avallato le decisioni conciliari, vennero esiliati in Gallia tre mesi dopo. Ario fu messo al bando in una remota provincia dell'Illirico, la sua persona e i suoi discepoli furono bollati dalla legge con il nome di porfiriani [22], i suoi scritti furono condannati alle fiamme e contro chiunque ne fosse stato trovato in possesso fu comminata la pena capitale.

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    00 24/07/2013 18:49

    Dichiarazione dell'homooùsios

    Battesimo di Cristo, mosaico sul soffitto del Battistero degli ariani a Ravenna (prima metà del VI secolo)

    La controversia ariana era una controversia cristologica che cominciò ad Alessandria d'Egitto fra i seguaci di Ario e i seguaci di Alessandro, vescovo di Alessandria. Mentre questi ultimi credevano che il Figlio fosse uguale al Padre in quanto alla divinità, cioè composto della stessa sostanza (nel senso aristotelico del termine), gli arianicredevano che Padre e Figlio fossero due distinti esseri divini: in particolare, il Figlio, pur essendo perfetto come creatura, era pur sempre creato dal Padre.

    Gran parte della disputa riguardava la differenza fra l'essere nato o creato, e l'essere generato dal Padre. Gli ariani dicevano che i due concetti erano la stessa cosa, i seguaci di Alessandro no. In effetti, molti dei termini usati nel concilio di Nicea erano abbastanza oscuri per coloro che non parlavano il greco; le parole del greco koinè, come "essenza" (ousìa), "sostanza" (ipostasi), "natura" (physis), "persona" (prosopon) contenevano una varietà di significati che venivano direttamente desunti dai filosofi pre-cristiani, e che non potevano che introdurre gravi incomprensioni se non spiegati adeguatamente. La parola homooùsion (= della stessa essenza) in particolare, che tra l'altro viene approssimativamente tradotta nel latino del Credo con consubstantialem, fu inizialmente poco apprezzata dai vescovi convenuti, per la sua vicinanza formale con gli eretici gnostici, che ne facevano uso abbondante nella loro teologia. In particolare, il termine stesso homooùsion era stato proibito dal Sinodo di Antiochia nel 264-268, per l'interpretazione sabelliana della Trinità, nota anche come modalismo.

    I seguaci dell'homooùsion credevano che seguire l'eresia ariana significasse spezzare l'unità della natura divina, e rendere il Figlio ineguale al Padre, in palese contrasto con le Scritture ("Io e il Padre siamo una cosa sola", Gv 10,30).
    Gli ariani, dal canto loro, credevano che, siccome il Padre ha creato il Figlio, il Figlio deve essere stato emanato dal Padre, e quindi essere meno del Padre, in quanto il Padre è eterno, ma il Figlio è stato creato dopo di lui, e, quindi, non è eterno (nel senso che Aristotele dà all'infinito, per es. nelDe Coelo). Anche gli ariani citavano le Scritture, per esempio citando Gv 14,28: "Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me."
    I seguaci dell'homooùsion rispondevano dicendo che la paternità di Dio, come tutti i suoi attributi, è eterna: il Padre è sempre stato Padre, e quindi il Figlio è rimasto sempre Figlio, anche prima di esistere.

    Il Concilio decretò alla fine il trionfo dell'homooùsion, cioè che il Padre e il Figlio sono della stessa sostanza, e sono co-eterni: i padri conciliari basarono questa dichiarazione sulla autorità apostolica e sulla tradizione cristiana. La formulazione finale di questo dogma si ritrova nel Credo Niceno.

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    00 24/07/2013 18:51

    Determinazione della data della Pasqua

    Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi le voci Calcolo della Pasqua e Quartodecimani.
    L'Agnello, mosaico nell'interno della cupola della basilica di San VitaleRavenna.

    La festa della Pasqua è legata alla Pasqua ebraica, in quanto lacrocifissione e resurrezione di Gesù avvennero durante questa festa. Intorno al 300, molte delle Chiese avevano adottato il costume occidentale di celebrare la festa la domenica dopo la Pasqua ebraica, per enfatizzare la resurrezione, che avvenne secondo i vangeli di domenica. Altri invece celebravano la Pasqua il 14 del mese di Nisan, la data della crocefissione secondo il calendario ebraico della Bibbia (23,5,19,14).

    Questo gruppo veniva chiamato dei Quartodecimani. Le Chiese orientali di Siria, Cilicia e Mesopotamia determinavano la data della Pasqua a partire dal calendario ebraico; Alessandria e Roma invece seguivano un calcolo differente, attribuito a papa Sotero, in modo tale che la Pasquacristiana non coincidesse mai con la Pasqua ebraica, e decisero di fissarla alla prima domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera.

    Secondo Duchesne[4], che fonda le sue conclusioni sui seguenti documenti:

    1. la lettera conciliare di Teodoreto di Ciro agli Alessandrini;[5]
    2. nella lettera circolare di Costantino ai vescovi alla conclusione del concilio;[6]
    3. su Atanasio;[7]

    Sant'Epifanio di Salamina scrisse alla metà del IV secolo che[8]:

    «
    ... l'imperatore ... convocò un concilio di 318 vescovi ... nella città di Nicea. ... Essi approvarono alcuni canoni ecclesiastici durante il concilio, e inoltre decretarono riguardo alla Pasqua ebraica che ci dovesse essere un accordo unanime sulla celebrazione del santo e supremo giorno di Dio. »

    Il concilio si assunse il compito di regolare queste differenze, in parte anche perché in alcune diocesiera proibito fare coincidere la Pasqua ebraica con la Pasqua cristiana. 
    "Fu stabilito di celebrare ovunque la festa della resurrezione di domenica, e di non farla coincidere con la Pasqua ebraica, cioè sempre dopo il 14 di Nisan, la domenica dopo il plenilunio di primavera. Il motivo principale di questa decisione era l'opposizione al giudaismo, che aveva disonorato la Pasqua con la crocefissione del Signore".[9]

    Costantino scrisse che[10]

    «
    ... sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa si dovesse seguire la pratica dei Giudei, che hanno insozzato le loro mani con un peccato enorme, e sono stati giustamente puniti con la cecità delle loro anime. ... È bene non avere nulla in comune con la detestabile cricca dei Giudei; in quanto abbiamo ricevuto dal Salvatore una parte diversa. »

    Teodoreto di Ciro riporta queste parole dell'imperatore[11]:

    «
    Fu prima di tutto dichiarato improprio il seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione della santa Pasqua, perché, a causa del fatto che le loro mani erano state macchiate dal crimine, le menti di questi uomini maledetti erano necessariamente accecate. ... Non abbiamo nulla in comune con i Giudei, che sono i nostri avversari. ... evitando ogni contatto con quella parte malvagia. ... le cui menti, dopo avere tramato la morte del Signore, fuori di sé, non sono guidate da una sana ragione, ma sono spinte da una passione irrefrenabile ovunque la loro follia innata le porti. ... un popolo così completamente depravato. ... Quindi, questa irregolarità va corretta, in modo da non avere nulla in comune con quei parricidi e con gli assassini del nostro Signore. ... neanche un solo punto in comune con quegli spergiuri dei Giudei. »

    Il Concilio di Nicea, comunque, non dichiarò i calcoli alessandrini o romani come obbligatori. Invece, il concilio diede al Vescovo di Alessandria il privilegio di annunciare annualmente la data della Pasquacristiana alla Curia romana. Benché il Concilio avesse intrapreso il compito di dare una data alla Pasqua, si accontentò alla fine di comunicare la sua decisione alle differenti diocesi, invece di stabilire un canone. Ci furono quindi delle controversie sulla celebrazione della Pasqua.

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    00 24/07/2013 18:51

    Sull'eresia di Melezio

    La soppressione dell'eresia meleziana fu una delle tre importanti questioni di ordine interno alla Chiesa che accompagnarono le decisioni teologiche del Concilio di Nicea.

    Melezio fu deposto per varie ragioni, fra cui quella di offrire sacrifici agli idoli e di ordinare sacerdoti al di fuori della sua diocesi (il che era proibito fin quasi dall'inizio del cristianesimo). Gli scarsi riferimenti di Sant'Atanasio erano le uniche informazioni su di lui, fino a che nel XVIII secolo l'archeologo Scipione Maffei scoprì un manoscritto che riguardava l'eresia meleziana in Egitto. Da questi documenti, e da quelli di Atanasio si deduce che l'eresia meleziana incominciò intorno al304-305, cioè ai tempi della persecuzione di Diocleziano. Sant'Atanasio dice che i Meleziani divennero scismatici cinquantacinque anni fa, mentre quelli [gli Ariani] vennero dichiarati eretici trentasei anni fa[12]. Poiché si può ritenere che gli ariani venissero dichiarati eretici nel Concilio di Nicea nel 325, a ritroso si può calcolare che i meleziani divenissero scismatici nel 306.

    Al Concilio si decise che Melezio dovesse rimanere nella sua città di Licopoli, ma senza potere ordinare nuovi preti; gli fu inoltre vietato di viaggiare nei dintorni della città, o entrare in un'altra diocesi per consacrare nuovi sacerdoti. Melezio mantenne il titolo episcopale, ma gli ecclesiastici che erano stati ordinati da lui dovevano ricevere di nuovo l'imposizione delle mani, in quanto le ordinazioni fatte da Melezio non erano da considerarsi valide.

    Il clero consacrato da Melezio doveva dare la precedenza a quello ordinato da Alessandro, e non poteva prendere nessun provvedimento se non previo consenso del vescovo Alessandro.[13]

    Nel caso di morte di un vescovo o un presbitero non-meleziano, il soglio vacante avrebbe potuto essere assegnato a un meleziano, purché ne fosse degno, e l'elezione popolare venisse confermata da Alessandro. Per quanto riguardava lo stesso Melezio, le prerogative e i diritti episcopali gli furono negati.

    Questi provvedimenti blandi furono tuttavia inutili; i meleziani si unirono agli ariani e causarono dissensi ancora più gravi[14], diventando nemici implacabili di Atanasio, sotto il regno di Costanzo II, successore e nipote di Costantino, che era notoriamente un protettore degli Ariani. L'eresia meleziana venne meno comunque intorno alla metà del V secolo.

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    00 24/07/2013 18:53

    Il battesimo degli eretici

    Sulla persecuzione di Licinio

    Altre questioni

    Infine il concilio promulgò 20 nuove leggi ecclesiastiche, chiamate canoni (sebbene il numero esatto sia oggetto di dibattito[15]), cioè, regole immutabili intese a disciplinare qualcosa. I 20 canoni sono elencati nella Patristica relativa a Nicene e successivamente ad essa, nel modo seguente:[16]

    Effetti del concilio

    Gli effetti a lungo termine del concilio di Nicea furono significativi. Per la prima volta, rappresentanti di tutti i vescovi della Chiesa furono concordi su un tema di dottrina. Sempre per la prima volta, l'Imperatore svolse un ruolo, convocando insieme i vescovi sotto la sua autorità e usando il potere dello Stato per dar seguito alle disposizioni conciliari. Questo fu l'inizio del cosiddettocesaropapismo: un coinvolgimento di Chiesa e Stato che seguiterà fino ai nostri giorni ad essere oggetto di dibattito.

