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VERITA' SULL'INQUISIZIONE

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    00 09/05/2013 15:17

    L’Inquisizione romana più umana e con poche condanne

    InquisizioneL’Inquisizione è una delle armi preferite per aggredire e colpevolizzare i cattolici. Così come l’accusa di omofobia, l’Inquisizione viene citata per mettere subito a tacerequalunque cattolico osi esporre una critica, magari contro un’opera artistica ritenuta blasfema e offensiva. La frase: “Guarda che l’Inqusizione è finita, eh?” scatta come riflesso pavloviano per zittire il cattolico offeso e legittimare così il diritto a offendere liberamente i credenti.

    Evidentemente la campagna anticattolica illuminista e protestante è stata davvero efficace. Già, perché la verità storica è ben diversa, non che questo ovviamente importi ai nemici della Chiesa. Tuttavia riteniamo importante far notare alcune pubblicazioni recentilo abbiamo già fattosegnalando il saggio di Marina Montesano, docente di Storia medievale nell’Università di Messina, la quale ha rivelato che il fenomeno non era per nulla sviluppato nel Medioevo, ma«proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». Inoltre, l’Inquisizione fu una questione decisamente protestante e meno cattolica, tanto che «circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania [...]. I riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione». Al contrario, l’Inquisizione spagnola -cattolica, per capirci meglio- «ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale».

    Christopher Black, professore di Storia d’Italia all’università di Glasgow, ha pubblicato nel 2013 il libro Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013),con il quale ha sfatato la tesi, tramandataci dalla storiografia anticlericale, secondo cuil’Inquisizione romana fu nient’altro che un “tribunale sanguinario”, documentando come le sentenze di morte furono “relativamente poche” se confrontate a quelle di quasi tutti gli altri tribunali italiani, la tortura “più rara”, e si diedero ai “rei” concrete opportunità di “patteggiamento della pena”.

    La storica Montesano ha recensito a sua volta in questi giorni il volume dello storico scozzese spiegando che «alla conoscenza dell’operato dell’inquisizione in Italia hanno contribuito negli ultimi decenni molti studi (a partire da quelli di Romano Canosa e di Adriano Prosperi), alla luce dei quali si può dire ormai superato, almeno in ambito storiografico, il pregiudizio su un’istituzione vista come unicamente assetata di sangue, pronta a torturare e condannare a morte in base a ogni pretesto».

    Viene anche spiegato che le diverse Inquisizioni, come quella spagnola, della Repubblica di Venezia o quella siciliana erano indipendenti dalla Santa Sede, così come quelle di altri paesi cattolici che usavano strumenti di controllo e di repressione o di moderata tolleranza rispetto ai gruppi cristiani riformati, «con ciò vanificando il lavoro del sant’Uffizio». Per quanto riguarda gli ebrei, nei territori della Santa Sede, «non subirono mai il trattamento riservato loro in Spagna e non furono costretti alla conversione; ma certamente il controllo sulle loro comunità si intensificò e irrigidì: in particolar modo si prestava attenzione ai casi in cui conversioni spontanee – generalmente ottenute per mezzo della catechesi condotta dai gesuiti – di ebrei non fossero osteggiate da parenti e conoscenti; si indagava sulle frequenti denunce di profanazioni compiute contro oggetti e figure sacre dei cristiani; si esercitava un controllo sul contenuto dei testi religiosi degli ebrei».

    Rispetto alla magia e alla stregoneria, continua la Montesano seguendo le affermazioni del volume di Black, «si deve sottolineare come sia ormai opinione condivisa che l’Inquisizione del Sant’Uffizio si comportò in modo più scettico e rigorosonell’accertamento delle colpe di quanto facevano contemporaneamente i tribunali laici e le gerarchie ecclesiastiche locali, più facilmente inclini a cedere alle istanza fanaticamente persecutorie espresse dalla società civile». I processi in ogni caso, concentrati più su pratiche antireligiose o blasfeme, «difficilmente venivano conclusi da condanne gravi: ma era necessario che l’imputato facesse ammenda e riconoscesse i propri errori».

    La conclusione di Christopher Black è che, quando la Santa Sede sottraeva competenze e poteri alle autorità laiche, questo giocava «a vantaggio degli imputati, consentendo loro di essere sottoposti a istruttorie e processi duri ma rigorosi, soprattutto per quanto riguarda l’impiego della tortura, cui Black dedica un dettagliato paragrafo, sottratti alle logiche localistiche che risultavano generalmente penalizzanti per i soggetti più deboli».

    Seppur più umana e tollerante, anche l’Inquisizione del Sant’Uffizio era certamente una pratica sbagliata, ma è errato anche giudicare la storia con la mentalità odierna e dopo il progresso dei diritti umani, dovuti proprio grazie al continuo richiamo dei valori cristiani. La Chiesa, istituzione divina ma guidata da uomini, si è scusata e ha ammesso sinceramente le sue colpe per gli errori del passato, ma lo stesso dovrebbero fare anche tutti coloro che fino ad oggi hanno mentito circa l’analisi storica del fenomeno.

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    00 09/05/2013 15:21

    Lo storico Cardini: «altro che “secoli bui”,
    l’Inquisizione fu rinascimentale»

    Nel gennaio di quest’anno abbiamo parlato della recensione di Marina Montesano, docente di Storia medievale nell’Università di Messina di due libri pubblicati sul tema dell’inquisizione. In quel contesto la storica fece notare che il fenomeno non era per nulla sviluppato nel Medioevo, ma «proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». 

    Inoltre fu una questione decisamente protestante, tanto che «circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania [...]. I riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una “caccia” intensa e determinata». «Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo» (area protestante e area cattolica), ha continuato la Montesano . «Nella penisola iberica, vittima di una secolare “leggenda nera”, si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale».  

    In questi mesi la storica ha pubblicato un suo libro, intitolato proprio: “Caccia alle streghe (Salerno Editrice 2012), molto recensito sui media e anche dallo storico Franco Cardini, professore ordinario presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum). Nel suo articolo su “Europa”, lo storico ha parlato del significato di “strega” dicendo che «le prime traduzioni latine della Bibbia non ebbero dubbi nel tradurre quei termini con a parola latina “maleficus”: ma solo quelle in volgare della Riforma protestantefemminilizzarono con sicurezza la parola, utilizzando – in area rispettivamente luterana, anglicana e calvinista – i termini “Zauberin”, “witch” e “sorcière”». Ecco come nacque la “caccia alle streghe”: «scomparvero così gli “stregoni”, restarono solo delle donne, in genere confezionatrici di filtri e operatrici di aborti, indovine e maliarde lontane dalla “grande” magia sapienziale e cerimoniale e tanto meno da quella “naturale”».  Il fenomeno si basava sulle Scritture, ma anche sui testi diVirgilio, Orazio, Lucano, Ovidio, Petronio e Apuleio.

    Si parlava di “volo magico notturno” di queste donne, che però «gli ecclesiastici del pieno medioevo avevano a lungo considerato una fiaba da donnucole», ma si diffuse invece come sospetto «verso la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, -complice anche lagrande depressione che l’Europa dovette affrontare tra XIV e XVII secolo – nell’immagine della strega, oggetto di fobìe e di condanne che tuttavia non rappresentano tanto una “eclisse” della ragione quanto il risultato del convergere della filosofia e della scienza scolastiche e della “razionalizzazione” dei supposti poteri del demonio con la tesi che si fosse andata stabilendo una perfida congiura tra il demonio e alcuni esseri umani malvagi che gli erano devoti, vòlta alla rovina dell’umanità».

    Lo storico Cardini ha dunque confermato che questa credenza «ha quindi poco di medievale, ma ch’è anzi propria semmai del Rinascimento e destinata a divenire una “struttura” della Modernit໫Altro, dunque, che “tenebre del medioevo”; altro che“secoli oscuri”», scrive. La storica Marina Montesano, nel suo libro, dimostra invece come«“caccia alle streghe”, crisi socioeconomica protomoderna e costruzione dello stato assoluto sono rigorosamente collegate tra loro in una logica di «individuazione del nemico collettivo » che è caratteristica anche se non strettamente esclusiva della Modernità». E’ lo stesso fenomeno del complottismo, delle “sètte” nemiche del bene comune, un “nemico collettivo” da individuare che sempre serve nei momenti di crisi socioeconomici, come accadde con le «“purghe” staliniane, e i processi maccartisti per “antiamericanismo”».

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    00 20/06/2013 23:34
    ANTICRISTIANESIMO: Tante accuse sono infondate e non si basano sui documenti

    Forse è vero che l’anticristianesimo, o meglio l’anticattolicesimo, è l’antisemitismo dei colti. Colti mica tanto, però; i pregiudizi e i luoghi comuni sulla storia della Chiesa paiono fondarsi soprattutto sull’ignoranza settoriale dei pretesi intellettuali, sul pigro affidarsi alla propaganda ideologicamente partigiana di certo illuminismo settecentesco e della massoneria ottocentesca. Diversi luoghi comuni privi di riscontro scientifico sono stati ereditati di sciatteria in sciatteria fino a giungere alle bocche dei fanatici che scrivono sul forum dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti e all’anticlericalismo da classifica di Piergiorgio Odifreddi. Ogni tanto, però, esce qualche libro che fa un po’ di chiarezza, come A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù, appena edito da Lindau. La lettura di questo tomo di oltre cinquecento pagine dovrebbe essere imposta ai sacerdoti, i primi che spesso ignorano la storia dell’istituzione di cui fanno parte e non si risparmiano castronerie tenendo la predica domenicale. Ma soprattutto sarebbe un ottimo libro di testo per molti corsi universitari.

    Infatti l’autore, Rodney Stark, è docente di Scienze sociali presso la Baylor University del Texas. Un particolare non da poco; Stark non è un apologeta cattolico (nemmeno è di confessione cattolica) né un libellista che intende stupire con tesi controcorrente ed originali. E’ un sociologo, uno scienziato che lavora su fonti storiche, dati, statistiche. Raramente offre a lettori e studenti opinioni proprie, semmai teorie sempre motivate, ed ampie bibliografie per suffragare le sue conclusioni (quella del libro in questione conta circa cinquanta pagine). Così è stato per le sue opere precedenti, fra le quali ricordiamo il fondamentale “Gli eserciti di Dio”, dove dimostrava che le crociate non furono atti di guerra imperialista dell’Europa malvagia contro il pacifico islam ma “una reazione obbligata all’aggressività di un’orda che si spingeva sempre più in là e che doveva essere fermata”. Le leggende metropolitane che Stark demolisce per mezzo di questo nuovo saggio sono in sintesi le seguenti: la civiltà cattolica medioevale e moderna ha ferocemente sterminato gli eretici, messo sul rogo centinaia di migliaia, se non milioni, di streghe, impedito il progresso della scienza, benedetto la politica colonialista e schiavista delle potenze europee. Però la verità, quella che rende liberi, è un'altra. Così si deduce volendo leggere veramente la storia, non fermandosi ai capitoletti dei libri delle scuole medie o alle divulgazioni televisive.

    Stark ci ricorda che dal VI secolo fino all’XI inoltrato Roma “non intraprese alcuna azione nei confronti delle eresie” e fu molto tollerante nei confronti del paganesimo ancora diffuso in gran parte dell’Europa. Con quasi tutte le sette passò “secoli in futili tentativi di compromesso ideologico”. Infine diede dimostrazione di gran capacità nell’assorbire le eresie, nell’“incapsulare l’impulso settario all’interno della propria struttura istituzionale”, soprattutto grazie agli ordini religiosi. I nemici dell’ortodossia divennero pungolo inevitabile, stimolo al cambiamento, allo scuotimento del “lassismo nel gruppo di potere religioso” (proprio il “lassismo dei monopoli” descritto da Adam Smith). I grandi massacri, come quelli dei catari o degli ugonotti, ebbero motivi certamente più politici che dottrinali. La tolleranza cattolica si interruppe al cospetto della seria minaccia esterna rappresentata dall’islam; la mobilitazione per le imprese in Terrasanta ridusse gli spazi di libertà ed ispirò le prime stragi di ebrei; compiute da cavalieri improvvisati, però, e condannata, ostacolata per quanto possibile dalle gerarchie ecclesiastiche.

    Dunque nessun olocausto di eretici. Ma per quanto riguarda le streghe? “Pochi argomenti hanno generato così tante sciocchezze e assolute invenzioni come la caccia alle streghe”, scrive Stark. “Perfino l’attuale letteratura abbonda di cifre assurde sul numero delle streghe condannate”.

    Non furono milioni, ma 60.000 circa (facendo una stima abbondante) nel corso di ben tre secoli.

    Certo non sono poche, ma la differenza degli zeri è significativa: è quella che corre fra il controllo sociale della devianza e la tirannia totalitaria. Ma le sorprese non finiscono qua. Siete affezionati all’immagine dell’inquisitore medioevale che getta nel fuoco carrettate  intere di belle e conturbanti streghette? Dimenticatela. Prima di tutto, almeno un terzo dei condannati erano uomini, stregoni insomma. Poi i tribunali ecclesiastici, in primis la famigerata Inquisizione spagnola, risultano dai documenti di gran lunga più garantisti e cauti di quelli sotto il controllo del potere politico o improvvisati dal popolo (oggi diremmo dalla “società civile”). I cattolici, comunque, assolvevano quasi sempre, mentre i protestanti erano di gran lunga più severi (il record della condanne spetta alla Svizzera, seguita dalla Germania, fanalino di coda una sorprendete Spagna). A proposito di protestanti, furono loro a scovare un nesso accusatorio fra la pratica della magia naturale e il satanismo; ossessione invece rarissima nei paesi mediterranei.

    Forse queste streghe e stregoni erano proletari che praticavano una primitiva lotta di classe contro i potenti? Mica tanto. Spesso appartenevano alla classe media urbanizzata. Senza dubbio ci andarono di mezzo molti innocenti, ma non è escluso che certe accuse non fossero completamente infondate e comprendessero altri reati come lo stupro, la circonvenzione, l’infanticidio.
    Quante condanne vi furono in Italia?

    Poche, nemmeno un centinaio in tre secoli; il diritto canonico prescriveva la pena di morte solo in casi eccezionali.

    Nel suo lavoro di ricognizione e analisi della letteratura storica, Rodney Stark afferma di essersi aspettato dagli autori di testi e manuali di storia pregiudizi di tipo materialista e marxista; tuttavia afferma con sorpresa: "[...] quello cui non ero preparato era scoprire quanti degli storici che ho dovuto leggere per preparare questo studio esprimono un anti-cattolicesimo militante, e quanti pochi fra i loro pari abbiano obiettato a una litania di commenti dispregiativi di taglio anti-cattolico, talora espressi senza neppure rendersene conto" e prosegue: "[...] benché molti storici viventi oggi probabilmente non abbiano pregiudizi contro la religione cattolica, o almeno non più di quanti ne abbiano contro la religione in generale, spesso mantengono idee false senza rendersi conto che sono il prodotto dell'anti-cattolicesimo di passate generazioni(For thè Glory of God, pp. 12-13. Le traduzioni dall'inglese sono di Massimo Introvigne).

    Ecco così spiegate in breve le origini di molte "leggende nere", che non gettano le loro radici nell'obiettività della storia, ma si fondano su letture dei fatti storici che nascono viziate all'origine da pregiudizi ideologici. Da queste considerazioni possiamo ricavare un implicito richiamo, rivolto in primis agli storici cattolici e a chi - come direbbe Nostro Signore - "ha orecchi per intendere" (cfr. Marco 4,9) a lavorare maggiormente per l'approfondimento della reale verità storica e per la difesa della Chiesa cattolica dalle false accuse e dalle menzogne che, a torto, i suoi nemici vorrebbero attribuirle. (A.M.)

