Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

CREDENTI

SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno C)

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/05/2013 09:26

    DOMENICA DOPO PENTECOSTE: SANTISSIMA TRINITA`

     

    Letture: Proverbi 8,22-31

    Romani 5,1-5

    Giovanni 16,12-15

     

    1. L`anima umile è illuminata dallo Spirito

     

    Tu, dunque, anima fedele, quando nella tua fede t`imbatti in un piú occulto mistero, osa e di`, non per il desiderio di incontrare, ma di seguire: Come avvengono queste cose? Ma la tua domanda, sia la tua preghiera, il tuo amore e il tuo umile desiderio. Non cercare di scoprire in alto la maestà di Dio, ma cerca la salvezza di Dio, e ti risponderà l`angelo della sapienza. "Quando verrà lo Spirito che io manderò a voi dal Padre, egli vi suggerirà tutto e vi insegnerà tutta la verità" (Gv 14,26). "Nessuno infatti sa le cose dell`uomo, se non lo spirito dell`uomo che è in esso; e nessuno sa le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio" (1Cor 2,11). Sbrigati, dunque, a farti partecipe dello Spirito Santo. E` presente, quando viene invocato; se non ci fosse, non sarebbe invocato. E quando viene, viene con l`abbondanza della benedizione di Dio. E` fiume impetuoso, che letifica la città di Dio. E quando arriva, se ti trova umile, sereno e rispettoso della Parola di Dio, si poserà su di te, e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e avveduti di questo mondo; e cominceranno a brillare ai tuoi occhi quelle cose che i discepoli non riuscirono ad assorbire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe detto loro tutta la verità. Verità che non può essere rivelata da nessun uomo.

    E come è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, cosí coloro che desiderano di conoscerlo devono cercare l`intelligenza della fede e il senso della verità nello Spirito Santo. Infatti nelle tenebre e ignoranza di questa vita ai poveri di spirito esso è luce che illumina, è carità che attira, dolce soavità; è lui che avvicina l`uomo a Dio; è l`amore di chi ama, devozione e pietà. Lui di fede in fede rivela ai fedeli la giustizia di Dio; quando dà la grazia e per la fede accolta dalla Parola di Dio dà la fede illuminata.

     

    (Guglielmo di Saint-Thierry, Speculum fidei)

     

     

    2. L`ascolto di Mosè e l`ascolto di Gesú

     

    Cosa dicono pertanto a Gesú coloro che provengono dalla terra distribuita da Mosè? "Come abbiamo ascoltato Mosè, cosí ascolteremo anche te" (Gs 1,17). Nulla di piú vero: chiunque ascolta Mosè, ascolta anche Gesú, nostro Signore, poiché è di Gesú che Mosè ha scritto. Nel Vangelo, il Signore dimostra ai Giudei che, non credendo in lui, non credono neppure a Mosè: "Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto" (Gv 5,46).

    Ecco, tuttavia, un fatto che mi sembra carico di significato: non sono esattamente tre tribú che ricevono la terra da Mosè, né sono esattamente nove tribú che entrano nella loro eredità, grazie a Gesú, bensi due e mezza da un lato, e nove e mezza dall`altro (cf. Gs 14,2s) e questa tribú divisa in due impedisce al numero tre di essere intero e al numero dieci di arrivare al suo perfetto e completo compimento. Ritengo che il significato di questi dettagli sia che gli antichi, vivendo sotto la Legge, abbiano raggiunto una certa conoscenza della Trinità; non una conoscenza completa e perfetta, ma una "conoscenza parziale" (1Cor 13,9). Mancava loro, in effetti, nella Trinità, di conoscere anche l`Incarnazione del Figlio unigenito. Infatti, pur avendo essi creduto nella sua venuta, e creduto a tutti i beni che avrebbe dispensato; e quantunque lo abbiano annunciato, tuttavia non fu loro possibile vedere e raggiungere l`oggetto della propria fede: "Molti profeti e giusti" - disse il Signore ai suoi discepoli - "hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non l`hanno visto; ascoltare ciò che voi ascoltate, e non hanno potuto" (Mt 13,17). Difatti, mancava qualcosa alla loro fede, perché l`economia dell`Incarnazione non era stata ancora realizzata in Cristo. Ciò in cui noi ora crediamo come fatto e compiuto, essi lo credevano solo come futuro.

    Queste tribú non sono dunque in numero di due, perché i Padri non siano ritenuti estranei del tutto alla fede trinitaria e alla salvezza che da essa deriva, e neppure in numero di tre - numero completo e perfetto - perché non si creda che il mistero della beata Trinità sia stato già in loro portato a compimento. Tuttavia, ad onor del vero, essi hanno toccato il numero tre e, come dice il Signore, hanno desiderato vedere ciò che noi vediamo e ascoltare ciò che noi ascoltiamo, ma non lo hanno potuto, poiché il Figlio dell`uomo non era stato ancora "innalzato" (Gv 3,15) e "la pienezza dei tempi non era ancora venuta" (Gal 4,4)

    Ora, però, mi vedo costretto a procedere oltre. Sí, forse la venuta e l`Incarnazione di Gesú non ci danno ancora un insegnamento perfetto e completo; e neppure la sua Passione -consumazione totale - e la sua Risurrezione dai morti ci danno una piena rivelazione. Un altro è necessario per aprircene e rivelarcene la totalità. Ascolta lo stesso Signore nei Vangeli:"Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete comprenderle. Quando verrà lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli prenderà del mio e vi insegnerà ogni cosa" (Gv 16,12-14).

    Se il numero tre appare incompleto, questo non capita solo in Mosè; anche Gesú dice ai suoi discepoli: Non potete capire prima della venuta del Paraclito dello Spirito di verità, perché è per lui e in lui che si consuma la perfezione della Trinità. Di quelle nove tribú e mezza di cui Gesú ha il comando, e che non sono esattamente dieci - numero per eccellenza della consumazione e della perfezione - non si può dare, infatti, altra ragione se non quella che dà lo stesso Signore Gesú: ciò che è riservato allo Spirito Santo ancora non si manifesta che in uno stadio incompleto e intermedio. Difatti, è il Signore e Salvatore che predica la penitenza e la conversione al bene; è per suo tramite che viene concessa a tutti coloro che credono la remissione dei loro peccati, e che si compiono tutte le cose che vediamo tendere alla perfezione della decade; tuttavia, la perfezione e la consumazione di tutti i beni, è, alla fin fine, di meritare di ricevere la grazia dello Spirito Santo. Quale mai perfezione si potrà trovare in chi manca dello Spirito Santo, lo Spirito per il quale si consuma il mistero della beata Trinità?

     

    (Origene, In Jesu Nave, 3, 2)

     

     

    3. Inno alla Santissima Trinità

     

    Dio,

    O beata Trinità...

     

    Seme,

    Albero,

    Frutto,

    O beata Trinità.

     

    Tutto viene dall`Uno,

    Tutto è per l`Uno,

    Tutto è nell`Uno,

    O beata Trinità...

     

    Ingenerato dall`eternità,

    Generato da tutta l`eternità,

    Generato perché tutto sia eterno,

    O beata Trinità.

     

    Tu comandi di creare,

    Tu crei,

    Tu il creato ricrei,

    O beata Trinità.

     

    O Padre, sei per tutti la sostanza,

    O Figlio, per tutti sei la vita,

    O Spirito, per tutti sei salvezza,

    O beata Trinità...

     

    Colui "che ascende al cielo" è Cristo;

    Colui "che dal cielo discende" è sempre Cristo;

    Cristo non è dall`uomo, ma fino a lui si estende,

    O beata Trinità.

     

    Lui tutti preghiamo,

    E l`Uno noi preghiamo,

    L`Uno che è Padre e Figlio e Spirito,

    O beata Trinità.

     

    Liberaci,

    Salvaci,

    Giustificaci,

    O beata Trinità.

     

    (Mario Vittorino, Hym. 3, vv. 1, 83, 86-93, 101-112, 266-285)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 23/05/2013 07:58
    DOMENICA DOPO PENTECOSTE: SANTISSIMA TRINITA`

    Letture: Proverbi 8,22-31
    Romani 5,1-5
    Giovanni 16,12-15

    1. L`anima umile è illuminata dallo Spirito

    Tu, dunque, anima fedele, quando nella tua fede t`imbatti in un piú occulto mistero, osa e di`, non per il desiderio di incontrare, ma di seguire: Come avvengono queste cose? Ma la tua domanda, sia la tua preghiera, il tuo amore e il tuo umile desiderio. Non cercare di scoprire in alto la maestà di Dio, ma cerca la salvezza di Dio, e ti risponderà l`angelo della sapienza. "Quando verrà lo Spirito che io manderò a voi dal Padre, egli vi suggerirà tutto e vi insegnerà tutta la verità" (Gv 14,26). "Nessuno infatti sa le cose dell`uomo, se non lo spirito dell`uomo che è in esso; e nessuno sa le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio" (1Cor 2,11). Sbrigati, dunque, a farti partecipe dello Spirito Santo. E` presente, quando viene invocato; se non ci fosse, non sarebbe invocato. E quando viene, viene con l`abbondanza della benedizione di Dio. E` fiume impetuoso, che letifica la città di Dio. E quando arriva, se ti trova umile, sereno e rispettoso della Parola di Dio, si poserà su di te, e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e avveduti di questo mondo; e cominceranno a brillare ai tuoi occhi quelle cose che i discepoli non riuscirono ad assorbire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe detto loro tutta la verità. Verità che non può essere rivelata da nessun uomo.
    E come è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, cosí coloro che desiderano di conoscerlo devono cercare l`intelligenza della fede e il senso della verità nello Spirito Santo. Infatti nelle tenebre e ignoranza di questa vita ai poveri di spirito esso è luce che illumina, è carità che attira, dolce soavità; è lui che avvicina l`uomo a Dio; è l`amore di chi ama, devozione e pietà. Lui di fede in fede rivela ai fedeli la giustizia di Dio; quando dà la grazia e per la fede accolta dalla Parola di Dio dà la fede illuminata.

    (Guglielmo di Saint-Thierry, Speculum fidei)


    2. L`ascolto di Mosè e l`ascolto di Gesú

    Cosa dicono pertanto a Gesú coloro che provengono dalla terra distribuita da Mosè? "Come abbiamo ascoltato Mosè, cosí ascolteremo anche te" (Gs 1,17). Nulla di piú vero: chiunque ascolta Mosè, ascolta anche Gesú, nostro Signore, poiché è di Gesú che Mosè ha scritto. Nel Vangelo, il Signore dimostra ai Giudei che, non credendo in lui, non credono neppure a Mosè: "Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto" (Gv 5,46).
    Ecco, tuttavia, un fatto che mi sembra carico di significato: non sono esattamente tre tribú che ricevono la terra da Mosè, né sono esattamente nove tribú che entrano nella loro eredità, grazie a Gesú, bensi due e mezza da un lato, e nove e mezza dall`altro (cf. Gs 14,2s) e questa tribú divisa in due impedisce al numero tre di essere intero e al numero dieci di arrivare al suo perfetto e completo compimento. Ritengo che il significato di questi dettagli sia che gli antichi, vivendo sotto la Legge, abbiano raggiunto una certa conoscenza della Trinità; non una conoscenza completa e perfetta, ma una "conoscenza parziale" (1Cor 13,9). Mancava loro, in effetti, nella Trinità, di conoscere anche l`Incarnazione del Figlio unigenito. Infatti, pur avendo essi creduto nella sua venuta, e creduto a tutti i beni che avrebbe dispensato; e quantunque lo abbiano annunciato, tuttavia non fu loro possibile vedere e raggiungere l`oggetto della propria fede: "Molti profeti e giusti" - disse il Signore ai suoi discepoli - "hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non l`hanno visto; ascoltare ciò che voi ascoltate, e non hanno potuto" (Mt 13,17). Difatti, mancava qualcosa alla loro fede, perché l`economia dell`Incarnazione non era stata ancora realizzata in Cristo. Ciò in cui noi ora crediamo come fatto e compiuto, essi lo credevano solo come futuro.
    Queste tribú non sono dunque in numero di due, perché i Padri non siano ritenuti estranei del tutto alla fede trinitaria e alla salvezza che da essa deriva, e neppure in numero di tre - numero completo e perfetto - perché non si creda che il mistero della beata Trinità sia stato già in loro portato a compimento. Tuttavia, ad onor del vero, essi hanno toccato il numero tre e, come dice il Signore, hanno desiderato vedere ciò che noi vediamo e ascoltare ciò che noi ascoltiamo, ma non lo hanno potuto, poiché il Figlio dell`uomo non era stato ancora "innalzato" (Gv 3,15) e "la pienezza dei tempi non era ancora venuta" (Gal 4,4)
    Ora, però, mi vedo costretto a procedere oltre. Sí, forse la venuta e l`Incarnazione di Gesú non ci danno ancora un insegnamento perfetto e completo; e neppure la sua Passione -consumazione totale - e la sua Risurrezione dai morti ci danno una piena rivelazione. Un altro è necessario per aprircene e rivelarcene la totalità. Ascolta lo stesso Signore nei Vangeli: "Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete comprenderle. Quando verrà lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli prenderà del mio e vi insegnerà ogni cosa" (Gv 16,12-14).
    Se il numero tre appare incompleto, questo non capita solo in Mosè; anche Gesú dice ai suoi discepoli: Non potete capire prima della venuta del Paraclito dello Spirito di verità, perché è per lui e in lui che si consuma la perfezione della Trinità. Di quelle nove tribú e mezza di cui Gesú ha il comando, e che non sono esattamente dieci - numero per eccellenza della consumazione e della perfezione - non si può dare, infatti, altra ragione se non quella che dà lo stesso Signore Gesú: ciò che è riservato allo Spirito Santo ancora non si manifesta che in uno stadio incompleto e intermedio. Difatti, è il Signore e Salvatore che predica la penitenza e la conversione al bene; è per suo tramite che viene concessa a tutti coloro che credono la remissione dei loro peccati, e che si compiono tutte le cose che vediamo tendere alla perfezione della decade; tuttavia, la perfezione e la consumazione di tutti i beni, è, alla fin fine, di meritare di ricevere la grazia dello Spirito Santo. Quale mai perfezione si potrà trovare in chi manca dello Spirito Santo, lo Spirito per il quale si consuma il mistero della beata Trinità?

    (Origene, In Jesu Nave, 3, 2)


    3. Inno alla Santissima Trinità

    Dio,
    O beata Trinità...

    Seme,
    Albero,
    Frutto,
    O beata Trinità.

    Tutto viene dall`Uno,
    Tutto è per l`Uno,
    Tutto è nell`Uno,
    O beata Trinità...

    Ingenerato dall`eternità,
    Generato da tutta l`eternità,
    Generato perché tutto sia eterno,
    O beata Trinità.

    Tu comandi di creare,
    Tu crei,
    Tu il creato ricrei,
    O beata Trinità.

    O Padre, sei per tutti la sostanza,
    O Figlio, per tutti sei la vita,
    O Spirito, per tutti sei salvezza,
    O beata Trinità...

    Colui "che ascende al cielo" è Cristo;
    Colui "che dal cielo discende" è sempre Cristo;
    Cristo non è dall`uomo, ma fino a lui si estende,
    O beata Trinità.

    Lui tutti preghiamo,
    E l`Uno noi preghiamo,
    L`Uno che è Padre e Figlio e Spirito,
    O beata Trinità.

    Liberaci,
    Salvaci,
    Giustificaci,
    O beata Trinità.

    (Mario Vittorino, Hym. 3, vv. 1, 83, 86-93, 101-112, 266-285)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 29/05/2013 07:00

    SOLENNITA` DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO

     

    (Domenica dopo la Trinità)

     

    L`origine della festa del Corpus Christi va associata col sorgere di una nuova pietà eucaristica nel Medioevo che accentuava la presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. La causa prossima dell`introduzione della festa furono le rivelazioni della beata Giuliana (1193-1258), monaca agostiniana del convento di Mont-Cornillon, vicino a Liegi. La materia delle rivelazioni fu presentata ai teologi (tra i quali c`era il futuro papa Urbano IV), e dopo aver ricevuto il loro verdetto, nell`anno 1246, la festa fu introdotta nella diocesi di Liegi e celebrata il giovedí nell`ottava della SS. Trinità. Urbano IV estende la festa a tutta la Chiesa nel 1264; ma la sua morte non ha permesso la promulgazione del documento. Solo dopo aver pubblicato la bolla di papa Giovanni XXII, nell`anno 1317, la festa fu accolta in tutto il mondo.

    La prima menzione della processione in questo giorno proviene da Colonia (1277-1279); nel secolo XIV la conoscono già le altre diocesi di Germania, Inghilterra e Francia, e Roma stessa verso il 1350. Sul territorio di Germania, all`inizio del XV secolo, la processione del Corpus Christi fu legata alla supplica per il buon tempo ed il buon raccolto. Presso quattro altari si cantavano gli inizi dei quattro Vangeli: era comune la convinzione che il canto di questi brani avrebbe portato un particolare aiuto e protezione da tutti i pericoli.

    La processione supplicante diventa importante per i fedeli, che fanno tutto per renderla piú splendida. Sotto l`infiusso della Riforma, la processione assume un altro carattere, diventa la professione di fede nella reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Si continua a cantare l`inizio dei Vangeli, ma questa prassi viene interpretata in altro modo: sotto le specie del pane è presente Cristo in mezzo a noi, Cristo che una volta ha vissuto sulla terra e il cui Vangelo è adesso annunciato.