    A breve termine tuttavia, il concilio non risolse del tutto i problemi per cui era stato convocato. Gli ariani e i meleziani quasi subito riguadagnarono pressoché tutti i diritti che avevano perduto e l'Arianesimo continuò a propagarsi e a causare divisioni nella Chiesa per tutto il rimanente IV secolo. Quasi immediatamente Eusebio di Nicomedia usò la sua influenza a corte per guadagnarsi il favore di Costantino, spostandolo dai vescovi ortodossi di Nicea agli Ariani. Eustazio di Antiochia fu deposto ed esiliato nel 330. Atanasio, che era succeduto ad Alessandro come vescovo di Alessandria, fu deposto dal primo sinodo di Tiro nel 335 e Marcello di Ancyra lo seguì nel 336. Ario stesso tornò a Costantinopoli per essere riaccolto nella Chiesa, ma morì poco prima che ciò potesse accadere. Costantino morì l'anno dopo, dopo avere finalmente ricevuto il battesimo, da un vescovo ariano.

    Giudizi storici

    Nel corso del XVIII secolo, l'atteggiamento di alcuni illuministi nei confronti del concilio di Nicea fu improntato su posizioni critiche, evidenziando gli aspetti politici e sociali che accompagnarono il primo dei concili ecumenici.

    Notevole è la discussione che fa Edward Gibbon del Concilio nella sua monumentale opera Decline and Fall of the Roman Empire[17]. In particolare, Gibbon evidenzia le necessità politiche di mantenimento dell'unità dell'Impero, che spinsero Costantino a convocare il concilio. Gibbon non fa mistero del provvedimento di esilio da parte imperiale: «(...) la dottrina nicena fu ratificata da Costantino, e quando l'imperatore affermò risolutamente che chiunque si fosse opposto al giudizio divino del concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio, tacquero i mormorii di protesta di una fiacca opposizione, che da diciassette vescovi si ridusse quasi istantaneamente a due.»

    Su posizioni più caustiche si situa Voltaire, che nel suo Dizionario filosofico dedica la voce "Concili" a una succinta storia dei concili ecumenici[18]Voltaire indica l'attore primo della convocazione del concilio in Costantino, il quale desiderava che le "frivole" dispute teologiche non costituissero uno scandalo o, peggio, occasioni di dissidio nel popolo[19]Voltaire ritiene che tali dispute avessero poco a che fare con il messaggio principale dei Vangeli, e con la moralità che normalmente si chiede da una persona dabbene.

    L'aneddoto citato da Voltaire è da lui riportato per affermare che i concili sono fatti dagli uomini e che quindi sono il frutto naturale delle passioni umane e delle circostanze storiche:

    «
    Tutti i concili sono infallibili, senza alcun dubbio: se non altro perché sono fatti dagli uomini. 

    È cosa impossibile che in alcun modo le passioni, gli intrighi, lo spirito polemico, l'odio, la gelosia, il pregiudizio, l’ignoranza, regnino in tali consessi.
    Ma perché, ci si potrebbe chiedere, tanti concili si sono opposti gli uni agli altri? È successo per esercitare la nostra fede; essi, ciascuno nel proprio tempo, hanno sempre avuto ragione.

    Non si crede oggi, presso i cattolici romani, che ai concili approvati dal Vaticano; e non si crede oggi, presso i cattolici greci, che a quelli approvati in Costantinopoli. I protestanti si burlano sia dei primi che dei secondi; in tal modo tutti devono dichiararsi contenti. »
     
    (Voltaire. Dizionario Filosofico, voce Conciles)

    Infatti in una missiva San Gregorio di Nazianzo (che in qualità di Vescovo di Costantinopoli, presiedette per poco tempo il concilio di Costantinopoli scrivendo a Procopio ebbe a dire al riguardo:

    «
    Temo i concili, non ne ho mai visto alcuno che non abbia fatto più male che bene, e che abbia avuto una buona riuscita: lo spirito polemico, la vanità, l’ambizione vi dominano; colui che vuole riformare i maliziosi si espone a essere a sua volta accusato senza averli corretti »
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    00 24/07/2013 18:54

    Della distinzione tra libri ispirati e apocrifi

    Voltaire amava giocare fra serietà e l'ironia; relativamente al concilio di Nicea cita ad esempio l'episodio che sarebbe avvenuto della distinzione fra libri apocrifi e ispirati

    «
    I Padri del Concilio distinsero tra libri delle Scritture e apocrifi grazie ad un espediente piuttosto bizzarro: avendoli collocati alla rinfusa sull'altare vennero detti apocrifi quelli che caddero in terra. »

    La citazione di Voltaire riguarda un testo denominato Synodicon Vetus del 887[20] che racconta dei concili e che aggiunge alcune informazioni (spesso considerate spurie) rispetto ai testi degli storici della chiesa. Restando alla citazione l'autenticità dell'episodio è dubbia in quanto comparendo solamente nel Synodicon non è possibile determinare con certezza se è una invenzione o se risale ad una antica tradizione al quale l'autore aveva accesso.

    Secondo Andrew Hunwick:

    «
    Il problema della distinzione tra vangeli spuri ed autentici non è stato discusso nel primo concilio di Nicea: l'aneddoto è inventato. Compare nel testo clandestino La Religione Cristiana Analizzata (in francese nell'originale, La Religion chretienne analysée) attribuito a Dumarsais, e pubblicato da Voltaire in forma ridotta in Raccolte Essenziali (Recueil necessaire) nel 1765, dove è indicata come fonte Sanctissima concilia (1671-1672, Parigi, vol II, pp 84-85) di Pierre Labbe (1607-1667), che afferma di seguire gli anni 325 § 158 degli Annales ecclesiasti (1559-1607) diBaronio (1538-1607), anche se si deve notare che Baronio, riportando dell'adozione di certi vangeli e del rifiuto di altri come spuri, non riporta in che modo fu fatta la distinzione.

    Voltaire ripete l'aneddoto romanzesco più volte, citando Labbe come fonte, si veda B. E. Schwarzbach, p. 329 e n. 81. Dubbi furono espressi in precedenza, da Tillemont (si veda L. S. Le Nain de Tillemont, Memorie per la storia della Chiesa [Memoires pour servir a l'histoire ecclesiastique], 1701-14, seconda edizione, Parigi, Robustel - Arsenal 4° H.5547], volume VI, p. 676.)

    Nei fatti l'aneddoto data Baronio più di sei secoli prima della sua nascita: compare in un anonimo Synodikon contenente brevi citazione di 158 concili dei primi nove secoli. Portato dalla Grecia nel XVI secolo da Andreas Darmasius, questo documento fu acquistato ed edito dal teologo luterano Johannes Pappus (1549-1610). Fu successivamente ristampato, certamente almeno nella Bibliotheca graeca [...] di Fabricio, la prima di queste edizioni fu pubblicata negli anni 1705-1707, e potrebbe essere stata conosciuta da D'Holbach. L'aneddoto si trova in Synodicon vetus sezione 34, "Council of Nicaea" (Johannes Albert Fabricius, Biblioteca graeca (..) [1790-1809, AmburgoBohn], Volume XII, pagine 370-371.) »
     
    (Andrew Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D'Holbach[21])
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    00 24/07/2013 18:54

    Nella narrativa contemporanea

    Il primo concilio ha assunto una certa notorietà nel 2003, grazie al romanzo di Dan Brown Il codice da Vinci. Nel romanzo si sostiene che "fino a quel momento, Gesù era visto come un profeta mortale dai suoi seguaci... un grande e potente uomo, ma sempre un uomo. Un mortale. La sua definizione come "il figlio di Dio" fu ufficialmente proposta e votata al concilio di Nicea". Il romanzo afferma quindi che la divinità di Gesù sia stata ottenuta dopo una votazione al concilio, con un margine stretto, e che Costantino avrebbe condizionato il voto per consolidare il suo potere.

    In realtà la divinità di Gesù fu affermata dagli apostoli quasi subito dopo la sua morte. Anche lo storico latino Plinio il Giovane, vissuto a cavallo tra il primo e il secondo secolo, parlando dei cristiani, afferma che "cantano un inno a Cristo come ad un dio"[22].

    La versione più accreditata tra gli storici è che Costantino convocò il concilio per risolvere la disputa sulla natura di Gesù, ovvero se fosse "fatto" (cioè creato) o "generato", e non ci furono votazioni, ma piuttosto una discussione, per redigere un "Credo", che fu infine firmato da tutti i partecipanti tranne due.

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    00 24/07/2013 18:56
    Note
    1.  Ecumenico, dal greco Koinè oikoumenikos, che letteralmente significa mondiale, ma che al tempo indicava di fatto i territori dell'Impero Romano, conformemente alla convinzione dei Cesari di essere governatori del mondo o ecumene. Il termine compare per la prima volta nel 338 nell'opera di EusebioVita di Costantino [1]: "σύνοδον οἰκουμενικὴν συνεκρότει" ("convocò un concilio ecumenico"); lo stesso termine nella lettera Ad Afros Epistola Synodica di Atanasio nel 369 [2], e nella lettera del 382 a papa Damaso I e ai vescovi latini del primo Concilio di Costantinopoli-[3]. In questo senso il Concilio di Nicea si può intendere come il primo concilio universale di tutta la Chiesa cristiana, e quindi occupa un posto di preminenza anche rispetto al Concilio di Gerusalemme citato negli Atti degli apostoli.
    2.  Il primo a parlare dello schiaffo ad Ario sembra sia stato Pietro de Natalibus nel suoCatalogus sanctorum et gestorum eorum ex diversis voluminibus collectus, Lugduni 1508 (scritto nel XIV secolo).
    3.  Epist. ad Afros, ii.
    4.  (FRRevue des questions historiques, xxviii. 37.
    5.  Hist. eccl., I., ix. 12; Socrate ScolasticoHist. eccl., I., ix. 12.
    6.  EusebioVita Constantine, III., xviii. 19; Teodoreto, Hist. eccl., I., x. 3 e sgg.
    7.  De Synodo, v.; Epist. ad Afros, ii.
    8.  (ENEpifanioThe Panarion of Epiphanius of Salamis, Books II and III (Sects 47-80), De Fide. Section VI, Verses 1,1 and 1,3. Translated by Frank WilliamsE.J. Brill, New York, 1994, pp. 471-472).
    9.  Philip Schaff. History of the Christian Church, Volume III: Nicene and Post-Nicene. URL consultato il 2006-05-08.
    10.  (ENEusebio di Cesarea. Vita di Costantino Libro 3°, Cap. XVIII.. URL consultato il 2006-05-08.
    11.  (ENBlomfield Jackson. The Ecclesiastical History, Dialogues, and Letters of Theodoret. URL consultato il 2006-05-08.
    12.  (ENSant'AtanasioEpistola ad episcopos,22.
    13.  (ENCatholic Encyclopedia, articolo su Melezio.
    14.  (ENSant'Atanasioibidem, 22.
    15.  Nicene and Post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, Excursus on the Number of the Nicene Canons in Early Church Fathers. URL consultato il 2006-05-08.
    16.  Nicene and post-Nicene Fathers, Series II, Vol. XIV, The Canons of the 318 Holy Fathers Assembled in the City of Nice (sic), in Bithynia. in Early Church Fathers. URL consultato il 2006-05-08.
    17.  Edward GibbonDecline and Fall of the Roman Empire, trad. italiana Oscar Storia Mondadori, 1998, p.293, ISBN 8804452846.
    18.  (FR'Concili', Dizionario filosofico. Voltaire, Parigi 1694 - 1778.
    19.  Ces questions, qui ne sont point nécessaires et qui ne viennent que d’une oisiveté inutile, peuvent être faites pour exercer l’esprit; mais elles ne doivent pas être portées aux oreilles du peuple.
    20.  John DuffyJohn Parker (a cura di), The Synodicon Vetus. Washington: Dumbarton Oaks, Center for Byzantine Studies (1979). Series: Dumbarton Oaks texts 5 / Corpus fontium historiae Byzantinae. Series Washingtonensis 15. ISBN 0884020886.
    21.  Andrew Hunwick, edizione critica di Ecce Homo di Baron D'Holbach, Mouton de Gruyter, 1995, pp. 48-49, nota 25 [4].
    22.  Sugli scritti di autori non cristiani riguardo ai cristiani nei primi due secoli, si veda la voce testi non cristiani su Gesù storico.
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    00 25/07/2013 11:14
    Qualcuno obietta:
    < Nel 325 d.c. quando sorse il problema dell'arianesimo e la definizione della controversia non avvenne grazie al papa di Roma o a qualche altro vescovo eminente ma per mezzo dell'imperatore pagano Costantino, quindi il papa non aveva nessun ascendente nella Chiesa>