    Molto raramente "sociologia" fa rima con "apologetica" e ciò - evidentemente -non per motivi linguistici, ma di metodo. Tuttavia, recentemente, proprio colui che è considerato il maggior sociologo delle religioni vivente, nell'ambito di un suo ampio e articolato studio sul monoteismo, pur nel rigore dell'approccio value free (cioè, privo di giudizi di valore) che caratterizza la sociologia coltivata negli ambienti accademici, ha permesso a chi si vuole occupare di apologetica di attingere a piene mani dai dati nudi e crudi elaborati in sede scientifica, sfatando alcune "leggende nere" che riguardano talune vicende della storia della Chiesa cattolica.

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    Leggende che circolano ancora in maniera massiccia nella vulgata comune e di cui si trovano ampie tracce sia nella saggistica storica che nella letteratura divulgativa Rodney Stark - ordinario di Sociologia delle religioni all'Università di Washington e padre (con altri) della teoria dell'economia religiosa, che da qualche anno nell'ambiente accademico prevale rispetto alla teoria della secolarizzazione come chiave per comprendere dal punto di vista sociologico la situazione della religione in Occidente - e infatti l'autore del volume in lingua inglese (ma di cui auspichiamo la traduzione italiana, pur con qualche debita precisazione su sui ci soffermiamo di seguito) For thè Glory of God: How Monotheism Led to Reformation, Science Witch-Hunts, and thè End of Slavery . Nel nostro Paese, l'attenzione sull'opera di Stark e stata richiamata dal collega Massimo Introvigne - che con il sociologo americano è autore di un volume di prossima pubblicazione: Dio e tornato. La rivincita di Dio in Occidente, Piemme, Casale Monferrato 2003 - attraverso un'ampia e articolata recensione, disponibile per la consultazione sul sito del CESNUR, di cui Introvigne e direttore

    http://www.cesnur.org/2003/mLstark.htm

    In For thè Glory of God, Rodney Stark prende '" in esame in particolare quattro vicende della storia del cristianesimo in Occidente ritenute in qualche modo problematiche: le eresie medioevali e la Riforma, la nascita della scienza, la caccia alle streghe e la schiavitù. Particolarmente interessanti si rivelano le pagine sulla caccia alle streghe, una questione scenografica che costituisce un capitolo significativo dell'ampia "leggenda nera" di origine illuministico-massonico-marxista relativa all'Inquisizione (meglio sarebbe dire Inquisizioni, al plurale), tema a cui // Timone ha dedicato un dossier (cfr // Timone, anno V - n 23, gennaio/febbraio 2003, pp 31-42), a cui chi scrive rimanda il lettore giustamente desideroso di inquadrare la problematica che affronteremo nel più ampio contesto storico in cui si colloca.

    L'autore dichiara di accostarsi alla questione esaminando prima di tutto la letteratura storica, ma dedicando pure attenzione ai testi di carattere divulgativo e notando che, fortunatamente, le opere più recenti hanno ridimensionato la stima relativa addirittura a nove milioni di vittime - che peraltro compare ancora in alcune opere di carattere meno scientifico - quale risultato di una lotta sommaria alle streghe e riducendola a una più realistica cifra di circa 60 000. Ciò, naturalmente, non toglie nulla ai drammi individuali di chi ha rappresentato un'unità delle circa 60 000 vittime, ma mostra comunque con quanta disinvoltura i fautori della "leggenda nera" hanno spacciato dati tanto stratosferici quanto irreali (e addebitandoli solo alla Chiesa Cattolica -ndr).

    Se è vero che le scienze sociali della religione insistono sulla coesistenza nel tempo dell'esperienza magica -propria della stregoneria - con quella religiosa, è altrettanto vero che, secondo la distinzione tipica introdotta dal fenomenologo delle religioni rumeno Mircea Eliade (1907-1986), la magia si distingue dalla religione in quanto l'esperienza magica più che un'esperienza del divino o del sacro (lerofania) è un'esperienza del potere (cratofania), dove l'uomo manipola il sacro e lo mette al proprio servizio.

    Se dunque l'uomo religioso invoca Dio, il mago e la strega pensano di manipolare forze soprannaturali o preternaturali. È in questo senso che la Chiesa cattolica già a partire dalla Didache (il più antico manuale conosciuto per l'insegnamento cristiano) - e, ancor prima, dall'Antico Testamento - da sempre condanna l'esperienza magica, la negromanzia, i sortilegi e la stregoneria come pratiche superstiziose. Dunque, è di fatto un luogo comune appartenente appunto alla "leggenda nera" l'idea per cui all'lnquisizione sia da collegare automaticamente la caccia alle streghe. Infatti da sempre per il Magistero cattolico la magia è in pnmis configurabile come superstizione e per tale peccato, come per gli altri peccati, risultano competenti vescovi e sacerdoti confessori.

    L'Inquisizione se ne occupava nella sua attività ordinaria soltanto se le pratiche magiche lasciavano trapelare qualche sospetto di eresia. Abbiamo evidenza dai documenti pontifici che i Papi raccomandarono sempre agl'inquisitori d'intervenire in relazione alla stregoneria limitatamente ai casi in cui vi fossero presenti elementi tali da far supporre il sacrilegio o l'idolatria, ovvero quando alla superstizione si aggiungeva, di fatto, l'eresia.

    Come riferisce Stark, fra il XIV e il XVI secolo in Spagna il tasso degl'imputati di stregoneria corrisponde allo 0,2 per milione di abitanti ed è il più basso d'Europa. Ciò, evidentemente, a dispetto di quanti, sedicenti storici, nel corso dei secoli hanno diffamato la "famigerata" e "sanguinaria" Inquisizione spagnola, che in realtà ebbe la funzione di impedire la caccia alle streghe, reprimendo duramente non le streghe ma i loro aspiranti cacciatori.

    Non stupisce pertanto se si nota che nelle Fiandre la caccia alle streghe cessò proprio con l'avvento dell'occupazione spagnola. La situazione evidenziata dal sociologo relativamente alla Spagna trova conferma anche nel dato riferito all'Italia, dove nello stesso periodo si possono contare 14,4 imputati di stregoneria per milione di abitanti. Altre zone tuttavia, presentano dati meno confortevoli in aree di lingua tedesca come la Svizzera si contano 376,9 imputati per milione di abitanti, mentre nell'area di Nonmberga il tasso sale addirittura a 956,5 .

    L'ampia divergenza fra le stime che si riferiscono a zone geografiche contigue, nel medesimo periodo storico, non è da ricercarsi nella maggiore o minore diffusione della magia popolare, che appare ben presente sia in Italia che in Svizzera (d'altra parte è nota l'espansione dell'occultismo e del pensiero magico nel tardo Medioevo e nel Rinascimento). Piuttosto, se si vuole trovare una differenza fra l'Italia e la Svizzera (o l'area di Nonmberga) si deve notare sia la debolezza dell'autorità centrale, politica e religiosa, sia la presenza di conflitti armati e di anarchia politica e, in seguito, soprattutto nelle zone di lingua tedesca, di un forte conflitto tra cattolici e protestanti.

    Alla luce di questi dati il sociologo ritiene che la caccia alle streghe nasca dalla concomitanza di tré fattori (1 ) la pratica diffusa della magia e la sua interpretazione demonologica da parte della teologia che, a partire dal Medioevo, ricercando il perchè occasionalmente la magia "funzioni", ritiene logico ipotizzare l'intervento del Demonio, (2) una situazione di conflitto religioso -quale i ripetuti scontri fra cattolici e protestanti nel XVI secolo - che rende più difficile tollerare le espressioni di dissenso, (3) la debolezza dell'autorità centrale che non riesce a opporsi con successo alle proposte locali di perseguire le streghe.

    Rodney Stark non è certo un apologeta e il suo scopo dichiarato è quello di studiare le conseguenze sociologiche del monoteismo (e non di scrivere una "contro-storia"). Tuttavia la sua lucida analisi ci consente - una volta in più - di confutare una "leggenda nera" quella della caccia alle streghe, a cui le autorità della Chiesa cattolica certamente si opposero e che altrettanto certamente non favorirono e addirittura impedirono, proprio nel momento in cui dilagava in Europa a livello popolare e locale una fobia antistregonica, legata direttamente alla diffusione dell'occultismo e poi alla psicosi del demoniaco introdotta dalla Riforma protestante, i cui eredi - sulla scia di Martin Lutero (1483-1546) e di Giovanni Calvino (1509-1 564). di cui e nota una certa ossessione per il demoniaco - si resero attori di una caccia alle streghe che passa spesso sotto silenzio, ma di cui alcuni eventi storici - a partire dalla vicenda delle "streghe" di Salem (Massachu-setts, 1692), che ha ispirato molta letteratura horror- danno testimonianza.

    Dunque, nessuna persecuzione dei cattolici contro una religione pagana clandestina, secondo un'idea notevolmente diffusa negli ambienti del revival neopagano contemporaneo, nessuna prepotenza patriarcale e maschilista contro le donne, dato che molti dei condannati erano uomini, nessun desiderio di impadronirsi dei beni degli accusati, che spesso erano poveri e neppure alcun fanatismo del clero, dato che le campagne contro la stregoneria nascevano molto spesso da iniziative popolari; la verità storica dimostra che le autorità ecclesiastiche si opposero alla caccia

    alle streghe e il loro successo fu tanto più evidente dove il loro potere, unitamente a quello dell'autorità politica, era più forte, come dimostra l'eloquente caso della Spagna.

    Le conclusioni di Stark - e ciò rappresenta il vero pregio e la forza "apologetica" intrinseca, peraltro non intenzionale, del suo volume - appaiono credibili anche per chi analizza le vicende storiche da una prospettiva diversa rispetto a quella cattolica, per il fatto stesso che l'autore rimarca di non essere mai stato cattolico e precisa di non voler in alcun modo far proprio il metodo dell'apologetica, ma unicamente quello dell'analisi sociologica. Al contrario, e a conferma di ciò, lo stesso volume falera contiene affermazioni non in linea con l'ortodossia cattolica (Stark ritiene, per esempio, valida la successione della Chiesa anglicana) che, se dal punto di vista della fede cattolica "macchiano" purtroppo il testo di qualche errore dottrinale, da un'altra prospettiva rendono l'autore disinteressato e perciò insospettabile e libero da qualunque accusa di faziosità, rendendo ancora più inoppugnabili i suoi dati.

     

     

    [Modificato da Credente 21/06/2013 09:25]
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    Credente
    00 20/06/2013 23:50

    La verità sull’Inquisizione romana:
    meno oscura di quanto si pensi

    Inquisizione

    In questi giorni un altro storico ha pubblicato un libro sull’argomento. Si tratta del britannico Christopher Black con il suo Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013), recensito da Paolo Mieli sul Corriere della Sera. Mieli spiega: «Già Adriano Prosperi — con Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori e missionari (Einaudi) — anni fa aveva sfatato la tesi, tramandataci dalla storiografia anticlericale, secondo cui l’Inquisizione romana fu nient’altro che un “tribunale sanguinario”». Ora lo storico Black«documenta meticolosamente come le sentenze di morte furono “relativamente poche” se confrontate a quelle di quasi tutti gli altri tribunali italiani, la tortura “più rara”, e si diedero ai “rei” concrete opportunità di “patteggiamento della pena”».

    Quella che riguarda l’Inquisizione, prosegue Black, non fu «una storia così macabra come leleggende e i pregiudizi possono suggerire», né si può dire che assomigli «alle immagini dedicate da Francisco Goya alle ultime fasi dell’Inquisizione spagnola». Dopo il Medioevo, nell’area in cui operava l’Inquisizione, la tortura era in larga parte «più selettiva, fisicamente meno aggressiva e meno raccapricciante e fantasiosa» di quella che è oggi praticata in molti Stati moderni, o di fatto accettata, attraverso «misure legislative straordinarie di estradizione che violano in vario modo le convenzioni internazionali e i diritti dei prigionieri».

    Paolo Mieli spiega che anche John Tedeschi, in Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana (Vita e Pensiero), ha efficacemente raccontato come l’Inquisizione romana sia stata tutt’altro che «una caricatura di tribunale», un «tunnel degli orrori», un «labirinto giudiziario dal quale era impossibile uscire». E la storica Anne Schutte ha spiegato, con molti validi argomenti, che quel sistema inquisitoriale ha «offerto la migliore giustizia criminale possibilenell’Europa dell’età Moderna». La Schutte ha anche invitato a riflettere sul fatto che ci furono Papi, come Paolo III e Pio IV, i quali ebbero un approccio«morbido» a questi temi; che un discreto numero di vescovi tra il 1520 e il 1570 abbracciarono idee di «riforma», e altri si batterono per «porre un freno alla severità degli inquisitori e limitarne l’intrusione nelle credenze personali». Tra episcopato e inquisitori si ebbe, in altre parole, un rapporto più che dialettico.

    Black afferma di condividere le argomentazioni di Adriano Prosperi e Simon Ditchfield secondo cui «l’Inquisizione romana, nonostante il suo lato oscuro, è stata anche una forza creativa ed educativa, che ha contribuito a definire e influenzare la cultura italiana almeno fino al XIX secolo».

    Concordiamo comunque con il suo avvertimento:  «Correggendo le esagerazioni della “leggenda nera”, spero però di non alimentarne una “rosa” o “grigia”», rimane il fatto che il fenomeno in sé-come conclude Paolo Mieli, «non è certo idilliaco. Tuttavia ciò che più colpisce è che quello delle diverse inquisizioni appare come un mondo sfaccettato, incoerente, a tratti persino contraddittorio. Del quale restano impressi gli intrecci tra giustizia e politica, che si presentano assai simili a quelli tornati alla luce cinque secoli dopo».

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    00 21/06/2013 09:10
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    00 21/06/2013 09:11
     L'Inquisizione medioevale

    di Francesco Pappalardo

    1. Le origini

    È opinione comune che il tribunale dell'Inquisizione sia stato lo strumento ordinario utilizzato dalla Chiesa cattolica per combattere l'eresia. In realtà, garantire l'ortodossia è compito anzitutto dell'episcopato, cui spetta non solo insegnare le verità della fede, ma anche difenderle contro quanti le insidiano; inoltre, soltanto entro certi limiti è corretto parlare di un tribunale inquisitoriale. Infine, occorre specificare che lo stesso nome spetta sia all'istituzione sorta nel secolo XIII, la cosiddetta Inquisizione medioevale, sia all'Inquisizione spagnola, creata da Papa Sisto IV (1471-1484), nel 1478, su sollecitazione della regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e di re Ferdinando d'Aragona (1452-1516), sia alla Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, istituita da Papa Paolo III (1534-1549) nel 1542.

    L'Inquisizione nasce verso la fine del Medioevo propriamente detto come risposta della Chiesa agli eccessi di movimenti ereticali, che non si limitavano a propugnare deviazioni di contenuto esclusivamente teologico - contrastati fino ad allora sul piano dottrinale e solo con mezzi spirituali -, ma insidiavano mortalmente la società civile. La ferma riprovazione dei civili contro le vessazioni degli eretici costringe le autorità ecclesiastiche a intervenire, anzitutto per controllare e per frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici, che si illudevano di risolvere il problema inviando con disinvoltura gli eretici al rogo.

    Oggi è difficile immaginare il profondo malessere suscitato nella Cristianità dalla diffusione del catarismo, che, sotto il fascino esercitato dall'apparente austerità di vita dei suoi proseliti, nascondeva un'ideologia sovversiva. Il pericolo era rappresentato soprattutto dalla condanna del mondo materiale, che implicava il divieto assoluto di procreare e, come culmine della perfezione, il suicidio rituale, e dal rifiuto di prestare giuramento, che comportava il dissolvimento del legame feudale, uno dei capisaldi della società medievale. Dunque, considerata l'omogeneità religiosa della società del tempo, l'eresia costituiva un attentato non solo all'ortodossia ma anche all'ordine sociale e politico. Lo storico protestante Henry Charles Lea (1825-1909), pur poco benevolo nei confronti dell'Inquisizione, scrive che, in quei tempi, "[...] la causa dell'ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso".