    Pio IX, nell`anno 1849, in segno di gratitudine per il felice ritorno dall`esilio, costituì la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Dato che la festa del Corpo di Cristo è nello stesso tempo festa del Sangue di Cristo, il nuovo calendario sopprime la festa del 1° luglio e alla festa del Corpus Christi dà nome: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.

    Cristo nel «mirabile Sacramento ci ha lasciato il memoriale della sua Pasqua» e la Chiesa, attraverso i secoli, celebrando l`Eucaristia «annuncia la morte del Signore, proclama la sua Risurrezione ed attende la sua venuta nella gloria». Cristo in modo mirabile rimane in mezzo a noi: ci fa partecipare al suo Sacrificio di Redenzione e si fa cibo per noi. Egli offre il suo Corpo per noi; il suo Sangue comporta la remissione dei peccati. Il Sacrificio di Gesú porta pace e salvezza a tutto il mondo. La Chiesa si nutre del Corpo e del Sangue del Signore: e allora tutti i suoi figli diventano «un solo corpo e un solo spirito in Cristo». La potenza dello Spirito Santo riveste tutti i credenti e fa sí che essi diventino in Cristo il sacrificio vivente a gloria di Dio Padre. L`Eucaristia diviene per chi crede il preannunzio della piena partecipazione alla vita di Dio nell`eternità, è il pegno della vita eterna. «Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue avrà la vita «eterna», disse il Signore.

    Cristo Signore è presente in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento. La coscienza di ciò porta all`adorazione e alla lode, specialmente nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore. In questo giorno, il popolo cristiano dà pubblicamente e con pietà la testimonianza della sua fede nell`Eucaristia, esce in processione sulle strade con canti di lode.

     

    Mistero della Cena!

    Ci nutriamo di Cristo,

    si fa memoria della sua passione,

    l`anima è ricolma di grazia,

    ci è donato il pegno della gloria.

     

    (Liturgia Horarum, III: Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, ad II Vesperas, ad Magnificat)

     

     

    1. Le condizioni per celebrare la Pasqua

     

    Facciamo pure cosí in ciò che spetta ai misteri (eucaristici), senza guardare soltanto ciò che abbiamo dinanzi a noi, ma tenendo presenti le sue parole. Perché la sua parola è infallibile ed i nostri sensi sono fallibili. La sua parola non è mai venuta meno mentre i sensi il piú delle volte si ingannano. Poiché la sua parola ci dice: Questo è il mio corpo, ubbidiamo e crediamo, e vediamolo con gli occhi dello spirito. Infatti, Cristo non ci diede nulla di sensibile, ma piuttosto, per mezzo di cose sensibili, non ci diede altro che cose spirituali. Cosí nel battesimo, per mezzo di una cosa sensibile, ci si dà il dono dell`acqua, ma sono spirituali la rinascita e il rinnovamento ivi prodotti. Se tu fossi incorporeo, ti avrebbe dato soltanto questi doni incorporei; ma poiché l`anima è unita al corpo, ti offre - per mezzo di cose sensibili - altre spirituali. Quanti ora dicono: «Vorrei vedere la sua forma, la sua figura, le sue vesti, i suoi calzari!». Ecco quindi che Lo vedi, Lo tocchi, Lo mangi. Tu desideri vedere le sue vesti; ma Egli stesso ti si dona, e non solo perché tu lo veda, ma perché tu lo veda, ma perché lo possa toccare e mangiare e lo riceva dentro di te. Nessuno, quindi, si avvicini con senso di fastidio, con tiepidezza; tutti vi giungano pieni di ardore, di fervore e ben desti. Perché se i giudei, stando in piedi, tenendo i calzari e i bastoni in mano, mangiavano in fretta, conviene assai di piú che tu sia in guardia. Se essi, infatti, dovevano recarsi in Palestina, e per questo prendevano la forma di viandanti, tu invece devi trasferirti in cielo.

    E` necessaria quindi una grande vigilanza: il tormento da cui sono minacciati coloro che comunicano indegnamente non è mediocre Considera come ti riempi di sdegno contro il traditore e contro quelli che hanno messo in croce Cristo. Bada bene di non essere anche tu reo del corpo santissimo, ma tu lo ricevi con l`anima immonda dopo aver ricevuto tanti benefici! Poiché Egli non si accontentò di farsi uomo, di essere schiaffeggiato e crocefisso, ma si unisce anche e si intrattiene con noi, e non solo per mezzo della fede, ma in realtà ci fa suo proprio corpo. Quale genere di purezza deve superare colui che partecipa a tale sacrificio? Quali raggi di luce da essere sorpassati dalla mano che spezza questa carne, dalla bocca che si riempie di questo fuoco spirituale, dalla lingua che si arrossa con questo sangue venerando?

    Considera quale onore tanto elevato ti viene reso, di quale banchetto fai parte. Colui che gli angeli vedono con tremore e, a causa del suo splendore, non osano guardare in faccia, di Questi noi ci alimentiamo, con Questi noi ci mescoliamo e diventiamo un solo corpo e carne di Cristo. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? (Sal 105,2). Quale pastore non rnanda al pascolo le sue pecore servendosi dei suoi servi? Ma che dico, pastore? Vi sono spesse volte delle madri le quali, dopo aver sofferto i dolori del parto, offrono i loro figli ad altre affinché li allattino e li educhino. Ma Egli non ha voluto cosí; Egli ci alimenta col suo sangue e si unisce a noi con tutti i mezzi. Osservalo bene: è nato dalla nostra stessa sostanza. Ma ciò non appartiene a tutti, dirai. Invece, sí certamente: a tutti. Perché se è venuto a prendere su di sé la nostra natura, è evidente che è venuto per tutti. E se per tutti, anche per ognuno di noi.

    Ma come mai, mi dirai, non tutti hanno saputo trar profitto da questo guadagno? Non certamente per colpa di Colui il quale ha scelto questo in nome di tutti, bensí per colpa di coloro che non hanno voluto. Con ognuno dei fedeli Egli si unisce e si mescola per mezzo del sacramento, e coloro che ha generati li alimenta lui stesso e non li affida ad altri, e ti persuade allo stesso tempo col fatto che Egli ha preso la tua carne. Non dobbiamo quindi essere pigri, essendo stati giudicati degni di un sì grande amore ed onore. Non vedete con quale slancio i piccoli si attaccano al petto della madre, con quale impulso vi applicano le labbra? Avviciniamoci anche noi con lo stesso slancio a questa mensa, a questo petto e a questo calice spirituale; e ancora di piú: attiriamo con un impegno piú grande, come fanno i bimbi che devono essere allattati, la grazia dello Spirito Santo, e non abbiamo nessuna altra preoccupazione se non quella di non partecipare di questo alimento. L`Eucaristia non è opera dovuta alla virtù umana. Colui che in quella cena l`ha portata a compimento è Colui che ancor oggi la sostiene. Noi abbiamo la funzione di suoi ministri; ma Colui che santifica la offerta e la trasforma è Lui stesso.

    Non vi prenda parte, quindi, nessun Giuda, nessun avaro. Se qualcuno non è suo discepolo, si ritiri; il sacro banchetto non ammette tali commensali. Celebro la Pasqua, afferma, con i miei discepoli (Mt 26,8). Questa è la stessa mensa. Poiché non si può dire che Cristo abbia preparato quella e l`uomo questa: ambedue sono state preparate da Cristo. Questa è quel cenacolo in cui allora si trovavano e da cui si recarono al monte degli; Ulivi. Rechiamoci anche noi verso le mani dei poveri, perchè sono esse nel monte degli Ulivi. Ulivi piantati nella casa del Signore, sono la moltitudine dei poveri, i quali distillano l`olio che nell`al di là ci sarà di utilità, l`olio che avevano le cinque vergini, mentre le altre cinque perirono perché non seppero prenderlo da qua. Prendiamolo, dunque, ed entriamo per andar incontro allo Sposo con le lampade splendenti; prendiamolo ed usciamo da qua con esso. Non vi entri nessuno che sia disumano, nessuno che sia crudele e senza compassione, nessuno assolutamente che sia macchiato.

    Dico questo a voi che comunicate e a voi che amministrate la comunione. Perché è necessario parlare anche a voi affinché di affinché distribuiate questi doni con molta diligenza. Non vi viene riservato affatto un piccolo castigo se, conoscendo le cattiverie di qualcuno, permettete che partecipi a questo banchetto. Si domanderà conto del suo sangue alle vostre mani! (cf. Gen 42,22). Anche se si tratta del comandante militare, anche se si tratta del prefetto, anche se è colui stesso che si cinge il diadema, e si accosta indegnamente, allontanalo; tu hai un potere piú grande di quello che ha lui! Se tu avessi ricevuto l`incarico di conservare pura una fonte di acqua per un gregge, e vedessi una pecora con la bocca piena di fango, non le permetteresti di abbassarsi sulla corrente e di intorbidirla; e come mai adesso, che sei incaricato di una fonte non d`acqua, ma di sangue e spirito, e vedendo avvicinarsi ad essa alcuni che sono macchiati, non di terra e fango, ma di qualcosa di peggio, il peccato, come mai non ti adiri e non li allontani? Quale perdono pensi vi sia per te?

    Per questo Iddio vi ha distinti con sí grande onore, affinché voi possiate far la cernita tra i degni e gli indegni. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra sicurezza, questa la vostra corona; e non passeggiare (per la chiesa) cinti di un bianco e splendente vestito.

     

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 4-6)

     

     

    2. «Fate questo in memoria di me»

     

    E mentre cenavano, prendendo in mano il pane, lo spezzò. Per quale motivo ha celebrato questo mistero precisamente nel tempo della Pasqua? Affinché tu scopra in ogni luogo che Lui era il Legislatore dell`Antico Testamento, e che quanto è in esso contenuto è stato scritto per raffigurare questa realtà. Ed è per questo motivo che Egli ha collocato la verità al posto della figura. La sera, per suo conto, significava la pienezza dei tempi, e che gli avvenimenti erano vicini ormai al loro termine. Egli, inoltre, rende grazie, insegnandoci così come si deve celebrare questo mistero, dimostrandoci che Egli non cammina verso la Passione involontariamente, insegnandoci a portar avanti con gratitudine tutte le nostre sofferenze e proponendoci tante buone speranze. Poiché se la figura è stata un frutto di libertà da una cosí grande schiavitú, quanto piú lo sarà la verità che darà libertà a tutta la terra e verrà data per il bene della nostra natura! Ed è per questo motivo che Egli non ci ha donato il mistero fino a questo momento, ma soltanto quando le istituzioni legali dovevano cessare. Egli distrugge infine la principale di tutte le sue feste, trasportando [i suoi] ad un`altra mensa terribile, ed esclama: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, il quale viene spezzato per molti (1Cor 11,24).

    E come mai, all`udire questo, non ne furono turbati? Perché già in anticipo Egli aveva loro predetto su tale argomento molte e grandi cose. Per cui non le ribadisce ora, perché essi avevano già inteso parlare abbastanza sull`argomento, ma riporta la causa della sua passione, che era la remissione dei peccati. Egli chiama poi il suo sangue del Nuovo Testamento, vale a dire, della promessa, dell`annuncio della nuova legge. Infatti, ciò era stato promesso dai tempi antichi e viene confermato dal Testamento della legge nuova. E cosi come l`Antico Testamento usava pecore e vitelli, il Nuovo ha il sangue del Signore. Per questo stesso motivo fa capire che va verso la morte: per questo fa menzione di Testamento; e fa menzione dell`Antico, perché anch`esso si era iniziato col sangue.

    E ancora una volta accenna alla causa della sua morte. Il quale [il sangue] sarà effuso per molti per la remissione dei peccati; ed aggiunge: Fate questo in memoria di me. Vedete come si sta distaccando ed allontanando dalle usanze giudaiche? Così come quello anteriore - dice ad essi - lo facevate in memoria delle meraviglie di Egitto, ora fate questo in memoria di me. Quel sangue era stato effuso a salvezza dei primogeniti: questo invece in perdono dei peccati di tutto il mondo. Perché questo è il mio sangue - egli dice - che sarà versato in remissione dei peccati. E parlava in questo modo, dichiarando così che la passione e la croce sono un mistero, ed esortando in tale maniera allo stesso tempo i discepoli. E cosí come Mosè ha detto: Questo [sia] per voi ricordo sempiterno (Es 3,15), così pure Egli dice: In memoria di me (Lc 22,19) finché io verrò. Per questo motivo dice ancora: Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale (Lc 22,15); e cioè, consegnarvi delle cose nuove e donarvi la pasqua, con la quale devo rendervi spirituali.

    Di esso [del sangue] ne bevve anche Lui. Infatti, affinché quelli, nell`udire ciò, non dicessero: «Come mai? Beviamo sangue e mangiamo carne?» e ne fossero turbati (poiché in realtà, quando Egli parlò di questo argomento, molti solo all`udire tali parole, ne furono scandalizzati), Egli - perché non venissero turbati anche ora - è stato il primo a farlo, invogliandoli tranquillamente alla partecipazione dei misteri. Per tal motivo bevve Egli stesso il suo proprio sangue. Ma come? dirai. E bisognerà fare anche quello di prima (quello dell`antica legge)? Niente affatto. Perché Egli ha detto: Fate questo, precisamente per allontanarci da quello. Infatti, se questo opera la remissione dei peccati - come in realtà avviene -, quello è ormai inutile. Cosí, dunque, come succedeva tra i Giudei, vincola ora al mistero il ricordo del beneficio, chiudendo in tal modo la bocca agli eretici. Perché quando essi dicono: «Da che cosa si deduce che Cristo è stato immolato?», oltre ad altre ragioni, chiudiamo le loro labbra per mezzo dei misteri. Poiché se Cristo non fosse morto, di che cosa sarebbero simbolo i misteri che noi celebriamo?

     

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 82, 1)

     

     

    3. Cibo e bevanda di vita eterna

     

    Quelli che, cadendo nelle insidie loro tese, hanno preso il veleno, ne estinguono il potere mortifero con un altro farmaco. Allo stesso modo, come è entrato nelle viscere dell`uomo il principio esiziale, deve entrarvi anche il principio salutare, affinché si distribuisca in tutte le parti del suo corpo la virtù salvifica. Avendo noi gustato il cibo dissolvitore della nostra natura, ci fu necessario un altro cibo, che riunisce ciò che è dissolto, perché, entrato in noi, questo medicamento di salvezza agisse da antidoto contro la forza distruggitrice presente nel nostro corpo. E cos`è questo cibo? Null`altro che quel Corpo che si rivelò piú possente della morte e fu l`inizio della nostra vita. Come un po` di lievito, secondo quanto dice l`Apostolo (cf. 1Cor 5,5), rende simile a sé tutto l`impasto, cosí quel Corpo, dotato da Dio dell`immortalità, entrato nel nostro, lo trasforma e lo tramuta tutto in sé. Come, infatti, il principio salutare mescolato al principio mortifero toglie il potere esiziale al miscuglio, cosí il Corpo immortale una volta dentro colui che lo ha ricevuto, lo tramuta tutto nella propria natura.

    Ma non è possibile entrare in un altro corpo, se non unendosi alle sue viscere, se non cioè, come alimento e bevanda: dunque è necessario ricevere la forza vivificante dello Spirito nel modo possibile alla natura. Ora, solo il Corpo, ricettacolo di Dio, ricevette la grazia dell`immortalità, ed è dimostrato che non è possibile, per il nostro corpo vivere nell`immortalità, se non partecipandovi per la comunione a quel Corpo. E` necessario considerare come mai sia possibile che quel Corpo, continuamente distribuito in tutto il mondo a tante migliaia di fedeli, rimanga sempre unico e identico in tutto se stesso, affinché la fede, riguardando ciò che è conseguente non abbia dubbi circa le nozioni proposte, è bene fermare un poco il nostro ragionamento sulla fisiologia del corpo.

    Chi non sa che il nostro corpo, per natura sua, ha una vita che non è in sé sussistente, ma, per l`energia che in esso affluisce, si mantiene e resta nell`essere attirando con moto incessante a sé ciò che è estraneo ed espellendo ciò che è superfluo? Un otre pieno di un liquido, se il contenuto esce dal fondo, non può mantenere inalterata la forma e il volume, se dall`alto non entra altro liquido al posto di quello che se ne è andato: perciò chi vede la massa a forma d`otre di questo recipiente, sa che non e propria dell`oggetto che vede, ma che è il liquido che in lui affluisce a dare forma e volume al recipiente. Cosí anche il nostro corpo, per sua struttura, non ha nulla di proprio, a quanto ci consta, per la propria sussistenza, ma resta nell`essere per una forza che introduce in sé. Questa forza è e si chiama cibo. Essa poi non è identica per tutti i vari corpi che si nutrono, ma per ciascuno è stato stabilito il cibo conveniente da colui che governa la natura. Alcuni animali scavano radici e se ne nutrono, per altri nutrimento è l`erba e per altri ancora, invece, la carne. Per l`uomo, l`alimento principale è il pane, mentre la bevanda, necessaria per mantenere e conservare l`umidità, non è solo la semplice acqua, ma spesso unita al vino, che è di giovamento al nostro calore animale. Chi dunque guarda questi cibi, vede in potenza la massa del nostro corpo. Quando infatti sono in me diventano rispettivamente carne e sangue, perché il potere assimilante muta l`alimento nella forma del nostro corpo.