    Risposta
    il 31 gennaio dell'anno 314, veniva eletto vescovo di Roma Silvestro I e che morì l'anno 335.
    Prima di lui c'è stato Milziade eletto dopo una sede vacante prolungata di un anno e il suo predecessore morì il 21 ottobre del 310.
    Milziade servì la Chiesa dal 2 luglio 311 al 10 gennaio 314, ed ebbe la grazia di poter celebrare dopo le persecuzioni, finalmente la Pasqua pubblicamente.
    Sotto il suo mandato l'Imperatore Costantino fece dono al Papa del palazzo dell'imperatrice Fausta sul monte Celio,  il famoso Laterano ancora oggi sede del vicariato.
    Torniamo agli anni  fra il 314 e il 335: c'è dunque Papa Silvestro I : questo è stato un periodo forte per la Chiesa a causa delle grandi eresie che si stavano propagando....(all'epoca non c'erano i telefonini, le notizie erano lente e non tutto era chiaro e netto.)
    Ario è l'artefice, il protagonista di una crisi molto grave. Ario era un prete in Alessandria, i suoi attacchi cominciano quando decide di fare insobordinazione sulla teologia del Divin Verbo, che fino ad allora era comunemente e tacitamente scontato.
    Egli si definisce il tutore della Tradizione Apostolica, l'unico che fosse stato in grado di conservarla intatta.
    Nel 320 i cristiani della zona cominciano alamentarsi di lui e della propadanda che egli faceva alla sua tesi contraria alla fede comune.
    La Chiesa e la sua dottrina rischiavano di subire delle conseguenze gravi, ma probabilmente papa Silvestro, diede priorità ad altre questioni .
    Costantino, preoccupato dei contraccolpi e delle conseguenze sociali che una eventuale spaccatura in seno alla Chiesa, ormai radicata in tutto il mondo conosciuto, avrebbe potuto avere, pensò di riunire il Concilio, a cui comunque parteciparono i DELEGATI DEL PAPA.
    Il nocciolo della questione sarà proprio la divinita' di Cristo.
    Ario sosteneva che Gesù non ha una identità naturale col Padre, bensì sarebbe "nato dalla volontà del Padre".
    Combatterà a difesa della Chiesa Atanasio di Alessandria, pastore di tutto l'Egitto ,con lui si schiererà un altro grande vescovo Ilario di Poitiers (favorevole al monachesimo, nella Liturgia, sviluppò l'uso degli Inni Sacri prima ancora del vescovo Ambrogio).
    L'Imperatore Costantino, ovviamente ha il suo merito, era un convertito alla Chiesa di Roma, perciò non solo appoggiò il Concilio di Nicea, ma ne fu un coordinatore.

    Ma non fu Costantino a decretare la Trinità di Dio, nè mise fuori concetto l'arianesimo (che non si arrestò affatto....) Egli si limitò a prendere atto del risultato delle votazioni espresse dai vescovi, i quali CONCORDEMENTE espressero la loro fede nella divinità di Cristo, e presero altre decisioni organizzative per la Chiesa: quindi il suo intervento finale fu solo la risultanza del Concilio, in cui i vescovi si erano espressi, essendo dato a loro, nella unità col papa o comunque nella unità tra tutti loro, qualora il papa fosse assente, il potere di legare e di sciogliere (Mt 18,18).
    Il vescovo Atanasio di Alessandria combattè tenacemente a suon di lettere la difesa della Chiesa insieme, al vescovo Ilario.
    Costantino non potrà decretare molto poichè il problema proseguirà ancora oltre il 360 (e sono già trascorsi 30 anni!) quando il vescovo Ilario, rientrato dall'esilio, richiede ed ottiene di convocare un sinodo  a Parigi e il vescovo Atanasio un altro nel 362 ,il sinodo dei "confessori"....riconoscendo che "è possibile una diversità di linguaggio pur nell'unità della fede...." Questo passo è importante perchè sarà questo concetto ad assicurare la vittoria della fede del Concilio di Nicea...e non Costantino!
     
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    00 28/10/2015 15:19
    Alcuni obiettano che le decisioni del Concilio di Nicea furono prese dall'imperatore Costantino.
    ------

    A Nicea I(325) Il Concilio dovette solo redigere una confessione(probabilmente non scritta,ma professione battesimale d'origine antiochena o gerosolomitana,GIA' ESISTENTE)contro Ario,che aveva delle idee chiaramente errate,d'origine plotiniana e origeniana,su Cristo e Dio.Checche' ne si dica,noi sappiamo che Costantino fu spesso,giustamente,visto come difensore Della dottrina(cosi' lo presenta Eusebio di Cesarea,teologo e storico Della famiglia imperiale).L'imperatore,essendo ignorante in teologia cristiana,lascio' fare ai vescovi competenti e al direttore del Concilio,in senso religioso,Osimo di Cordova,che suggeri' l'introduzione del termine "homoousis",che diceva sommariamente cio' che I molti padri dei secoli precedenti asserivano .Nicea,pero',preso in se',non ha molto valore storico.Ho detto che non ebbe una formula scritta,ma nemmeno fama e incidenza senza Costantinopoli I(381),ove si redige un testo e si presenta "Il"Concilio per eccellenza.Sappiamo che Costantino ed Elisabetta,e tutta la famiglia imperiale,avevano idee ariane(dopo si convertirono) e dopotutto l'arianesimo non fu debellato-anzi-dall'impero,ma si sviluppo' nel Nord Europa(cf.La Bibbia gotica di Ulfila,vescovo ariano),tra I barbari e anche nelle famiglie imperiali dell'oriente ai tempi di Ambrogio(imperatore Valerio).Il contenuto teologico niceno ,inoltre,si concentra sul binomio Padre-Figlio.Costantino mori' con un battesimo clinico ariano,che puo' mettere in discussione la sua fede.Ma l'imperatore non ha nulla a che fare con la dichiarazione di Nicea di Bitinia.
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    00 19/10/2017 11:25
    Riportiamo la traduzione dall'inglese (che purtroppo google non rende molto bene) dei capitoli tratti dalla VITA DI COSTANTINO di Eusebio di Cesarea, il quale riporta le proprie osservazioni in qualità di partecipante al Concilio e le parole stesse che Costantino pronunciò al Concilio di Nicea.

    -----------------------
    Capitolo VII - Del Consiglio Generale, in cui i Vescovi di tutte le Nazioni erano presenti.
    3238
    In effetti, i più celebri ministri di Dio di tutte le chiese che,
    abbondanti in Europa, Libia,
    3239 e Asia erano qui riuniti. E una sola casa di preghiera,
    come se fosse divinamente allargata, bastasse contenere contemporaneamente i siriani e gli uomini, i fenici
    e arabi, delegati della Palestina e altri da Egitto; Tebani e libici, con
    quelli provenienti dalla regione di Mesopotamia. Anche un vescovo persiano era presente
    non era nemmeno un scettista che voleva il numero.
    3240 Pontus, Galatia e
    Pamphylia, Cappadocia, Asia e Frigia, hanno fornito i loro più importanti prelati;
    mentre quelli che abitavano nei distretti più distrutti della Tracia e della Macedonia, dell'Acaia e
    Epirus, nonostante la presenza. Anche dalla stessa Spagna, la cui fama era
    ampiamente diffuso ha preso la sua sede come un individuo nel grande assemblea.
    3241 Il prelato del
    la città imperiale
    3242 è stata impedita di frequentare la vecchiaia; ma i suoi presbiteri erano
    presente e fornito il suo posto. Costantino è il primo principe di ogni età che ha legato insieme
    una ghirlanda come questa con il legame della pace e la presentò al suo Salvatore come un ringraziamento-
    per le vittorie che aveva ottenuto su ogni nemico, esponendo nel nostro tempo un
    similitudine della società apostolica.

    Capitolo VIII - L'Assemblea era composta, come negli Atti degli Apostoli, degli individui
    da diverse nazioni.
    Perché si dice
    3243 che nell'epoca degli Apostoli si sono riuniti "uomini devoti da tutti"
    nazione sotto il cielo "; tra i quali erano i Parthi, Medei, Elamiti, e il
    abitanti della Mesopotamia, in Giudea e Cappadocia, a Pontus e in Asia, a Phrygia e
    Pamphilia, in Egitto e le parti della Libia su Cirene; e dei residenti di Roma, entrambi
    Ebrei e proseliti, cretesi e arabi. Ma quell'assemblea era meno, in quel non tutti coloro
    composto erano ministri di Dio; ma nella società presente, il numero dei vescovi
    superato i duecentocinquanta, 3244 mentre quello dei presbiteri e dei diaconi nel loro treno,
    e la folla di acoliti e di altri assistenti era al di là del calcolo.