    L'autorità temporale e quella spirituale, dopo aver agito a lungo separatamente - la prima con i suoi tribunali, l'impiccagione e il rogo, la seconda con la scomunica e le censure ecclesiastiche - finiscono per unire i loro sforzi in un'azione comune contro l'eresia. L'Inquisizione medioevale, dunque, è definita dallo storico francese Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), come "[...] un sistema di misure repressive, le une di ordine spirituale, le altre di ordine temporale, emanate simultaneamente dall'autorità ecclesiastica e dal potere civile per la difesa dell'ortodossia religiosa e dell'ordine sociale, ugualmente minacciati dalle dottrine teologiche e sociali dell'eresia". Le tappe attraverso cui prende corpo il nuovo organismo sono la costituzione Ad abolendam di Papa Lucio III (1181-1185), del 1184, che obbliga tutti i vescovi a visitare due volte l'anno le loro diocesi alla ricerca, inquisitio, degli eretici; l'istituzione della cosiddetta Inquisizione "legatina" da parte di Papa Innocenzo III (1198-1216), che invia i monaci dell'ordine cistercense a predicare nei paesi più colpiti e a disputare pubblicamente con gli eretici, la costituzione Excommunicamus di Papa Gregorio IX (1227-1247), del 1231, con cui sono nominati i primi inquisitori permanenti, scelti in preferenza fra i domenicani e i francescani.

    La qualità costitutiva del nuovo organismo non era nella natura del delitto o in quella della pena e neppure nella procedura, ma nella figura del giudice delegato in materia ecclesiastica criminale. Non si provvede, pertanto, all'istituzione di un tribunale speciale per una determinata categoria di reati o di rei - in questo senso, per tutto il Medioevo, un tribunale dell'Inquisizione non è mai esistito -, ma alla nomina di un giudice straordinario, la cui competenza si affianca a quella del giudice ordinario, il vescovo. Va ricordato, infine, che gli inquisitori erano competenti a giudicare solo i battezzati e che, dunque, gli ebrei e i musulmani non ricadevano sotto la loro giurisdizione.

    2. La procedura

    L'Inquisizione, grazie alla prescrizione, sempre rispettata, di mettere per iscritto le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze, è una delle prime istituzioni del passato su cui è disponibile una quantità di dati tale da rendere impossibile ogni travisamento storico, sia relativamente all'organizzazione sia alla prassi adottata. Infatti, gli studiosi che negli ultimi anni hanno cominciato a esplorare l'imponente documentazione archivistica, si sono trovati, con stupore, al cospetto di tribunali dotati di regole eque e di procedure non arbitrarie, di corti giudiziarie pronte a sconsigliare l'uso della tortura o a scoraggiare denunce infondate e delazioni, di organismi molto più miti e indulgenti dei tribunali civili del tempo. Inoltre, sebbene certa propaganda insista sul carattere ideologico e totalitario dell'Inquisizione, è sempre più evidente l'abisso esistente fra i metodi propri di questa istituzione e i sistemi di controllo delle persone e di manipolazione delle coscienze messi in atto negli Stati moderni.

    E falsa è l'immagine dell'inquisitore feroce e ignorante: gli inquisitori erano, in genere, persone dotte, oneste e di costumi irreprensibili, poco inclini a decidere in fretta e arbitrariamente la sorte dell'imputato, volti invece ad accordare il perdono al reo e a farlo rientrare in seno alla Chiesa. L'Inquisizione del secolo XIV inventa la giuria, consilium che consente all'imputato di essere giudicato da un collegio numeroso, e altri istituti in favore del condannato, come la semilibertà, la licenza per buona condotta e gli sconti di pena. Falsa è anche l'affermazione secondo cui si faceva un uso generalizzato e indiscriminato della tortura, cui gli inquisitori del secolo XIV, a differenza dei giudici civili, ricorrevano raramente e nel rispetto di regole molto severe. L'immaginario secondo cui i tribunali inquisitoriali erano teatro di raffinatissime scene di crudeltà, di modi ingegnosi di infliggere l'agonia e di un'insistenza criminale nell'estorcere le confessioni, è l'esito della propaganda degli scrittori a sensazione, che hanno sfruttato la credulità di molti.

    Falsa, infine, è l'immagine dell'Inquisizione come tribunale sanguinario. Infatti, lo spoglio statistico delle sentenze, da cui si ricava la bassa percentuale delle condanne, soprattutto di quelle alla pena capitale, ha ormai dimostrato l'infondatezza di questa tesi. L'Inquisizione perseguiva lo scopo di correggere e di riavvicinare l'eretico alla fede; a questo scopo gli inquisitori imponevano penitenze di ordine spirituale, che davano al reo la possibilità di emendarsi, attenuavano le pene più gravi quando ravvisavano in lui indizi di ravvedimento e abbandonavano al braccio secolare, cioè alla morte, i recidivi che, essendo tornati ai loro errori, facevano perdere ogni fiducia nella loro conversione e nella loro sincerità. La pena capitale non trovava esecuzione rigorosa presso l'Inquisizione e la sentenza era spesso modificata, in netto contrasto con l'immancabile esecuzione del colpevole da parte dei tribunali secolari e con la crudeltà degli organismi inquisitoriali nei paesi protestanti. Dall'esame degli archivi risulta, per esempio, che nella seconda metà del secolo XIII gli inquisitori di Tolosa pronunciarono condanne a morte nella misura dell'1% delle sentenze emesse. Inoltre, gli studiosi hanno completato lo spoglio dei processi inquisitoriali di Bernard Gui (?-1331) - il domenicano calunniato nel romanzo Il nome della rosa, di Umberto Eco, del 1980, e nel film omonimo del regista Jean-Jacques Annaud, del 1986 - constatando che su novecentotrenta imputati solo quarantadue furono rimessi al braccio secolare, mentre centotrentanove vennero assolti e gli altri condannati a pene minori, spesso di straordinaria mitezza.

    Raggiunti i suoi scopi con la distruzione dell'eresia, l'Inquisizione medievale declina ovunque lentamente e, sottoposta sempre più al controllo del potere secolare, scompare da sola, in epoche diverse. La svolta più significativa è compiuta dalla monarchia francese, che sottrae gradualmente agli inquisitori la competenza in materia d'eresia e l'affida ai tribunali reali e al parlamento; durante il grande scisma d'Occidente, anche la facoltà teologica dell'università di Parigi rivendica l'esame e il giudizio sui delitti di eresia. Così, l'Inquisizione in Francia diventa una sigla di cui si appropria il potere politico e su cui la Chiesa non ha più potestà. I tribunali che processano i templari nel 1307 e santa Giovanna d'Arco (1412-1431) non rappresentano più la vera Inquisizione, ma sono espressione del potere "laico".

    3. L'Inquisizione romana

    Nel secolo XVI, di fronte al pericolo rappresentato dalle nuove eresie di Martin Lutero (1483-1546) e di Giovanni Calvino (1509-1564), che devastavano le più fiorenti comunità cristiane d'Europa, la Chiesa cattolica deve intervenire ancora una volta con energia, dopo aver sperimentato invano un atteggiamento conciliante. Il 21 luglio 1542, con la bolla Licet ab initio, Papa Paolo III (1534-1549) riorganizza il sistema inquisitoriale medioevale e istituisce la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o Sant'Uffizio.

    In sostanza, l'autorità dell'Inquisizione romana è limitata agli Stati della penisola italiana, dove ha costituito un bastione invalicabile contro ogni deviazione dottrinale e ha difeso il patrimonio spirituale del popolo italiano, contribuendo alla vittoria della Contro-Riforma sull'Umanesimo, sul Rinascimento e sulla Pseudo-Riforma protestante.

    La storia di questa istituzione non è stata ancora studiata in modo adeguato. Infatti, il carattere anticattolico dell'unificazione dell'Italia ha ridato fiato alla polemica illuminista e alla propaganda protestante, che dipingevano questo organismo come simbolo dell'oscurantismo, conferendo un carattere ideologico alla ricostruzione storica. Uno studio rigoroso delle fonti documentarie avrebbe contribuito non poco a sfatare i luoghi comuni sull'Inquisizione romana. Lo storico Luigi Firpo, esponente di rilievo della cultura laicista, uno dei pochi studiosi che ha avuto accesso anche ai documenti riservati del Sant'Uffizio, intervistato dallo scrittore Vittorio Messori, si è espresso così: "Sono sicuro che l'apertura di quell'archivio, sinora assai limitata anche per esigenze organizzative, gioverebbe molto all'immagine della Chiesa [...]. Aprendo a tutti gli studiosi quelle carte, cadrebbero altri pezzi dell'abusiva leggenda nera che circonda l'Inquisizione".

    Riorganizzata da Papa san Pio X (1903-1914) con la costituzione Sapienti consilio, del 29 giugno 1908, la vecchia Inquisizione è stata riformata da Papa Paolo VI (1963-1978) con il motu proprio Integrae servandae, del 7 dicembre 1965, che ne ha anche mutato il nome in Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede. La riforma ha modificato le procedure del Sant'Ufficio, ma ne ha confermato il compito primario: "tutelare la dottrina riguardante la fede e i costumi di tutto il mondo cattolico" (n. 29), soprattutto mediante la promozione della sana dottrina.

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    00 21/06/2013 09:12

    Di Vittorio Viccardi

    Lasciamo parlare i fatti. Nell'immaginario popolare, il termine Inquisizione è sinonimo, in primo luogo, di "tortura". Chi non ricorda il film "Il nome della Rosa", del regista francese Annaud, sceneggiato dalle pagine dell'omonimo libro di Umberto Eco? Quante altre immagini truculente nei film e nei libri: inquisitori sadici, celle buie e profonde, tenaglie e cavalletti, corpi straziati. Ora, qui - va detto chiaramente - ci troviamo di fronte, quasi sempre, ad immagini che rappresentano un autentico falso storico. In primo luogo: 1'inquisito non era affatto alla mercè del sadismo incontrollato di qualche boia occasionale. La tortura applicata dagli inquisitori - si applicava, allora, ovunque era regolata da norme e disposizioni ecclesiastiche molto precise, severe, che ne stabilivano liceità e procedure, rendendola, concretamente, molto meno dura di quanto si possa immaginare. E' vero: la procedura inquisitoriale ha fatto ricorso alla tortura, che fu ordinata con la bolla Ad extirpanda di Papa Innocenzo IV nel 1252: "ll podestà o il rettore della città saranno tenuti a costringere gli eretici catturati a confessare e a denunciare i loro complici". Ma nella bolla, tuttavia, si precisa - e questo si dovrà pur ricordare, qualche volta che la tortura degli imputati non doveva "far loro perdere alcun membro o mettere la loro vita a repentaglio". Dunque, una tortura, si, ma senza spargimento di sangue e senza mutilazione alcuna. Niente a che fare con quel che sulla tortura ci hanno insegnato giudici e aguzzini dei moderni nostri tempi. Non solo: stando alle disposizioni ecclesiali, la tortura non poteva essere decisa arbitrariamente dal giudice inquisitore, ma necessitava del parere favorevole del Vescovo. Il fatto non è di poco conto: fu voluto proprio per scoraggiare qualche inquisitore troppo ansioso di ottenere confessioni, visto che, frequentemente, Vescovo e inquisitore non andavano d'accordo. E ancora: la tortura doveva essere applicata sotto stretto controllo medico, mai a vecchi e minori, e non poteva durare più di 15 minuti. Immaginiamo la quantità industriale di risate che queste norme avrebbero suscitato se proposte agli aguzzini di un lager nazista o comunista. Inoltre, la tortura - era stabilito - si poteva utilizzare una sola volta, non doveva essere ripetuta e la confessione eventualmente ottenuta non aveva alcun valore ai fini del processo, se non era confermata dall'imputato dopo due giorni ed in condizioni normali. L'unico mezzo consentito era la corda "ma sola in presenza di gravissimi indizi: l'imputato veniva sospeso per le braccia e lasciato cadere sul pavimento due o tre volte. Se non confessava veniva liberato"(Rino Cammilleri, Fregati dalla Scuola, p 70). Ora, a ben guardare, queste norme ci svelano che con il termine "tortura" si indicava qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto ci hanno fatto vedere tribunali più recenti, questi si veramente crudeli. Nazionalsocialismo e Comunismo, in materia di tortura, non avevano certo nulla da imparare. Val la pena di aggiungere che nei processi inquisitoriali la tortura fu applicata con estrema cautela e solo in casi veramente eccezionali. I dati finora in nostro possesso parlano chiaro. nelle 636 sentenze iscritte nel registro di Tolosa dal 1309 al 1323, la tortura fu applicata una sola volta. A Valencia, dal 1478 al 1530 si celebrarono 2354 processi e la tortura si applico solo 12 volte. Se i fatti hanno un senso, il giudizio storico sull'Inquisizione dovrà essere rivisto. Ne era consapevole anche lo storico Luigi Firpo, laicista doc, non credente, attento al vero storico più che alla propaganda: "(...) gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamante celle dell'Inquisizione, dove la vita era ritmata da regolamenti severi ma non disumani. Era, per esempio, prescritto che le lenzuola e federe si cambiassero due volte la settimana[...]. Una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di cosa avessero bisogno".

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    00 21/06/2013 09:20

    "Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana". Una lettura

    Articolo apparso sul n. 278 di Cristianità

    Uno studio dello storico italo-americano John Tedeschi descrive l’organizzazione e le procedure adottate dall’Inquisizione romana per la salvaguardia della fede cattolica e nella lotta contro l’eresia, sfatando numerosi luoghi comuni — soprattutto relativi all’arbitrarietà e alla severità dei tribunali inquisitoriali — ed evidenziando i limiti d’interpretazioni purtroppo sedimentate nell’immaginario collettivo.

    Il 23 gennaio 1998, con l’apertura degli archivi del Sant’Uffizio — peraltro già disposta dal 1902 per casi particolari e limitati —, si è concluso un lento e prudente processo iniziato nel 1881, quando Papa Leone XIII (1878-1903) volle aprire agli studiosi l’Archivio Segreto Vaticano."L’apertura del nostro Archivio — ha dichiarato il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede — si ispira in realtà al compito stesso assegnato dal Santo Padre alla nostra Congregazione di "promuovere e tutelare la dottrina sulla fede e i costumi di tutto l’orbe cattolico". Sono sicuro che aprendo i nostri Archivi si risponderà non solo alle legittime aspirazioni degli studiosi, ma anche alla ferma intenzione della Chiesa di servire l’uomo aiutandolo a capire se stesso leggendo senza pregiudizi la propria storia" (1).

    Intervistato dallo scrittore Vittorio Messori nel 1984, lo storico Luigi Firpo (1915-1989), esponente di rilievo della cultura laicista, uno dei pochi studiosi che ha avuto accesso anche ai documenti riservati del Sant’Uffizio, si è espresso così: "Sono sicuro che l’apertura di quell’archivio, sinora assai limitata anche per esigenze organizzative, gioverebbe molto all’immagine della Chiesa [...]. Aprendo a tutti gli studiosi quelle carte, cadrebbero altri pezzi della abusiva leggenda nera che circonda l’Inquisizione" (2).

