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"IN VIAGGIO" - riflessioni quotidiane di Marina Corradi

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    auroraageno
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    00 22/03/2013 08:21


    NEL FONDO DELLA NEBBIA


    Policany, Boemia, inverno 2010 – Da Praga a qui sono 60 chilometri, ma ci si perde, per queste campagne deserte. Poi in fondo a una vallata, dentro la nebbia che si va alzando, come un castello bianco: la nuova fondazione dalle trappiste di Vitorchiano. Sono arrivate in nove dall'Italia, tre anni fa, e ora hanno dieci novizie.
    La notte cala sul monastero con il suo velo di profondo silenzio. Alle quattro e mezza si recitano le Vigilie. Fuori, nel buio la nebbia ha cancellato ogni cosa. Eppure un sottile tocco di campana, il "piccolo", promette che l'oscurità sta per finire. In quale remoto angolo d'Europa è stato gettato questo seme, penso, ascoltando le voci limpide del coro.
    Di giorno, qui è ancora un cantiere: battere di martelli, girare di betoniere. Fino all'ora dei Vespri, in chiesa. Ma inaspettatamente alle mie spalle il portone si apre. Due operai, le mani sporche di calce, entrano, rispettosi si tolgono i berretti e gli stivali infangati, e siedono, ad ascoltare.
    Come cantano le monache, dentro alla nebbia che di nuovo avvolge il convento. E questi due manovali stanchi, che, affascinati, tardano a rincasare. Infine se ne vanno. Diranno a casa: dovete sentire come cantano, al monastero. E altri verranno, curiosi, a sentire. (È la bellezza, che eternamente seduce).


    Marina Corradi



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    00 23/03/2013 11:29


    La lingua di Babele


    Fuenlabrada, Spagna, 2011 - «Bisogno di un miracolo? Chiamaci». I manifesti di una setta evangelica tappezzano questo hinterland di Madrid. A Fuenlabrada, in effetti, di miracoli sembrano servirne parecchi. Qui le ondate di immigrazione - dall'Est, dalla Cina, dall'Africa - si sono stratificate fino a formare un tessuto in cui ognuno è, per l'altro, straniero. Ogni balcone delle torri di cemento ha la sua parabola: la sera, dalle finestre echi di cento lingue diverse. Babele, era così?
    C'è una chiesa: l'han costruita negli anni 60, bassa come un'officina e senza campanile, né campana. Ora una campana ce l'ha, e la corda la tira la mano nerissima di un sacrestano africano. Il parroco, don Antonio, missionario della Fraternità San Carlo, è italiano, figlio di calabresi, cresciuto alla periferia di Milano. Un uomo solido, un' ancora in questo mare di frontiera.
    Come Babele, Fuenlabrada sgomenta chi la guarda. Però, mi accorgo, quanti bambini: in passeggini spinti da madri russe, arabe, cinesi. E che occhi, hanno: luminosi, in uno stupore lieto. Guardando la madre sorridono e ciangottano i primi monosillabi - che sono assolutamente uguali.
    Anche a Babele c'è un idioma universale. Lo parlano i bambini, finché sono molto piccoli. Memoria di un mondo anteriore, vergine - non infranto, ancora.


    Marina Corradi



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    00 25/03/2013 09:28


    LA VERTIGINE DELLA SAGRADA


    Barcellona, 2011 - Vista dal basso, la Sagrada Familia è un vertiginoso castello. Ma, più alte delle guglie, sei gru meccaniche girano i loro poderosi bracci, e operai imbragati come scalatori in parete lavorano, dall'alba al tramonto. L'ascensore del cantiere sale con un clangore di ferraglia e si spalanca sulla sommità della cattedrale. Ma da qui ancora ponti e scale mozzafiato, fino a lassù: dove c'è solo il vento, e, oltre la città, la linea blu del mare.
    Qui attorno invece la cattedrale è un Eden di fiori e frutti di pietra, offerti al cielo come un dono; e chiocciole e ramarri e scarabei del fantastico mondo simbolico di Gaudí, che strisciano e si arrampicano su per le guglie d'oro. Nella struttura possente, ancora tutto è simbolo: 24 le volte, come i vecchi dell'Apocalisse, 4 le nuove torri, come gli Evangelisti, attorno a quella che un giorno svetterà altissima, icona di Cristo. Dentro, poi, quando i battenti a sera chiudono, è una foresta ombrosa la Sagrada, dove come viandanti stanchi ci si potrebbe fiduciosi addormentare.
    Fuori, sotto al cantiere, un vecchio dalle mani callose guarda in su e indica a un nipote una colonna: quella, dice, l'ho fatta io. Come una cattedrale medioevale, sorgente nel 2011. È un miracolo la Sagrada, che si va alzando sotto il cielo di Catalogna.