    Capitolo IX - La virtù e l'età dei duecento e cinquanta vescovi.
    Di questi ministri di Dio, alcuni erano distinti dalla saggezza e dall'elevazione, altri
    per la gravità della loro vita e per la paziente fortezza di carattere, mentre altri ancora unificati
    in tutte queste grazie.3245 C'erano tra loro uomini i cui anni chiedevano
    venerazione: altre erano più giovani, e in primis di vigore mentale; e alcuni avevano, ma di recente
    sono entrati nel corso del loro ministero. Per il mantenimento di tutte le ampie disposizioni era
    quotidianamente fornito dal comando dell'imperatore.
    Capitolo X.-Consiglio nel Palazzo. Costantino, entrando, prese la sua sede nell'Assemblea.
    Ora quando è arrivato il giorno fissato, su cui si è riunito il consiglio per la soluzione finale
    delle domande in discussione, ciascun membro era presente per questo nell'edificio centrale della
    palazzo, 3246 che sembrava superare il resto in magnitudine. Su ogni lato dell'interno di
    erano molti posti disposti in ordine, occupati da coloro che erano stati invitati
    a partecipare, secondo il loro rango. Quindi, come l'intero assemblea si era seduto
    diventando ordinanza, prevaleva un silenzio generale, in attesa dell'arrivo dell'imperatore.
    E prima di tutto, tre della sua famiglia immediata entrarono in successione, poi altri precedettero
    il suo approccio, non dei soldati o delle guardie che lo accompagnavano solitamente, ma solo amici
    nella fede. Ed ora, tutti alzandosi al segnale che indicava finalmente l'ingresso dell'imperatore
    egli stesso procedeva in mezzo all'assemblea, come un messaggero celeste di
    Dio, vestito di vestiti che scintillavano come erano con i raggi di luce, riflettendo l'incandescente
    luminosità di un abito viola e ornato dal brillante splendore dell'oro e prezioso
    pietre. Tale era l'aspetto esterno della sua persona; e per quanto riguarda la sua mente, lo era
    evidente che egli era distinto dalla pietà e dalla paura divina. Questo è stato indicato dal suo discesa
    gli occhi, l'arrossire del suo volto e il suo passo. Per il resto delle sue eccellenze personali, lui
    superato tutti i presenti in altezza di statura e bellezza della forma, così come in maestosa dignità
    di mien, e forza e vigore invincibili. Tutte queste grazie, unite a una suavità di maniera,
    e una serenità diventando la sua stazione imperiale, ha dichiarato l'eccellenza delle sue qualità mentali
    per essere soprattutto lode.3247 Non appena si era avvicinato all'estremità superiore dei sedili, in un primo momento
    rimase in piedi, e quando una sedia bassa di oro lavorato era stata fissata per lui, lui aspettò
    finché i vescovi non gli avevano chiamato, e poi si sedette, e dopo di lui l'intero assemblea
    ha fatto lo stesso.
    Capitolo XI - Silenzio del Consiglio, dopo alcune parole del vescovo Eusebio.
    Il vescovo che ha occupato il posto principale nella giusta divisione dell'assemblea3248
    rosa, e, rivolgendosi all'imperatore, fece un discorso conciso, in un ceppo di ringraziamento
    a Dio Onnipotente per suo conto. Quando aveva ripreso il suo posto, il silenzio ebbe luogo,
    guardò l'imperatore con attenzione fissa; su cui si guardò serenamente intorno all'assemblea
    con un aspetto allegro e, dopo aver raccolto i suoi pensieri, con un tono calmo e dolce
    affermare le seguenti parole.

    Capitolo XII.-Indirizzo di Costantino al Consiglio sulla Pace.3249
    "Era una volta il mio desiderio principale, amici più cari, di godere dello spettacolo del tuo unito
    presenza; e ora che questo desiderio si compie, mi sento legato a rendere grazie a Dio
    il re universale, perché, oltre a tutti i suoi altri benefici, mi ha concesso una benedizione
    superiore a tutto il resto, nel permettermi di vederti non solo tutti insieme, ma tutti
    uniti in una comune armonia di sentimenti. Prego dunque che nessun avversario maligno
    può ora interferire per mar del nostro felice stato; Prego, ora, l'ostile ostilità di
    i tiranni sono stati rimossi per sempre dal potere di Dio nostro Salvatore,
    le luci del male non possono inventare altri mezzi per esporre la legge divina a blasfemi calunnia;
    perché, a mio giudizio, la lotta intestinale nella Chiesa di Dio, è molto più male e pericoloso
    che qualsiasi tipo di guerra o conflitto; e queste nostre differenze mi sembrano più gravi di
    eventuali problemi esterni. Di conseguenza, quando, per volontà e con la cooperazione di Dio, io
    era stato vittorioso sui miei nemici, pensavo che non fosse più niente di rendere
    grazie a lui e simpatizzare nella gioia di coloro che aveva restituito alla libertà
    la mia strumentalità; non appena ho sentito che l'intelligenza che avevo meno aspettato di ricevere,
    Voglio dire la notizia della tua disgrazia, ho giudicato che non abbia importanza secondaria, ma con
    il desiderio serio che un rimedio per questo male possa anche essere trovato attraverso i miei mezzi,
    mandato mediamente per richiedere la vostra presenza. E ora mi rallegro di vedere il tuo assemblea; ma
    Sento che i miei desideri saranno pienamente soddisfatti quando posso vederti tutti uniti in uno
    il giudizio, e quello spirito comune di pace e concordia che prevalgono tra tutti voi, che
    diventa voi, consacrati al servizio di Dio, a lodare agli altri. Non ritardare quindi,
    cari amici: non ritardatevi, voi ministri di Dio e fedeli servi di chi è nostro comune
    Signore e Salvatore: inizia da questo momento per scartare le cause di quella disunione che ha
    esisteva tra voi e rimuove le perplessità della controversia abbraccando i principi
    di pace. Poiché da tale comportamento si agirà contemporaneamente in modo più piacevole
    al supremo Dio, e tu mi darai un favore estremo che sono tuo collega-
    servitore."

    Capitolo XIII - Come ha portato i Vescovi Dissentienti all'armonia del sentimento.
    Non appena l'imperatore aveva parlato queste parole nella lingua latina, quale altro
    interpreta, ha dato il permesso a coloro che hanno presieduto al consiglio per consegnare le loro opinioni.
    Su questo alcuni hanno cominciato ad accusare i loro vicini, che si sono difesi e recriminati
    a loro volta. In questo modo le affermazioni innumerevoli sono state presentate da ciascuna parte e da un violento
    le controversie sono sorte all'inizio dell'inizio. Nonostante ciò, l'imperatore ha dato il paziente
    pubblico a tutti, ricevendo con estrema attenzione tutte le proposte e
    assistendo in modo assolutamente l'argomento di ogni partito, ha gradualmente disposto anche il massimo
    disputanti vehement per una riconciliazione. Allo stesso tempo, grazie all'affidabilità del suo indirizzo
    a tutti, e il suo uso della lingua greca, con la quale non era completamente ignorato,
    apparve in una luce veramente attraente e amabile, persuadendo alcuni, convincendo altri da
    i suoi ragionamenti, lodando coloro che hanno parlato bene e spingendo tutti all'unità di sentimento, fino a
    per ultimo è riuscito a portarli in una mente e nel giudizio rispettando tutte le controversie
    domanda.

    Capitolo XIV.-Dichiarazione unanime del Consiglio sulla fede e la celebrazione
    di Pasqua.
    Il risultato era che non erano uniti solo per quanto riguarda la fede, ma che il tempo
    per la celebrazione della festa salutare di Pasqua è stato concordato da tutti. Questi punti anche
    che sono stati sanciti dalla risoluzione di tutto il corpo si sono impegnati a scrivere, e
    ha ricevuto la firma di ogni membro. 325 Allora l'imperatore, credendo che abbia avuto
    ottenendo così una seconda vittoria contro l'avversario della Chiesa, procedette a solennizzare a
    festa trionfale in onore di Dio.

    Capitolo XV-Come Costantino intratteneva i Vescovi in ​​Occasione della Sua Vicennalia.
    Su questo tempo ha completato il ventesimo anno del suo regno.3251 In questa occasione
    feste pubbliche sono state celebrate dal popolo delle province in generale, ma l'imperatore
    524
    egli stesso ha invitato e festeggiato con quei ministri di Dio che aveva riconciliato e così
    offerto come era attraverso loro un sacrificio adatto a Dio. Non era uno dei vescovi
    volendo al banchetto imperiale, 3252 le cui circostanze furono splendide oltre la de-
    scrizione. I distacchi della guardia del corpo e altre truppe circondavano l'ingresso della
    palazzo con spade mosse, e in mezzo a questi gli uomini di Dio procedevano senza
    paura nel più interno degli appartamenti imperiali, in cui alcuni erano l'imperatore
    compagni al tavolo, mentre altri si reclinavano su divani disposti su entrambi i lati.3253 Uno
    avrebbe potuto pensare che un'immagine del regno di Cristo fosse così ombreggiata e un sogno
    piuttosto che la realtà.

    Capitolo XVI - Presenta ai Vescovi e alle Lettere al Popolo in generale.
    Dopo la celebrazione di questa festa brillante, l'imperatore ha ricevuto cortesemente tutto il suo
    ospiti, e generosamente aggiunto ai favori che aveva già offerto personalmente presentando
    doni ad ogni individuo secondo il suo rango. Ha inoltre dato informazioni sul procedimento
    del sinodo a coloro che non erano presenti, con una lettera nella sua scrittura a mano. E
    questa lettera anche io insegnerò come era su un monumento inserendolo in questa mia narrazione
    della sua vita. Era come segue:

    Capitolo XVII - Lettera di Costantino alle Chiese che rispettano il Concilio a Nicéa.
    "Costantino Augusto, alle Chiese.
    "Avendo avuto piena prova, nella prosperità generale dell'impero, quanto grande il favore di
    Dio è stato verso di noi, ho giudicato che dovrebbe essere il primo oggetto dei miei sforzi,
    quella unità della fede, la sincerità dell'amore e la comunità di sentimento riguardo al culto
    Dio Onnipotente, potrebbe essere conservato tra la moltitudine altamente favorita che la compongono
    Chiesa cattolica. E poiché questo oggetto non poteva essere efficacemente e sicuramente assicurato,
    a meno che tutti, o almeno il maggior numero dei vescovi dovessero incontrarsi insieme, e una discussione
    di tutte le informazioni relative alla nostra religione santissima per avvenire; per questo motivo numerosi
    è stato convocato un assieme possibile, al quale io stesso ero presente, come uno tra i
    voi stessi (e lontano da me negare ciò che è la mia più grande gioia, che io sono il tuo collega-
    servo), e ogni domanda è stata ricevuta con esattezza e completa, fino a quella sentenza che
    Dio, che vede tutte le cose, potrebbe approvare, e che tendeva all'unità e alla concordia, è stato portato
    alla luce, in modo che non venisse lasciata alcuna stanza per ulteriori discussioni o controversie in relazione al
    fede.