    Esaminato cosí dettagliatamente tutto ciò, riportiamo il pensiero al nostro argomento. Ci si chiedeva dunque come il corpo di Cristo, che è in lui, possa vivificare la natura di tutti gli uomini che hanno fede, venendo a tutti distribuito e non diminuendo in se stesso. Forse non siamo lontani da una ragione plausibile. Infatti, se la realtà di ogni corpo deriva dall`alimentazione, che consta di cibo e bevande, e il cibo è pane, la bevanda acqua unita al vino; se poi, come abbiam detto sopra, il Logos di Dio, che è Dio e Logos, si uní alla natura umana, e venendo nel nostro corpo, non innovò la realtà di tale natura umana, ma diede al suo corpo la possibilità di permanere in vita per mezzo di ciò che è consueto e adatto, dominandone cioè la sussistenza, per mezzo del cibo e della bevanda; se quel cibo era pane; se come in noi - l`abbiamo già detto ripetutamente - chi vede il pane vede in un certo senso il corpo umano, perché il pane in esso entrato in esso si trasforma; cosí anche nel nostro caso: il corpo ricettacolo di Dio, preso il pane in nutrimento, era in un certo senso lo stesso che il pane, perché il nutrimento, come abbiamo detto, si tramuta nella natura del corpo.

    Ciò che è proprio di tutti i corpi umani si verifica anche in quella carne: quel Corpo cioè veniva sostentato dal pane; ma quel Corpo, per l`inabitazione del Logos di Dio, si era trasmutato in dignità divina: giustamente credo, dunque, che anche ora il pane santificato dal Logos (Parola) di Dio si tramuta nel Logos di Dio, anche quel Corpo, infatti, era in potenza pane; fu santificato dall`abitazione del Logos che si attendò nella carne. Come il pane, trasformato in quel Corpo, si mutò in potenza divina, cosí anche ora diventa la stessa realtà. Allora la grazia del Logos rese santo il corpo la cui sussistenza dipendeva dal pane e in un certo senso era anch`esso pane; allo stesso modo ora il pane, come dice l`Apostolo (cf. 1Tm 4,5), santificato dal Logos di Dio e dalla preghiera, diviene corpo del Logos, non lentamente, come fanno cibo e bevanda, ma immediatamente come disse il Logos stesso: Questo è il mio corpo (Mt 26,26).

    Ogni corpo si ciba anche di liquido: senza il suo apporto, infatti, l`elemento terrestre che è in noi, non resterebbe in vita. Come sostentiamo la parte solida del nostro corpo con il cibo solido e duro, cosí all`elemento liquido del nostro corpo aggiungiamo qualcosa della sua stessa natura. Quando questo liquido è in noi, per la funzione assimilatrice, si tramuta in sangue, soprattutto se dal vino ha ricevuto la forza di mutarsi in calore. Dunque, anche questo elemento accolse nella sua struttura quella carne ricettacolo di Dio, ed è chiaro che il Logos uní se stesso alla caduca natura degli uomini affinché per la partecipazione alla divinità ciò che è umano fosse anch`esso divinizzato; per questo motivo egli, per disegno della sua grazia, per mezzo della carne la cui sussistenza proviene dal pane e dal vino, quasi seminò se stesso in tutti i credenti, unendosi ai loro corpi, affinché per l`unione con ciò che è immortale anche l`uomo diventasse partecipe dell`incorruttibilità. Questo egli dona per la potenza della benedizione che tramuta in ciò la natura degli elementi visibili.

     

    (Gregorio di Nissa, Catech. M., 37)

     

     

    4. Credere per capire

     

    Ciò che dunque vedete è pane e vino; ed è ciò che anche i vostri occhi vi fanno vedere: ma la vostra fede vuol essere istruita, il pane è il corpo di Cristo, il vino è il sangue di Cristo. Veramente quello che è stato detto in poche parole forse basta alla fede: ma la fede desidera essere istruita. Dice infatti il profeta: Se non crederete, non capirete (Is 7,9). Infatti voi potete dirmi: «Ci hai insegnato a credere, fa` in modo che noi comprendiamo». Nel proprio animo qualcuno può pensare: «Sappiamo che Nostro Signore Gesú Cristo nacque da Maria Vergine. Da bambino fu allattato, nutrito; quindi crebbe, divenne giovane, fu perseguitato dai Giudei, fu messo in croce, morí in croce, fu deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò come aveva stabilito, salí in cielo; come è asceso cosí verrà a giudicare i vivi e i morti; quindi ora siede alla destra del Padre: come può il pane essere il suo corpo? E il calice, ossia il vino che il calice contiene, come può essere il suo sangue?». Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un`altra si intende. Ciò che si vede ha un aspetto corporeo, ciò che si intende ha sostanza spirituale. Se dunque vuoi farti una idea del corpo di Cristo, ascolta l`Apostolo che dice ai fedeli: Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e cosí rispondendo voi l`approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell`Amen. Perché dunque nel pane? Qui non aggiungiamo nulla di nostro, ascoltiamo sempre lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Poiché c`è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Cor 10,17): comprendete e gioite; unità, verità, pietà, carità. Un pane solo: che cos`è questo solo pane? Pur essendo molti siamo un corpo solo. Ricordatevi che il pane non si ottiene da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando venivate esorcizzati era come se foste macinati. Quando siete stati battezzati, come se foste impastati. Quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo, come se foste cotti. Siate ciò che vedete e accettate quello che siete. Questo ha detto del pane l`Apostolo. Quindi quello che intendiamo col calice, anche se non è stato detto, lo ha mostrato sufficientemente. Infatti come molti chicchi si fondono in uno solo per avere la forma visibile del pane, cosí avvenga ciò che la Sacra Scrittura dice dei fedeli: Essi avevano un cuor solo e un`anima sola rivolti verso Dio (At 4,32): ed è così anche per quanto riguarda il vino. Fratelli, ricordate da che cosa si ricava il vino. Molti sono i chicchi che pendono dal grappolo, ma poi tutti si mescolano in un solo liquido. Cristo Signore ha voluto che noi fossimo così, ha voluto che noi gli appartenessimo, ha consacrato alla sua mensa il mistero della pace e della nostra unità. Chi accoglie il mistero dell`unità, ma non mantiene il vincolo della pace, non accoglie il mistero in suo favore, ma una prova contro di sè.

     

    (Agostino, Sermo 272)

     

     

    5. Il dono ineffabile di Cristo

     

    Tali sono i gloriosi misteri della santa Chiesa, e tale è l`ordine nel quale sono celebrati dai sacerdoti.

    Felice colui che ha il cuore puro, nel momento in cui sono consacrati i misteri tremendi del Corpo di nostro Signore. Gli angeli del Cielo giudicano molto fortunati i figli della Chiesa che sono stati resi degni di ricevere il corpo e il sangue di Gesú Cristo nostro Signore.

    Gloria al tuo nome per il tuo dono ineffabile!

    E chi può adeguatamente rendere gloria alla tua divinità?

    Vieni, dunque, tu, che sei ammesso al sacramento dei figli della Chiesa, ad imparare secondo quella prescrizione che ti puoi avvicinare ai sacerdoti, purché te ne accosti secondo il modo che l`apostolo Paolo ha deciso.

    Avvicinati con cuore puro al corpo e al sangue di nostro Signore, che ti purificheranno dalle macchie dei peccati che tu hai commesso. I sacerdoti non allontanino il peccatore che viene a pentirsi, né l`impuro che si lamenta e che si affligge di essere impuro. Ma essi accolgono e gli impuri e i peccatori a condizione che essi facciano il proposito di non piú ritornare al male. Prega, allora, con amore, insieme col sacerdote, affinché colui che dà la vita e perdona i peccati ti accolga! Stai attento, tuttavia, a non uscire dalla nave per andare al di fuori, nel momento in cui sono consacrati i tremendi misteri! Chi è colui che volontariamente, rifiuterebbe questo pasto al quale sono invitati gli angeli e gli uomini? Chi è colui che, dal momento che è stato inserito nelle file della Chiesa, preferirebbe il posto degli estranei che la Chiesa ha allontanato?

    E` il momento in cui occorre comportarsi come un angelo in questo momento in cui lo Spirito Santo dimora. Questo istante dà la vita a colui che vi è presente, e condivide dei doni con colui che l`accoglie. Felice colui che vi crede, e riceve questi doni, poiché se egli è morto rivivrà, e se è vivo, non morrà per aver peccato!

     

    (Narsai il Lebbroso, Expositio Myster., passim)

     

     

    6. Il dono dell`Eucaristia

     

    Avendo amato i suoi ch`erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituí la celebrazione. Non so se piú ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; cosí, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.

     

    (Guerric d`Igny, Sermo in Ascens., 1)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 07/06/2013 07:28

    SOLENNITA` DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU`

     (Venerdí della terza settimana dopo Pentecoste)

     La devozione al Cuore di Gesú risale al Medioevo: i mistici dei secoli XI e XII incoraggiano i fedeli alla meditazione della Passione del Signore, alla venerazione delle ferite di Cristo e del Cuore trafitto dalla lancia del soldato.

    Si sviluppa particolarmente in Francia ed in Germania, specialmente in alcuni monasteri. I missionari gesuiti portano il culto in America: in Brasile, nell`anno 1585, sorge la prima chiesa dedicata al Cuore di Gesú. Il culto al Cuore di Gesú resta comunque una devozione privata.

    San Giovanni Eudes per primo, avendo ricevuto il permesso dal vescovo di Rennes, introduce la festa del Cuore di Gesú in tutte le case della sua Congregazione nell`anno 1670; la festa viene celebrata il 31 agosto. Le altre diocesi di Francia, alcune d`Italia e di Germania seguono l`esempio del vescovo di Rennes.

    Le rivelazioni di santa Maria Margherita Alacoque (+1690) influiscono maggiormente sulla diffusione della festa. Nonostante le numerose richieste indirizzate alla Sede Apostolica, Roma esita a lungo. Dopo la rinnovata richiesta dei vescovi polacchi, Clemente XIII, nel 1765, dà il permesso di celebrare la festa del Cuore di Gesú il venerdí dopo l`ottava del Corpus Christi e cosí essa entra nel ciclo delle feste cristiane. Pio IX, nel 1856, estende la festa su tutta la Chiesa; Leone XIII, consacra al Cuore di Gesú tutto il genere umano, Pio X, raccomanda di farlo ogni anno. Nel popolo cristiano si è comunemente diffusa la pratica della Comunione nei primi nove venerdí del mese.

    Il Cuore di Gesú, trafitto dalla lancia del soldato, rimane per sempre il simbolo del grande ed inconcepibile amore di Dio verso l`uomo. Dio è amore. Lui ci ha amati per primo ed ha mandato il suo Figlio per salvarci. Non c`è amore piú grande che dare la propria vita per qualcuno - disse il Signore - ed ha messo in pratica infatti queste parole. Dal costato trafitto di Cristo nasce la Chiesa. Dal costato trafitto di Cristo scorre sangue ed acqua, simbolo dei due Sacramenti: Battesimo ed Eucaristia.

    La chiave di lettura di tutta la storia della salvezza e della redenzione compiuta da Cristo è l`amore. Rendendo oggi il culto al Cuore di Gesú, ci rendiamo piú che mai conto che «l`amore non è amato». Perciò dobbiamo desiderare che i nostri cuori siano infiammati dal fuoco dell`amore di Dio, e vedendo quanti rimangono indifferenti alla chiamata del Signore, dobbiamo riparare alla loro mancanza di amore.

     

    Vieni in nostro aiuto, Signore,

    perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità,

    che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

     

    (Missale Romanum, Domenica V di Quaresima Ccllecta)

     

     

    1. Rifocillarsi alla Fonte della vita

     

    Dateci ascolto, fratelli carissimi, come se doveste sentire qualcosa di necessario e rifocillate, senza stancarvene, la vostra sete alle acque di quella divina fonte, di cui vogliamo parlare; bevete; è la Fonte viva che c`invita; è la Fonte della vita che ci dice: Se uno ha sete, venga da me, e beva (Gv 7,37). Rendetevi conto di ciò che bevete. Sentite Geremia che fa dire alla Fonte: Hanno abbandonato me, Fonte di acqua viva, dice il Signore (Ger 2,13). Il Signore nostro Gesú Cristo in persona è, dunque, la Fonte della vita e ci invita, perché lo beviamo. Lo beve, chi lo ama; lo beve, chi si sazia della parola di Dio, chi ama molto, molto desidera; beve, chi arde d`amore per la sapienza. Corriamo a bere noi, dunque, pagani, ciò che hanno lasciato gli Ebrei. Per noi anche è stato scritto: «Apriamo le mandibole del nostro uomo interiore per mangiar con appetito e, per non esser visti, mangiamo svelti e in luogo nascosto». Per mangiare il pane, per bere alla fonte, che è lo stesso Signore Gesú Cristo, il quale ci dà a mangiare se stesso pane vivo, che dà la vita al mondo (Gv 6,33) e si fa fonte con le parole: Se uno ha sete, venga da me e beva (Gv 7,37). E di questa fonte anche il profeta dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35,10).

    Vedete da dove viene questa fonte. Viene dallo stesso luogo da dove viene il pane; perché la stessa persona è Pane e Fonte il Figlio unico, il Signor nostro Cristo Dio, del quale dobbiamo aver sempre fame; anche se lo mangiamo col nostro amore, anche se lo divoriamo col nostro desiderio, cerchiamolo ancora come affamati. E beviamolo sempre come una sorgente, con la sovrabbondanza del nostro amore; beviamolo sempre con pienezza di desiderio e godiamoci la soavità della sua dolcezza. E` dolce e soave il Signore: anche se lo mangiamo e beviamo, cerchiamolo con fame e sete, perché il nostro cibo e la nostra bevanda non può mai essere totalmente mangiato o bevuto. Lui, anche se è mangiato, non è mai consumato, anche se è bevuto, non viene mai esaurito, perché il nostro Pane è eterno, la nostra Fonte è perenne, la nostra Fonte è dolce, perché il profeta dice: Voi che avete sete, andate alla Fonte (Is 55,2): egli è la Fonte di chi ha sete, non di chi è sazio; e perciò chiama a sé gli assetati; coloro che non si saziano mai di bere, coloro che quanto piú berranno, tanto piú avranno sete. Giustamente, fratelli, la Fonte della Sapienza, il Verbo di Dio (Sir 1,5) dev`essere desiderato, cercato, amato, perché sono in esso tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3) ai quali egli invita, perché vi attingano, tutti coloro che hanno sete. Se hai sete, bevi alla Fonte della vita; se hai fame, mangia il Pane della vita. Beati quelli che hanno fame di questo Pane e hanno sete di questa Fonte; quanto piú mangeranno e berranno, tanto piú vorranno bere e mangiare. E` dolce davvero ciò che si mangia e beve sempre, e se ne ha sempre fame e sete, lo si gusta e lo si vuole sempre. Perciò il re profeta dice: Gustate e vedete quanto è dolce, quanto è soave il Signore (Sal 33,9). Perciò, fratelli, diamo ascolto a questa chiamata; è la Vita, che ci chiama alla Fonte della vita, ed egli è la Fonte, non solo dell`acqua viva, ma è anche Fonte di vita eterna, Fonte di luce, e Fonte d`ogni lume; di là vengono tutte queste cose: la sapienza, la vita, la luce eterna. L`autore della vita è Fonte di vita, creatore della luce, Fonte di lume. Perciò, trascurando tutte queste cose terrene, portiamoci al di sopra dei cieli, perché, come pesci ragionevoli e sapientissimi, cerchiamo la Sorgente della luce, Sorgente di vita, Sorgente d`acqua viva, perché possiamo bere l`acqua viva, che zampilla in vita eterna (Gv 4,14).

    Oh, se ti degnassi, Signore, Dio di misericordia, di mettermi vicino a quella Sorgente, perché anch`io, con tutti i tuoi assetati, possa bervi l`acqua viva della Fonte viva! Son certo che, tutto preso dalla dolcezza di quell`acqua, vi starei sempre attaccato e direi: Quanto è dolce la Sorgente dell`acqua viva, non vien mai meno e zampilla in vita eterna! O Signore, sei tu stesso questa Sorgente, sempre desiderata, sempre bevuta e mai esaurita. Dacci sempre, Signore Gesú Cristo, che anche in noi scaturisca una sorgente d`acqua viva, che zampilli nella vita eterna. Chiedo tanto, chi non lo comprende? Ma tu, Re di gloria, sei avvezzo ai grandi doni e alle grandi promesse: non c`è niente piú grande di te, e tu ci hai donato te stesso, hai dato te stesso per noi. Perciò noi ti chiediamo di darci te stesso: tu sei il nostro tutto: vita, luce, salvezza, cibo, bevanda, il nostro Dio. Ispira i nostri cuori, Signore Gesú, con l`aura del tuo Spirito e trafiggi i nostri cuori col tuo amore, perché possiamo dire con verità: Dimmi dov`è il mio diletto (Ct 1,6), perché l`amore m`ha ferito. Beata l`anima ferita dall`amorel Quella, sì, cerca la Sorgente, quella, sí, beve, e ha sempre sete, si ciba e ha sempre fame; ama e cerca sempre, sta bene quand`è ferita. E si degni il nostro pio medico, il Signore Gesú Cristo trafiggere i nostri cuori con tale ferita; lui che con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.