    L’immagine dell’Inquisizione sta infatti mutando, e in senso favorevole, presso gli specialisti, grazie ai risultati della rinnovata ricerca storica. Inoltre, alcune apprezzabili iniziative editoriali stanno mettendo a disposizione di un vasto pubblico testi poco conosciuti al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori. È questo il caso dell’Elogio della Inquisizione, traduzione della voceInquisition, scritta dallo storico e giornalista francese Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953) per ilDictionnaire apologétique de la foi catholique, edito fra il 1911 e il 1913 (3), nota finora soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate e molto utile per un primo approccio allo studio dell’Inquisizione medioevale, la cui fondazione è fatta risalire a Papa Gregorio IX (1227-1247). Anche la storiografia sull’Inquisizione spagnola — l’istituzione creata nel 1478 da Papa Sisto IV (1471-1484), su sollecitazione della regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e di re Ferdinando d’Aragona (1452-1516) — ha prodotto negli ultimi decenni rilevanti contributi, sostanziati da approfondite ricerche d’archivio, che hanno consentito di superare i pregiudizi di carattere ideologico su questa istituzione e che sono a disposizione del lettore comune, anche in Italia, grazie alle sintesi offerte dall’inglese Henry Arthur Francis Kamen, dal francese Bartolomé Bennassar e dal danese Gustav Henningsen (4). Una rivisitazione degli studi storici è in corso anche per quanto riguarda l’Inquisizione romana — più precisamente la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione, o Sant’Uffizio, istituita da Papa Paolo III (1534-1549) nel 1542 —, la cui autorità si estendeva soltanto su una parte della penisola italiana, perché in Sicilia e in Sardegna operava l’Inquisizione spagnola, mentre negli altri domìni asburgici, il Regno di Napoli e lo Stato di Milano, le funzioni inquisitoriali erano svolte dai tribunali episcopali del luogo (5).

    Uno studio innovativo

    Autore dei "primi studi realmente innovativi sul tema" (6) è John Tedeschi, di cui nel 1997 è stato pubblicato in Italia Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana (7) — raccolta di undici saggi scritti fra il 1971 e il 1988, tutti ampiamente rivisti e aggiornati, nonché corredati di un imponente apparato critico e bibliografico —, che offre finalmente al grande pubblico i risultati di una ricerca ventennale.

    Nato a Modena nel 1931, Tedeschi è emigrato negli Stati Uniti d’America all’età di otto anni, ha studiato all’Università di Harvard, dove la sua attenzione si è concentrata sulla diffusione del protestantesimo in Italia, è stato professore associato nelle università di Chicago, dell’Illinois a Chicago e del Wisconsin a Madison, ha lavorato per quasi due decenni alla Newberry Library, sempre a Chicago, dove ha fondato il Center for Reformation Research Studies. Ha inoltre ricoperto la carica di presidente della Society for Reformation Research e della Sixteenth Century Studies Conference, e ha fatto parte del comitato esecutivo della Renaissance Society of America dal 1971 al 1996.

    Quando, nel 1967, ha cominciato a occuparsi dell’Inquisizione romana, ben poco era offerto a chi non volesse fermarsi alle generalizzazioni dello storico statunitense Henry Charles Lea (1825-1909), autore di uno studio monumentale sull’Inquisizione medioevale (8). Le fonti inquisitoriali, infatti, erano state utilizzate fino ad allora soltanto da quanti si occupavano degli eretici italiani con l’intenzione di studiare non l’Inquisizione ma quanti ne erano stati vittime: "[...] il carattere liberale e anticlericale dell’unificazione italiana — osserva lo storico Adriano Prosperi — ha portato a inseguire un’identità nazionale attraverso la storia della cultura e degli intellettuali che avevano unito l’Italia all’Europa (in particolare, l’Europa protestante e liberale) [...]. Insomma, l’autobiografia immaginaria della borghesia risorgimentale incluse da allora una serie di illustri precursori, di spiriti liberi, le cui vicissitudini con la Chiesa e con l’Inquisizione vennero studiate amorevolmente. Ma proprio il carattere ideologico di quell’interesse si rivela nella scarsità di indagini storiche che ne derivava" (9).

    Lo studioso italo-americano decide dunque di fondare le sue ricerche sull’esame rigoroso delle molteplici fonti a disposizione per ricostruire correttamente l’iter di un processo inquisitoriale, dalle prime convocazioni alle deliberazioni finali. Fin dall’inizio dei suoi studi, consultando la ricca collezione dei manoscritti conservati nel Trinity College di Dublino, in Irlanda — contenenti sentenze emesse in Italia fra il 1564 e il 1659 — s’imbatte in una serie di elementi che forniscono un quadro nuovo della giustizia inquisitoriale: "il convento o l’abitazione come luoghi prevalenti in cui scontare una pena detentiva; l’importanza attribuita alle circostanze attenuanti e alla consulenza di specialisti nel campo del diritto e della teologia; la relativa mitezza delle sentenze dei processi per stregoneria; il gran numero di casi che si concludevano con abiure sulle gradinate delle chiese; la rarità del ricorso alla pena capitale" (p. 25) e la constatazione che il "carcere perpetuo" non comportava mai l’imprigionamento a vita ma, generalmente, una detenzione di tre anni. "Un banale fraintendimento della terminologia inquisitoriale ha quindi fuorviato più di uno studioso in buona fede, e contribuito alla cattiva fama dell’istituzione" (p. 26), osserva lo storico, che rievoca anche il caso di uno studio sull’eresia a Mantova, il cui autore aveva scorrettamente sostituito "abiurare" con "abbruciare" tutte le volte in cui la prima espressione compariva nel testo: "E quando un autore successivo si sentì tenuto a parlare di "eccessi" dell’Inquisizione mantovana, la sua fonte fu quel resoconto filologicamente inquinato. È chiaro che simili leggerezze autoperpetuantisi non hanno contribuito a un esame obiettivo dell’argomento" (p. 20).

    L’esame delle fonti

    Tedeschi non si propone di chiarire le origini della leggenda nera sulla spietatezza e sull’arbitrarietà dell’Inquisizione, rinviando a uno studio specifico sul tema (10), ma prende in esame alcuni fattori che hanno contribuito al perpetuarsi di vecchi stereotipi e di fraintendimenti: "Si va dall’uso improprio delle fonti alle affermazioni non sorrette dai dati di fatto e, in qualche caso, a quelli che appaiono deliberati tentativi di distorcere la realtà" (p. 29), cui si aggiungono la tendenza da parte di alcuni autori a considerare regola le aberrazioni, la presenza di contraddizioni anche in una stessa opera e il disaccordo fra gli storici su punti fondamentali pure se facilmente verificabili sulla base dei documenti consultabili. Infatti, la gamma di fonti a disposizione degli studiosi è piuttosto ampia, nonostante le gravi perdite subìte dagli archivi dell’Inquisizione romana, distrutti o dispersi in Irlanda, in Belgio, in Francia, in Italia e, in misura minore, negli Stati Uniti d’America, in conseguenza del saccheggio del Sant’Uffizio operato da funzionari napoleonici nel 1810 e dei danni patiti dalle Inquisizioni provinciali di Firenze, di Milano e di Palermo a causa del vandalismo giacobino o della soppressione delle istituzioni religiose. "La politica della porta chiusa del Sant’Uffizio — osserva Tedeschi — si basa su una decisione burocratica interna e non rappresenta la posizione ufficiale della Chiesa cattolica riguardo all’accesso ai documenti dell’Inquisizione. Raccolte ecclesiastiche provinciali ricche di documenti su tale argomento a Napoli, Pisa, Udine, Firenze e altrove, in misura crescente vengono messe a disposizione degli storici a scopo di ricerca; e innumerevoli codici inquisitoriali conservati presso la Biblioteca Vaticana e l’Archivio Segreto Vaticano sono stati messi a disposizione di studiosi di tutto il mondo, anche sotto forma di microfilm" (p. 214, nota 1).

    Alcuni studiosi, anche in anni recenti, hanno sollevato il problema dell’attendibilità dei processi inquisitoriali come documenti storici, e Carlo Ginzburg, in particolare, ha sottolineato il divario di estrazione sociale e culturale che spesso separava giudice e imputato, chiedendosi se tali fonti, pervenuteci attraverso il filtro dei rappresentanti delle classi colte, siano in grado di informarci correttamente sulle idee e sulle affermazioni dell’imputato e dei testimoni (11). A questa domanda — in merito alla quale è già stato osservato, in occasione dell’esame di particolari fonti inquisitoriali medioevali, che "[...] i verbali degli interrogatori sono assai più pieni di vita e aderenti alla verità di quanto normalmente, ma erroneamente, si creda" (12) — Tedeschi risponde che i più responsabili fra i funzionari del Sant’Uffizio erano consapevoli di questa difficoltà e cercavano di evitare possibili abusi. La raccomandazione di evitare scrupolosamente le domande tendenziose e, in generale, di spingere l’interrogatorio in una direzione prestabilita era ripetuta in continuazione sia nei manuali di teoria dei procedimenti inquisitoriali sia nella corrispondenza fra Roma e i tribunali provinciali. La Congregazione del Sant’Uffizio, inoltre, vigilava sulle articolazioni locali, imponendo la puntuale applicazione della legislazione e mirando all’uniformità dei procedimenti: "Decisioni capricciose e arbitrarie, abusi di potere e flagranti violazioni dei diritti umani non erano tollerati" (p. 30).

    Oltre la leggenda nera

    Le ricerche di Tedeschi consentono di sfatare una lunga serie di luoghi comuni. L’Inquisizione, grazie alla prescrizione, sempre rispettata, di mettere per iscritto le fasi della procedura, le deposizioni e le testimonianze — gli inquisitori "[...] non ritenevano di avere niente di vergognoso da nascondere" (p. 97) —, è una delle prime istituzioni del passato su cui è disponibile una quantità di dati tale da rendere impossibile ogni travisamento storico sia sull’organizzazione sia sulla prassi adottata. Gli inquisitori erano, in genere, persone dotte, oneste e di costumi irreprensibili, poco inclini a decidere in fretta e arbitrariamente la sorte dell’imputato, volti invece ad accordare il perdono al reo e a farlo rientrare in seno alla Chiesa. Diverse garanzie giuridiche a tutela dell’accusato erano parte integrante della procedura inquisitoriale. È accertato che più di un imputato abbia chiesto e ottenuto il cambiamento della sede e la sostituzione dell’inquisitore che si occupava del suo caso, avendo potuto dimostrarne la mancanza di obbiettività. "Non è un’esagerazione affermare che il Sant’Uffizio fu in certi casi un pioniere della riforma giudiziaria. L’avvocato difensore era parte integrante della sua procedura [...], nei tribunali dell’Inquisizione l’imputato riceveva una copia autenticata dell’intero processo [...] e disponeva di un ragionevole lasso di tempo per preparare la propria replica" (p. 30). Inoltre, molti manuali inquisitoriali abbondavano di consigli su possibili strategie difensive.

    Nella prassi giudiziaria romana l’uso della tortura era attentamente controllato e sottoposto a una serie di limitazioni: in particolare, occorreva l’autorizzazione del tribunale centrale, che la concedeva soltanto quando i cardinali inquisitori, assistiti da un’équipe di teologi e di specialisti in diritto canonico, ritenevano di aver ricevuto tutte le informazioni importanti sul caso in esame. La tortura doveva essere moderata affinché la vittima, se innocente, potesse tornare a godere la libertà, e, se colpevole, potesse ricevere la giusta punizione. Sebbene fino al secolo XVII l’Inquisizione, come tutti gli altri sistemi giudiziari europei, non abbia rinunciato a ricorrere alla tortura in quelle particolari situazioni in cui si riteneva che una parte essenziale della verità venisse celata pervicacemente, gli inquisitori, a differenza dei giudici civili, ne facevano uso raramente, ritenendo che fosse un fragile e rischioso strumento, spesso incapace di condurre alla verità, soprattutto perché molti riuscivano a sopportare i tormenti grazie alla loro forza d’animo e fisica (13).

    Sebbene si pensi generalmente il contrario, solo una piccola percentuale di procedimenti inquisitoriali si concludeva con la condanna a morte, che era riservata ai pertinaci, non disposti in alcun caso a riconciliarsi con la Chiesa, e ai relapsi, i ricaduti, giudicati colpevoli di eresia già in passato. "I dati disponibili sui rei consegnati dall’Inquisizione al braccio secolare indicano che una percentuale decisamente modesta di essi fu giustiziata" (p. 85). Fra i primi mille imputati che comparvero davanti al tribunale di Aquileia fra il 1551 e il 1647 solo quattro furono giustiziati. A Milano nella seconda metà del 1500 si contarono dodici esecuzioni capitali per eresia e soltanto una a Modena, nel 1567. Quanto alle oltre duecento sentenze, alcune concernenti più di un imputato, contenute nei manoscritti del Trinity College, solo in tre di esse era invocata l’estrema sanzione, mentre a Roma si contarono novantasette condannati a morte dal Sant’Uffizio fra il 1542 e il 1761. Dati analoghi emergono dal confronto con l’Inquisizione spagnola, che fra il 1540 e il 1700 ha comminato 820 volte la pena capitale su un totale di 44.000 casi, cioè una percentuale dell’1,9 per cento.

    Inoltre, poiché la carcerazione come pena anziché come misura precauzionale durante il procedimento fece la sua comparsa in Europa negli ultimi decenni del 1500, "[...] l’Inquisizione, col suo secolare ricorso alla detenzione ad poenam, dev’essere considerata all’avanguardia anche nel diritto penale, in un’epoca in cui le altre opzioni a disposizione del giudice si riducevano al rogo, alla mutilazione, alle galee e all’esilio" (p. 31). Basandosi su vari documenti, compresi quelli del processo a Giordano Bruno (1548-1600), nonché su un sopralluogo in prima persona, Luigi Firpo ha ricostruito le condizioni di vita nelle prigioni romane del Sant’Uffizio, demolendo le teorie fantasiose di alcuni autori: "Si scoprirebbe poi che gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono le vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell’Inquisizione, dove la vita era ritmata da regolamenti severi ma non disumani. Era, per esempio, prescritto che lenzuola e federe si cambiassero due volte alla settimana: roba da grande albergo.... [...] Una volta al mese, i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di che avessero bisogno. Mi sono imbattuto in un recluso friulano che chiese di avere birra al posto del vino. Il cardinale ordinò che si provvedesse, ma, non riuscendo a trovare birra a Roma, ci si scusò con il prigioniero, offrendogli in cambio una somma di denaro perché si facesse venire la bevanda preferita dalla sua patria" (14).

    Ai responsabili di reati particolarmente gravi e ripugnanti era riservata invece la detenzione sulle galee, "[...] che possono essere considerate, in un certo senso, l’equivalente delle nostre carceri di massima sicurezza" (p. 117).

    Se il rogo, la reclusione "a vita" e i lavori forzati sulle galee sono le sanzioni associate nella mente dei più ai processi dell’Inquisizione, l’esame delle sentenze mostra il predominio di pene molto più lievi. "Con particolare frequenza si incontrano atti di umiliazione pubblica sotto forma di abiure lette sulle gradinate delle chiese, di domenica o in occasione di festività religiose, di fronte a folle di fedeli; multe o servigi a favore di istituzioni caritative; e cicli apparentemente interminabili di preghiere e atti di devozione da compiere per mesi e anni" (p. 119). Spesso erano comminati gli arresti domiciliari, generalmente congiunti allo svolgimento di attività utili alla comunità e al ricupero morale del reo (15).