    Capitolo XVIII - Parla della loro Unanimità nel rispetto della Festa della Pasqua, e contro la
    Pratica degli ebrei.
    "In questa riunione è stata discussa la questione riguardante il giorno più santo della Pasqua,
    ed è stato risolto dal giudizio unito di tutti i presenti, che questa festa dovrebbe essere mantenuta
    tutto e in ogni luogo in uno stesso giorno. Per quello che può essere più divenire o onorare
    a noi che questa festa da cui date le nostre speranze di immortalità, va osservata
    incessantemente da tutti uguali, secondo un ordine e disposizione stabiliti? E prima di
    tutto, sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa dovremmo
    seguire la pratica degli ebrei, che hanno profanamente contaminato le loro mani con un enorme peccato,
    e sono dunque meritatamente afflitte dalla cecità dell'anima. Perché lo abbiamo nel nostro potere,
    se abbandoneremo la loro abitudine, prolungare il dovuto rispetto di questa ordinanza in età futura,
    da un ordine più vero, che abbiamo conservato sin dal giorno della passione fino al presente
    tempo. Non abbiamo quindi nulla in comune con la folla ebraica detestabile; perché abbiamo
    ricevuto dal nostro Salvatore un modo diverso. Un corso di una volta legittime e onorevoli bugie
    aperta alla nostra religione santissima. Fratelli carissimi, con un consenso adottiamo questo corso,
    e ci ritiriamo da ogni partecipazione alla loro bassezza.3254 Il loro vantarsi è assurdo
    anzi, che non è nel nostro potere senza istruzioni da loro di osservare queste cose.
    Per come dovrebbero essere in grado di formare un giudizio sano, che, dal loro parrocidio
    la colpa per uccidere il loro Signore, sono stati sottoposti alla direzione, non alla ragione, ma a non governare
    passione, e sono influenzati da ogni impulso dello spirito pazzo che è in loro? Quindi è così
    a questo punto, così come ad altri, non hanno alcuna percezione della verità, in modo che essendo totalmente
    525
    ignoranti del vero adattamento di questa domanda, talvolta celebrano due volte la Pasqua
    lo stesso anno. Perché allora dovremmo seguire coloro che sono confessati in un errore grave?
    Sicuramente non accetteremo mai di mantenere questa festa una seconda volta nello stesso anno. Ma supponendo
    queste ragioni non erano di peso sufficiente, comunque sarebbero incombenti sulle vostre Sagacities3255
    a lottare e pregare continuamente che la purezza delle vostre anime non può sembrare in nulla
    condannati dalla comunione con le abitudini di questi uomini più malvagi. Dobbiamo anche considerare,
    che un giudizio discordante in un caso di tale importanza e nel rispetto di tali religiosi
    festival, è sbagliato. Perché il nostro Salvatore ci ha lasciato una festa in occasione della commemorazione del nostro giorno
    liberazione, intendo il giorno della sua santissima passione; e ha voluto che il suo cattolico
    La Chiesa deve essere una, i cui membri, per quanto dispersi in molti e diversi luoghi,
    sono ancora accolti da uno spirito pervading, cioè dalla volontà di Dio. E lasciate che le vostre Santità '
    la sagacità riflette quanto gravissima e scandalosa è che nei giorni stessi, alcuni dovrebbero
    essere impegnati nel digiuno, altri in festa festosa; e ancora, che dopo i giorni di Pasqua
    alcuni dovrebbero essere presenti a banchetti e divertimenti, mentre altri sono adempienti i nominati
    digiuni. È quindi chiaramente la volontà della Divina Provvidenza (come suppongo che tutti voi vedete chiaramente), che
    questo utilizzo dovrebbe ricevere una correzione adeguata e ridursi ad una regola uniforme.
    1307
    Parla della loro Unanimità nel rispetto della Festa della Pasqua, e contro ...

    Capitolo XIX - Esortazione per seguire l'esempio della parte più grande del mondo.
    "Poiché dunque era necessario che questa materia venisse rettificata, affinché possiamo
    non hanno nulla in comune con quella nazione di parricidi che hanno ucciso il loro Signore: e da quel momento
    l'accordo è coerente con la proprietà che è osservato da tutte le chiese occidentali,
    meridionali e settentrionali del mondo, e anche da parte dell'est: per questi motivi
    tutti sono all'unanimità in questa occasione attuale nel pensare che sia degno di adozione. E io stesso
    hanno preso atto che questa decisione dovrà soddisfare con l'approvazione delle vostre Sagacities, 3256 in
    la speranza che i tuoi Wisdoms abbiano volentieri ammettere questa pratica che viene osservata immediatamente
    nella città di Roma e in Africa; in tutta Italia e in Egitto, in Spagna, i Galli, la Gran Bretagna,
    Libia e tutta la Grecia; nelle diocesi dell'Asia e Pontus, e in Cilicia, con tutto
    unità di giudizio. E considererete non solo che il numero delle chiese è lontano
    maggiore nelle regioni che ho enumerato che in qualsiasi altra, ma anche che è più adatta
    che tutti si uniscano a desiderare quello che la ragione sana sembra richiedere, e nell'evitare
    tutta la partecipazione alla condotta condotta degli Ebrei.3258 Bene, che posso esprimere il mio
    il che significa in poche parole possibile, è stato determinato dalla sentenza comune di
    tutti, che la festa più santa di Pasqua dovrebbe essere mantenuta in uno stesso giorno. Per il
    da un lato una discrepanza di opinioni su una questione così sacra non è affatto e, dall'altro, una domanda
    è certamente meglio agire su una decisione priva di strane follia e errore.

    Capitolo XX - Esortazione di obbedire ai decreti del Consiglio.
    "Ricevi quindi, con ogni volontà, questa vergogna divina, e lo consideri come in verità
    il dono di Dio. Perché ciò che è determinato nelle sante assemblee dei vescovi è quello di essere
    considerato come indicativo della volontà divina. Presto, dunque, come hai comunicato
    questi atti a tutti i nostri fratelli amati, siete vincolati da quel momento in avanti
    adottare per voi stessi e per ordinare agli altri la disposizione sopra menzionata, e la
    rispettoso rispetto di questo giorno più sacro; che ogni volta che vengo alla presenza del tuo
    l'amore che ho desiderato a lungo, potrei avere nel mio potere celebrare la santa festa
    tu nello stesso giorno, e rallegrarmi con te su tutti i conti, quando vedo la crudele
    potenza di Satana rimossa dagli aiuti divini attraverso l'agenzia dei nostri sforzi, mentre il tuo
    la fede e la pace, e la concordia in tutto il mondo fioriscono. Dio ti conserva, fratelli amati! "
    L'imperatore ha trasmesso una copia fedele di questa lettera a ogni provincia, in cui
    coloro che la leggevano potevano discernere come in uno specchio la pura sincerità dei suoi pensieri e del suo
    pietà verso Dio.
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    Credente
    00 19/10/2017 20:42
    continuazione dal post precedente

    Capitolo XXI - Raccomandazione ai vescovi, al loro arrivo, per preservare l'armonia.
    E ora, quando il consiglio era sul punto di essere definitivamente dissolto, chiamò
    tutti i vescovi per incontrarlo in un giorno assegnato, e al loro arrivo li hanno rivolti in un
    526
    addio, in cui raccomandava loro di essere diligenti nel mantenimento della pace,
    per evitare dispute controverse, tra di loro e per non essere geloso, se uno di
    il loro numero dovrebbe apparire preminente per la saggezza e l'eloquenza, ma per stimare l'ex-
    la celenza di una una benedizione comune a tutti. D'altro canto li ha ricordati che il
    più dotati dovrebbero rinunciare ad esaltare il pregiudizio dei loro fratelli più umili,
    poiché è la prerogativa di Dio giudicare una reale superiorità. Piuttosto dovrebbero considerarli
    si condiscendono ai più deboli, ricordando che in ogni caso la perfezione assoluta è una qualità rara
    infatti. Ognuno di questi, dovrebbe essere disposto ad accordare indulgenza all'altro per minori reati,
    a considerare caritativamente e superare le mere debolezze umane; mantenendo l 'armonia reciproca in
    l'onore più alto, che nessuna occasione di derisione poteva essere data dalle loro dissensioni a quelle
    che sono sempre pronti a bestemmiare la parola di Dio: chi dovremmo fare tutto nel nostro
    potere di risparmiare e questo non può essere se la nostra condotta non sembra attraente. Ma tu sei
    ben consapevole del fatto che la testimonianza non è affatto produttiva di benedizione a tutti, poiché alcuni
    che sentono sono lieti di assicurare la fornitura delle loro necessità corporee, mentre altre corte
    il patrocinio dei loro superiori; alcuni fissano il loro affetto a coloro che li trattano con hos-
    la benevolenza piegabile, altri ancora, essendo onorati di doni, amano i loro benefattori in cambio;
    ma pochi sono coloro che desiderano veramente la parola della testimonianza, e raramente è cercare un amico
    della verità. Da qui la necessità di cercare di affrontare il caso di tutti e, come il medico, a
    somministrare a ciascuno ciò che può tendere alla salute dell'anima, alla fine che il salvataggio
    la dottrina può essere pienamente onorata da tutti. Di questo tipo era l'ex parte della sua esortazione, 3260
    e in conclusione li ordinò di offrire supplicazioni diligenti a Dio per suo conto.
    Avendo così preso il permesso di loro, ha dato loro tutto il permesso di tornare ai loro rispettivi
    paesi; e questo lo fecero con gioia, e da qui l'unità di giudizio a cui
    erano arrivati ​​nella presenza dell'imperatore, continuavano a prevalere, e quelli che avevano a lungo
    sono stati divisi come membri dello stesso corpo.
    Capitolo XXII-Come ha licenziato alcuni e scrisse le lettere agli altri; anche i suoi Presenti.
    Pieno di gioia per questo successo, l'imperatore ha presentato come sono stati frutti piacevoli in
    la via delle lettere a coloro che non erano presenti al consiglio. Comandò anche lui
    che ampi doni di denaro dovrebbero essere concessi a tutti i popoli, sia nel paese che nel Paese
    città, essendo così contento di onorare l'occasione festosa del ventesimo anniversario del suo
    regno.

    Capitolo XXIII - Come scrisse agli egiziani, esortandoli alla Pace.
    E ora, quando tutto il resto era in pace, tra gli egiziani solo un implacabile conten-
    ancora in rabbia, 3261 e ancora una volta per disturbare la tranquillità dell'imperatore, anche se non eccitare
    la sua rabbia. Infatti egli trattò le parti contendenti con tutto il rispetto, come padri, anzi,
    come profeti di Dio; e nuovamente li ha convocati per la sua presenza, e ancora ha agito con pazienza
    come mediatore tra di loro, e onorato con doni, e comunicò anche il risultato
    del suo arbitrato con lettera. Ha confermato e sanzionato i decreti del consiglio, e
    li ha invitati a sforzarsi seriamente per concordare, e non distrarre e rendere la Chiesa, ma
    a tenere davanti a loro il pensiero del giudizio di Dio. E queste ingiunzioni l'imperatore
    inviato da una lettera scritta con la propria mano.
    [Modificato da Credente 19/10/2017 20:44]
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    Credente
    00 20/10/2017 13:53
    Costantino e la storicità dei Vangeli

    Dal Processo al Codice da Vinci di Andrea Tornielli, 2006
    Il presunto complotto per "divinizzare" Gesù

    Possiamo ora affrontare uno dei capisaldi della costruzione teorica sottesa al suo Codice da Vinci, vale a dire il «complotto» che avrebbe ordito l’imperatore Costantino e la Chiesa nel corso del Concilio di Nicea, per «eliminare» i testi evangelici scomodi, salvando solo quelli più innocui, e al tempo stesso «divinizzare» l’umana figura di Gesù di Nazaret. Il quale, secondo Brown e i suoi molti ispiratori, non era certo il figlio di Dio, ma un grande profeta. Ricordiamo, a mo’ di promemoria, alcune delle affermazioni contenute in proposito nel Codice da Vinci.