     

    (Colombano il Giovane, Instructio 13)

     

     

    2. Le piaghe del Salvatore, luogo della nostra pace

     

    E veramente, dove puoi trovare una pace sicura e solida se non nelle piaghe del Salvatore? Tanto piú sicuro mi sento là dentro, quanto piú forte è lui per salvarmi. Freme il mondo, urge il corpo, insidia il diavolo; sto saldo, son fondato sopra una pietra ben solida. Ho peccato tanto; la mia coscienza n`è turbata, ma non disperata, perché mi ricorderò delle piaghe del Signore. Infatti lui è stato piagato per le nostre ferite (Is 53,5). Che cosa può essere cosí mortale, che non possa essere disciolto con la morte di Cristo? Se, dunque, ti ricorderai di una così potente ed efficace medicina, non ci sarà alcuna gravità di malattia che possa spaventarti.

    Sbagliò allora colui che disse: Il mio peccato è troppo grande, perché possa sperare perdono (Gen 4,13). Disse cosí perché non apparteneva alle membra di Cristo, non faceva conto sul merito di Cristo al punto da ritenere suo ciò che è di Cristo. Io invece, fiduciosamente, ciò che mi manca lo vado a prendere dalle viscere del Signore, che son piene di misericordia, e non vi mancan dei fori, perché ne venga fuori. Traforarono le sue mani e i suoi piedi, trapassarono il suo fianco con la lancia e attraverso queste fessure posso succhiare miele dalla pietra e olio dal piú duro dei sassi, cioè, posso gustare e vedere quant`è soave il Signore. Nutriva pensieri di pace e io non lo sapevo. Chi, infatti, conosceva l`indole di Dio, o chi gli ha mai suggerito qualche cosa? (Ger 29,11). I chiodi mi son diventati chiavi per scoprire la volontà di Dio. Perché non dovrei guardare attraverso quei fori? I chiodi, le piaghe protestano che veramente, in Cristo, Dio si rappacifica col mondo. La spada gli trapassò l`anima e raggiunse il suo cuore (Sal 104,18) certo non perché non imparasse a compatire le mie debolezze. Si vede il mistero del cuore, attraverso i fori del corpo, si scopre quel gran mistero di pietà, si scoprono le viscere della misericordia del nostro Dio con la quale dalla sua altezza è venuto verso di noi (1Tm 3,16). Perché non dovrebbero vedersi le viscere attraverso le ferite? In che cosa, infatti, si sarebbe visto piú chiaramente, se non nelle tue ferite, che tu, Signore, sei soave e mite e pieno di misericordia (Sal 85,5)? Nessuno ha maggiore affetto di chi dà la vita per dei rei e dei condannati.

    Tutto il mio merito è la misericordia del Signore. Non sono affatto privo di meriti, finché lui non è privo di misericordia. Che se la misericordia del Signore è tanta, anche i miei meriti son tanti. E che farò se m`accorgerò d`esser reo di molti delitti? Appunto, quanto piú furon numerosi i delitti, tanto piú abbondò la grazia (Rm 5,20). E se le misericordie di Dio vanno da una eternità all`altra, anch`io canterò in eterno le misericordie del Signore (cf. Sal 102,17; 88,1).

     

    (Bernardo di Chiarav., In Cant. Cant., 61, 3-5)

     

     

    3. La carità

     

    Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità (cf. Col 3,14) di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L`altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: «La carità copre la moltitudine dei peccati» (cf. 1Pt 4,8; Gc 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesú Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima.

    Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c`è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia perché siamo riconosciuti nella carità, senza sollecitazione umana, irreprensibili. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità raggiungono la schiera dei piú, che saranno visti nel novero del regno di Cristo. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo, finché passa la mia ira e il mio furore; mi ricorderò del giorno buono e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (cf. Is 26,20; Ez 37,12). Siamo beati, carissimi, se eseguiamo i comandamenti di Dio nella concordia della carità, perché ci siano rimessi i peccati per la carità. E` scritto: «Beati quelli cui furono rimesse le malvagità e i cui peccati sono stati coperti; beato l`uomo del quale il Signore non considererà il peccato, né l`inganno è sulla sua bocca» (cf. Sal 32,1-2; Rm 4,7-8). Questa beatitudine è per quelli scelti da Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

     

    (Clemente Romano, Ad Corinth., 49 s.)

     

     

    4. Invocazione a Dio buono

     

    T`invoco, Dio mio, misericordia mia (Sal 58,18), che mi hai creato e non hai dimenticato chi ti ha dimenticato. T`invoco nella mia anima, che prepari a riceverti col desiderio che le hai ispirato. Non trascurare ora la mia invocazione. Tu mi hai prevenuto (cf . Sal 58,11) prima che t`invocassi, insistendo con appelli crescenti e multiformi affinché ti ascoltassi da lontano e mi volgessi indietro chiamando te che mi richiamavi. Tu, Signore, cancellasti tutte le mie azioni cattive e colpevoli per non dover punire l`opera delle mie mani (cf. Sal 17,21), con cui ti ho fuggito; prevenisti tutti i miei meriti buoni per retribuire l`opera delle tue mani, con cui mi hai foggiato (cf. Sal 118,73). Tu esistevi prima che io esistessi, mentre io non esistevo cosí da offrirmi il dono dell`esistenza. Eccomi invece esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere. Tu non avevi bisogno di me, né io sono un bene che ti possa giovare, Signore mio e Dio mio (Gv 20,28). Il mio servizio non ti risparmia fatiche nell`azione, la privazione del mio ossequio non menoma la tua potenza, il mio culto per te non equivale alla coltura per la terra, cosí che saresti incolto senza il mio culto. Io ti devo servizio e culto per avere da te la felicità, poiché da te dipende la mia felicità.

    La tua creatura ebbe l`esistenza dalla pienezza della tua bontà.

     

    (Agostino, Confess., 13, 1)

     

     

    5. Conformarci al valore di colui di cui siamo consanguinei

     

    Bisogna uniformare la volontà con colui col quale si ha in comune il sangue. Non si può essere un po` discordi, un po` concordi; un giorno amarsi e un giorno farsi guerra; essere figli e meritarsi rimproveri; esser membra, ma morte, per le quali non fa piú senso essere nato e cresciuto come un tralcio, se poi non sei rimasto attaccato alla vite. Il tralcio staccato finisce, a ogni modo, per essere gettato al fuoco.

    Perciò colui che ha stabilito di vivere secondo Cristo, bisogna che si conformi al cuore e alla volontà di Cristo e ne dipenda, è di là che deriviamo la nostra vita. Ma certamente non sono legati a Cristo coloro che non vogliono ciò che Cristo vuole, o vogliono ciò che Cristo non vuole; bisogna perciò che, per quanto ci è possibile, ci si accomodi, ci si eserciti e ci si formi secondo la volontà di Cristo, si desideri ciò che lui desidera e si goda delle sue stesse cose. Infatti non possono nascere da uno stesso cuore desideri contrastanti. Un malvagio non può cavar dal suo cuore altro che male e il buono non ne cava altro che bene. E come i primi fedeli in Palestina avevano, per l`unione delle loro volontà, un cuor solo e un`anima sola (At 4,32), cosí, se uno non è unito con Cristo in modo da formare una sola mente con lui, ma cammina anzi per una via diversa dai suoi precetti, egli non dirige piú il suo cuore nella stessa direzione di Cristo ed è chiaro che è legato a un altro cuore, non a quello di Cristo. David, infatti, fu trovato secondo il suo cuore, perché poté dire di sé: Non ho dimenticato la tua legge (Sal 98,16). Son privi di vita, dunque, coloro che non aderiscono a quel cuore, e non aderiscono a quel cuore, coloro che nutrono desideri diversi da quelli che animano quel cuore.

     

    (Nicola Cabasilas, De vita in Christo, 6)

     

     

    6. Un soldato gli aprí il costato con la lancia

     

    Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, poi all`altro che era crocifisso insieme con lui. Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprí il costato con la lancia, e subito ne uscí sangue ed acqua (Gv 19,32-34). L`evangelista ha usato un verbo significativo. Non ha detto: colpí, ferí il suo costato, o qualcosa di simile. Ha detto: aprí, per indicare che nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa, senza dei quali non si entra a quella vita che è la vera vita. Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati quell`acqua tempera il calice della salvezza, ed è insieme bevanda e lavacro. Questo mistero era stato preannunciato da quella porta che Noè ebbe ordine di aprire nel fianco dell`arca (Gen 6,16), perché entrassero gli esseri viventi che dovevano scampare ai diluvio, con che era prefigurata la Chiesa. Sempre per preannunciare questo mistero, la prima donna fu formata dal fianco dell`uomo che dormiva (cf. Gen 2,22), e fu chiamata vita e madre dei viventi (cf. Gen 3,20). Indubbiamente era l`annuncio di un grande bene, prima del grande male della prevaricazione. Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché cosí, con il sangue e l`acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c`è di piú puro di questo sangue? Che cosa c`è di piú salutare di questa ferita?

     

    (Agostino, In Io. Evang., 120, 2)

     

     

    7. La grazia viene di là donde è venuta la colpa

     

    Al tempo della Passione del Signore, all`approssimarsi del grande sabato, poiché nostro Signore Gesú Cristo o i ladroni erano ancora in vita, alcuni vennero inviati per percuoterli. Al loro arrivo, trovarono che nostro Signore Gesú Cristo era morto. Allora, uno dei soldati gli trafisse il costato con la sua lancia, e dal suo fianco uscí acqua e sangue (cf. Gv 19,31-34). Perché l`acqua? Perché il sangue? L`acqua per purificare, il sangue per riscattare. Perché dal fianco? Perché la grazia viene di là donde è venuta la colpa. La colpa è venuta dalla donna, la grazia da nostro Signore Gesú Cristo (cf. Gv 1,17).

     

    (Ambrogio, De sacramentis, V, 1, 4)

     

     

    8. «O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!»

     

    Ormai, te solo amo, te solo seguo, te solo cerco, te solo sono pronto a servire, perché solo la tua dominazione è giusta; e io desidero pormi sotto la tua giurisdizione. Ordina, te ne prego, comanda ciò che vuoi; però risana ed apri le mie orecchie, perché io ascolti le tue parole; risana ed apri i miei occhi, perché io scorga i tuoi cenni. Allontana da me l`insipienza, perché io ti riconosca. Dimmi dove dirigere i miei sforzi, perché ti possa vedere, e spero di poter eseguire tutti i tuoi ordini. Accogli, te ne prego, il tuo fuggitivo, o Signore, Padre clementissimo. Bastino le pene subite dalla servitú impostami dai nemici che tu tieni sotto i tuoi piedi; bastino le menzogne che hanno fatto di me il loro giocattolo. Accogli in me il tuo schiavo che fugge lungi da essi; me, lo straniero, essi hanno bene accolto quando fuggivo lontano da te! Sento che devo ritornare a te. Mi si apra la tua porta, alla quale busso! Insegnami come arrivare fino a te. Io non ho altro al di fuori della mia buona volontà; non so nulla al di fuori del disprezzo che merita tutto ciò che è mutevole e caduco, e la necessaria ricerca dell`immutabile e dell`eterno. Questo io faccio, o Padre, perché è la sola cosa che conosco; ma ignoro come si arrivi fino a te. Ispirami, guidami, provvedi alle necessità del mio viaggio. Se è attraverso la fede che ti trovano coloro che si rifugiano presso di te, dammi la fede; se è attraverso la fortezza, dammi la fortezza; se è attraverso la scienza, dammi la scienza. Accresci in me la fede, accresci la speranza, accresci la carità. O quanto mirabile e singolare è la tua bontà!

    E` verso di te che voglio camminare; a te chiedo ancora quei mezzi che mi permettono di pervenirvi. Se tu ci abbandoni, è la morte! Ma tu non ci abbandoni perché sei il Sommo Bene che nessuno ha mai rettamente cercato senza trovarlo. Ognuno infatti lo ha rettamente cercato, se tu rettamente gli hai concesso di cercare. Insegnami dunque, o Padre, a cercarti; liberami dall`errore; a me che ti cerco, null`altro si presenti al di fuori di te. Se nient`altro desidero che te, possa io trovarti, te ne prego, o Padre. Ma se un qualche appetito superfluo permane in me, tu stesso purificami e rendimi capace di vederti.

    Per ciò che attiene la salute di questo corpo mortale, dato che ignoro quale utile trarne per me e per quelli che amo, te ne affido la cura, Padre ottimo e sapientissimo; ti chiederò per lui ciò che a tempo debito vorrai suggerirmi. Voglio solo invocare la tua sovrana clemenza, perché tu mi orienti interamente a te, e che nulla renda vano il mio sforzo verso di te; comanda che, anche con questo corpo da guidare e portare, io pratichi la purezza, il coraggio, la giustizia, la prudenza; che ami e percepisca pienamente la tua sapienza; che mi renda degno della tua dimora, e possa essere di fatto abitatore del tuo beatissimo regno. Amen, amen.

     

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 13/06/2013 09:36
    XI DOMENICA

    Letture: 2 Samuele 12,7-10.13
    Galati 2,16.19-21
    Luca 7,36; 8,3;

    1. La falsa giustizia del Fariseo e il pentimento di Maria

    Perché vide le macchie della sua turpitudine corse a lavarsi alla fontana della misericordia, e non si vergognò dei convitati. Poiché si vergognava di se stessa dentro di sé, neanche pensò che ci fosse qualche cosa di cui si dovesse vergognare innanzi agli altri. Che cosa, allora, ci deve stupire: Maria che va dal Signore, il Signore che l`accoglie? Che l`accoglie o che la trascina? Dirò piú esattamente che l`accoglie e la trascina, poiché la trascinò, nell`anima, con la sua misericordia e l`accolse esteriormente con la sua mansuetudine. Al vedere questo, il Fariseo disprezza non solo la peccatrice che si presenta, ma anche il Signore che l`accoglie, e dice tra sé: "Se fosse un profeta costui, saprebbe certamente che razza di donna è questa che lo tocca" (Lc 7,39). Ecco il Fariseo veramente superbo e falsamente giusto accusa la malata della sua malattia e il medico per il soccorso che le porta, lui che era malato di superbia, e non lo sapeva. Fra i due malati sta il medico. Ma un malato conserva nella febbre la sua capacità di sentire; l`altro, per la febbre della carne, aveva perduto la forza della mente. Infatti quella piangeva per ciò che aveva fatto; il Fariseo, invece, orgoglioso della sua falsa giustizia accresceva la forza della sua malattia. Nella malattia aveva proprio perduto i sensi, costui, se neanche capiva quanto fosse lontano dalla salvezza. Intanto un gemito ci obbliga a volgere lo sguardo ad alcuni del nostro grado, i quali, rivestiti della dignità sacerdotale, se hanno fatto un qualche bene esteriormente, subito disprezzano gli altri, disdegnano i peccatori e, se confessano i loro peccati, non mostrano loro alcuna comprensione, anzi, come il Fariseo, si guardano bene dal farsi toccare da una peccatrice. Se, infatti, quella donna si fosse gettata ai piedi del Fariseo, questi l`avrebbe cacciata a calci, avrebbe creduto di rimanere sporcato dai suoi peccati. Ma per il fatto che gli mancava la giustizia, il Fariseo s`ammalava per il peccato altrui. Perciò ogni volta che vediamo i peccati degli altri, dobbiamo prima piangere su noi stessi, perché forse siamo caduti negli stessi peccati, o possiamo cadervi. E anche se l`ufficio c`impone di censurare il vizio, dobbiamo tuttavia distinguere tra la severità contro il vizio e la compassione dovuta alla natura. Se il vizio, infatti, va colpito, il prossimo dev`essere sostenuto, poiché nel momento in cui detesta ciò che ha fatto, il prossimo non è piú peccatore... Pertanto, fratelli, ponderate la grandezza della pietà del Signore. Eccolo che chiama, e coloro ch`egli ha denunziato come peccatori, li invita al suo abbraccio dopo che lo hanno abbandonato. Nessuno, allora, perda l`occasione d`una cosí grande misericordia, nessuno disprezzi la medicina offerta dalla divina bontà. Ecco, la divina misericordia ci richiama, dopo che abbiamo peccato, e ci apre, se torniamo, le braccia della sua clemenza. Rifletta bene ciascuno quanta pressione eserciti questo Signore che aspetta il peccatore e, disprezzato, non s`indigna. Perciò, chi s`è allontanato, ritorni; chi è caduto si rialzi... Ripensate, fratelli, a questa peccatrice penitente e imitatela. Detestate ciò che ricordate d`aver fatto nell`adolescenza o nella gioventú, lavate con le lacrime la sporcizia delle azioni. Amiamo le piaghe del nostro Redentore, piaghe che abbiamo disprezzato peccando. Ecco, si apre, per accoglierci, il seno della divina bontà; la nostra vita di peccato non viene respinta. Se detestiamo la nostra cattiveria, già questo ci ridona una purezza interiore. Il Signore ci abbraccia al nostro ritorno, perché per lui non può essere indegna la vita di un peccatore, se è lavata col pianto, in Gesú Cristo nostro Signore.