    Per quanto riguarda la tipologia dei reati si colgono sostanziali differenze fra i due grandi sistemi inquisitoriali dell’età moderna, derivanti dal fatto che l’Inquisizione romana era stata rifondata nel 1542 per fronteggiare la diffusione del protestantesimo nella penisola italiana, mentre quella spagnola era stata istituita più di mezzo secolo prima per affrontare il problema delle false conversioni dall’ebraismo al cristianesimo. Negli Stati italiani, quindi, il "luteranesimo" fu la preoccupazione maggiore dei funzionari inquisitoriali, finché nel secolo XVII la pratica della magia soppiantò il protestantesimo come capo d’imputazione più comune. Peraltro, l’assidua vigilanza di Roma nei confronti della magia — nella quale raramente erano incluse la stregoneria o il satanismo — non comportò una grande severità in termini di pene. "Come riconosciuto anche da Lea quasi un secolo fa, entrambe le grandi Inquisizioni del Mediterraneo erano assai caute e moderate a questo riguardo, in confronto ai tribunali secolari" (p. 85). Tedeschi, fra l’altro, contesta la tesi secondo cui il manuale inquisitoriale Malleus maleficarum, scritto dai domenicani tedeschi Heinrich Kramer (1430 ca.-1505) e Jakob Sprenger (1436 ca.-1495) e pubblicato nel 1486, sia stato il testo canonico per la persecuzione dei sospettati di stregoneria nei due secoli seguenti, documentando come una filosofia radicalmente opposta trovasse consensi crescenti nei tribunali del Sant’Uffizio nella seconda metà del 1500 fino a raggiungere dignità di norma con l’Instructio pro formandis processibus in causis strigum, sortilegiorum et maleficiorum, del 1624.

    Conclusione

    L’Inquisizione ha rappresentato un fenomeno plurisecolare e dalle molteplici caratteristiche a seconda dei luoghi e dei contesti storici nei quali si è esplicato, ma è stata comunque "[...]espressione del passaggio da una società contraddistinta dalla convivenza fra le diverse comunità religiose a un’altra sempre più contrassegnata da conflitti, e [...] la risposta della Chiesa e della cristianità alla minaccia rappresentata dall’eresia (Catari e Albigesi) e, successivamente, in Spagna, dalle false conversioni di giudei e musulmani" (16). Come il ruolo svolto dai tribunali inquisitoriali fu decisivo per assicurare la pace sociale e religiosa in Spagna, così l’Inquisizione romana ha rappresentato nella penisola italiana un bastione invalicabile contro ogni deviazione dottrinale in tempi "[...] in cui la Chiesa — come ricorda il cardinale Ratzinger — ha dovuto difendere la fede dei più piccoli in contesti frequentemente polemici se non manifestamente aggressivi" (17).

    La storia di questa istituzione è stata travisata e deformata per secoli, finché accurate ricerche documentarie hanno aperto la strada a lavori scientifici innovativi, anche grazie all’esempio e allo stimolo forniti dall’opera di John Tedeschi. È auspicabile ora che la nuova immagine dell’Inquisizione esca dall’ambito specialistico ed entri a pieno titolo nel patrimonio culturale anzitutto dei cattolici, i quali sono ancora affetti da un ingiustificato complesso d’inferiorità a causa di una scarsa conoscenza della loro storia.

    Francesco Pappalardo

    (1) Card. Joseph Ratzinger, "La soglia della verità", in Avvenire, anno XXXI, n. 19, 23-1-1998, p. 21. Già un secolo fa Papa Leone XIII, dopo aver osservato che, almeno negli ultimi tempi, "[...] si può asserire fondatamente che la scienza storica sembra essere una congiura degli uomini contro la verità" (Epistola Saepenumero considerantes, del 18-8-1883, in Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740, vol. V, Leone XIII (1878-1903), parte prima, 1878-1891,Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 158-165 [p. 159]), affermava: "I non travisati ricordi dei fatti, se analizzati con animo tranquillo e senza opinioni pregiudiziali, di per se stessi difendono, spontaneamente e magnificamente, la Chiesa e il Pontificato" (ibid., p. 158).

    (2) Cit. in Vittorio Messori, Inchiesta sul cristianesimo, Società Editrice Italiana, Torino 1987, p. 27.

    (3) Jean-Baptiste Guiraud, Elogio della Inquisizione, a cura di Rino Cammilleri, con un invito alla lettura di Vittorio Messori, Leonardo, Milano 1994 (cfr. la mia recensione in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 24-26). Sull’Inquisizione medioevale vedi anche Leo Moulin,L’Inquisizione sotto inquisizione, a cura dell’Associazione Culturale ICARO, Cagliari 1992; e il mioL’Inquisizione medioevale, in IDIS, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", a cura di Giovanni Cantoni e con una presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 131-136.

    (4) Henry Kamen, Inquisition and Society in Spain in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Weidenfeld and Nicolson, Londra 1985, di cui esiste una successiva traduzione spagnola ampliata,La inquisición española, Editorial Crítica, Barcellona 1985, che modifica radicalmente il giudizio negativo espresso nel 1965 (cfr. L’Inquisizione spagnola, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973); nonché Idem, The Spanish Inquisition. A Historical Revision, Yale University Press, New Haven, Connecticut 1998; Bartolomé Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo, trad. it., Rizzoli, Milano 1994; e Gustav Henningsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990. Una rassegna bibliografica sull’argomento è stata compiuta da Brian van Hove S.J., Oltre il mito dell’Inquisizione, in La Civiltà Cattolica, anno 143, vol. IV, quaderno 3419, 5-12-1992, pp. 458-467, e quaderno 3420, 19-12-1992, pp. 578-588. Cfr. anche Joseph De Maistre (1753-1821), Elogio dell’Inquisizione di Spagna, con prefazione di Rino Cammilleri, Il Cerchio, Rimini 1998; e il mio L’Inquisizione spagnola, in IDIS, Voci per un "Dizionario del Pensiero Forte", cit., pp. 137-142.

    (5) Cfr. Adriano Prosperi, L’Inquisizione: verso una nuova immagine?, in Critica storica, anno XXV, gennaio-marzo 1988, n. 1, pp. 119-145, e Idem, L’Inquisizione romana. Dal declino della mentalità magica ai conflitti interni al clero, alla storia della censura, in Prometeo. Rivista trimestrale di scienze e storia, anno 11, n. 44, dicembre 1993, pp. 18-29, nonché Idem, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1966. Cfr. anche AA.VV.,L’Inquisizione romana in Italia nell’età moderna. Archivi, problemi di metodi e nuove ricerche, a cura di Andrea Del Col e Giovanna Paolin, Atti del seminario internazionale di Trieste (18/20-5-1988), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1991. Sull’Inquisizione spagnola in Italia cfr. Agostino Borromeo, Contributo allo studio dell’Inquisizione e dei suoi rapporti con il potere episcopale nell’Italia spagnola, in Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, anno XXIX-XXX (1977-1978), Roma 1979, pp. 219-276. Sull’attività dei tribunali inquisitoriali a Napoli e a Milano, dove non fu mai accettata l’introduzione dell’Inquisizione spagnola, perché avrebbe minacciato privilegi e libertà tradizionali, cfr. Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990; e Romano Canosa, Storia dell’Inquisizione in Italia dalla metà del Cinquecento alla fine del Settecento, 5 voll., Sapere 2000, Roma 1986-1990.

    (6) A. Prosperi, L’Inquisizione in Italia, in Clero e società nell’Italia moderna, a cura di Mario Rosa, Laterza, Bari-Roma 1992, pp. 275-320 (p. 293).

    (7) Cfr. John Tedeschi, Il giudice e l’eretico. Studi sull’Inquisizione romana, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 1997 (The Prosecution of Heresy. Collected Studies on the Inquisition in Early Modern Italy, Binghamton, New York, 1991). Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a quest’opera.

    (8) Cfr. Henry Charles Lea, A History of the Inquisition of the Middle Ages, New York 1887, 3 voll. È significativo che Lea, sebbene poco benevolo nei confronti dell’Inquisizione, abbia scritto che, nel Medioevo, "[...] la causa dell’ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso"(Storia dell’Inquisizione. Fondazione e procedura, trad. it. del primo volume, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, p. 118).

    (9) A. Prosperi, L’Inquisizione: verso una nuova immagine?, cit., pp. 127-128.

    (10) "Tanto la storia quanto il mito sono brillantemente discussi da E[dward]. Peters in Inquisition,New York-London 1988" (p. 201, n. 3).

    (11) Cfr. Carlo Ginzburg, Stregoneria e pietà popolare. Note a proposito di un processo modenese del 1519, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Sezione II. Lettere, storia e filosofia, vol. XXX, 1961, pp. 269-287, e più in generale Idem, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Einaudi, Torino 1966.

    (12) Giovanni Grado Merlo, I registri inquisitoriali come fonti per la storia dei gruppi ereticali clandestini. Il caso del Piemonte basso medievale, in Histoire et clandestinité du Moyen-Âge à la première guerre mondiale. Colloque de Privas (Mai 1977), a cura di M. Tilloy, Gabriel Audisio e Jacques Chiffoleau, Albi 1979, pp. 59-74 (p. 72).

    (13) Tedeschi in proposito riporta una considerazione di John Langbein, autore di Torture and the Law of Proof. Europe and England in the Ancien Régime (Chicago-Londra 1977, p. 185):"Dobbiamo tenere presente che nessun aspetto della condizione umana è mutato così radicalmente, nel ventesimo secolo, come la tolleranza della sofferenza fisica. I comuni analgesici e l’anestesia hanno in gran parte eliminato dalla nostra vita l’esperienza del dolore somatico. A causa di malattie, parti, interventi chirurgici e odontoiatrici i nostri antenati si abituavano a livelli di sofferenza che per noi risultano incomprensibili" (p. 300, nota 113).

    (14) Cit. in V. Messori, Inchiesta sul cristianesimo, cit., p. 27.

    (15) Lo scienziato pisano Galileo Galilei (1564-1642) fu condannato agli arresti domiciliari — scontati nella sua villa di Arcetri, presso Firenze, dove continuò a ricevere gli allievi e potè completare la stesura di alcune opere — e alla recita settimanale dei salmi penitenziali: cfr. Luciano Benassi, Galileo Galilei. La leggenda del "martire" della scienza moderna, in AA. VV., Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, a cura di Franco Cardini, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1994, pp. 329-352.

    (16) Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti, Integrazioni bibliografiche, in J.-B. Guiraud, Elogio della Inquisizione, cit., pp. 165-189 (pp. 167-168), che riprendono una considerazione di Henry Kamen.

    (17) Cad. J. Ratzinger, artcit.

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    00 21/06/2013 09:22
    Elogio della Inquisizione

    Jean-Baptiste Guirard

    Invito alla lettura di Vittorio Messori

    Jean-Baptiste Guiraud nasce nel 1866 nel dipartimento francese dell'Aude, corrispondente a parte della storica Linguadoca, con capitale a Carcassonne. Tra i molti fratelli, Paul, docente di Storia Greca alta Sorbona, tuttora ben noto, per i suoi studi, agli specialisti dell'antichità classica. Dopo un buon curriculum di studi a Parigi, alla Ecole Normale Supérieure, Jean-Baptiste fu accolto fra le giovani promesse culturali della nazione celebre Ecole Française di Roma. Qui si dedicò, con intelligenza pari alla tenacia, allo studio del papato medioevale, penetrando per primo in archivi sino ad allora inaccessibili e dando alla luce ponderose opere di erudizione. Tornato in patria, dopo aver insegnato nelle scuole superiori, entrò all'Università di Besançon dove, ai primi del Novecento, ottenne la cattedra di Storia Medioevale. A quel punto, osserva un suo profilo biografico, "la carriera dell'ancor giovane docente sembrava già tutta tracciata: l'inevitabile cattedra alla Sorbona, l'elezione all'Institut, la cravate da commendatore della Legion d'Onore, il prestigio sociale, il benessere economico"Le cose invece andarono diversamente. Cattolico prima per tradizione familiare, ma poi per convinzione via via rafforzata anche dai suoi studi e dal soggiorno romano, temperamento ardente, pur sempre sorvegliato dall'esercizio di studi rigorosi, Guiraud intervenne a viso aperto contro la politica di persecuzione dei cattolici portata avanti dalla Terza Repubblica, la quale, dominata da potenti Gran Maestri massoniciespressione politica delle Logge pìù radicali, nell'anticlericalismo virulento cercava diversivi a scandali come quello di Dreyfus o ai tanti altri, finanziari e politici, che ne rendevano agitata e precaria l'esistenza.

    Il già noto e promettente docente di Besançon non esito a mettersi a capo dli combattivi organismi del laicato cattolico, soprattutto per difendere la "scuola libera " , quella delle congregazioni religiose, contro il monopolio statale che, manu militari , sopprimeva gli istituti confessionali. Giurard pose al servizio dell'opposizione cattolica non solo il suo talento di organizzatore, singolare per un intellettuale del suo livello, ma anche la sua preparazione scientifica, coordinando tra l'altro la redazione di manuali per i vari gradi scolastici che, sotto il titolo di Historie partiale, Histoire vraie, cercavano di ristabilire la verità gravemente travisata, a proposito della storia della Chiesa nei testi ufficiali imposti a tutti i giovani dal monopoIio statale della Repubblica.

    Questa sua lotta gli costerà la carriera universitaria, già messa in pericolo dal taglio giudicato "intollerabilmente cattolico" delle opere, pur rigorosamente scientifiche, pubblicate nel frattempo sui temi di storia religiosa medioevale di cui era specialista.

    Dopo vari ammonimenti e il congelamento sia di avanzamenti che di trasferimenti in sedi più prestigiose, nel 1913 lo stesso ministro dell'Educazione Nazionale gli indirizzava pubblicamente - cosa del tutto inconsueta, sino ad allora, in una Francia che si diceva "maestra di libertà" - una "disapprovazione ufficiale ". Come non mancò di notare lo stesso Guirard, della cultura che della "leggenda nera " sull'Inquisizione cattolica aveva fatto un suo cavallo di battaglia, giungeva un provvedimento di censura delle idee e di repressione di atteggiamenti non in linea con i dogmi ufficiali. Poco dopo, si poneva in congedo dall'insegnamento universitario, e più tardi chiedeva (e naturalmente lo otteneva) la pensione anticipata. Un destino di persecuzione, il suo, che lo accomuna a molti altri, tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e il primo Novecento. Si pensi, per fare un esempio italiano, a quel Francesco Faà di Bruno proclamato beato nel 1988 nel centenario della morte, cui l'Università di Torino negò sempre una cattedra, malgrado i meriti scientifici riconosciuti anche all'estero e le benemerenze di patriota: sua sola colpa, la fedeltà alla Chiesa.

    Costretto a scendere dalla cattedra, Guirard continuò il suo impegno a servizio di una verità cui aderiva interamente nelle redazioni dei giornali; in effetti divenne redattore capo dell'allora battagliero quotidiano cattolico La Croix. Qui conserverà incarichi direttivi sino all'inizio della seconda guerra mondiale, nell'autunno del 1939. A 73 anni ritornerà completamente, ancora una volta con piglio giovanile, a quei suoi studi storici di livello accademico che peraltro non aveva affatto abbandonato nel periodo giornalistico. Accanto ad altre pubblicazioni, Guirard aveva portato avanti il lavoro, iniziato sin dalla giovinezza, negli archivi italiani per una monumentale Storia generale dell'Inquisizione nel Medioevo: uno studio a cui lo portava quasi naturalmente, fra l'altro, l'essere nato e vissuto nelle terre che avevano visto quel dramma cataro che è all'origine della reazione inquisitoriale. Erano apparsi due tomi, forse i meno significativi perché di inquadramento generale del problema, quando un bombardamento, nel 1940, distruggeva sia il materiale documentario accumulato sia. le stesure già avanzate delle altre parti, quelle decisive, della grande opera. A Guiraud restavano altri tredici anni, ma l'età ormai avanzata, l'occupazione tedesca, il caotico dopoguerra gli impedirono di ricostruire quel lavoro di decenni sepolto sotto le bombe.