    Il concilio di Nicea e le imposizioni di Costantino
    Innanzitutto la Bibbia e i suoi scritti canonici, così come essi sono stati tramandati a noi, sarebbero stati raccolti da Costantino il Grande, il quale nell’anno 325 avrebbe anche deciso di unificare l’impero sotto un’unica religione, il cristianesimo. Mentre fino a quel momento, a detta di Dan Brown, Gesù era stato considerato dai suoi seguaci «come un profeta mortale», da quel momento, con un voto a maggioranza, Costantino lo impone come «divino». Anche in questo caso, il nostro romanziere non inventa nulla: un’affermazione simile la ritroviamo nel libro di Baigent, Leigh e Lincoln, The Holy Blood and The Holy Grail: «Il Concilio di Nicea decise, con una votazione, che Gesù era un dio e non un profeta mortale… (Costantino), un anno dopo il Concilio di Nicea, sanzionò la confisca e la distruzione di tutte le opere che contestavano gli insegnamenti ortodossi: le opere dei pagani che parlavano di Gesù e quelle dei cristiani “eretici”… Fu a questo punto che vennero apportate probabilmente quasi tutte le alterazioni decisive al Nuovo Testamento e Gesù assunse la posizione eccezionale che ha avuto da allora… Delle cinquemila versioni manoscritte più antiche del Nuovo Testamento, nessuna è anteriore al IV secolo. Il Nuovo Testamento nella sua forma attuale è sostanzialmente il prodotto dei revisori e degli scrittori del IV secolo: custodi dell’ortodossia, “seguaci del messaggio” con precisi interessi da difendere».
    Cominciamo col porci alcune domande. Innanzitutto, chi era Costantino? La descrizione che ne fa Dan Brown nel Codice da Vinci è veritiera e corrispondente alla storia (alla storia, non alla fede cristiana)? Il lettore che ci ha seguito fin qui probabilmente già immagina la risposta. Ma procediamo per gradi.

    La vera storia di Costantino
    Costantino I detto il Grande (Caio Flavio Valerio Aurelio) imperatore romano dal 306 al 337 nasce da Costanzo I Cloro, quando questi era ancora un semplice ufficiale, e da Flavia Elena. Dopo la nomina a «cesare» del padre, Costantino viene cresciuto nella città di Nicomedia presso Diocleziano, per essere in futuro associato all’impero e anche come «garanzia» della fedeltà dello stesso Costanzo. Accompagna Diocleziano in Egitto nel 296 e al servizio di Galerio come tribuno militare combatte contro i persiani e i sarmati. Richiamato dal padre Costanzo, dopo che quest’ultimo era stato proclamato «augusto» in seguito all’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano, lo segue in una campagna in Britannia e alla sua morte, per acclamazione dei soldati, ne assume il posto e il titolo. Siamo all’anno 306. Dopo aver vinto i franchi, Costantino si accorda con Massimiano, che aveva intanto assunto nuovamente il potere. Sposa la figlia di Massimiano, Fausta, e ottiene il riconoscimento di «augusto», che però gli viene contestato da Diocleziano. Crescono pure i contrasti con il suocero, che Costantino fa prigioniero a Marsiglia costringendolo al suicidio nel 310. Si allea allora con l’«augusto» Licinio, al quale dà in moglie la sorellastra Costanza, e con Massimino Daia, lasciando entrambi a governare l’Oriente, si dedica a fare guerra a Massenzio, il figlio di Massimiano, che mirava al governo dell’Occidente. Costantino ha la meglio sull’esercito di Massenzio e dopo aver marciato su Roma lo sconfigge a Ponte Milvio, il 23 ottobre 312. A questo punto, Costantino si fa riconoscere dal Senato romano il titolo di «maximus augustus» e, all’inizio dell’anno 313, s’incontra con Licinio a Milano, emanando assieme a lui il famoso editto con il quale viene proclamata la libertà di culto per i cristiani e si decretava la restituzione dei beni che erano stati loro confiscati.

    L'editto di Milano
    «Noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente uniti a Milano», si legge nell’editto, «e trattando di ciò che riguarda la sicurezza e l’utilità pubblica, abbiamo creduto che uno dei primi nostri doveri fosse di regolare ciò che interessa il culto della divinità e di dare ai cristiani, come a tutti gli altri nostri sudditi, la libertà di seguire la religione che ognuno desidera (“liberam potestatem sequendi religionem, quam quisquam voluisset), onde richiamare il favore del Cielo sopra di noi e sopra tutto l’Impero».

    Il pericolo dei barbari
    L’accordo tra Costantino e Licinio, dopo l’eliminazione di Massimino Daia (avvenuta nell’estate del 313) è precario: il definitivo conflitto tra i due «augusti» avviene ad Adrianopoli e a Crisopoli nel 323. Abolito il sistema della tetrarchia instaurato da Diocleziano (che prevedeva due «augusti» e due «cesari» che sarebbero loro subentrati), Costantino rimane unico e incontrastato imperatore. Durante il suo regno deve affrontare il pericolo incombente dei barbari: nel 332 stabilisce una pace con i goti (che saranno evangelizzati dopo pochi anni secondo il credo ariano). Si dimostra spietato nei confronti dei familiari, facendo uccidere il figlio maggiore Crispo e poi la moglie Fausta.

    L'avvicinamento al cristianesimo e la libertà religiosa dell'impero
    Alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, Costantino aveva diffuso la notizia di avere avuto la visione di una divinità, che l’aveva ispirato promettendogli la vittoria; aveva quindi assunto come insegna un simbolo, il labaro, che fu poi interpretato come il «chrismon» cristiano (le lettere «chi» e «ro», iniziali del nome di Cristo), o come l’emblema della croce. Fatti e simboli, questi, ai quali sarà dato un preciso significato cristiano solo più tardi, quando la nuova religione si sarà pienamente affermata.
    Si può legittimamente pensare che Costantino si sia avvicinato per gradi al cristianesimo, a partire da un culto monoteistico del «dio sole» che egli professava. Con l’editto di Milano, l’imperatore, per assicurare la pace nel suo regno, concede a tutti di adorare Dio nel modo che preferiscono. Presiede il Concilio di Nicea, in qualità di «vescovo di coloro che sono fuori dalla Chiesa», e attribuisce a se stesso una funzione di regolatore della vita religiosa, anche se mantiene la carica tradizionale degli imperatori, vale a dire quella di «pontifex maximus», sommo sacerdote del culto pagano. Nel 321 concede ai cristiani il riconoscimento della domenica come giorno di riposo, seppure battezzata con il nome di «giorno del sole»: in questo modo accontenta anche i pagani, soprattutto i numerosi adepti del culto di Mitra, per i quali la domenica è proprio il «giorno del sole».

    Una monarchia di diritto divino
    Si converte, con tutta probabilità, soltanto alla fine della vita. Il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia, molto influente a corte, lo battezza sul letto di morte. Al di là delle diatribe sulla data della sua conversione, è indubitabile che proprio grazie a Costantino e alle sue leggi (libertà di culto, restituzione dei beni confiscati, dispensa per il clero dalle prestazioni obbligatorie, diritto della Chiesa di ricevere donazioni, abolizione delle leggi contro il celibato, costruzione di basiliche) che il cristianesimo si diffonderà nell’impero. Con l’imperatore Costantino l’impero romano assume in modo definitivo la forma di una monarchia di diritto divino, con aspetti orientaleggianti. La figura del sovrano è al centro di tutto, governa tutto e tutto ciò che lo riguarda diventa sacro: in sua presenza bisogna rispettare un «religioso silenzio». È lui a fondare una nuova capitale, Costantinopoli, sul luogo dell’antica Bisanzio. E sarà attribuito a lui un documento apocrifo, la cosiddetta «Donazione di Costantino» che sarebbe stata rivolta a Silvestro, vescovo di Roma, nell’anno 313, attraverso la quale l’imperatore concedeva al Papa il potere temporale.

    Il cristianesimo non divenne religione ufficiale in quell'epoca
    È vero pertanto, come afferma il Codice da Vinci, che Costantino avrebbe reso il cristianesimo la religione ufficiale dell’impero romano? Assolutamente no. Questo infatti avverrà una quarantina d’anni dopo Costantino, sotto l’imperatore Teodosio, che regna tra il 379 e il 395. Sarà lui a promulgare una legge che vieta ogni culto sacrificale pagano ma anche ogni semplice visita al tempio. Persino adorare gli idoli pagani in casa propria viene proibito.

    Il concilio di Nicea
    Veniamo ora alla spinosa questione del Concilio di Nicea, che secondo Dan Brown avrebbe stabilito il canone delle scritture cristiane, abolendo quelle apocrife perché pericolose. E avrebbe anche stabilito grazie a una votazione la divinità di Cristo. Tanto per cominciare dobbiamo ricordare che il Concilio di Nicea non si è occupato del canone delle scritture sacre, ma ha affrontato problemi legati alla disciplina ecclesiastica in un momento di grandi dispute dottrinali. Anche se è vero che il canone, già formatosi in precedenza, si va rafforzando nell’età costantiniana con la conseguente perdita d’influenza dei testi considerati apocrifi.

    La questione di Dio uno e trino in risposta ad Ario
    La grande questione a tema nel Concilio è relativa al Dio unico e allo stesso tempo trino, al Dio unico in tre persone distinte, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La convocazione delle assisi conciliari è provocata dalla dottrina ariana, propagata da Ario: per questo sacerdote di origine libica, che apparteneva al patriarcato di Alessandria, le persone divine della trinità non possono essere considerate uguali, dato che soltanto il Padre, in quanto non creato ma anche non generato sarebbe il «vero» Dio, mentre il Figlio, generato dal Padre, occuperebbe un posto intermedio tra Dio stesso e la creazione. Quello di Ario è di fatto un monoteismo assoluto. Le idee di Ario trovano molti seguaci e per dirimere la questione Costantino convoca un Concilio (il primo «ecumenico» in quanto coinvolge la Chiesa universale) presso il palazzo imperiale di Nicea. I vescovi partecipanti sono circa trecento (secondo alcune fonti 318, secondo altre meno di 250) e l’esito del Concilio è la formulazione del «simbolo niceno», vale a dire del «Credo» che precisa la fede della Chiesa e afferma che Gesù è «consustanziale al Padre» («homousios to Patrì») e ha la sua stessa natura. Abbiamo letto nel Codice da Vinci che la proclamazione della divinità di Cristo sarebbe avvenuta con un voto a maggioranza. Peccato che Dan Brown non dica che soltanto due vescovi non sottoscrissero il Credo: Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide. Entrambi vennero deposti e scomunicati dal Concilio, quindi esiliati da Costantino.

    Il Credo Niceno
    Ecco la formulazione del Credo niceno, che sarà poi ulteriormente sancita dal Concilio di Costantinopoli:
    «Crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, generato dal Padre prima del tempo, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, attraverso il quale tutte le cose sono state create; che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e fu fatto carne dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, e divenne uomo, fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e patì e fu sepolto, e risorse il terzo giorno secondo le Scritture, e ascese al cielo, e siede alla destra del Padre, e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il cui regno non avrà fine. E nello Spirito Santo, il Signore che dà la vita, che procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e parlò attraverso i profeti. E in una sola Chiesa, santa, cattolica e apostolica. Riconosciamo un solo battesimo per la remissione dei peccati. Attendiamo la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».