    Marina Corradi



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    00 26/03/2013 10:25


    A KARL-MARX-STADT


    Chemnitz, Germania, 2011 – Karl-Marx-Stadt, si chiamava questo posto fino alla caduta del Muro. Era una città modello della ex DDR. Sono passati molti anni da allora. Mi sbalordiscono, arrivando, le strade semideserte, e interi viali, in centro, di case in abbandono, i vetri rotti, i muri coperti di graffiti. Nei cortili vuoti i passi lenti di un vecchio che rincasa. Alle nove del mattino incroci ragazzi con la bottiglia di birra in mano, o punk col cranio rasato, e, a mo' di orecchino, un bullone. Alla caduta del Muro, da Karl-Marx-Stadt in 80 mila sono scappati. Scatta il verde e poi il rosso ai semafori, ma non passa nessuno.
    Una torre alta, nuova. È un centro commerciale: dagli iPhone alle magliette da due lire, in una musica stordente. Adolescenti che ciondolano annoiati, senza soldi per comprare. In piazza, un enorme corrucciato busto di Marx. (Hanno fatto un'indagine, i ragazzi non sanno più chi era, quel signore).
    In un cimitero senza croci una donna anziana sta seduta su un seggiolino portatile, accanto a una lapide. Non prega, non piange, semplicemente rimane. Per un marito, per un figlio? Sotto al sole di luglio la donna non si muove. Nella ex Karl-Marx-Stadt, dove in 80 su 100 si dicono atei, una vecchia immobile davanti a una tomba, come una domanda ostinata.

    Marina Corradi



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    00 27/03/2013 10:03


    UN CROCEFISSO SULLE TOFANE


    Dolomiti ampezzane, 2011 - Sulle Tofane non c'è una nuvola. Nel cielo perfettamente blu il sole di luglio, altissimo, acceca e scotta. Dal rifugio Lagazuoi lo sguardo abbraccia l'assise di regine di pietra. Picchi gotici, protuberanze giurassiche, ferite nere di crepacci, dove nemmeno questo sole s'avventura.
    Sul sentiero i figli procedono davanti a me, e con un passo, mi dico fiera, più certo del mio. Hanno 19, 16, 14 anni: già così lontano il tempo in cui li conducevo, esitanti, per mano.
    Le macchie dei rododendri, e il profondo blu delle genziane. Lo splendore del mezzogiorno mi ammutolisce come quando, bambina, dalla valle contemplavo al tramonto queste vecchie sorelle – e mi sembrava che mi guardassero, buone.
    Nell'aria immobile, impercettibili crepitii di roccia che si spacca; e echi di voci lontane. Nel gran sole il mio sguardo si ferma sulle fessure nere degli abissi. Penso a mio padre, a mia madre, a mia sorella, che mi portavano, da piccola, fra queste cime. Nel vertice dell'estate, nel passo agile dei figli, la morte tuttavia così ineludibile e presente.
    Un crocefisso annerito dal tempo, spaccato dal sole e dal gelo, mi si para davanti. Lo riconosco come sola speranza, solo volto salvo dal tempo che passa, e dal buio, che s'annida nelle ferite delle Tofane.


    Marina Corradi



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    00 28/03/2013 11:34


    Mendicanti di misericordia



    Marsiglia, 2012 — Le dieci di una domenica mattina. Attorno a Saint-Vincent-de-Paul, sulla Canebière, la gente va a Messa. Ma, noto stupita, alcuni si portano un seggiolino: non c'è già più un posto libero, nelle navate gremite.
    Mi metto in un angolo. Cosa colma la "grande église" nel cuore di Marsiglia, dieci anni fa tanto vuota che si voleva trasformarla in museo?
    Entra il sacerdote, seguito da un nugolo di chierichetti. L'organo suona splendidamente, la gente canta a piena voce un canto antico, bello. Rigore e bellezza in ogni singolo gesto. L'omelia è di parole schiette, concrete; ma dette con passione e urgenza — come se ognuno di noi, a quel prete, stesse a cuore.
    Mi affascina la straordinaria lentezza della consacrazione del pane — nel più assoluto silenzio. Alla Comunione una fila lunghissima, paziente. All'uscita, una fila altrettanto lunga per una parola, da quell'uomo con lo sguardo buono. Sembrano mendicanti di misericordia, in questa città impoverita e stanca.
    Fede profonda, bellezza della liturgia, e un sacerdote fedele, ogni sera alle cinque, al suo confessionale. In chiesa un
    vecchio clochard mite e bizzarro tenacemente ha atteso per ricevere, ultimo, la Comunione proprio dalle sue mani. Ho sorriso: come a volte i folli sanno, ciò che occorre ai sani.