    Come ha scritto non molto tempo fa un prestigioso specialista, Yves Dossat, "ben pochi storici hanno avuto una così grande capacità di lavoro, ben pochi hanno dato una produzione così importante. Malgrado l'ovvio procedere degli studi, i lavori di Jean-Baptiste Guiraud conservano la loro importanza: è ben difficile studiare numerose questioni di storia religiosa medioevale senza consultare ancor oggi, e attentamente, le sue opere"; concludendo con la constatazione: "Ci ha lasciato un'opera storica di prim'ordine. Ma oltre a questi libri, ci ha lasciato un esempio di coraggio e di amore della verità". Guiraud fu tra l'altro fra i collaboratori di una delle opere più impegnative del contrastato ma - forse proprio per questo - vivissimo cattolicesimo francese dei primi decenni di questo secolo. Si tratta dei quattro volumi, più uno di indici, editi dal parigino Beauchesne sotto la direzione del grande teologo gesuita Ademaro D'Alès, del Dictionnaire apologétique de la foi carbolique: quasi diecimila pagine che, in formato grande e in corpo piccolo, contengono una massa impressionante di notizie, presentate dai nomi migliori della cultura cattolica. Una miniera che, malgrado il tempo trascorso e il cambiamento di clima nella Chiesa, sembra ben lungi dall'essere esaurita. Lo testimonia tra l'altro il fatto che quei volumi, esauriti da gran tempo, sono attivamente ricercati sul mercato delle opere non più in commercio, e una qualche loro rara apparizione sui cataloghi specializzati si risolve in una sorta di gara fra studiosi privati e direttori di biblioteche per assicurarseli. Con un pizzico di malizia è stato più volte notato che molto del materiale di questo grande Dictionnaire sta dietro a non poche pubblicazioni cattoliche anche contemporanee, pur se i "saccheggiatori" non osano citare un'opera che il gusto comune oggi vorrebbe squalificare come "apologetica". Quello in effetti - e con onestà dichiarato esplicitamente già dal titolo - fu il taglio propostosi dai curatori, ma senza mai perdere di vista le ragioni della scienza e della verità. Così fece anche - e non poteva essere altrimenti, visto il pedigree di studioso - Jean-Baptiste Guiraud nelle voci da lui firmate, e in particolare in quella dal titolo Inquisition* tema su cui era già allora tra i massimi studiosi viventi. Da questa voce ricavò - pubblicandolo nel 1929 nella prestigiosa collezione La Vie Chrétienne - un volume dal titolo, ovviamente, L'Inquisition médiévale, che fu tradotta in molte lingue (da noi, nel 1933, dalle Edizioni del Corbaccio) e che ebbe un grande impatto soprattutto negli Stati Uniti, nella versione inglese. Si tratta di una sintesi che, assieme alle sue opere più ponderose, esplicitamente scientifiche, è tuttora citata anche nelle bibliografie divulgative e la cui funzione non è ancora esaurita, visto che l'ultima ristampa francese (presso Tallandier) è del 1978.

    Non aveva invece mai avuto traduzione da noi la voce - pur famosa e molto usata, anche se talvolta in quel modo un po' "occulto" che dicevamo - del Dictonnaire apologétiqtie. Ora l'editore ha pensato (e giustamente, a nostro avviso) di mettere a disposizione un testo accessibile soltanto ai frequentatori di biblioteche specializzate, e che è stato invece pensato e scritto per il pubblico più largo, con intenzioni quasi da "pronto soccorso", da materiale di "primo impiego".

    In effetti, forse ancor più che nel libro che ne trarrà alcuni anni più tardi, l'intenzione di Guiraud è qui divulgativa, informativa: una ricostruzione dei fatti - semplice quanto rigorosa - nel presupposto che per il cattolico non c'è altra "apologetica" possibile che testimoniare per la verità e sottoporre a verifica le idées reçues. Una chiarificazione, questa, particolarmente importante riguardo al nostro tema, che è tra i principali della "leggenda nera" anticattolica creata prima dalla polemica protestante e poi rilanciata e radicalizzata dall'illuminismo settecentesco, e via via da tutti gli anticlericalismi moderni sino a noi. Non a caso, riassumendo una situazione che perdura ormai da un paio di secoli, refrattaria a ogni tentativo di confutazione (anche se, Occorre riconoscere, negli ultimissimi tempi qualcosa sembra cambiare: anche qui un sano e fondato "revisionismo" conquista soprattutto i giovani studiosi>, un libro recente l'argomento inizia così: "Santa Inquisizione ... Quando si pronunciano queste parole, un brivido di orrore corre lungo le schiene dei benpensanti: giudici incappucciati, fanatici e feroci, orride prigioni, atroci torture, roghi da cui s'innalzano le ultime grida disperate di vittime innocenti vengono evocati da questo nome esecrato. Quando lo sentono pronunciare in occasione di qualche discussione, i cattolici arrossiscono e tentano di cambiare discorso".

    Ebbene, il proposito di Guiraud era netto e vigoroso: aiutare i cattolici non a "cambiare", ma ad "affrontare" il discorso.

    Intendiamoci: c'è una certa, seppure comprensibile, forzatura nella scelta editoriale del titolo. Guiraud è uno storico vero, dunque sa come la vicenda umana - quella della Chiesa istituzionale e dei suoi uomini non esclusa - sia sempre, al contempo, in bianco e nero. Dunque, il suo non è tanto un rischioso "elogio dell'Inquisizione", ma un onesto quanto esplicito aiuto alla "comprensione": un capire "come andò davvero". E spesso non andò affatto come tanti raccontavano ai suoi tempi e raccontano ancora (magari, ed è la sconcertante novità di questo tempo ecclesiale, in qualche ambiente cattolico, e non dei più sprovveduti, afflitto da singolare masochismo che scambia il mitico "dialogo" per l'accettazione acritica di ogni accusa infamante alla Chiesa storica).

    Secondo la partizione classica, come si sa, tre furono le Inquisizionì: quella medioevale, dal XII al XVI secolo, presente in tutti i paesi cristiani, a eccezione di Inghilterra, Irlanda e Scandinavia; quellaspagnola, instaurata nel 1478 su richiesta dei reali Ferdinando e Isabella (e fu la più longeva, essendo stata abolita ufficialmente solo nel 1834); infine quella romana, istituita da Paolo III nel 1452, che, almeno formalmente, funzionò m Italia (eccetto la Sicilia) fino alla metà del Settecento.

    In queste pagine Guiraud si occupa soltanto della prima Inquisizione, quella medioevale, che è poi quella che più ha solleticato l'ìmmaginario popolare e la fantasia del romanzo noir (come ha confermato, ancora una volta il fenomeno editoriale dell'echiano Il nome della rosa, dove un truculento protagonista è quel Bernardo Gui che nelle pagine che qui seguono puntualmente ritroviamo; e con i suoi panni veri, che mal corrispondono alla trasfigurazione letteraria).

    Ciò che, soprattutto, importa mettere in chiaro è che, proponendo queste pagine, il curatore non ha voluto praticare una sorta di operazione di "recupero archeologico"; non ha inteso mettere a disposizione un testo che magari fu pregevole ma che è ora ormai inservibile, se non per rari storici dell'apologia cattolica. Naturalmente la ricerca è molto avanzata, ma la massa dei materiali "in più" di cui ora disponiamo, e che non erano accessibili a Guiraud, non sembrano avere tolto validità al suo modo di affrontare l'argomento. Di "dettagli" oggi è possibile aggiungerne a iosa, ma probabilmente non modificano in profondo il taglio dato qui, l'andamento generale, l'architettura di questa decisa quanto pacata replica "cattolica". Che poi cattolica non vuole essere e non è' visto che i fatti messi in fila da queste pagine non hanno parte né colore: sono quelli che risultano dai documenti, hanno un'oggettività inconfutabile anche per gli storici di oggi. I quali, semmai, potrebbero aggiungere molti altri elementi a difesa più che a confutazione di Guiraud. Per scegliere un esempio fra mille, basti ricordare quanto osservava qualche tempo fa il medievista Adriano Prosperi in uno studio dal titolo significativo (L'Inquisizione: verso una nuova immagine?): fino a tempi recenti non sono mancati, cioè, gli studiosi che hanno inteso "la condanna al carcere perpetuo - condanna leggera, perché significava in genere un triennio di prigionia e non di più - come un imprigionamento a vita"

    Insomma, chi voglia almeno cominciare a capire "che cosa, e perché, è successo" in quei secoli, troverà qui un punto di partenza che a noi (pur lettori attenti e grati, s'intende, alla bibliografia successiva) non sembra aver perso la sua validità. Un punto di partenza, tra l'altro, in un linguaggio chiaro, vigoroso, divulgativo ma fondato sempre sulla ricerca in biblioteca o in archivio. Un inizio onesto, dunque, e - nei limiti in cui dicevamo - ancora attuale; una salutare provocazione contro i luoghi comuni, per proseguire una ricerca per la quale sarà d'aiuto l'aggiornatissima e abbondante bibliografia data, alla fine del volume, da specialisti contemporanei.

    La ricerca personale aggiungerà, ovviamente, molti altri tasselli; ma crediamo che sia possibile farlo entro l'intelaiatura generale dataci dal "vecchio" Guiraud, cattolico a visiera alzata, che pagò di persona per le sue convinzioni, eppure lontano - da quello storico vero che era - da ogni doppia verità, da ogni forzatura di apologeta fazioso. Un credente autentico ma anche uno studioso rispettato. Dunque, consapevole sempre che, come fu detto da Leone XIII nel 1884, all'apertura dell'Archivio Vaticano (detto "segreto" non tanto perché "inaccessibile" ma perché "privato", sino ad allora a servizio innanzitutto della Santa Sede) ai ricercatori di ogni credo o incredulità: "Né Dio, né la Chiesa, hanno bisogno delle nostre bugie; ciò che occorre non è che la verità, presupposto (parola di Vangelo) di ogni libertà".

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    00 21/06/2013 13:15

    DA  http://www.treccani.it/enciclopedia/inquisizione_(Enciclopedia_Italiana)/


    Origine e genesi dell'Inquisizione medievale
    . - La disparità e, spesso, l'imprecisione che distinguono le opinioni emesse circa l'origine dell'Inquisizione, consigliano di determinare quali siano le caratteristiche che definiscono l'istituto inquisitoriale.

    "Inquisizione" non è sinonimo di "repressione dell'eresia", repressione che è stata sempre esercitata dalla Chiesa da quando l'esistenza di un corpo di dottrine canonicamente determinate e di un forte potere centrale che, professandola, rende ufficiale e "ortodossa" questa norma di fede ha consentito di individuare nell'eretico il battezzato che si è posto in aperto contrasto, anche in un sol punto, con la dottrina della Chiesa. Dal sec. XII la repressione dell'eresia fu preoccupazione costante della Chiesa con particolare riguardo al diffondersi del movimento cataro (v. catari;albigesi) che, soprattutto nel mezzogiorno della Francia, sottraeva intere regioni al dominio spirituale di Roma. Fra le misure prese dalla Chiesa per fronteggiare il movimento cataro ve ne sono alcune (decreti del concilio di Tours del 1163; del III concilio lateranense del 1179; del concilio di Verona del 1184; del concilio di Montpellier del 1195; della dieta sinodale di Gerona del 1197; del concilio di Avignone del 1209; del concilio di Montpellier del 1215; del IV concilio lateranense del 1215; del sinodo di Puy del 1222; del concilio di Narbona del 1227; del concilio di Tolosa del 1229) che per aver ordinato, implicitamente o esplicitamente, la ricerca (inquisitio) sistematica degli eretici; per aver escogitato a questo scopo speciali commissioni di "visitatori parrocchiali" o "testimoni sinodali", o, in genere, per la loro formale condanna dell'eresia, sono state scelte spesso (l'una o l'altra, o tutte) quasi come atto di nascita dell'Inquisizione. Né potrebbe contestare questa opinione chi ammettesse che la caratteristica che definisca l'Inquisizione sia appunto la ricerca degli eretici. Ché in realtà tutti questi provvedimenti, in quanto lasciano la repressione dell'eresia a quei giudici ordinarî (i vescovi) che l'avevano sempre esercitata, non hanno portato alcuna sostanziale modificazione all'ordinamento giudiziario della Chiesa in materia di eresia: mentre è a questo che altri, con maggior logica, guardano per definire l'istituto inquisitoriale.

    Una ulteriore precisazione è necessaria a intendere bene il significato di inquisitio. Nella storia della procedura penale (v. processo) il procedimento inquisitorio (caratteristico del momento istruttorio nel processo odierno; v. istruzione) segue e si contrappone al procedimento accusatorio. Per questo, un procedimento penale può iniziarsi solo e in quanto uno è accusato; il processo ha, in ogni suo momento, carattere pubblico. L'adozione in un procedimento penale dell'inchiesta privata, segreta, d'ufficio, per iniziativa del giudice (inquisitio) è sostanzialmente dovuta - nonostante i precedenti in età romana - alla Chiesa. Una delle caratteristiche dei tribunali dell'Inquisizione è appunto l'adozione, in un momento almeno del processo, della procedura inquisitoriale, ma non si deve confondere questa inquisitio con il tribunale dell'inquisitor, ché quella è procedura applicata universalmente da tutti i giudici e in tutte le cause ecclesiastiche a partire da Innocenzo III, precede il sorgere dell'Inquisizione e si sarebbe certamente diffusa e affermata anche se il tribunale dell'Inquisizione non fosse mai sorto.

    Quando si parla di un tribunale speciale istituito per una determinata categoria di reati o di rei, si ha presente un'istituzione concreta, una realtà amministrativa e giurisdizionale che esiste per legge al di fuori dei giudici che sono chiamati a parteciparvi. In questo senso, almeno per tutto il Medioevo, un tribunale dell'Inquisizione non è mai esistito. I documenti non fanno mai ricordo di un'Inquisizione di Carcassonne, di Albi ecc., ma parlano esclusivamente di inquisitor in Regno Franciaein partibus tolosanisin Albigensio ecc., mostrando chiaramente, se altri argomenti difettassero, come è alla figura del giudiceinquisitor, alle sue caratteristiche, ai suoi rapporti col vescovo, che occorre guardare se si vuole intendere la natura dell'Inquisizione.

    L'inquisitor è un giudice straordinario la cui competenza non annulla, ma si affianca a quella del giudice ordinario. Mentre questo, il vescovo, deriva il suo potere giurisdizionale dalla sua stessa investitura, l'inquisitore lo deriva da una espressa delega del potere centrale, dal papa, nel quale risiede la pienezza di ogni giurisdizione. L'inquisitore è un giudice permanente; mentre il vescovo è competente a conoscere universitatem causarum, l'inquisitore ha per oggetto normale della sua competenza solo l'haeretica pravitas; mentre il vescovo non ha giurisdizione fuori dei limiti della sua diocesi, l'inquisitore ha giurisdizione universale quanto alle persone nei limiti fissati dalle lettere di delega: quasi mai questi limiti coincidono con quelli di una diocesi.

    Se, e non par dubbio, la novità dell'istituzione sta nella figura di questo giudice, il problema dell'origine dell'Inquisizione si precisa nel senso di proporre all'indagine quando, per la prima volta, abbia avuto luogo da parte papale la nomina di un giudice delegato come quello descritto. La scarsezza della documentazione e l'assurdità di chiedere alla tecnica legislativa medievale un atto di nascita che probabilmente non è stato mai redatto, non consentono di affermare altro che questo: nei Capitula Anibaldi senatoris pubblicati a Roma nel febbraio 1231 (pontificante Gregorio IX) contro numerose categorie di eretici è fatto per la prima volta esplicito ricordo degli inquisitores ab Ecclesia datos, e nello spazio di pochissimi anni (1232-1235) abbiamo ricordo di deleghe inquisitoriali concesse da Gregorio IX per quasi tutte le regioni d'Europa: particolarmente numerose per la Francia. Nel 1235 Gregorio IX affida definitivamente l'Inquisizione ai domenicani e il privilegio sarà esteso da Innocenzo IV ai frati minori (1246).