    (Gregorio Magno, Hom., 33, 1-8)


    2. Il Signore della vita

    Se dunque il Signore, per effetto della sua grazia e della sua grande misericordia, risuscita le anime per farle vivere in eterno, abbiamo ragione di vedere in quei tre morti che egli risuscitò alla vita terrena la rappresentazione e il simbolo della risurrezione delle anime che si realizza attraverso la fede. Egli risuscitò la figlia del capo della sinagoga che giaceva morta nella sua casa (cf. Mc 5,41-42); risuscitò il figlio della vedova, che era già stato trasportato fuori le mura della città (cf. Lc 7,14-15); risuscitò infine Lazzaro che era stato sepolto da quattro giorni.
    Rifletta ognuno sulla sua anima; se pecca, muore, poiché il peccato è la morte dell`anima. Ma talvolta il peccato è commesso solo nel pensiero. Il male ti attira, cedi ad esso e pecchi. E` il consenso che hai dato al peccato, che ti uccide; però la morte è solo dentro di te, perché quando è nel pensiero, il male non si è ancora esternato in un atto. Il Signore volle appunto significare la risurrezione dell`anima che pecca con il pensiero, quando risuscitò la fanciulla che non era ancora stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, intendendo, per casa, l`anima nella quale il peccato è nascosto. Ma se non soltanto hai ceduto col pensiero al peccato, ma lo hai anche commesso con le opere, è come se tu lo avessi portato fuori; già sei fuori, e vi sei stato trasportato morto. Il Signore risuscitò anche quel giovane e lo restituí a sua madre, che era vedova. Se hai peccato, ebbene, pentiti, il Signore ti risuscita e ti restituisce alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso piú grave, che è l`abitudine cattiva al peccato. Una cosa infatti è peccare, un`altra è avere l`abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si corregge, è ben presto restituito alla vita: non è avvolto nella consuetudine, e perciò non è sepolto. Chi invece continua a peccare è come se fosse seppellito, e giustamente si dice di lui che emana fetore, nel senso che la pessima fama di peccatore che si è fatto, si diffonde ovunque come un insopportabile odore. Cosí sono coloro che ormai sono assuefatti al peccato e ai costumi depravati. Tu dici a uno di costoro: Non farlo! Ma come può udirti chi è come seppellito sottoterra, corrotto, oppresso dal peso dell`abitudine al peccato? E tuttavia la potestà di Cristo fu sufficiente anche a risuscitare un simile morto. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e tutti i giorni vediamo, uomini che spezzano le malvagie abitudini, per vivere piú santamente di coloro stessi che rimproveravano i loro delitti. Tu, per esempio, rimproveravi la condotta di qualcuno: ebbene, guarda la sorella di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore e con i capelli glieli asciugò dopo averglieli lavati con le lacrime); la sua risurrezione è piú grande di quella di suo fratello, perché è liberata dall`enorme peso della consuetudine al peccato. Essa era infatti una famosa peccatrice: e fu per lei che il Signore disse: Molti peccati le sono stati rimessi, perché molto ha amato (Lc 7,47).
    Abbiamo visto e conosciuto molti peccatori di questo genere; che nessuno si disperi, ma anche che nessuno nutra troppa presunzione di sé. E` male disperare, ma è male anche presumere troppo, nutrire eccessiva fiducia. Quindi non disperare, ma stai stretto a ciò in cui devi avere fiducia.

    (Agostino, Comment. in Ioan., 49, 3)


    3. C`e misericordia per chiunque la vuole

    Se, quando ancora non eri, il Signore fece sí che ci fossi ora, che ci sei, sebbene putrido di peccati, rifatti, ed egli potrà ancora, dopo averti rigettato, utilizzarti per tante altre cose. Questo vuole il Signore, purché ci sia la tua volontà: non c`è infatti nessun delitto, che non venga estinto dalle salutari lacrime della penitenza; e questo lo comprenderai piú facilmente se mediterai su quel potente amo del Signore, che ripescò un pubblicano nella sua infinita miseria e del fango ne fece oro e uno scrittore del divino Vangelo (Mt 9,9). Per qual motivo poi volle salvare una donna a tutti notissima? (Lc 7,37). Perché ancora volle fare un ladro degno del paradiso? (Lc 23,43). Perché cambiò dei maghi incantatori in ottimi messaggeri della sua venuta? Per pietà di te si sedette a mangiare con pubblicani e peccatori, desiderando la loro conversione. Perché insegnò perfino ai bestemmiatori e persecutori del suo Nome a celebrarlo con inni (At 9,1s) e li avviò a trattare di teologia, ad esporre il loro capo per la verità e li indusse a vivere non piú per se stessi ma solo per Dio, e a menare qui in terra una vita angelica e a stimare nulla e danno tutto ciò che si vede? E come trasse alla luce coloro che stavano seppelliti nella corruzione e li esortò a odiare il peccato e li spinse a liberarsi da ogni iniquità e li ridusse a una condotta casta e pia e affidò loro i tesori dei misteri divini? Ripensando a queste cose, mio caro, scaccia ogni idea di disperazione, non dare ascolto alla tentazione del diavolo, fatti coraggio, prega, rianima gli altri e te stesso. Non ti stancare di ricordare a te stesso che sei uomo e che Dio non odia gli uomini, li ama e per noi è morto. Abbiamo il Signore e Salvatore Gesú Cristo, medico eccezionale delle anime e dei corpi, padrone di ogni malattia anche inguaribile, accessibile a tutti gli uomini, capace di ridurre qualunque malvagità. Perciò, coraggio, o anima deturpata da mille peccati e degna di una punizione eterna.

    (Nilo di Ancira, Epist., 4, 39)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 19/06/2013 08:06

    XII DOMENICA

     

    Letture: Zaccaria 12,10-11

    Galati 3,26-29

    Luca 9,18-24

     

     

    1. Confessione di Pietro

     

    "Ed egli disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Il Cristo di Dio»" (Lc 9,20). Non è senza interesse l`opinione della folla: gli uni credevano che fosse risorto Elia, che ritenevano dovesse tornare, altri che fosse risorto Giovanni, che sapevano che era stato decapitato, o qualcuno degli antichi profeti (cf. Lc 9,19; cf. Mt 16,14). Ma cercare i motivi di queste diverse opinioni è al di sopra delle nostre forze: diverse sono le opinioni e la prudenza di ciascuno. Del resto, se è stato sufficiente all`apostolo Paolo non conoscere altro che Cristo Gesú e questo crocifisso (cf. 1Cor 2,2), che cosa debbo desiderare io di conoscere piú del Cristo? In questo solo nome è espressa la divinità, l`Incarnazione, la fede e la Passione. E sebbene gli apostoli lo sappiano anche loro, Pietro risponde a nome di tutti: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Egli ha riassunto ogni cosa, esprimendo la natura e il nome che comprende la somma delle virtù...

    Credi dunque nel modo in cui ha creduto Pietro, per poter essere anche tu beato, e meritare anche tu di sentirti dire: "Perché non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16,17). La carne e il sangue possono, infatti, rivelare solamente ciò che è terrestre; mentre chi parla in spirito dei misteri, non si fonda sugli insegnamenti della carne e del sangue, ma sull`ispirazione divina. Non appoggiarti quindi sulla carne e sul sangue, per non finire col prendere ordini dalla carne e dal sangue, e divenire tu stesso carne e sangue...

    Pietro non ha aspettato di sapere l`opinione del popolo, ma ha espresso subito la sua dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Colui che è, è sempre, non comincia ad essere, né finisce di essere. Ebbene, la bontà di Cristo è grande: egli dona ai suoi discepoli quasi tutti i suoi nomi. "Io sono" - egli ha detto - "la luce del mondo" (Gv 8,12): e questo nome di cui egli si gloria, lo ha dato ai suoi discepoli dicendo: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14). "Io sono il pane vivo" (Gv 6,51) ha detto, "e tutti noi siamo un solo pane" (1Cor 10,17). Ancora: "Io sono la vera vite", dice di sé (Gv 15,1), e a te dice: "Ti ho piantato come una vite fruttuosa, tutta vera" (Ger 2,21). Cristo era la pietra: "Bevevano infatti dalla pietra spirituale che li accompagnava, e la pietra era Cristo" (1Cor 10,4); e Cristo non rifiuta la grazia di questo nome al suo discepolo affinché anch`egli sia Pietro, in modo che abbia della pietra la solidità della costanza, la fermezza della fede.

    Sforzati anche tu di essere pietra. Cercala in te questa pietra, non al di fuori di te. La tua pietra è la tua azione, la tua pietra è il tuo spirito. Sopra questa pietra si costruisce la tua casa, in modo che nessuna tempesta, scatenata dagli spiriti malvagi, possa rovesciarla. La tua pietra è la fede, e la fede è il fondamento della Chiesa. Se tu sarai pietra, sarai nella Chiesa, perché la Chiesa poggia sulla pietra. Se sarai nella Chiesa, le porte dell`inferno non prevarranno contro di te. Le porte dell`inferno sono le porte della morte, e queste non possono essere le porte della Chiesa.

    Ma che cosa sono allora le porte della morte, ossia le porte dell`inferno, se non le diverse specie di peccato? Se tu avrai fornicato, avrai varcato le porte della morte. Se ferisci la buona fede altrui, ti apri le porte dell`inferno. Se hai commesso un peccato mortale, sei entrato per le porte della morte. Ma Dio ha il potere di farti uscire dalle porte della morte, a condizione che tu proclami le sue lodi alle porte della figlia di Sion (cf. Sal 9,14). Invece le porte della Chiesa sono quelle della castità, quelle della giustizia, che il giusto è solito varcare clicendo: "Apritemi le porte della giustizia, ed io, entrato in essa, loderò il Signore" (Sal 117,19). E come la porta della morte è la porta dell`inferno, cosí la porta della giustizia è la porta di Dio: "Questa" - infatti - "è la porta del Signore, i giusti vi entreranno" (Sal 117,20). Fuggi perciò l`ostinazione nel peccato, in modo che le porte dell`inferno non possano prevalere: se infatti il peccato sarà il tuo padrone, la porta della morte trionfa.

     

    (Ambrogio, In Luc., 6, 93 s. 97-99 )

     

     

    2. La rinunzia a se stesso

     

    Il Signore ci dice di rinunziare alle cose nostre, se vogliamo andare con lui, perché quando andiamo alla prova della fede, dobbiamo affrontare gli spiriti maligni. Ma questi spiriti non posseggono niente di questo mondo. Dobbiamo lottare, perciò, nudi contro nudi. Perché se uno combatte vestito contro uno che è nudo, facilmente viene gettato a terra, perché ha piú modo di essere afferrato. Che cosa sono, infatti, tutte le cose terrene, se non dei vestiti del corpo? E, allora, chi va a combattere col diavolo, si spogli, se non vuol soccombere. Non possegga nulla in questo mondo, o non sia attaccato a nulla, non cerchi piaceri nelle cose periture, perché ciò di cui si copre, non diventi strumento della sua caduta. E neanche basta lasciar le cose nostre; bisogna lasciar noi stessi. Ma che vuol dire lasciar noi stessi? Dove andremo fuori di noi, se lasciamo noi stessi? O chi è che va, se uno lascia se stesso? Ma una cosa siamo nella caduta del peccato e un`altra nella genuina creazione, una cosa è ciò che abbiam fatto di noi stessi e altra è ciò che siamo stati fatti. Sforziamoci, allora, di lasciare quello che abbiam fatto di noi stessi col peccato e di restare quello che siamo stati fatti attraverso la grazia. Ecco, chi è stato superbo, se convertendosi a Cristo è diventato umile, questo ha lasciato se stesso. Se un lussurioso s`è ridotto alla continenza, questi ha rinnegato se stesso. Se un avaro ha smesso di agognar ricchezze e lui, che rapiva l`altrui, ha imparato a donare il suo, senza dubbio questi ha lasciato se stesso. E` ancora lui, quanto a natura, ma non è piú lui, quanto a peccato. Perciò fu scritto: "Converti gli empi e non saranno piú" (Pr 12,7). Gli empi convertiti non sono piú, non quanto alla loro essenza, ma quanto alla colpa di empietà. Allora, dunque, lasciamo noi stessi, quando evitiamo ciò che era il nostro uomo vecchio e ci sforziamo d`essere l`uomo nuovo. Riflettiamo come aveva rinnegato se stesso Paolo, quando diceva: "Non sono piú io che vivo" (Gal 2,20). Era finito il persecutore ed era cominciato a vivere il pio predicatore. E aggiunge subito: "Ma vive il Cristo in me"; come se volesse dire: Io sono morto, perché non vivo secondo la carne, ma essenzialmente non sono morto, perché spiritualmente vivo in Cristo. Dica, dunque, la Verità:"Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso" (Lc 9,23). Se uno non rinunzia a se stesso, non s`avvicina a chi è sopra di lui e non prende ciò che è fuori di lui, se non sacrifica se stesso. I broccoli devono essere trapiantati, per sviluppare; cioè, sono sradicati per crescere. I semi marciscono in terra, per moltiplicarsi. Mentre sembra che perdano ciò che erano, ricevono ciò che non erano.

     

    (Gregorio Magno, Hom., 32, 2)

     

     

    3. Lascia tutto e troverai tutto

     

    Sii persuaso che tu devi vivere come chi sta per morire; e che quanto piú uno muore a se stesso, tanto piú comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere le cose di Dio se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le avversità. Nulla vi è di piú gradito a Dio, nulla vi è di piú salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.

    E se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser deliziato da tante consolazioni; perché, cosí, saresti piú simile a Cristo e piú conforme ai santi; infatti il nostro merito e la perfezione del nostro stato non consiste nell`avere molte soavi consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le avversità...

    Figlio, tu non potrai mai possedere una perfetta libertà fino a quando non avrai rinnegato te stesso completamente. Sono incatenati tutti coloro che posseggono dei beni contro la povertà; coloro che sono egoisti, avari, curiosi, girovaghi, sempre alla ricerca di ciò che è piacevole, non di ciò che si riferisce a Gesú Cristo; quelli che sempre costruiscono e compongono un edificio che non si reggerà. Perirà infatti tutto ciò che non è nato da Dio. Ritieni bene questa massima, breve ma densa: Lascia tutto e troverai tutto.

    Lascia la cupidigia e troverai la quiete. Rumina bene questa cosa nella tua mente e quando l`avrai penetrata capirai tutto.

     

    (De imitatione Christi, 2, 12, 14; 3, 32, 1)

     

     

    4. Colloquio con Dio dal fondo del cuore

     

    La mano tua che tutte le anime aduna

    e crea tutti gli esseri,

    a strumento di morte l`hai inchiodata,

    e l`emblema della croce,

    per spezzare la mia audacia

    che al tuo voler mi oppone.

     

    (Gregorio di Narek, Liber orat., 36, 1)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 26/06/2013 06:30

    XIII DOMENICA

     

    Letture: 1 Re 19,16b.19-21

    Galati 4,31; 5,1.13-18

    Luca 9,51-62

     

    1. Le scelte di Gesú Cristo

     

    Riflettete sul capitolo del Vangelo che il Signore ci ha donato. Abbiamo sentito la diversa condotta del Signore. Uno si offrí per seguirlo ed egli lo riprovò; un altro non osava ed egli lo stimolò; un terzo rimandava e gliene fece una colpa. Il primo disse: "Signore, ti seguirò dovunque andrai" (Lc 9,57). Dove troveresti maggiore prontezza e alacrità e dove troveresti maggiore idoneità di questo, che è pronto a seguire il Signore dovunque andrà? Ti sorprende che il buon Maestro e Signore Gesú Cristo, che invitò i discepoli con la promessa del regno dei cieli, abbia rifiutato uno cosí preparato? Ma, poiché quel Maestro era uno che conosceva il futuro, dobbiamo capire che questo uomo, se avesse seguito Cristo, avrebbe cercato il suo interesse e non quello di Gesú Cristo. Gesú stesso disse: "Non tutti quelli che mi dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli" (Mt 7,21). E questi era uno di quelli, ma non si conosceva, come lo vedeva il medico. Poiché se sapeva di fingere, se tramava un inganno, non sapeva con chi parlava. Di Gesú, infatti, dice l`Evangelista:"Non aveva bisogno che altri lo informasse intorno a qualcuno; sapeva da sé che cosa fosse in ogni uomo" (Gv 2,25). Che cosa rispose, allora? "Le volpi hanno tane e gli uccelli nidi, ma il Figlio dell`uomo non ha dove posare il capo". Ma dove il Signore non ha posto? Nella tua fede. Le volpi hanno tane nel tuo cuore; sei un ingannatore. Gli uccelli hanno nidi nel tuo cuore; sei superbo. Sei ingannatore e superbo, non mi seguirai. Come può un ingannatore andar dietro alla semplicità?

    A un altro, che taceva e non prometteva niente, dice: "Seguimi" (Lc 9,59). Quanto male vide in quello, tanto bene vide in questo. "Signore", vai a dire: Seguimi a uno che non ti pensa? Mi rispondi: Rifiuto quello, perché vedo in lui tane, vi vedo nidi. Ma perché poi vai a infastidire questo? Tu lo stimoli e lui si scusa; lo forzi e non viene, lo esorti e non ti segue. Vedi che ti risponde: "Andrò prima a seppellire mio padre" (Lc 9,59)? La fede del suo cuore si manifestava al Signore; ma la pietà verso il padre gli faceva rimandare l`accettazione dell`invito. Ma il Signore, quando chiama gli uomini per il Vangelo, non vuole che s`interponga nessuna scusa di ordine temporale. Ma qui si tratta della legge di Dio, e il Signore stesso rimproverò i Giudei perché distruggevano i comandamenti di Dio, e anche Paolo dice. "Questo è il primo comandamento confermato da una promessa". Quale? "Onora tuo padre e tua madre" (Ef 6,2). E` certo Parola di Dio. Dunque, questo giovane voleva obbedire a Dio, seppellendo il padre. Ma si tratta di tempo, luogo e circostanze. Il padre dev`essere onorato e Dio dev`essere obbedito. Il padre dev`essere amato, ma Dio Creatore dev`esser preferito. Io, dice il Signore, ti chiamo per il Vangelo: mi sei necessario per un`altra cosa; questa è piú grande di quella che vuoi fare tu. "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti" (Lc 9,60). Tuo padre è morto; ci son degli altri morti per seppellire i morti. Chi son questi morti che seppelliscono i morti? Può un morto esser seppellito da altri morti? Come possono fasciare, se sono morti? Come piangono, come portano al sepolcro, se son morti? Fasciano, piangono e portano, e son morti, perché sono infedeli.