    Le dispute tra Ario e Atanasio, l'imperatore sarà battezzato ariano
    Costantino non si limita a convocare il Concilio del Credo, ma manda l’«eretico» Ario in esilio. Ma non basta. L’arianesimo continua a diffondersi tra le comunità cristiane. Il grande oppositore di Ario è il vescovo Atanasio di Alessandria e l’imperatore tenta, invano, di proporre una soluzione di compromesso accettabile da entrambi. I vescovi che hanno sancito il Credo, però, si rifiutano di modificarlo e così Costantino, stanco di queste diatribe, riabilita l’esiliato Ario e manda in esilio lo stesso Atanasio. Quando viene battezzato sul letto di morte, l’imperatore riceve il battesimo nella fede ariana. La crisi si risolverà soltanto nel 381, con il Concilio di Costantinopoli, convocato dall’imperatore Teodosio, che spiegherà la «coesistenza» dell’unicità di Dio e la distinzione delle tre persone della Trinità in una sola natura. Il Credo costantinopolitano riprende quello di Nicea, afferma che lo Spirito Santo è «consustanziale» e «coeterno» con il Padre e il Figlio con cui forma la Santissima Trinità e riconosce al vescovo di Costantinopoli il posto d’onore dopo quello di Roma.

    La divinità di Gesù era chiara ai cristiani molto prima di Nicea
    Dobbiamo ora chiederci: alla luce di questo, che fine fa l’affermazione di Dan Brown secondo la quale sarebbe stato il Concilio di Nicea, sotto la guida di Costantino, a divinizzare l’uomo Gesù? Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei testi evangelici comprende al volo che ci troviamo davanti all’ennesima fiaba del nostro romanziere. Prendiamo per esempio gli scritti di Paolo, che sono databili tra il 50 e il 68 dopo Cristo, vale a dire almeno trecento anni prima del Concilio di Nicea. Ebbene, in questi scritti troviamo affermata senza tema di smentita la divinità di Cristo. Come nella Prima Lettera ai Corinzi (8, 5-6), che recita: «E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi e molti signori, per noi c’è un Dio solo, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo per lui». Difficile davvero immaginare un uomo, per quanto grande profeta, «in virtù del quale esistono tutte le cose»! Lo stesso titolo «Signore» veniva spesso riferito a Dio, nella traduzione greca della Bibbia, detta «dei Settanta». Gesù, secondo l’apostolo Paolo, è coinvolto nella creazione del mondo. «Secoli prima di Nicea», scrive Darrell L. Bock, «un importante capo spirituale cristiano affermava la divinità di Gesù non solo mediante l’uso di un titolo, ma anche attraverso la descrizione del suo agire».

    Negli scritti di Paolo e nei Vangeli si parla inequivocabilmente di Gesù-Dio
    In altri brani, come nella Lettera ai Filippesi (2, 9-11), Paolo applica a Gesù i termini che il profeta Isaia utilizzava per Dio nella Bibbia ebraica: «Per questo anche Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Cristo Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre». Un passo che richiama quello di Isaia (45,23) nel quale il profeta riporta le parole di Dio: «L’ho giurato su me stesso; quello che esce dalla mia bocca è giustizia e non sarà revocato! Infatti davanti a me si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua giurerà…».
    Lasciamo Paolo, e prendiamo i vangeli. Come leggere il prologo di Giovanni, se non come un inno alla divinità di Cristo?
    «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto… E il Verbo si fece carne…».
    Il Verbo divino che si fa carne è Gesù Cristo, il Nazareno, figlio di Maria, concepito per opera dello Spirito Santo, figlio del Padre, condivide con quest’ultimo la natura divina. Non è soltanto un uomo, un profeta, un predicatore. Veniamo ora ai tre sinottici. E citiamo, a mo’ d’esempio, le parole pronunciate da Gesù davanti al Sinedrio, riunito nell’abitazione dei sommi sacerdoti Anna e Caifa. «Allora il sommo sacerdote levatosi in mezzo all’assemblea interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”» (Marco 14, 60-61). «Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”» (Matteo 26, 63). «E gli dissero: “Se tu sei il Cristo, diccelo”» (Luca 22, 67). È il momento culminante del processo giudaico, perché da questa risposta dipende la condanna di Gesù. La risposta, riportata dai vangeli, è questa e appare inequivocabile: «Gesù rispose: “Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio”» (Luca 22, 68-69). «Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo assiso alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”» (Marco 14, 62).

    Gesù non si presenta solo come Messia, ma come uomo-Dio
    La domanda di Caifa, osserva il biblista Gianfranco Ravasi, voleva «provocare Gesù a una semplice dichiarazione messianica, grave ma non blasfema, perché il Messia in Israele era considerato una creatura umana». E Giacomo Biffi, nel suo Gesù di Nazaret (edizioni Elledici) spiega: «Il “messia” per gli ebrei del tempo di Cristo era la figura che radunava in sé tutte le speranze di Israele: era colui che avrebbe ristabilito il regno di Davide, che avrebbe rinnovato e purificato il culto di Dio, che avrebbe fatto conoscere senza ambiguità la volontà di Iahvè e il suo disegno di salvezza, che avrebbe posto fine alla loro storia di dolore e di umiliazione». È interessante notare che il concetto di messia non era necessariamente connotato dalla prerogativa della unicità. Gli ebrei riconoscevano infatti molti messia nel loro passato. Davide, i re, i sacerdoti, i profeti, avevano di volta in volta ricevuto questo appellativo, che ricordava la consacrazione mediante l’unzione. La colpa di «arrogata messianicità», cioè l’autoproclamarsi messia, prevedeva un duro castigo, ma non la condanna a morte. Nella sua risposta, invece, Gesù va ben oltre, fondendo insieme due testi biblici: il Salmo 110, che parla di un messia riconducibile all’orizzonte terreno e atteso da Israele lungo la linea dinastica di Davide, e un passo tratto dal capitolo 7 di Daniele. Quest’ultima citazione aveva un valore più misterioso per le autorità religiose giudaiche, in quanto presentava un «Figlio dell’uomo» messianico che «veniva sulle nubi del cielo», partecipando dunque della stessa vita di Dio. Presentando se stesso con delle caratteristiche divine, Cristo fa scattare l’accusa di bestemmia.

    La condanna a morte è per essersi fatto Dio
    Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte (Marco 14, 63-64). Compiendo il gesto rituale dello strapparsi le vesti, Caifa manifesta il suo sdegno più profondo per l’affermazione del Nazareno. «In conclusione», osserva Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (Mondadori, 1999), «l’inquirente aveva trionfato in ambedue i campi: in quello nazionale-politico, perché l’imputato aveva confessato di essere il Messia d’Israele; in quello rigorosamente religioso, perché aveva confessato di essere il vero Figlio d’Iddio. Questa seconda confessione era stata decisiva davanti al tribunale del Sinedrio; la prima verrà adottata e sarà ugualmente decisiva davanti al tribunale del procuratore romano».

    Altri passi della Scrittura che fanno riferimento esplicito alla divinità di Gesù
    Vorremmo ora proporre una pagina significativa del cardinale Giacomo Biffi, tratta dal già citato libro Gesù di Nazaret (pp. 101-104) e dedicata alla divinità di Cristo, che elenca una nutrita serie di citazioni evangeliche dalle quali questa traspare chiaramente. «Pietro proclama: “Tu sei il Figlio di Dio”. Abbiamo qui il terzo, più alto e più sconcertante elemento della unicità di Gesù di Nazaret, cioè la sua divina personalizzazione o, più semplicemente, la sua divinità. Era storicamente impensabile che la divinizzazione di un uomo potesse nascere “per cause naturali” entro la cultura ebraica, totalmente, rigidamente, ferocemente monoteista. Eppure la Chiesa apostolica è arrivata a questa sconvolgente persuasione costretta dalla luce della risurrezione: “Tu sei il mio Signore e il mio Dio” (Giovanni 20,28), è la professione di fede dell’incredulo Tommaso, posta a traguardo della catechesi giovannea».
    «La Chiesa apostolica», continua Biffi, «esprime in modo vario questa difficile fede, ma sempre con molta chiarezza e in tutte le sue diverse componenti:
    – Paolo: Gesù è “di natura divina” (Filippesi 2,6) e ha ricevuto “il Nome che sta sopra tutti gli altri nomi” (Filippesi 2,9);
    – Giovanni: Gesù è il Verbo che “era presso Dio” ed “era Dio” (Giovanni 1,1);
    – Matteo: colloca il Figlio tra Dio Padre e lo Spirito di Dio, sullo stesso piano: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28,19);
    – La Lettera agli Ebrei: “del Figlio afferma: Il tuo trono, o Dio, sta in eterno” (Ebrei 1,8).
    Alla luce della Pasqua la Chiesa apostolica è arrivata a questa convinzione, perché alla luce della Pasqua ha finalmente capito che Gesù stesso nei discorsi e negli atti della sua vita terrena aveva in maniera molteplice, anche se cauta, rivendicato a sé le prerogative divine:
    – si pone sullo stesso piano del Legislatore del Sinai: “Io invece vi dico” (Matteo 5-7);
    – si arroga il diritto di perdonare i peccati (Matteo 9,2; Luca 7,36-50);
    – si ritiene il Giudice degli uomini e della storia:
    – proclama di essere il “padrone del sabato” e più grande del tempio (Matteo 12, 6-8);
    – dice di essere l’unico maestro, che non solo ha sempre ragione, ma “è la verità”;
    – si colloca più in alto degli angeli (Marco 13,41);
    – si propone come oggetto di un amore che deve essere più grande di quello del padre, della madre, della sposa, dei figli, dei fratelli (Matteo 10,37; Luca 14,26);
    – si ritiene non uno dei figli di Dio, ma l’unico Figlio di Dio (Matteo 21,33-34);
    – a suo dire Dio e lui sono esattamente sullo stesso piano: “Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio…” (Matteo 11,27; Luca 10,22).

    Che Gesù Cristo si è presentato come Dio è una certezza storica
    La certezza storica – enunciata da tutti questi indiscutibili “loghia” (detti) – che Gesù stesso si è presentato come Dio, rende assolutamente improbabile la benevola, accomodante, “moderata” concezione che di Cristo hanno molti “benpensanti”, che vogliono poter apprezzare e lodare Gesù, come uomo saggio, giusto e grande, senza riconoscerlo come Signore e come Dio. Una tale “moderazione” è smentita da tutta la documentazione evangelica in nostro possesso: un uomo che dice le cose che lui dice, non può essere giudicato né saggio, né giusto, né grande, non può avere la nostra stima, non può essere onorato. A meno che non sia vero tutto quello che lui dice di sé e tutto quello che la Chiesa apostolica afferma di lui. Non si può dunque arrivare a un accordo generale sulla base di una generica stima di Cristo: o lo si rifiuta, disprezzandolo, o davanti a lui ci si inginocchia».

    La credenza diffusa tra i cristiani, molto prima di Nicea, è che Gesù fosse Dio
    Come si vede, dunque, la divinità di Cristo è rintracciabile nei testi più antichi, scritti pochi decenni dopo i fatti. Attribuire al voto del Concilio di Nicea questa credenza, facendo intendere, come Dan Brown, che fino a quel momento Gesù era stato considerato soltanto un semplice uomo, significa affermare il falso. Libero Dan Brown, come chiunque altro, di non credere alla divinità di Cristo. Ma scrivere che questa era la credenza diffusa nei primi secoli del cristianesimo è semplicemente una bufala. L’ennesima, tra quelle raccontate nel Codice da Vinci. L’idea della divinità di Gesù, il figlio di Dio, non è stata decisa a maggioranza in una votazione – seppure una votazione conciliare – ma era espressa con evidenza e chiarezza nei vangeli che, lo ricordiamo, sono stati scritti pochi decenni dopo i fatti narrati.