    Occorre avvertire che, certo, deleghe della natura e con l'estensione di quelle concesse da Gregorio IX non hanno precedenti, ma che fin dall'epoca di Alessandro III si ha ricordo di missioni pontificie per la repressione dell'eresia in Francia: ciò non toglie nulla alla novità del mezzo escogitato da Gregorio giacché queste missioni, affidate soprattutto ai cisterciensi, consistono nell'invio di legati per regolare fatti particolari e determinati o per procedere a una generica propaganda contro l'eresia. Notissima è la missione - all'epoca di Innocenzo III - del legato pontificio Pietro di Castelnau (v. albigesi) alla quale si ricollega anche l'azione di san Domenico, che per testimonianza espressa di Bernardo di Guido (v.) esercitò "inquisitionis officium contra labem haereticam auctoritate legati apostolicae sedis sibi commissum in partibus tolosanis". Se è errato fare di S. Domenico il primo inquisitore, è però certo che la delega concessa a Domenico da Pietro di Castelnau, costituisce l'immediato precedente delle deleghe inquisitoriali concesse dal successore d'Innocenzo III, Gregorio IX.

    A confortare la tesi che l'Inquisizione debba essere fatta risalire a Gregorio IX, vale anche la testimonianza dei vescovi narbonesi in un memoriale indirizzato (1245) a Innocenzo IV.

    Ma quali le cause che avrebbero indotto Gregorio IX a istituire questo giudice di eccezione? La questione della genesi dell'Inquisizione, delibata da tutti gli storici, è stata affrontata sistematicamente da C. Douais. Egli ha mostrato molto bene l'equivoco, spesso di natura polemica, presupposto in tutte le spiegazioni che, più o meno esplicitamente, tendono a rendere il clero responsabile dell'istituzione come quella che si sarebbe resa necessaria a difenderlo dalla minaccia dell'eresia. Il Douais ha efficacemente provato come non si possa ricercare la genesi dell'Inquisizione nell'insufficienza dei giudici e dei mezzi di repressione ordinarî; come l'Inquisizione non possa esser ricollegata alla rinascita del diritto romano o a un accordo fra S. Luigi IX e Raimondo di Tolosa; come non la si possa considerare quasi come il termine fatale di una evoluzione legislativa che ha le sue tappe nei provvedimenti dei concili di Verona, Narbona e Tolosa (v. sopra). Per il Douais la genesi dell'istituzione va ricercata nel conflitto fra Gregorio IX e Federico II: l'inquisitore delegato pontificio sarebbe stato il mezzo opposto da Gregorio IX all'azione sopraffattrice di Federico II per mantenere alla Chiesa le sue prerogative in materia di fede e la sua autonomia spirituale. La legislazione di Federico II in materia di eresia, la rivendicazione che egli fa della competenza dei poteri civili in materia, la sua costante preoccupazione di mostrare gli eretici rei di diritto comune, l'accusa elevata da Gregorio contro Federico di avere, con la scusa dell'eresia, messo a morte dei buoni cristiani rei solo di essere suoi nemici, sono altrettante circostanze che rendono fondata l'ipotesi del Douais, la quale, del resto, è l'unica che inquadri veramente l'istituzione del giudice inquisitoriale in quella che è stata una delle preoccupazioni fondamentali della Chiesa all'epoca di Gregorio IX: il conflitto con Federico II; è l'unica autorizzata da tutta la storia posteriore dell'Inquisizione che ci mostra i poteri pubblici sempre in armi per togliere dalle mani della Chiesa la direzione suprema di questo tribunale. Occorre peraltro osservare che essa è fortemente unilaterale: essa non spiega come l'Inquisizione, al suo sorgere, abbia esplicata prevalente attività in Francia dove il conflitto tra Gregorio e Federico era insussistente e l'autorità dell'imperatore nulla; essa non spiega il sopravvivere dell'istituzione; non spiega come l'azione dell'Inquisizione segua nella sua curva di intensità l'intensità del pericolo rappresentato dall'eresia; essa non pone l'Inquisizione, come dovrebbe, in relazione con le tendenze accentratrici che si manifestano nel governo della Chiesa appunto all'epoca d'Innocenzo III e di Gregorio IX; essa, infine, trascura totalmente tutto un vasto mondo d'idee e di fatti che affiorano nella vita della Chiesa al principio del sec. XIII e che non possono non esser posti, a chi li consideri attentamente, in rapporto anche col sorgere dell'Inquisizione.

    Giudici e giudicabili. - Si è già illustrata la figura giuridica dell'inquisitor haereticae pravitatis. Occorre aggiungere che a seguito di numerosi conflitti giurisdizionali fra vescovi e inquisitori, i secondi pretendendo per loro la competenza esclusiva in materia di eresia, fu stabilito (concilio di Vienna del 1312) che la competenza del vescovo rimaneva inalterata e che quindi il vescovo poteva per suo conto far ricercare e arrestare gli eretici, ma che nei giudizî e nelle condanne il vescovo (o suoi delegati) e l'inquisitore dovevano procedere d'accordo.

    L'azione dell'Inquisizione è rivolta (almeno fino al sec. XIV) a reprimere, più che l'eresia in senso strettamente teologico, tutta una serie di atti che pur avendo un rapporto stretto, ma spesso estrinseco, con l'eresia non sono solamente e precisamente "eresia"; anche l'eretico è considerato tale più in rapporto alla sua attività esterna, pubblica, che in rapporto alla sua coscienza individuale. Lo stesso invito, rivolto dagl'inquisitori ai colpevoli, di rinunciare alla haeretica pravitas mira soprattutto a far rientrare l'eretico in armonia con la legalità, si direbbe, che con i suoi atti esterni egli ha violato. E questa legalità era l'ordine costituito che è ordine religioso sì, ma anche sociale e politico. Bernardo di Guido (v.), uno dei più famosi teorici dell'Inquisizione, asserisce essere compito dell'inquisitore la persecuzione dei "separantes se a communitate aliorum et potestatem papae et ecclesiae enervantes", comunione e potere nei quali risiede il vero fondamento della società medievale. Solo tenendo presente questo punto di vista si può spiegare come l'Inquisizione, in armonia con i tempi in cui sorse, non abbia allora suscitato, presa in sé, alcuna seria opposizione.

    Raimondo di Peñafort nel suo Directorium agl'inquisitori aragonesi stabilisce (1242) otto categorie di imputabili presso l'Inquisizione: haeretici ("qui in suo errore perdurant"); suspecti (coloro che hanno udito prediche o discorsi di eretici, o hanno partecipato alle loro preghiere); celatores (coloro che videro e riconobbero eretici "et non revelaverunt eos"); occultatores ("qui fecerunt pactum de non revelando haereticos... vel alias procuraverunt quod non revelarentur"); receptatores ("qui scienter bis vel ultra receperunt haereticos"); defensores ("qui scienter defendunt haereticos... facto vel verbo"); fautoresrelapsi (i recidivi).

    L'asserzione che l'Inquisizione abbia considerato l'eresia più che altro dal punto di vista sociale risulta provata dalle caratteristiche stesse del movimento ereticale contro il quale essa si rivolse al suo sorgere (v. appresso e albigesicatari) e inoltre dal fatto che essa presto estese la sua competenza anche su delitti che con l'eresia vera e propria avevano poco a che vedere, ma che erano ugualmente perniciosi per la vita della Chiesa.

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    00 21/03/2017 21:17

    «L’Inquisizione spagnola?
    Puniva per lo più omicidi e violenze sessuali»

    Il termine “leggenda nera” indica un filone letterario di propaganda storica contro la Spagna, in particolare verso il colonialismo e l’Inquisizione, nato in ambienti del protestantesimo e dell’illuminismo.

    Recentemente la storica Maria Elvira Roca Barea, a lungo docente presso l’Università di Harvard e collaboratrice del Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica spagnola, ha pubblicato il libro Imperiofobia y Leyenda Negra (Siruela 2016), in cui ha replicato ai principali miti promossi dalla cosiddetta hispanophobia.

    Intervistata da El Mundo, la ricercatrice ha parlato anche dell’Inquisizione spagnola«In Spagna la persecuzione delle streghe era qualcosa di molto insolito. Soprattutto se si considerano le persecuzioni di massa dei protestanti, causa di migliaia di esecuzioni per stregoneria senza alcun processo legale». Oggi l’Inquisizione, dopo la propaganda illuminista e protestante, è sinonimo di paura e terrore, invece «era un sistema di controllo per reati quali lo sfruttamento della prostituzione, la pedofilia, la violenza sessuale, la contraffazione». Inoltre, «dal 1560 al 1700 solo 1.300 persone sono state condannate a morte, sia per questioni religiose sia per reati gravi. Ad esempio un ragazzo è stato condannato a Valencia per stregoneria, in quanto c’erano prove concrete che avesse ucciso diversi bambini».

    Parlando di numeri, occorre sottolineare che «nei 20 anni che Calvino visse a Ginevra, fece uccidere 500 persone in una città di 10.000 abitanti. E oggi gli è stata eretta una statua. Oppure bisogna considerare le migliaia di persone condannate a morte nei primi anni del del regno di Elisabetta I d’Inghilterra». Tornando in Spagna, ha proseguito la storica, «l’Inquisizione offriva maggiori garanzie per l’imputato. In realtà, il diritto processuale del mondo cattolico deve molto all’Inquisizione perché ha istituito un sistema giudiziario che prevedeva l’istruttoria dei casi, i giudici, gli avvocati della difesa ecc.».

    Maria Elvira Roca Barea ha citato numerosi altri lavori pubblicati in questi anni, in particolare dagli storici Gustav Henningsen e Jaime Contreras (il primo ha pubblicato anche in Italia il suo studio, intitolato L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, Garzanti 1990). Il ricercatore danese Henningsen, in particolare, ha valutato che tra il 1540 e il 1700, le condanne a morte sono state emesse dall’Inquisizione spagnola nel 3,5% dei casi, ma soltanto l‘1,8% dei condannati sono stati effettivamente uccisi. Per lo storico britannico Geoffrey Parker, invece, docente presso la Ohio State University, il numero di vittime sarebbe di circa 5.000 durante i 350 anni dell’Inquisizione corte, che rappresentano il 4% di tutti i processi avviati. Numeri decisamente più modesti del mito illuminista.

    Durante questi 350 anni di storia, l’Inquisizione spagnola non è stato certo l’unico sistema giuridico presente, o quello più violento. Lo storico britannico Henry Kamen ha dimostrato che confrontando le statistiche sulle condanne a morte dei tribunali civili e inquisitoriali tra i secoli XV e XVIII in Europa, per ogni cento condanne a morte emesse dai tribunali civili, l’Inquisizione ne ha emesso una soltanto. E’ celebre il suo libro The Spanish Inquisition: A Historical Revision (Yale University Press 1999), definito sul New York Times dallo storico Richard L. Kagan «in generale il miglior libro sull’Inquisizione spagnola sia per la sua portata che per la sua profondità delle informazioni». In esso Kamen ha dimostrato che la tesi secondo cui l’Inquisizione era un’onnipotente ente di tortura è un mito del 19° secolo, mentre si è trattata di «un’istituzione sottodimensionata, i cui tribunali erano sparsi e avevano solo una portata limitata e i cui metodi erano più umani rispetto a quelli della maggior parte dei tribunali secolari. La morte sul fuoco, inoltre, era l’eccezione, non la regola».

    Anche per quanto riguarda la tortura, il ricorso da parte dell’Inquisizione avvenne in rare occasioni, sempre sotto la supervisione di un inquisitore che aveva l’ordine di evitare danni permanenti, spesso con la presenza di un medico. Anche in questo caso in contrasto con la tortura selvaggia praticata dall’autorità civile. Il più recente testo pubblicato in lingua italiana che consigliamo di visionare a chi volesse andare oltre al pregiudizio anticlericale su questa tematica, è Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013), dello storico Christopher Black, di cui abbiamo già parlato (recensito anche dalla storica Marina Montesano).

    Esistono anche diversi storici italiani impegnati contro la “leggenda nera”, come il laico Adriano ProsperiAgostino Borromeo e Andrea Del Col. Proprio quest’ultimo, docente di Storia presso l’Università degli Studi di Trieste, all’inizio del suo libro L’Inquisizione in Italia (Mondadori 2009), ha tenuto a precisare: «Il volume è privo di immagini. La scelta è deliberata e ha una motivazione culturale: le immagini di interrogatori, torture, autodafè e roghi sono in genere posteriori ai fatti e risultano spesso condizionate dalla leggenda nera […]. Molte cifre macroscopiche provengono dalle correnti anticlericali del XIX secolo che cercavano con ogni mezzo di porre in cattiva luce l’operato della Chiesa. E’ ragionevole credere che il numero dei condannati si aggiri intorno a qualche migliaia». Questo, ha proseguito lo storico, lascia molti basiti perché «questa istituzione dalla fama sinistra non è più rappresentata nelle ricerche originali recenti come assolutamente violenta, e gli inquisitori non appaiono più assetati di sangue e di sesso. Risulta infatti da questi studi che l’Inquisizione non fu sanguinaria come si credeva» (p. 14, 66-67).


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    00 09/06/2018 13:39

    «L’Inquisizione regno della tortura? Una fake news»,
    così afferma la storica ebrea

    «L’immagine dell’Inquisizione romana come regno della tortura e del male vive ormai di vita propria, finendo per assomigliare a quelle fake news di cui oggi molto si parla». Così la storica ebrea Anna Foa, docente di Storia moderna presso l’Università La Sapienza di Roma. Un’altra specialista contro la leggenda nera, cioè la falsa vulgata anticattolica creata da illuministi e protestanti.

    Il mainstream mediatico, ha riflettuto la Foa, ha erroneamente ritenuto che con l’apertura degli archivi centrali dell’ex Sant’Uffizio nel 1998, la Chiesa cattolica avrebbe preso finalmente atto del presunto carattere abominevole e sanguinario dell’Inquisizione, che nell’immaginario collettivo ancora rappresenta «il braccio armato della Chiesa nei confronti dell’eresia, del libero pensiero, della libertà di coscienza. Agli occhi dei media e al cosiddetto senso comune storiografico, l’Inquisizione era il nemico per antonomasia del pensiero moderno».

    Niente di tutto ciò, ovviamente. Una delusione per giornalisti ed anticlericali, non certo per gli specialisti. Anche perché, ha proseguito la storica di religione ebraica, «nel corso dei due decenni precedenti si era già avuta una vasta rivisitazione storiografica in questo campo, che era però andata, più che nella direzione di una richiesta di perdono, nel senso di una revisione della cosiddetta immagine nera dell’Inquisizione, attraverso studi che, soprattutto nei riguardi dell’Inquisizione romana, avevano piuttosto messo in discussione il numero delle sue vittime e il suo ruolo nella persecuzione». Anche recentemente sono stati pubblicati volumi storici in difesa dell’Inquisizione, completamente ignorati dai grandi giornali (con l’eccezione di Paolo Mieli, sul Corriere). Tra quelli in lingua italiana, come abbiamo riportato su UCCR: Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013) di Christopher Black, storico dell’Università di Glasgow; Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori e missionari dello storico laico Adriano Prosperi, della Scuola Normale di Pisa; Caccia alle streghe della storica Marina Montesano, dell’Università di Genova; L’Inquisizione in Italia, di Andrea Del Col dell’Università degli Studi di Trieste; L’inquisizione: atti del simposio internazionale, dello storico Agostino Borromeo.