    Ha voluto insegnarci ciò che è scritto nel Cantico dei Cantici: "Mettete in ordine in me la carità" (Ct 2,4). Cos`è questo:"Mettete in ordine la carità"? Fate una graduatoria e date a ciascuno ciò che gli è dovuto. Non mettete prima ciò che sta indietro. Amate i genitori, ma mettete Dio al di sopra dei genitori. Pensate alla madre dei Maccabei:"Figlio, non so come apparisti nel mio ventre". Vi ho concepiti, vi ho partoriti; ma non vi ho fatti io. Ascoltate lui, allora; lui è da piú di me. Non vi preoccupate che io rimanga senza di voi. Cosí disse e fu obbedita (2Mac 7). Ciò che questa madre insegnò ai figli, il Signore Gesú Cristo lo insegnò a quel tale cui disse: "Seguimi".

    Un terzo discepolo ancora, senza che nessuno lo invitasse, venne fuori e disse: "Ti seguirò, Signore; ma prima vado a dirlo a quelli che stanno a casa" (Lc 9,61). Il senso dovrebbe essere: Vado a dirlo ai miei, perché, come di solito avviene, non si mettano a cercarmi. Ma il Signore: "Nessuno che si guardi indietro, dopo aver messo mano all`aratro, è buono per il regno dei cieli" (Lc 9,62). Ti chiama l`Oriente e tu guardi l`Occidente. La lezione di questa pagina è che il Signore scelse chi volle lui.

     

    (Agostino, Sermo 100, 1-3)

     

     

    2. Le condizioni poste da Gesù per diventare suoi discepoli

     

    "Colui che mette mano all`aratro e poi si gira indietro non è adatto per il Regno di Dio" (Lc 9,62). Colui che svolge con cura questo lavoro della natura e guida l`aratro e i buoi secondo le regole umane, non smette mai di guardare davanti a sé; non guarda mai all`indietro perché un tal modo di lavorare non sarebbe farlo con cura, non potrebbe camminare avanti a sé, i suoi solchi non sarebbero aperti in linea diritta, e i buoi non procederebbero innanzi; e questo, per quanto si tratti di lavoro materiale e chi lo vede appartenga del pari all`ordine corporale. Ora, il lavoro del mio discepolo è diverso dall`altro, cosí come un mondo differisce dall`altro, e una vita dall`altra, e gli esseri immortali dai mortali, e Dio dagli uomini. Se dunque assumi il giogo della mia disciplina nella tua anima e nel tuo corpo, svolgi con cura il lavoro dei miei precetti...

    Molti si fanno discepoli per fregiarsi del nome di Cristo e non per onorare Cristo; si lasciano ingaggiare da lui per rimanere nei piaceri corporei e non per portare le austerità dei suoi comandamenti. Altri si avvicinano a questa regola che esige rinuncia, spinti dal desiderio di Mammona, e per acquistare fuori dal mondo quello che non possono avere standovi dentro. Attraverso quell`unico discepolo di cui parla il Vangelo del nostro Salvatore, Gesú ha stigmatizzato questo pensiero iniquo in tutti gli altri: "Maestro, ti seguirò dovunque andrai; e Gesú gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell`uomo non ha dove posare il capo" (Mt 8,20; Lc 9,58). Lungi da me, discepolo d`iniquità! Io non posso darti quello che tu desideri e tu non puoi ricevere quello che io ti do; conosco ciò che chiedi e io non ti do ciò che cerchi; hai creduto di venire a me per amore della ricchezza; sei andato a cercare le tenebre nella luce, la povertà nel possesso autentico, e la morte nella vita; tu vuoi acquistare venendo a me quanto io chiedo a tutti di lasciare per seguirmi; la porta per la quale sei spinto ad entrare per seguirmi è la stessa per la quale voglio farti uscire. Ecco perché non ti accolgo. Io sono povero per la mia condizione pubblica, e, per tal motivo, non detengo pubbliche ricchezze da elargire nel mondo in cui sono venuto. Io sono visto come uno straniero e non ho né casa né tetto, e chi vuole essere mio discepolo eredita da me la povertà: perché vuoi acquistare da me ciò che ti faccio rinunciare a possedere?

     

    (Filosseno di Mabbug, Hom., 9, 306-307.312-313)

     

     

    3. Come seguire Gesù

     

    E se egli rimprovera i discepoli che volevano far discendere il fuoco su coloro che non avevano voluto accogliere Cristo (cf. Lc 9,55), questo ci indica che non sempre si devono colpire coloro che hanno peccato: spesso giova di piú la clemenza, sia a te, perché fortifica la tua pazienza, sia al colpevole, perché lo spinge a correggersi.

    Ma il Signore agisce mirabilmente in tutte le sue opere. Egli non accoglie colui che si offre con presunzione, mentre non si adira contro coloro che, senza nessun riguardo, respingono il Signore. Egli vuole cosí dimostrare che la virtù perfetta non ha alcun desiderio di vendetta, che non c`è alcun posto per la collera laddove c`è la pienezza della carità, e che, infine, non bisogna respingere la debolezza ma aiutarla.

    L`indignazione stia lungi dalle anime pie, il desiderio della vendetta sia lontano dalle anime grandi; e altrettanto lontano stia dai sapienti l`amicizia sconsiderata e l`incauta semplicità. Perciò egli dice a quello: «Le volpi hanno tane»; il suo ossequio non è accettato perché non è trovato effettivo. Con circospezione si usi dell`ospitalità della fede, nel timore che aprendo agli infedeli l`intimità deUa nostra dimora si finisca col cadere, per la nostra imprevidente credulità, nella rete della cattiva fede altrui.

     

    (Ambrogio, In Luc., 7, 27 s.)

     

     

    4. La sequela di Gesù (Lc 9,59-62)

     

    Non ho ascoltato la voce che vivifica

    che non permette di seppellire il padre;

    ma ancora sono morto con la morte

    per le opere di morte del Maligno.

    All`aratro della parola posi mano,

    però non come il lavoratore;

    egli, infatti, non si gira indietro

    ma verso il solco che gli sta davanti.

     

    Da parte mia, il consiglio dall`alto ho trascurato

    la retta via che conduce al cielo;

    di nuovo alla terra vile mi son volto,

    dalla qual m`avevi tratto con la tua venuta.

     

    Ora, nuovamente elevami,

    verso di Te nel ciel dei cieli io ascenda;

    non permettermi di rivolgermi al Nemico,

    per tema che non mi getti nelle tenebre.

     

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 502-505)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 04/07/2013 07:43

    XIV DOMENICA

     

    Letture: Isaia 66,10-14c

    Galati 6,14-18

    Luca 10,1-12.17-20

     

    1. Gli operai evangelici

     

    Il nostro Signore e Salvatore, fratelli carissimi, a volte ci istruisce con le parole, alle volte con dei fatti. Le sue azioni diventano precetti, quando tacitamente, con ciò che fa, c`indica ciò che dobbiamo fare. Eccolo che manda i suoi discepoli a predicare a due a due. Perché son due i precetti della carità, carità verso Dio e carità verso il prossimo, e perché ci sia amore, ci vogliono almeno due persone. L`amore che uno ha per se stesso, nessuno lo chiama carità; dev`essere diretto a un altro, perché lo si chiami carità. Il Signore manda i discepoli a due a due, per farci capire che se uno non ha amore per gli altri, non deve mettersi a predicare.

    E` detto bene che "li mandò innanzi a sé in ogni città e villaggio, love egli pensava di recarsi" (Lc 10,1). Il Signore, infatti, va dietro ai suoi predicatori, perché prima arriva la predicazione nella nostra mente e poi vi arriva il Signore, quando si accetta la verità. Perciò Isaia dice ai predicatori:"Preparate ta via del Signore, raddrizzate le vie di Dio" (Is 40,3)...

    Sentiamo ora che cosa dice il Signore ai suoi predicatori:"La messe è molta, ma gli operai son pochi. Pregate dunque il padrone della messe, che mandi operai nella sua messe" (Lc 10,2). La messe è molta, ma gli operai son pochi. Non lo possiamo dire senza rammarico. Son molti quelli che son disposti a sentire, ma son pochi a predicare. Il mondo è pieno di sacerdoti ma nella messe è difficile trovarci un operaio, perché abbiamo accettato l`ufficio sacerdotale, ma non facciamo il lavoro del nostro ufficio. Ma riflettete, riflettete, fratelli, alle parole: "Pregate il padrone della messe, che mandi operai alla sua messe". Pregate per noi, perché possiamo lavorare adeguatamente per voi, perché la nostra lingua non desista dall`esortare, perché, dopo aver preso l`ufficio della predicazione, il nostro silenzio non ci condanni. Spesso infatti la lingua tace per colpa dei predicatori; ma succede anche altre volte che, per colpa di chi deve sentire, la parola vien meno a chi deve parlare. A volte la parola manca per la cattiveria del predicatore, come dice il Salmista: "Dio disse al peccatore: Perché osi parlare della mia giustizia?" (Sal 49,16); e alle volte il predicatore è impedito per colpa degli uditori, come in Ezechiele: "Farò attaccare la tua lingua al tuo palato e sarai muto, e non potrai rimproverare, perché è una casa che esaspera" (Ez 3,26). Come se dicesse: Ti tolgo la parola, perché un popolo che mi esaspera con le sue azioni, non è degno che gli si porti la verità. Non è facile, quindi, discernere per colpa di chi vien tolta la parola al predicatore; ma è certo che il silenzio del pastore, se qualche volta è dannoso al pastore stesso, al suo gregge lo è sempre...

    Colui che prende l`ufficio di predicare, non deve fare il male ma lo deve tollerare, perché con la sua mansuetudine, gli riesca di mitigare l`ira di quelli che infieriscono contro di lui, e lui ferito riesca con le sue pene a guarire negli altri le ferite dei peccati. E anche se lo zelo della giustizia vuole che talvolta egli sia severo con gli altri, il suo furore deve nascere da amore e non da crudeltà; ed ami con amore paterno, quando col castigo difende i diritti della disciplina. E questo il superiore lo dimostra bene, quando non ama se stesso, non cerca cose del mondo, non piega il suo collo al peso di terreni desideri...

    "L`operaio è degno della sua mercede" (Lc 10,7), perché gli alimenti fanno parte della mercede, in modo che qui cominci la mercede della fatica della predicazione, che sarà compiuta in cielo con la visione della Verità. Il nostro lavoro, dunque, ha due mercedi, una qui nel viaggio e un`altra nella patria: una che ci sostiene nel lavoro, l`altra che ci premia nella risurrezione. La mercede che riceviamo qui però ci deve rendere piú forti per la seconda. Il predicatore perciò non deve predicare per ricevere una mercede temporale, ma deve accettare la mercede, perché possa continuare a predicare. E chiunque predica per una mercede di lode o di danaro, si priva della mercede eterna. Colui invece che, quando parla, desidera di piacere, non perché lui sia amato, ma perché il Signore sia amato, e accetta uno stipendio solo perché non venga poi meno la voce della predicazione, certamente questi non sarà premiato meno nella patria perché ha accettato un compenso in questa vita.

    Ma che facciamo noi pastori, non posso dirlo senza dolore, che facciamo noi che prendiamo la mercede dei pastori e non ne facciamo il lavoro? Mangiamo ogni giorno il pane della santa Chiesa, ma non lavoriamo affatto per la Chiesa eterna. Riflettiamo quale titolo di dannazione sia il prendere il salario d`un lavoro senza fare il lavoro. Viviamo con le offerte dei fedeli, ma dov`è il lavoro per le loro anime? Prendiamo come paga ciò che i fedeli danno in sconto dei loro peccati, ma non ci diamo da fare con l`impegno della preghiera e della predicazione, come sarebbe giusto, contro quegli stessi peccati.

     

    (Gregorio Magno, Hom., 17, 1-4.7 s.)

     

     

    2. Missione dei discepoli

     

    Gli apostoli hanno ordine di non portare il bastone: questo è quanto Matteo ha creduto di dover scrivere (cf. Mt 10,10). Cos`è il bastone, se non l`insegna della potestà che si porta innanzi, e lo strumento che vendica il dolore? Quindi ciò che l`umile Signore, - "nell`umiliazione" infatti "il suo giudizio è stato innalzato" (Is 53,8), - ciò che l`umile Signore, ripeto, ha prescritto ai suoi discepoli, essi lo adempiono con la pratica dell`umiltà. Li ha inviati infatti a seminare la fede non con la costrizione, ma con l`insegnamento; non spiegando la forza del potere, ma esaltando la dottrina dell`umiltà. Ed ecco, egli ha giudicato opportuno aggiungere all`umiltà la pazienza; egli infatti, conforme alla testimonianza di Pietro, "ingiuriato non ricambiava l`ingiuria, percosso non restituiva il colpo" (1Pt 2,23).

    "Siate miei imitatori" (Fil 3,17), significa dunque questo: abbandonate il piacere della vendetta, rispondete ai colpi dell`arroganza non restituendo l`ingiuria ma con magnanima pazienza. Nessuno deve imitare quanto rimprovera negli altri; la mansuetudine colpisce ben piú gravemente gli insolenti. Un simile colpo di pugno il Signore ha restituito a colui che ha colpito, quando ha detto:"A chi ti colpisce la guancia, porgigli l`altra" (Mt 5,39). Finisce infatti in questo modo che uno si condanna col suo proprio giudizio, e ha il cuore come punto da uno stimolo, quando vede che al torto che ha fatto, l`altro risponde con la premura...

    "E per via non saluterete nessuno" (Lc 10,4).

    Qualcuno troverà forse in queste parole durezza e orgoglio, poco conformi ai precetti del Signore dolce e umile; egli che pure aveva prescritto di cedere il posto a tavola (cf. Lc 14,7ss), ecco che ora ordina ai discepoli: «per via non saluterete nessuno», quando invece questo è un uso di gentilezza. E` in questo modo che le persone inferiori usano guadagnarsi il favore dei potenti; anche i Gentili usano con i cristiani questo scambio di cortesia. Perché il Signore vuole estirpare quest`usanza civile?

    Ma considera che egli non dice soltanto: «non saluterete nessuno». Non è senza ragione che aggiunge: «per via». Anche Eliseo, quando mandò il servitore a deporre il suo bastone sul corpo del piccolo morto, gli disse di non salutare nessuno per strada (cf. 2Re 4,29): gli ordinò di far presto, perché potesse compiere l`incarico relativo alla risurrezione da effettuare, perché nessuno scambio di parole con qualche passante ritardasse la missione che doveva eseguire. Dunque, anche qui non si tratta di abolire la reciproca cortesia del saluto, ma di togliere di mezzo l`ostacolo che potrebbe intralciare l`incarico; in presenza del divino, l`umano deve essere temporaneamente messo da parte. E` bello il saluto: ma il compimento delle opere divine è tanto piú bello quanto piú è rapido, e il ritardarlo spesso genera scontento. Per questo si vieta anche lo scambio di cortesie, nel timore che le civili usanze ritardino e danneggino il compimento di un dovere che non può essere rimandato senza colpa.

    Ed ecco un`altra virtù: non passare da una casa all`altra con volubile facilità; conservare la costanza negli stessi sentimenti di ospitalità e non spezzare con leggerezza i legami di una amicizia già annodata; portare sempre dinanzi a noi un annunzio di pace.

     

    (Ambrogio, In Luc., 7, 59.62 s)

     

     

    3. L`augurio della pace nell`ospitalità

     

    "In qualunque casa entriate, dite anzitutto: Pace a questa casa!" (Lc 10,5; Mt 10,12), perché il Signore stesso vi entri e vi si stabilisca come in casa di Maria (cf. Lc 10,38-42; Gv 12,1-8), e poi vi soggiornino con i suoi discepoli in quanto discepoli. Questo saluto costituisce il mistero di fede che risplende nel mondo; per esso, l`inimicizia è soffocata, la guerra fermata e gli uomini si riconoscono reciprocamente. L`effetto di questo stesso saluto era come dissimulato dal velo dell`errore, nonostante la prefigurazione del mistero della risurrezione dei corpi, mistero espresso dalle cose inanimate, allorché sopraggiunge la luce ed appare l`aurora che scaccia la notte. Da quel momento, gli uomini cominciarono a salutarsi reciprocamente e a ricevere il saluto gli uni dagli altri, per la guarigione di chi lo dà e la benedizione di quelli che lo ricevono. Su coloro, però, che ricevono solo esteriormente la parola di saluto, le cui anime non recano l`impronta di membri di Nostro Signore, il saluto si spande come una luce mutata da coloro che la ricevono, cosi come i raggi del sole lo sono ad opera del mondo.