    La formazione del canone delle Scritture
    Veniamo ora al canone delle Scritture, un tema al quale abbiamo già accennato nel capitolo precedente ma che ora esamineremo più nel dettaglio, per verificare se rispondano al vero le affermazioni di Dan Brown. Secondo il Codice da Vinci (e i suoi «ispiratori»), lo abbiamo visto, l’imperatore Costantino avrebbe commissionato e finanziato una nuova Bibbia, escludendo i vangeli che esaltavano gli «aspetti umani» di Cristo. Ricordiamo le parole precise già citate nel primo capitolo di questo libro, con le quali, nel romanzo, si parla del ruolo avuto dall’imperatore nella formazione del canone delle Scritture: «Costantino aveva innalzato la condizione di Gesù, erano passati quasi quattro secoli dalla morte di Gesù stesso, esistevano migliaia di documenti che parlavano della sua vita di uomo mortale. Per riscrivere i libri di storia, Costantino sapeva di dover fare un colpo di mano… commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati».

    Le tappe principali della formazione del Nuovo Testamento
    Anche in questo caso, il Codice da Vinci non la racconta giusta. Nel 397 il vescovo Atanasio fu il primo a proporre una lista dei ventisette libri del Nuovo Testamento e fu anche il primo a usare il termine «canone» per la sua raccolta. Tale lista, dunque, era stata stilata dopo il Concilio di Nicea, che come abbiamo visto si era svolto sotto l’egida di Costantino nel 325. Va però anche aggiunto che in realtà la selezione dei testi cosiddetti canonici si era già sostanzialmente conclusa parecchio tempo prima. Si tratta di un processo graduale, che avviene nel II, III e IV secolo. Tra l’altro, scrivere, come fa Dan Brown, che i manoscritti più antichi del Nuovo Testamento risalgono tutti al IV secolo non è corretto, dato che esistono alcune decine di papiri (e si tratta anche di frammenti di lunghezza considerevole) databili nel II e nel III secolo. Ecco, in sintesi, le tappe principali dell’istituzione del canone delle Scritture cristiane, così com’è stato efficacemente riassunto da Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, nel loro libro Inchiesta sul Codice da Vinci (Mondadori, 2005): Giustino martire, che scrive attorno all’anno 150, riferisce che a Roma «si leggevano le Memorie degli apostoli». Si sa che nel II secolo circolavano infatti vari testi, nei quali erano raccontati i fatti della vita di Gesù e le sue parole, insieme con altri scritti apocalittici attribuiti agli stessi apostoli. All’epoca, bisogna precisarlo, nessuna autorità o istituzione ecclesiastica aveva ancora stabilito l’autenticità o meno dei testi in circolazione. Il primo personaggio che redige una selezione rigida è Marcione (85 circa – 160), figlio del vescovo di Sinope, accolto dalla comunità di Roma, il quale rifiuta l’eredità ebraica del cristianesimo e l’Antico Testamento concentrandosi invece sul vangelo di Luca – in una versione da lui adattata – e su alcune lettere di Paolo. Oltre a sostenere l’irriducibilità di giudaismo e cristianesimo, riterrà come soltanto apparente l’incarnazione di Cristo (docetismo). Sarà considerato eretico e scomunicato, e fonderà una chiesa sopravvissuta fino al V secolo. La sua iniziativa contribuirà a incoraggiare una forma di selezione dei sacri testi.

    Il frammento Muratoriano: la prima lista dei testi evangelici e delle lettere di Paolo
    Un altro documento importante, che serve a smentire la tesi di Dan Brown, è il Frammento muratoriano, che prende il nome da Ludovico Antonio Muratori, storico, bibliotecario ed erudito che nel 1740 ha scoperto questo importante documento risalente all’VIII secolo, nel quale si fa riferimento a «Pio, vescovo di Roma morto nel 157» e si afferma l’esistenza, in quell’epoca, dei quattro vangeli di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, degli Atti degli Apostoli attribuiti a Luca e delle tredici lettere di Paolo. Il Pio vescovo di Roma è Pio I. Nel frammento, che consta di ottantacinque righe, sono pure indicati alcuni criteri di selezione per i testi canonici: la loro antichità, vale a dire che essi devono essere il più possibile vicini dal punto di vista temporale ai fatti raccontati, e il loro legame diretto con la predicazione degli apostoli. Criteri che, come il lettore avrà già compreso, di fatto sbaragliano molta produzione apocrifo-gnostica in favore dei quattro vangeli canonici, scelti dunque ben prima di Costantino, circa duecento anni prima del Concilio di Nicea, e non sulla base della loro «pericolosità» circa i contenuti. Non si trattava cioè di scartare o nascondere inesistenti vangeli che ci parlavano delle nozze di Gesù con la Maddalena o dell’umanità di Cristo, semplice profeta e non Dio, favorendo invece gli scritti più innocui e utili alla dottrina dominante. No. I criteri sono precisi, hanno una loro logica, e si richiamano all’antichità del testo e alla sua comprovata origine apostolica, come garanzia di fedeltà ai fatti narrati.

    La selezione di Ireneo in continuità con la lista Muratoriana
    Qualche decennio dopo il pontificato di «Pio, vescovo di Roma morto nel 154», verso la fine del II secolo, il vescovo di Lione Ireneo prepara una lista contenente i quattro vangeli canonici che secondo lui rappresentano la «buona novella». Ireneo si scaglia pure contro le eresie e in particolare contro la gnosi che attacca la vera fede cristiana. Ricordiamo ancora una volta che mancano circa centocinquant’anni al Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino. Ancora, nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, scritta verso l’anno 325, sono indicati i libri letti nelle Chiese d’Oriente alla fine del II secolo. Vale a dire, i quattro vangeli canonici, gli Atti degli apostoli, le lettere di Paolo e la lettera agli ebrei, le prime lettere di Pietro e Giovanni e alcune altre opere che non saranno poi incluse nel canone definitivo, come l’Apocalisse di Pietro, che pur non essendo contrarie alla dottrina cristiana non sono considerate «ispirate» da Dio. È bene precisare che tra gli apocrifi non ispirati che vengono utilizzati non ci sono vangeli gnostici, ma testi comunque in linea con la dottrina cristiana così come si era andata definendo nei primi secoli. Dunque ne dobbiamo dedurre che già allora una decisiva selezione era stata fatta e non includeva i testi così cari a Dan Brown, anche perché, forse, questi non erano ancora stati redatti.

    Gli scritti che saranno decretati canonici sono sostanzialmente gli stessi dei primi secoli
    Dunque sia a Roma, nel 154, sia nelle Chiese d’Oriente, più o meno negli stessi anni, il canone delle Scritture del Nuovo Testamento in vigore era sostanzialmente quello degli scritti che saranno considerati canonici nei secoli successivi fino ai nostri giorni. Come avrebbe fatto Costantino, che all’epoca non era ancora nato, a compiere la sua azione selezionatrice? Ha potuto forse viaggiare con una macchina del tempo, superando la barriera di quasi due secoli? Chiediamoci piuttosto perché queste elementari informazioni – per reperire le quali non è necessario tuffarsi per anni nel dedalo degli studi neotestamentari, dato che sono reperibili in una buona enciclopedia – non fossero a conoscenza dell’autore del Codice da Vinci.

    La selezione definitiva avviene nel IV secolo con criteri rigorosi: antichità, apostolicità, autenticità e universalità.
    Nel corso del IV secolo (arriviamo così finalmente a Costantino!) si pone una volta per tutte il problema di selezionare definitivamente i testi canonici da quelli che non lo sono. Un lavoro che vede all’opera i cosiddetti concili regionali. Ai già citati criteri dell’antichità, dell’apostolicità e dell’autenticità della fede proclamata, se ne aggiunge un altro, molto significativo, vale a dire quello della diffusione universale: per la catechesi e la liturgia saranno cioè adottati quei testi già maggiormente diffusi dalle comunità cristiane in Occidente e in Oriente. Nel 328 il Concilio di Roma stila l’elenco definitivo, con i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, il Concilio di Ippona nel 393 conferma quella scelta e infine nel 397 il Concilio di Cartagine vi aggiunge l’Apocalisse di Giovanni apostolo stabilendo che al di fuori di queste «Scritture canoniche nulla deve essere letto nella Chiesa sotto il nome di divine Scritture».

    Nessun colpo di mano: un processo lungo e articolato
    Non ci sono, come si vede, colpi di mano. Non ci sono roghi che bruciano antichi testi «pericolosi» per salvare solo quelli «innocui». Il processo è lungo e articolato, dura circa tre secoli, si conclude in modo abbastanza prevedibile visti i criteri che si erano andati affermando. L’idea di Dan Brown finisce male. «C’è un unico elemento storicamente vero nella tesi del Codice da Vinci», scrivono Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, «una volta costituita la Bibbia cristiana, le tesi gnostiche vengono sistematicamente condannate…». Il problema degli scritti canonici si porrà nuovamente con la riforma protestante. Ma neanche questa riuscirà a far portare in vigore gli apocrifi gnostici, che continuano a essere considerati inattendibili.

    Il culto delle divinità femminile si estinse qualche migliaio di anni prima di Cristo
    Qualche breve considerazione, alla fine di questo capitolo dedicato a Costantino e alla formazione del canone dei vangeli, lo merita il tema del «femminino sacro»¸ del culto della dea madre che sembra ossessionare Dan Brown e i protagonisti del suo romanzo, che vedono sacri Graal, simboli sessuali e vagine stilizzate in ogni dove, persino nei cartoni animati di Walt Disney. È accertato, dagli studiosi della preistoria, che per un lungo periodo, tra il paleolitico e il megalitico, le popolazioni del nostro Continente e del Medio Oriente veneravano una sorta di grande dea madre, una divinità femminile. Nelle società primitive, il potere di dare la vita era infatti considerato come qualcosa di divino e di misterioso e la stessa organizzazione della vita di questi nostri progenitori era di tipo matriarcale. «In Europa occidentale», scrivono ancora Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, «la venerazione delle dee è terminata probabilmente qualche migliaio di anni prima di Cristo, quando gli Indoeuropei invasero l’Europa da est portando con loro la credenza in divinità maschili. Il culto delle dee si è unito progressivamente al culto di questi dèi dando vita a una grande varietà di religioni pagane». È ovviamente del tutto priva di fondamento la tesi di Brown, secondo la quale sarebbe stato Costantino a sostituire l’iniziale «femminino sacro» o «principio femminile» vigente nel cristianesimo delle origini con il principio maschile o maschilista. La società patriarcale, che aveva sostituito quella matriarcale, era diventata vincente già da moltissimi secoli. Dunque non ci sono cambi in corsa, o sotterfugi, né tantomeno segreti conservati gelosamente da pochi iniziati: l’idea che inizialmente il cristianesimo si fondasse sul principio femminile e che l’uomo Gesù avesse stabilito di lasciare alla moglie la guida della Chiesa, è una pura e semplice invenzione, antistorica, priva di qualsiasi riscontro. L’ennesima, nelle pagine del romanzo di Dan Brown.

    tratto da Processo al Codice da Vinci di Andrea Tornielli
    pubblicato con Il Giornale e per la casa editrice Gribaudi.