    Purtroppo, si è rammaricata Anna Foa, né l’apertura degli archivi, né il contributo di questi storici ha contribuito a far entrare la verità nel «saper comune e nemmeno nell’attività di divulgazione dei media, volta più al sensazionalismo che all’accuratezza dei dati. Si era così ulteriormente accentuato il divario fra gli studi scientifici e il saper comune, e assai poco delle acquisizioni più recenti della storiografia era passato a far parte dell’immagine diffusa del terribile tribunale d’Inquisizione. Basta navigare in rete, leggere i titoli degli ultimi libri apparsi, per rendersene conto. Il fenomeno appare ancora più macroscopico se si analizza la vulgata di alcuni temi particolarmente caldi sull’Inquisizione, quali la caccia alle streghe, il processo a Giordano Bruno, l’abiura di Galilei. La divaricazione tra il sapere razionale — frutto di riflessioni, di approcci storici, di analisi documentaria — e quello mitologico è ormai invalicabile».

    Così, ha concluso con poca speranza la storica de La Sapienza, «si scrive e si afferma che l’Inquisizione ha fatto milioni di morti per stregoneria con la stessa sicumera con cui si afferma che i vaccini sono la causa dell’autismo. Ma avevamo davvero sperato che l’accesso agli archivi, il crescere dei materiali a disposizione degli studiosi, il loro sapere specialistico, le loro distinzioni, potessero incrinare il regno del mito, del non sapere, del pregiudizio? Ma perché avrebbe dovuto essere così? Gli ultimi vent’anni, che sono quelli passati dall’apertura degli archivi, sono anche quelli che hanno visto il crescere nella società tutta della fabbrica mitologica, l’affermarsi di strumenti molto più utili alla sua affermazione della carta e delle stesse immagini, l’abbattimento delle barriere fra il vero e il falso, fra il sapere e il non sapere, fra la realtà e la finzione. Passioni e pregiudizi prevalgono su sapere e conoscenza. Gridano più alto. Nessun archivio — dovremmo saperlo, dovremmo averlo imparato dagli eventi dei secoli passati — può avere la meglio su di essi, nessun documento può confutare un pregiudizio consolidato, mettere in crisi uno stereotipo».

    Da parte nostra non siamo così pessimisti come la Foa, le -seppur poche- persone realmente interessate hanno infatti sempre più strumenti informativi per accedere a quel che gli specialisti già da tempo sanno. Già il fatto che una storica del suo calibro, appartenente ad un’altra religione (quella ebraica), abbia percepito l’ignoranza e la malafede dilagante su queste tematiche è un buon motivo per ben sperare nel futuro.


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    00 09/06/2018 13:48

    La peste nera e gli ebrei:
    a proteggerli ci provò l’Inquisizione

    peste nera 
     
    di Francesco Agnoli*
    *scrittore e saggista

     
    da Libertà e Persona, 17/01/16
     

    Nel 1347-1350, come è noto, l’Europa fu devastata dalla peste nera. Si trattò di una ecatombe senza precedenti, tanto che alcuni storici sostengono che quella epidemia pose fine ad un’epoca, per aprirne una nuova. La mortalità oscillava tra i 40 e il 70% a seconda della forza degli individui colpiti e delle loro condizioni. Fu effettivamente una iraddiddio travolgente, che portò da una parte a grandi interrogativi sull’uomo e su Dio, dall’altra a splendide opere di carità e di dedizione ai fratelli, e, infine, a paure inenarrabili, a fobie ed incubi ben comprensibili.

    Circa un terzo degli abitanti dell’Europa morì. Ebbene, fu in questa occasione che le comunità ebraiche conobbero una aggressione senza precedenti: molti ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi, di essere in qualche modo la causa di questo disastro. Il meccanismo psicologico è semplice: di fronte ad un disastro, rintracciare un colpevole, un capro espiatorio, non cambia le cose ma almeno serve a fornire una “spiegazione” all’accaduto.

    In verità il capro espiatorio variava da paese a paese, da epoca a epoca. In Spagna si diffuse la voce che gli avvelenatori erano, per lo più, i musulmani; in Francia gli inglesi; altrove e in altre occasioni, gli avvelenatori erano i lebbrosi, oppure gli “stranieri poveri”, considerati potenziali portatori di malattie, oppure ancora coloro che si occupavano di mestieri “in cui si producevano cattivi odori o rifiuti” … Nella Atene del V secolo, anch’essa colpita dalla peste, era accaduto lo stesso, dal momento che Tucidide ci racconta che molti ateniesi accusavano i loro nemici spartani di…avvelenare i pozzi.

    Se torniamo alla peste del Trecento, e in particolare alla persecuzione degli ebrei, il luogo dove costoro furono identificati maggiormente come colpevoli, o comunque dove subirono le angherie peggiori, furono alcune aree germaniche. Scrive Rodney Stark nel suo Un unico vero Dio (Lindau 2009), che «i massacri iniziarono nella regione intorno al lago di Ginevra» e poi «l’ondata dei massacri si abbattè lungo il Reno, attraverso le città ormai familiari a questi eccidi: Spira, Magonza, Worms, Colonia. E almeno in altre sette città gli ebrei si suicidarono in massa». Nota dunque Stark che la regione lungo il fiume Reno fu la più colpita. E aggiunge che ciò è connesso con un fatto: «la prevalente debolezza sia della Chiesa che dello Stato in quella regione». Infatti proprio in queste zone sia i vertici laici che quelli religiosi con insistenza tentarono di frenare ed impedire che «le folle uccidessero gli ebrei», ma se i principi, in quei luoghi, erano deboli, anche la Chiesa lo era, vista la «concentrazione di movimenti eretici cristiani nelle stesse comunità renane».

    Per comprendere meglio questo concetto, si deve pensare che più avanti, durante la caccia alle streghe di età moderna, fu ancora una volta la zona del Reno la più colpita dalle fobie popolari, e quindi la più segnata dai roghi. Ebbene, anche in questo caso, la spiegazione principale sembra questa: spesso laddove il potere statale era più forte, i panici di massa erano tenuti sotto controllo. Ancora più efficace era l’Inquisizione, dal momento che le terre in cui essa operava realmente, furono le meno colpite dalla caccia alle streghe (e agli stregoni, visto che gli uomini bruciati sul rogo furono una discreta percentuale). E’ opinione ormai diffusa tra gli storici, infatti, che l’Inquisizione abbia sostituito “la violenza della folla”, irrazionale e incontrollabile, “con il principio di legalità”, frenando così spesso gli imbestialimenti popolari.

    Durante le peste del 1347, dunque, autorità religiose e civili – molto deboli – delle zone germaniche, non riuscirono nel loro intento di spegnere gli eccessi popolari. In altre zone invece, il loro intervento ebbe maggior successo. Scrive G.S Barras nella sua “Storia generale della Chiesa”: «alcuni ebrei vinti dal dolore confessarono questo delitto sotto tortura ed in un pozzo fu trovato realmente veleno; tanto bastò perché i sospetti assumessero tosto l’indole di fatto vero, ed allora in Svizzera, in Alsazia e in tutte le contrade in riva al Reno cominciò un eccidio generale di ebrei». Nella Francia meridionale, invece, Clemente VI «interpose a loro difesa (degli ebrei, ndr) la sua autorità pontificia, e con bolla del 4 luglio 1348 vietò di ascrivere agli ebrei delitti immaginari o toccarne vita o sostanze prima di sentenza del legittimo giudice». Il papa dovette nuovamente intervenire il 26 settembre con un’altra bolla, in cui spiegava che gli ebrei morivano di peste esattamente come gli altri, e che la peste si era diffusa anche laddove non vi erano comunità ebraiche. Inoltre «ordinava a tutti i vescovi di pubblicare nelle chiese una sentenza di scomunica contro coloro che li molestassero, in qualunque modo ciò fosse».

    William Naphy e Andrew Spicer, nel loro “La peste in Europa” (Il Mulino 2006) aggiungono che «molti eminenti uomini di chiesa condannarono questi attacchi ispirandosi agli insegnamenti di sant’Agostino di Ippona, per il quale gli ebrei dovevano essere tollerati in quanto parte essenziale della storia cosmica del cristianesimo». Ma se in alcuni posti ebbero ascolto, in altri, soprattutto nelle regioni del Reno, non fu così. Non è un caso che le autorità civili e religiose fallirono laddove pullulavano i movimenti ereticali, portatori di una specifica visione non solo religiosa, ma anche politica e sociale. «Era a Magonza – scrive ancora Stark – che Teuda aveva riunito un seguito e aveva proclamato la data della Seconda Venuta. Solo in Renania, e soprattutto a Magonza e Colonia, i catari avevano creato delle congregazioni nel XII secolo, ed era principalmente in Renania che i valdesi tedeschi avevano trovato sostegno nel XIII secolo, in particolare a Magonza, Spira, Worms e Wurzburg. Nel XIII e nel XIV secolo fu in queste stesse città renane che fiorì l’eresia del Libero Spirito…Nel XV secolo fu qui che gli ussiti trovarono un seguito tedesco, e città come Norimberga, Magonza, Worms, Spira e Ratisbona furono nuovamente tetro di scontri. E, ovviamente, fu a Spira che per la prima volta venne usato il termine ‘protestante’ per definire coloro che seguivano Martin Lutero, e a Worms che lo stesso Lutero disse alla Dieta ‘Non posso fare altrimenti. Che Dio mi aiuti’».

    Chiosiamo queste considerazioni. Contro chi se la prendevano i catari, i fratelli del Libero Spirito, i flagellanti (l’eresia più diffusa e più violentemente antisemita in Germania), gli Hussiti? Contro gli ebrei, si è detto; ma anche contro i sacerdoti cattolici e la Chiesa. Scrive G. Fourquin nel suo “Le sommosse popolari nel Medioevo”: «Il movimento dei flagellanti dei paesi germanici si scontrò violentemente contro la Chiesa e si impadronì dei suoi beni temporali, trattò brutalmente gli ecclesiastici che osarono contraddirlo, cosa considerata inammissibile dagli inviati di Dio. Ma i demoni non erano soltanto i preti, erano anche gli ebrei. Il grande massacro di israeliti dell’Occidente, che incrudelì in occasione della grande peste, fu responsabilità, in buona parte, dei flagellanti…». A confermare questa ricostruzione, due studi imprescindibili sulla violenza anti-cattolica degli eretici medievali: quello di Igor Safarevic, “Il socialismo come fenomeno storico mondiale” e quello, più celebre, di Norman Cohn, “I fanatici dell’Apocalisse”. Ricorda il Cohn che gli eresiarchi tedeschi, per lo più millenaristi fanatici, erano «nemici intransigenti della Chiesa, decisi non solo a condannare il clero, ma anche a respingere completamente la sua pretesa di autorità soprannaturale». Per questo non di rado tiravano giù dal pulpito ecclesiastici e predicatori, per bruciarli sul rogo o per lapidarli.

    Cohn ricorda che papa Clemente VI scriveva che la maggioranza degli eretici «o dei loro seguaci, sotto un’apparenza di pietà, pongono mano a imprese crudeli ed empie, spargendo il sangue di ebrei che la pietà cristiana accoglie e sostiene»; aggiunge che in Germania «dovunque le autorità avevano protetto gli ebrei», sia i principi che i tribunali inquisitorali, ma spesso senza alcun successo. «Gli ebrei – scrive ancora il Cohn – non erano comunque i soli a venire uccisi: molti membri del clero perirono per mano delle orde escatologicamente ispirate» che credevano di eliminare l’Anticristo stesso, visto spesso come un ebreo, ma anche come il figlio di un vescovo e di una monaca cattolici. Non fu dunque Lutero “il primo a battere sull’idea dell’Anticristo” ma ereditò un luogo comune tra i movimenti ereticali tedeschi del periodo a lui precedente.


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    00 08/12/2018 20:49

    Il “Museo della Tortura” e l’Inquisizione:
    sconfessando un post pieno di bugie

    Por VladKol/Shutterstock
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    Di recente è diventato virale un post su presunti strumenti di tortura che sarebbero stati usati dall'Inquisizione. Ecco la verità

    Di recente è diventato virale un post su presunti strumenti di tortura che sarebbero stati usati dall’Inquisizione. Una pagina di Facebook ha presentato 25 immagini di scene del Museo della Tortura, in California, e ha affermato che quelle immagini orrende sarebbero una dimostrazione dei tipi di tortura applicati dall’Inquisizione.

    È una bugia, e lo proveremo in questa sede.

    La prima prova di fake news è nella foto qui sotto, che mostra un pupazzo con la lingua perforata da un chiodo. Notate che il cartello che descrive la scena dice in inglese: “La lingua inchiodata era la punizione per il fatto di diffondere pettegolezzi, calunnie o scherzi sui governanti ufficiali”.

    Solo uno sciocco può pensare che l’Inquisizione indagasse sui pettegoli e su chi faceva scherzi! L’Inquisizione non si è mai occupata di cose simili, visto che combatteva le eresie. Il crimine descritto nel cartello della foto qui sopra è ovviamente una questione di interesse meramente secolare, senza nulla a che vedere con la religione.

    La seconda prova di fake news è la foto sottostante. Questo strumento, chiamato “vergine di ferro”, non solo non è mai stato usato dall’Inquisizione, ma nel Medioevo non esisteva nemmeno!

     

    La “vergine di ferro” è un’invenzione moderna. Vari musei del mondo hanno già riconosciuto che le vergini di ferro che possiedono sono in realtà pezzi fraudolenti realizzati da impostori dal XIX secolo in poi (leggete l’articolo del San Diego Museum of Man, della California).

    La terza prova di fake news è il parere dei più famosi storici del mondo esperti di Inquisizione. Tra i tanti possiamo citare Henry Kamen, Agostino Borromeo, Jean Louis Biget e Cecil Roth (quest’ultimo è un ebreo, duro critico dell’Inquisizione spagnola). Tutti questi famosi storici affermano che la tortura era applicata RARAMENTE nelle varie Inquisizioni, e che i loro metodi erano relativamente blandi se paragonati a quelli applicati dai tribunali secolari.

    Attraverso decreti papali, la Chiesa cattolica impose forti limiti alla crudeltà della tortura. Era proibito versare il sangue dei rei, e non si poteva provocare alcun danno fisico profondo al torturato.

    Per questo, durante gli interrogatori realizzati dagli inquisitori sarebbe stato impossibile vedere scene come quelle mostrate in quel post: lingua mutilata, ratti che rodevano il ventre, teste spaccate, occhi strappati…

    Le uniche immagini del post che illustrano realmente le torture applicate nei tribunali dell’Inquisizione sono due: la flagellazione e la forchetta.

    Anche l’immagine della ragazza che sta per essere bruciata al rogo corrisponde, perché lo Stato stabiliva che la pena capitale per i crimini di questa natura fosse la morte bruciati. Nella maggior parte dei casi, però, l’eretico condannato veniva ucciso per strangolamento prima di essere bruciato, e quindi la morte era più rapida e meno dolorosa.

     

    Altri tipi di tortura applicati dall’Inquisizione erano la carrucola, le ustioni con i carboni ardenti o il cavalletto. Erano dolorosi? Ovviamente sì, ma in genere i rei uscivano interi da queste sessioni di tortura, senza mutilazioni. È per questo che secondo Henry Kamen c’erano detenuti nelle prigioni secolari che facevano di tutto per essere riconosciuti come eretici, per essere così trasferiti in una prigione dell’Inquisizione, dove avrebbero sicuramente ricevuto un trattamento molto più misericordioso.

    fonte: Aleteja