    Questo saluto che il suo nome annuncia, del quale la scienza spiega la potenza nascosta, e che regola un simbolo, basta ampiamente per tutti gli uomini. Ecco perché Nostro Signore lo inviò insieme con i suoi discepoli, quale precursore, perché esso ristabilisca la pace e, avvolto dalla voce degli apostoli, suoi inviati, prepari la via davanti a loro. Esso veniva seminato in tutte le case per adunarne e smistarne le membra; esso entrava in tutti coloro che lo ascoltavano per separare e mettere a parte i figli che riconosceva come suoi; restava in essi e denunciava coloro che gli si dimostravano estranei, poiché, una volta seminato in questi ultimi, esso li abbandonava.

    Tale saluto non inaridiva, zampillando dagli apostoli sui loro fratelli, per rivelare che i tesori del Signore che lo inviava non si esauriscono. Esso non si trasformava in coloro che lo accoglievano, manifestando in tal modo che i doni del donatore erano stabili e sicuri. Presente in coloro che lo davano e in quelli che lo accoglievano, quel saluto non subiva né diminuzione, né divisione.

    Del Padre, esso proclamava che è vicino a tutti e in tutti della missione del Figlio, che egli è tutto intero presso tutti e che la sua fine è presso il Padre. Immagine del Padre, quel saluto non ha cessato di predicare, cosí come non ha cessato di essere proclamato, fino all`avvento della certezza che adempie le figure tipiche, fino a quando la verità non metterà fine alle immagini e le ombre vengano respinte dal corpo stesso, e i simboli dispersi dalle rappresentazioni vere.

    E` cosí dunque che noi lanciamo la parola del Signore su ascoltatori ed amici, quale coagulo per separare e unire; per separarli e dissociarli da ogni miscuglio e unirli al Signore che aduna la comunità.

     

    (Efrem, Diatessaron, 8, 3-5)

     

     

    4. L`aiuto ci viene da Cristo

     

    "Non rallegratevi però perché i demoni vi obbediscono; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti in cielo" (Lc 10,20); quando invero questo avvenga per opera sua (di Cristo), anche se con la nostra volontà ed impegno, dobbiamo esser convinti che siamo stati aiutati da lui. Non dunque è necessario che ogni fedele scacci i demoni o susciti i morti o parli le lingue, bensí colui che è fatto degno di un carisma per una causa utile in vista della salvezza degli infedeli, i quali, spesso, non per la esatta spiegazione mediante discorsi ma ad opera di segni si convertono, e quelli che precisamente sono degni di salvezza.

     

     

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 10/07/2013 07:49

    XV DOMENICA

     

    Letture: Deuteronomio 30,10-14

    Colossesi 1,15-20

    Luca 10,25-37

     

    1. La carità e il Samaritano

     

    Il maestro interrogato circa il piú grande comandamento risponde: "Amerai il Signore Dio con tutta la tua anima e con tutte le tue forze" (Mt 12,36). Questo è certamente il piú grande comandamento e ben a ragione, perché riguarda Dio, che è primo e massimo, nostro Padre, per il quale esistono tutte le cose e al quale tutte ritornano. E per noi, amati e creati da lui, non ci può essere nulla di piú importante che rendergli almeno grazie degli immensi doni che ci ha fatti, tanto piú che, in ricambio, non possiamo dargli nulla, perché lui non ha bisogno di niente; intanto, amando Dio con amore di figli possiamo ottenere il dono dell`immortalità. Poiché quanto piú uno ama Dio, tanto piú intimamente s`innesta a Dio.

    L`altro comandamento, ma non inferiore, è: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Mt 22,39). Dunque, Dio sta al di sopra. Poiché quel tale insisteva domandando: "E chi è il mio prossimo?" (Lc 10,29), non definì il prossimo, come facevano i Giudei, nominando un consanguineo, un concittadino, un proselita, un arconciso o uno che osservasse la stessa legge; ma si riferisce a un uomo che da Gerusalemme si recava a Gerico e lo descrive ferito dai ladri e lasciato mezzo morto per la strada un sacerdote lo lascia lí, un levita non se ne cura; ma un Samaritano (disprezzato ed emarginato dai Giudei) ne ha compassione; ma l`incontro non fu a caso, egli era fornito delle cose necessarie a un ferito, come l`olio, le fasce, la cavalcatura; ed egli in parte dà e in parte promette la mercede all`oste. "Chi di questi", domanda, "fu prossimo al ferito"? E avendo quegli risposto: "Colui che n`ebbe misericordia", "Va`", disse, "e fa` anche tu lo stesso (ibid". 36, 37); cioè la carità è madre di bontà.

    La base dell`uno e dell`altro comandamento è la carità; l`ordine è diverso: Dio sta al primo posto, il prossimo al secondo. E chi è quel Samaritano se non lo stesso Salvatore? O chi fa una maggiore misericordia a noi quasi uccisi dalle potenze delle tenebre con ferite, paure, desideri, furori, tristezze, frodi, piaceri? Di queste ferite solo Gesú è medico; lui sradica i vizi dalle radici. E` lui che infonde il vino (il sangue della vite davidica) alle anime ferite; è lui che dalle viscere dello Spirito trae l`olio e lo diffonde largamente. E` lui che tiene strette le fasce della salvezza: la carità, la fede, la speranza. E` lui che impegna angeli e arcangeli, perché ci assistano col loro ministero. Bisogna amarlo, allora, come amiamo Dio. Ama Cristo, chi fa la sua volontà e ne osserva i precetti. "Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio" (Gv 14,23). E: "Perché mi chiamate Signore, se non fate ciò che vi dico?" (Lc 6,40).

     

    (Clemente di Ales., Quis dives, 27-29)

     

     

    2. Il buon Samaritano

     

    "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico" (Lc 10,29ss). Cristo si serve di una definizione specifica. Non dice: «Qualcuno scendeva», ma «un uomo scendeva», poiché questo versetto riguarda tutta l`umanità. Per il peccato di Adamo l`umanità ha perduto il diritto di stare nel paradiso, luogo posto in alto, tranquillo, libero dalle sofferenze e meraviglioso, che giustamente viene chiamato qui Gerusalemme, in quanto questo nome vuol dire «pace divina». Ed essa scende a Gerico, paese squallido e infossato in cui regna un caldo soffocante. Gerico è la vita febbrile del mondo, vita lontana da Dio e che trascina in basso. Il fuoco dei piaceri piú impudichi causa lì afa ed esaurimento.

    Quando dunque l`umanità è scesa dalla retta via verso una vita del genere, quando si è lasciata trascinare dall`alto verso il basso, una torma di demoni come una banda di malfattori l`ha assalita sulla china. L`hanno depredata delle vesti della perfezione, non lasciando in essa la minima traccia né della forza dello spirito, né di purezza, né di giustizia e prudenza, né nulla che mostri l`immagine divina. Aggredendola molte volte, le hanno provocato un gran numero di ferite di peccati diversi, per abbandonarla poi in terra tramortita... La Legge data da Mosè è passata oltre. Ha visto l`umanità a terra e agonizzante. Il sacerdote ed il levita, infatti, rappresentano nella parabola l`Antico Testamento che ha istituito il sacerdozio dei leviti. La Legge ha visto veramente l`umanità, ma le è mancata la forza, è stata impotente. Non ha condotto l`umanità alla completa guarigione, non l`ha sollevata da terra. E poiché le è mancata la forza, ha dovuto necessariamente allontanarsi per l`inefficacia dei suoi interventi. Ha dovuto allontanarsi, poiché - come insegna Paolo - i suoi "doni e sacrifici non possono rendere perfetto, nella coscienza, l`offerente" (Eb 9,9), "poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri" (Eb 10,4).

    Finalmente passa un samaritano. Cristo, volutamente, si fa chiamare Samaritano. Rivolgendosi a chi conosce bene la Legge a chi sa perfettamente parlare della Legge, egli vuole in tal modo dimostrare che né il sacerdote, né il levita, né in generale nessuno di quelli che presumibilmente seguono le prescrizioni della Legge di Mosè, ma lui solo è venuto ad adempiere la Legge e a dimostrare con i fatti chi è il prossimo e che cosa significa «amare il prossimo come se stesso»; egli di cui i Giudei dicevano, volendolo oltraggiare: "Non diciamo con ragione che sei un samaritano e hai un demonio?" (Gv 8,48).

    Il Samaritano che passa - ed è Cristo che veramente è in viaggio - vede il ferito. Non va oltre, poiché lo scopo del suo viaggio è quello di «visitare» noi; noi per i quali è sceso sulla terra e in mezzo ai quali ha abitato. Perciò non solo si è manifestato agli uomini, ma è stato veramente in mezzo a loro... "Sulle sue ferite ha versato del vino", il vino della parola... E poiché le ferite gravi non hanno potuto sopportare la sua forza, ecco che ha aggiunto dell`olio, cosí che con la sua dolce «filantropia» si è attirato il biasimo dei farisei e ha dovuto rispondere spiegando loro il significato delle parole: "Voglio misericordia, non sacrifici" (Os 6,6).

    Quindi ha messo il ferito su una bestia da soma, mostrandoci con ciò che egli ci innalza al di sopra delle passioni bestiali, egli che anche ci porta in sé, rendendoci cosí membra del suo Corpo.

    Poi, ha condotto l`uomo in una locanda, chiamando cosí la Chiesa, luogo di dimora e di adunata per tutti; infatti, mai abbiamo sentito che impedendo agli Ammoniti e ai Moabiti l`entrata in Chiesa, l`abbia limitata solo all`Antico Patto che è ombra della Legge, o al culto delle immagini e delle profezie. Al contrario, egli ordina agli apostoli: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19) e insegna che il Signore ama in ogni popolo colui che lo teme e vive secondo giustizia. Giunto nella locanda, il buon Samaritano ha ancora di piú cura di colui che ha salvato.

    Infatti, quando la Chiesa si formò dalla comunità dei martiri, in essa era Cristo dispensatore di grazie.

    Al padrone della locanda - che rappresenta gli apostoli, i pastori e i dottori - consegna, andando via, entrando in cielo, due denari, perché abbia cura del ferito. Questi due denari vanno intesi come i due Testamenti: il Vecchio e il Nuovo, l`Antica Legge e i profeti, la Nuova Legge dataci dal Vangelo e le istituzioni apostoliche. Come i due Testamenti discendono da Dio stesso dall`alto dei cieli, cosí i denari recano l`effigie di un re. Tutti e due - per mezzo delle Sacre Scritture - imprimono il marchio regale, poiché uno ed uno stesso Spirito dice codeste parole.

    I pastori delle sante Chiese, una volta ricevuti i due denari, li fanno fruttare nuovi soldi nel faticoso lavoro di maestri, ed anche con lo spenderli per i propri bisogni, poiché il denaro spirituale, parola di dottrina, ha la proprietà di non diminuire, bensí di aumentare con lo spenderlo. Ognuno di loro dirà nell`ultimo giorno, quando il Signore tornerà: "Signore, mi hai consegnati due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due" (Mt 25,22); con essi ho ingrandito il tuo gregge. E il Signore rispondendo dirà: "Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone" (Mt 25,23).

     

    (Severo di Antiochia, Hom., 89, passim)

     

     

    3. Il prossimo è ogni uomo

     

    Dimmi ora, o dottore della Legge, senza guardarmi con i tuoi occhi cattivi e indagatori, chi è per te il prossimo? Non deve essere forse chi è diventato tale per il semplice fatto che era nel bisogno? Tu credi spesso nella tua ignoranza che tuo prossimo sia semplicemente chi professa la tua religione o un tuo connazionale. Ma io dico e sostengo che prossimo è ogni uomo, ogni essere che partecipa della natura umana. Come vedi, ci alza anche il capo per il fatto di essere sacerdote, e colui che si vanta di essere levita e svolge le sacre funzioni del servizio sacerdotale secondo la Legge, ambedue - come te - dicono con orgoglio di conoscere i comandamenti divini. Eppure, a loro non viene nemmeno in mente il pensiero che il loro fratello abbandonato in terra nudo, coperto di ferite e morente, è un uomo della loro stessa nazione. Lo disprezzano come un sasso, come un pezzo di legno gettato via.

    Ma il Samaritano riconosce la natura umana e comprende chi è il prossimo, anche se ignora i comandamenti e voi lo ritenete uno zotico... Cosí, dunque, colui che voi considerate troppo lontano, eccolo vicino a chi ha bisogno di cure.

    Perciò, non rimanere attaccato alla lettera delle tue leggi giudaiche, quando devi riconoscere il tuo prossimo, non vederlo solo in quelli del tuo sangue, poiché è prossimo ogni persona e su di essa deve scendere lo spirito di carità.

     

    (Severo di Antiochia, Hom., 89, passim)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/07/2013 07:39
    XVI DOMENICA

    Letture: Genesi 18,1-10a
    Colossesi 1,24-28
    Luca 10,38-42

    1. Marta e Maria

    S`è parlato della misericordia; ma non c`è una sola forma di virtù. Nell`esempio di Marta e di Maria ci viene mostrata nelle opere della prima, la devozione attiva, e in quelle della seconda la religiosa attenzione dell`anima alla Parola di Dio: se questa attenzione è conforme alla fede, essa passa avanti alle stesse opere, secondo quanto sta scritto: "Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).
    Cerchiamo quindi di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada.
    Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la piú grande, piú perfetta opera. Che la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste. E non rimproverare né giudicare oziosi coloro che si dedicano alla ricerca della sapienza. Salomone il pacifico infatti ha cercato di coabitare con la sapienza.
    Marta non è certo rimproverata per i suoi buoni servigi; ma Maria ha la preferenza, perché ha scelto per sé la parte migliore. Gesú dispone infatti di molti beni, e molti ne elargisce: e cosí la piú sapiente delle due donne ha scelto ciò che ha riconosciuto principale.
    Del resto, gli apostoli non giudicarono miglior cosa abbandonare la Parola di Dio per servire alla mensa (cf. At 6,2) ma erano opera di sapienza ambedue le cose, tanto che fu Stefano, ricolmo di sapienza, a essere scelto come ministro (cf. At 6,5). Ed ecco, è necessario che colui che serve obbedisca a colui che insegna, e questi esorti e rianimi il ministro.
    Uno è infatti il corpo della Chiesa, anche se diverse sono le membra: ciascuno ha bisogno dell`altro. "L`occhio non può dire alla mano: non desidero l`opera tua, né può dire cosí il capo ai piedi" (1Cor 12,12ss), né l`orecchio può negare di far parte del corpo. Anche se tra le membra alcune sono piú importanti, tuttavia le altre sono necessarie.
    La sapienza risiede nel capo, l`attività nelle mani: infatti gli occhi del sapiente sono nel suo capo, perché veramente sapiente è colui il cui spirito è in Cristo e il cui occhio interiore si innalza verso l`alto. Perciò "l`occhio del sapiente è nel suo capo" (Qo 2,14), quello dello stolto nel suo calcagno.

    (Ambrogio, In Luc., 7, 85-86)