    Marina Corradi



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    00 29/03/2013 10:47


    NEL PROFONDO DELLA MORTE


    Torino, 2 maggio 2010 - «Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». Nella penombra del Duomo Benedetto XVI si inginocchia davanti alla Sindone. L'immagine di quell'uomo massacrato colma la cattedrale con la sua muta, imponente maestà. Quanto a lungo resta in ginocchio il Papa, contemplando quel volto? Da fuori, il fruscio di un piovasco di primavera, voci smorzate dalle vie della città.
    Davanti alla Sindone Benedetto XVI insegna che nella solitudine più estrema dell'uomo, dove regna l'abbandono senza più alcuna parola di conforto, là la voce di Cristo è risuonata: nel profondo del regno della morte.
    Nel silenzio del Duomo allora penso a quanto di dolore ho visto, in questi anni. Ai bambini degli orfanotrofi moldavi, alle madri di figli che non ritornano, ai profughi che giacciono sul fondo del Mediterraneo, dimenticati e ignoti. Anche dentro questo rappreso, coriaceo grumo di dolore, quella notte, Cristo è passato.
    C'è una giustizia umana che sani tanta sofferenza, o un umano potere che possa credibilmente promettere: mai più? Quel volto martoriato davanti a noi, sola speranza capace di reggere l'urto, e di guarire il nostro sterminato male.


    Marina Corradi



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    00 30/03/2013 10:38


    Pellegrini all'alba


    Galizia, Spagna, aprile 2010 - Ci mettiamo in strada che ancora è notte. Sul Camino Inglés venticinque chilometri a piedi, anche oggi - verso Santiago. La terra dei sentieri è molle di umidità a quest'ora, nei villaggi deserti le imposte serrate. C'è una luna inquieta fra le nuvole, alla cui luce fredda gli alberi spogli sembrano anime ischeletrite. Avanziamo in fila, alla luce delle torce, recitando il Rosario.
    Il buio è ancora fondo quando un gallo canta, stridulo. È bello sentirlo, promessa nell'oscurità. Continuiamo ad andare, di buon passo. Nei campi, le corolle dei fiori ancora chiuse. Da est si allarga un chiarore rosa. Un velo di nebbia si alza dalla terra, fantasmatico, e svanisce.
    Il sole si leva all'orizzonte: lento, rosso, regale. Come a un segnale, gli uccelli prendono a cantare. Un'imposta si apre, nelle case si accendono le luci. Il nuovo giorno che si alza ci commuove - i nostri passi ora più veloci, e più certi. Quelle che sotto la luna sembravano anime in pena si rivelano chiome di alberi ancora nude, ma già coperte di gemme. Dall'oceano nuvole gonfie scaricano sui campi, come una benedizione, una pioggia fresca. Splendono le calle selvatiche, sul sentiero per Santiago. Che miracolo, questa luce di alba che ha vinto la notte, una volta ancora.


    Marina Corradi



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    00 31/03/2013 15:11


    VERSO IL DESTINO


    Santiago de Compostela, aprile 2010 - Il Camino Inglés va dal mare Cantabrico a Santiago. 124 chilometri nei boschi di una Spagna nordica, nel vento dell'Atlantico, battuta da piogge che si alternano a capricciose sortite del sole.
    A piedi, il mondo è del tutto diverso. Ogni prospettiva muta lentamente, centellinata dai nostri passi; ogni pianta ha un profumo, e lo respiro a fondo, avida: menta, e i primi fiori dei limoni. E quelle calle che fioriscono, candide, dal fango? Terre deserte, dove per chilometri non incontri nessuno: e allora è una gioia il tetto di una cascina, e un vecchio sulla porta che augura: «Id con Dios!».
    È un mondo antico quello che ci si svela sui passi del Camino dei pellegrini inglesi. Ai crocicchi si esita: dov'è la conchiglia? Eccola, nascosta sotto a una ciocca di edera, su un muro. Allora confortati ci si rimette in cammino. Il passo e il Rosario, nella stessa cadenza.
    Finché da lontano intravvedi le torri della cattedrale, con un sussulto del cuore: e acceleri il passo. Eccola: mole di pietra cesellata da mille artigiani, e quasi montagna, coperta com'è, in alto, da muschi, nell'umidità dell'oceano vicino. E dentro ombra e ori e profumo d'incenso, e l'ostia bianca elevata sull'altare. Santiago, la meta: che in spagnolo, splendidamente, si dice "destino".


    Marina Corradi



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    SoleInvernale
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    PdL
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    00 01/04/2013 12:05

    Conosco alcune persone che sono andate a Santiago di Compostela, sono stati contenti della visita fatta, ma nessuno me ne aveva fatto un racconto così bello, così suggestivo!

    Sole

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