    2. La parte migliore di Maria

    Marta e Maria erano sorelle non solo di sangue, ma anche di religione; ambedue seguirono il Signore, ambedue lo servirono concordemente nei bisogni della sua vita temporale. Marta lo accolse, come si accoglie un ospite. Ma era la serva che accoglieva il Signore, la malata che accoglieva il Salvatore, la creatura che accoglieva il Creatore. Lei bisognosa di cibo dello spirito, accoglieva il Signore bisognoso di cibo per il corpo...
    Così fu ricevuto il Signore "che venne in casa sua e i suoi non lo ricevettero, ma a quelli che lo accolsero, diede la capacità di diventare figli di Dio" (Gv 1,11); adottò gli schiavi, e se li fece fratelli; ricomprò i prigionieri, e se li fece coeredi. Perché nessuno di voi abbia a dire: O beati coloro che ebbero la fortuna di accogliere il Signore in casa loro! Non t`affliggere, non recriminare d`esser nato in un tempo in cui non puoi vedere il Signore nella sua carne; non ti ha tolto questo privilegio. "Ciò che fate a uno di questi piú piccoli, lo fate a me" (Mt 25,40)...
    Marta era molto occupata a servire il Signore; Maria, sua sorella, preferí farsi cibare dal Signore. Lasciò in qualche modo sua sorella indaffarata nelle faccende, si mise a sedere ai piedi del Signore e, senz`altro pensiero, lo sentiva parlare. L`orecchio attentissimo aveva udito: "Statemi attenti, e vedete che son io il Signore" (Sal 45,11). Quella s`agitava, questa si nutriva; quella dava mano a molte cose, questa pensava a una sola. Due cose buone tutte e due; e come facciamo a sapere qual è meglio? Abbiamo chi ci può rispondere, sentiamone la risposta. Abbiamo già sentito nella lettura che cosa sia meglio; ma risentiamolo ancora insieme. Marta chiama in causa l`ospite, porta al giudice il suo pio lamento, che la sorella l`abbia lasciata sola al suo lavoro. Maria sta lí, sente e non si giustifica; il Signore dà la sua risposta. Maria, tranquilla, preferisce affidare la sua causa al giudice; poiché, se si fosse impegnata a cercar lei una risposta, avrebbe perduto il filo di quello che sentiva. Rispose il Signore, al quale non mancano le parole, perché lui è la Parola, il Verbo. E che dice? "Marta, Marta!" E la ripetizione indica insieme affetto e un richiamo all`attenzione. "Tu ti affanni in molte cose, eppure una sola cosa è veramente necessaria"; proprio su quell`unica necessaria è caduta la scelta di Maria...
    E` cosa buona attendere ai poveri e soprattutto servire a coloro che si son dedicati al servizio di Dio. Non si tratta, infatti, tanto di un dare, quanto di un retribuire, a dire di san Paolo: "Se vi abbiamo dato doni spirituali, è proprio tanto che raccogliamo i vostri beni temporali?" (1Cor 9,11). E` cosa buona, fatelo, ve lo dico nel nome del Signore, non siate pigri nell`accogliere i santi. Talvolta senza saperlo, accogliendo gente che non conoscevano, ospitarono angeli (cf. Eb 13,2). E` cosa buona, certo; ma è meglio ciò che scelse Maria. In Marta c`è un`occupazione che nasce da un bisogno, in Maria c`è una dolcezza che nasce dall`amore. L`uomo vuol dare soddisfazione, quando serve; e talvolta non ci riesce: si cerca ciò che manca, si offre ciò che si ha; l`animo si distende. Infatti, se Marta avesse potuto far tutto da sola, non avrebbe chiesto l`aiuto della sorella. Son molte cose, son diverse, perché son di questo mondo, son temporali, son cose buone, ma transitorie. E a Marta, che dice il Signore? "Maria ha scelto meglio". Non è che tu hai scelto male ma lei ha scelto meglio. Senti perché meglio: "Non le verrà portato via". A te un giorno sarà portato via il peso della necessità: ma la dolcezza della verità è eterna. A lei non sarà tolto l`oggetto della sua scelta. Non le sarà tolto, anzi, le verrà aumentato. In questa vita viene accresciuto, nell`altra sarà perfetto: non sarà tolto mai.
    D`altra parte, Marta, abbi pazienza, per quanto ti benedica per questo tuo lavoro, tu, in fin dei conti, cerchi una tua ricompensa, la tua quiete. Ora sei tanto affaccendata, vuoi tenere in piedi dei corpi mortali, anche se son quelli di santi; ma, quando arriverai a quella patria, troverai piú un pellegrino da ospitare? Un affamato cui dare il tuo pane? Un assetato cui porgere la tua acqua? Un malato da visitare? Un litigante da mettere in pace? Un morto da seppellire? Tutte queste cose non le troverai lassú. E che cosa ci sarà? Proprio ciò che ha scelto Maria. Là staremo a mensa, non daremo da mangiare. Perciò là sarà pieno e perfetto ciò che Maria ha scelto qui; da quella mensa ricchissima della Parola di Dio raccoglieva appena delle briciole. Volete sapere che cosa sarà lassú? Lo dice il Signore stesso: "Vi dico io che li farò sedere e lui passerà e li servirà" (Lc 12,37). Che cosa è questo star seduti, se non stare a proprio agio e riposare? E che significa il suo passare e servire? Prima passa, e nel passare serve. Ma dove? In quel banchetto celeste, di cui dice: "Vi dico io, molti verranno dall`Oriente e dall`Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" (Mt 8,11). Là il Signore ci nutre, ma prima passa di qui. Infatti, come sapete, Pasqua vuol dire passaggio. E` venuto il Signore, ha fatto cose divine, ha subito pene umane. Vien forse ancora sputacchiato? Ancora schiaffeggiato? Ancora coronato di spine? Ancora flagellato, ancora crocifisso, ancora trafitto dalla lancia? E` passato. D`altronde anche il Vangelo parla allo stesso modo, quando dice che egli fece la Pasqua con i suoi discepoli. Che cosa dice il Vangelo? "Giunta l`ora che Gesú passasse da questo mondo al Padre" (Gv 13,1). Dunque, lui passò, per darci da mangiare; andiamogli dietro, per sederci con lui.

    (Agostino, Sermo 103, 2 s )


    3. Dio non ci vuole preoccupati

    Dio nostro Padre non voleva che noi vivessimo preoccupati e in ansia per le cose della vita; questo avvenne ad Adamo, ma in un secondo tempo. Gustò il frutto dell`albero e s`accorse d`essere nudo e si fece un cinto. Ma prima di mangiare il frutto "erano tutti e due nudi e non si vergognavano" (Gen 3,7). Cosí ci voleva Dio, senza turbamenti di sorta. E questo è il segno di un animo che è lontano da ogni affetto libidinoso; e chi è in questa disposizione, non ha in mente altre opere che quelle degli angeli. Cosí non penseremmo che a celebrare eternamente il Creatore, sarebbe nostra letizia la sua contemplazione e lasceremmo a lui ogni preoccupazione, come scrisse David: "Lascia al Signore la cura di te stesso, ed egli ti nutrirà" (Sal 54,23). E Gesú insegna agli apostoli: "Non vi preoccupate della vostra vita, di quello che mangerete, né del come vestirete il vostro corpo" (Mt 6,25). E ancora: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto vi sarà dato in sovrappiú" (Mt 6,33). E a Marta: "Marta, Marta, tu ti preoccupi di troppe cose; ma una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la migliore, e non le sarà tolta" (Lc 10,14-15); cioè, si metterà ai piedi del Signore e ascolterà la sua Parola.

    (Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 2, 11)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 24/07/2013 07:06
    XVII DOMENICA

    Letture: Genesi 18,20-21.23-32
    Colossesi 2,12-14
    Luca 11,1-3

    3. La coscienza del dono ricevuto

    Anzitutto - dice Cristo - bisogna che voi sappiate chi siete stati e chi siete diventati, cioè che conosciate la grandezza del dono ricevuto da Dio. Poiché sono state fatte per voi grandi cose, molto piú grandi che per quelli che sono vissuti prima di voi. Ciò che io stesso faccio per coloro che credono in me e che sono divenuti miei discepoli per elezione, in verità il mette molto al di sopra dei discepoli di Mosè. Se infatti è vero che la prima Alleanza fatta sul Monte Sinai genera per la schiavitú, allora anch`essa è schiava e genera schiavi (cf. Gal 4,24s). Erano infatti schiavi tutti quelli soggetti ai comandamenti: questi regolavano la loro condotta; e la pena di morte, alla quale nessuno poteva sfuggire, era diretta contro tutti quelli che violavano i comandamenti.
    Ma voi, grazie a me, avete ricevuto il dono dello Spirito Santo; esso vi ha fatti diventare figli adottivi e cosí potete chiamare Dio Padre vostro. Infatti, non avete ricevuto lo Spirito per ricadere nella schiavitú e nella paura; ma lo spirito di adozione a figli, grazie al quale nella libertà chiamate Dio Padre (cf.Rm 8,15). Adesso, voi servite in Gerusalemme con orgoglio e avete quella libertà che spetta a coloro che la risurrezione rende liberi ed immutabili, e partecipi della vita celeste già in questo mondo.
    Dunque, poiché c`è questa differenza tra voi e quelli che sono soggetti alla Legge - se è vero che la lettera della Legge uccide e condanna coloro che la violano ad una morte inevitabile, lo spirito invece vivificato dalla grazia fa sí che mediante la risurrezione diventiate immortali e immutabili - sarebbe bene che voi anzitutto sapeste mantenere costumi degni di tale nobile condizione; infatti, solo quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio, quelli invece che sono soggetti alla Legge, hanno soltanto il nome comune di figli. Ho detto: "Siete dèi e figli dell`Altissimo" (Sal 81,6s), ma come uomini morirete. Perciò, coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo e che quindi aspettano l`immortalità, devono vivere dello Spirito, vivere secondo lo Spirito e avere la coscienza degna di coloro che lo Spirito guida, cioè tenersi lontani dal peccato, avere costumi conformi alla vita divina. In caso contrario, non sarò con voi quando invocherete il nostro Signore e Dio.
    Bisogna naturalmente che sappiate che Dio è Signore e Creatore di tutte le cose e dunque anche di voi; infatti, è grazie a lui che godete molti beni. Eppure, chiamatelo Padre affinché, una volta compresa la vostra nobile condizione, la vostra dignità e la vostra grandezza di figli del Signore di tutte le cose e vostro Signore, possiate agire in armonia con queste verità.
    Non dite, allora: «Padre mio», ma: «Padre nostro». Egli è infatti Padre di tutti come la grazia, mediante la quale siamo diventati suoi figli adottivi. Perciò, non vogliate solo agire degnamente verso il Padre, ma vivete anche in buona armonia con i vostri fratelli, che sono nelle mani dello stesso Padre.

    (Teodoro di Mopsuestia, Hom. Catech., 11, 7-9)


    2. L`amico importuno

    "Se uno di voi ha un amico e lo va a trovare a mezzanotte e gli dice: Amico prestami tre pani... (Lc 11,5).
    Ecco un altro precetto affiinché innalziamo preghiere ogni momento, non solo di giorno ma anche di notte. Vedi infatti che quest`uomo, che è andato a mezzanotte per chiedere tre pani al suo amico, insistendo nella sua richiesta, non prega invano.
    Cosa sono questi tre pani, se non l`alimento del mistero celeste? ché se tu ami il Signore Dio tuo, ne potrai ottenere non solo per te, ma anche per gli altri.
    E chi è amico nostro piú di colui che per noi ha dato il suo corpo?
    A lui, nel mezzo della notte, David domandò dei pani e li ottenne; domandava infatti quando diceva: "Nel mezzo della notte mi alzai per lodarti" (Sal 118,62). Meritò così di ottenere quei pani che ha posti davanti a noi da mangiare. Egli ha chiesto quando ha detto: "Bagnerò ogni notte il mio letto" (Sal 6,7); e non ha avuto timore di svegliare dal sonno colui che egli sa sempre all`opera vigilante.
    Memori perciò delle Scritture, giorno e notte con la preghiera chiediamo insistentemente il perdono per i nostri peccati. Se infatti quel sì grande santo, che era preso dalle cure del regno, rivolgeva sette volte al giorno la sua lode al Signore (cf. Sal 118,164), sempre intento ai sacrifici del mattino e della sera, che cosa dobbiamo fare noi? Non dobbiamo chiedere con tanta maggiore insistenza, in quanto molto piú frequentemente cadiamo per la fragilità del corpo e dell`anima, affinché, stanchi del cammino e affaticati per il corso di questo mondo e per la tortuosità di questa vita, non ci manchi per il nostro ristoro il pane che fortifica il cuore dell`uomo?
    E non soltanto nel mezzo della notte, ma quasi a ogni istante il Signore ci raccomanda di vegliare; viene egli la sera, e alla seconda e alla terza veglia, ed è solito bussare. Perciò "beati quei servi che il padrone, quando verrà, troverà vigilanti" (Lc 12,37). Se dunque tu desideri che la potenza di Dio si cinga e ti serva (cf. Lc 12,37), devi sempre vegliare; siamo infatti circondati di tranelli e pesante è il sonno del corpo, e se l`anima si mette a dormire perderà il vigore della sua forza.
    Riscuotiti dunque dal tuo sonno onde bussare alla porta di Cristo, che anche Paolo chiese gli fosse aperta; egli, non contento delle sue preghiere, supplicò che l`assistessero anche quelle del popolo, affinché gli fosse aperta la porta per parlare del mistero di Cristo (cf. Col 4,3).
    E forse è proprio questa la porta che Giovanni vide aperta; vide infatti e disse: "Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta in cielo e la voce che avevo udito prima mi parlava come una tromba e diceva: Sali fin qui e ti mostrerò ciò che deve accadere" (Ap 4,1). La porta si è dunque aperta a Giovanni, si è aperta a Paolo, per poter ricevere per noi i pani da mangiare. Paolo ha perseverato nel bussare alla porta, in modo opportuno e importuno (cf.2Tm 4,2), allo scopo di rianimare i Gentili, affaticati e stanchi dalla fatica del cammino nel mondo, con l`abbondanza del nutrimento celeste.
    Questo passo ci dà dunque il precetto di pregare di frequente, ci dà la speranza di ottenere e l`arte di persuadere: prima esponendo il precetto stesso, e poi fornendoci un esempio. Colui infatti che promette una cosa, deve dare la speranza della promessa, in modo che si presti obbedienza all`avvertimento e fede nella promessa: questa fede, sull`esempio della bontà umana, acquista a piú forte ragione la speranza della bontà eterna, sempreché siano giuste le cose che si chiedono per evitare che la preghiera divenga peccato (cf. Sal 108,7).
    Paolo poi non si è vergognato di chiedere piú volte la stessa cosa, per non sembrare o poco fiducioso nella misericordia del Signore, o orgogliosamente impermalito per non averla ottenuta con la preghiera. "Per questo" - egli dice - "tre volte pregai il Signore" (2Cor 12,8); e ci indica cosí che spesso Dio non ci accorda ciò di cui lo preghiamo, perché giudica inutile quanto invece noi riteniamo esserci vantaggioso.

    (Ambrogio, In Luc., 7, 87-90)


    3. Preghiera del peccatore penitente: il ritorno alla casa del Padre

    Ritornerò alla casa di mio Padre
    come il prodigo,
    e vi sarò accolto;
    come fece lui, anch`io farò:
    non vorrà egli forse esaudirmi?
    Alla tua porta,
    Padre misericordioso,
    ecco io busso;
    aprimi, fa` ch`io entri,
    per tema che mi perda,
    m`allontani e perisca!
    Tu mi facesti erede,
    e io la mia eredità abbandonai
    dissipando i miei beni;
    ormai considerami
    come un salariato
    e come un servo!

    Come del pubblicano,
    abbi di me pietà perché io viva
    per la tua grazia!
    Come alla peccatrice,
    rimetti i miei peccati,
    Figlio di Dio!
    Come Pietro,
    me pure trai
    di mezzo ai flutti!
    Come per il ladrone
    pietà ti prenda della mia malizia
    e di me ricordati!
    Come la pecorella
    che s`è smarrita, cercami, Signore,
    e tu mi troverai;
    sulle tue spalle portami, Signore,
    all`alloggio di tuo Padre!
    Come al cieco del tuo Vangelo,
    aprimi gli occhi,
    perch`io la luce veda!
    Come al sordo,
    dischiudimi le orecchie,
    sí che oda la tua voce!
    Al par del paralitico,
    guarisci la malattia mia,
    perch`io canti la lode del tuo nome!
    Come il lebbroso,
    col tuo issopo purificami
    dalle mie sozzure!
    Come la giovinetta,
    figlia di Giairo,
    fa` ch`io viva, o mio Signore!
    Come la suocera di Pietro,
    guariscimi, perché sono malato!
    Come il ragazzo,
    figlio della vedova,
    rimettimi in piedi!
    Al par di Lazzaro,
    di tua voce chiamami
    e sciogli le mie bende!
    Poiché son morto
    tanto per il peccato,
    quanto per malattia;
    riscattami dalla mia rovina,
    perch`io canti la lode del tuo nome!
    Signor ti prego,
    della terra e del cielo,
    vieni in mio aiuto
    e mostrami la strada,
    ch`io corra verso te!
    Figlio del Buono,
    verso di te guidami,
    il culmine poni alla tua misericordia!
    Verrò verso di te
    e qui mi sazierò nell`allegrezza.
    Schiaccia per me in quest`ora
    in cui mi trovo esausto
    il frumento di vita!

    Alla tua ricerca mi son mosso
    e il Maligno mi ha spiato
    come un ladro.
    M`ha legato dapprima e incatenato
    nei piaceri
    del perverso mondo;
    nel carcere mi ha chiuso
    dei suoi piaceri
    poscia chiudendomi la porta in viso;
    nessuno v`è che possa liberarmi,
    sí che muova alla tua ricerca,
    o buon Signore!
    Figlio di Dio, inviami
    la tua grande pietà!
    Spezza il suo giogo,
    da lui sulle mie spalle posto,
    perché mi soffoca!
    Essere tuo desidero, Signore,
    e camminar con te.
    Sui tuoi comandi medito,
    la notte e il giorno.
    Accordami ciò che chiedo,
    accogli le mie preghiere,
    o Misericordioso!
    Non stroncare, Signore,
    la speme del tuo servo,
    perché ti attende!

    (Giacomo di Sarug, Oratio peccatoris poenitentis)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 31/07/2013 07:38

    XVIII DOMENICA

     

    Letture:Qoèlet 1,2; 2,21-23

    Colossesi 3,1-5.9-11

    Luca 12,13-21

     

    1. La tentazione della prosperità

     

    La tentazione è di due specie. A volte le avversità provano il cuore come l`oro nella fornace (cf. Sap 3,6), quando attraverso la pazienza ne mettono in luce tutta la bontà; a volte, e non di rado, la prosperità della vita tiene per alcuni il posto della tentazione. E` ugualmente difficile, infatti, conservare nelle avversità un animo nobile e guardarsi da un abuso nella prosperità. Della prima tentazione è modello Giobbe, quel grande atleta che sostenendo con animo indomito l`impeto scrosciante del diavolo, fu tanto piú grande della tentazione, quanto piú grandi e quasi inestricabili furono le prove a lui inflitte dal nemico. Esempio della tentazione che nasce dalla prosperità è quel ricco che, avendo già molte ricchezze, ne sognava ancora delle altre; ma il buon Dio a principio non lo condannò per la sua ingratitudine, anzi, lo favorí con sempre nuove ricchezze, in atteesa che il suo animo si volgesse una buona volta alla generosità e alla mansuetudine. Ma: "Il campo del ricco portò frutti abbondanti ed egli andava pensando: Che farò? Demolirò i miei granai e ne farò di piú grandi" (Lc 12,16-18).

    Perché fu fertile il campo di quell`uomo, che non avrebbe fatto nulla di buono con quella ricchezza? Certo perché risplendesse di piú l`indulgenza di Dio, la cui bontà si estende anche a costoro, poiché: "fa piovere sui giusti e sui malvagi e fa che il sole nasca per i buoni e per i cattivi" (Mt 5,45). Ma questa bontà di Dio accresce poi la pena contro i malvagi. Dio mandò la pioggia sulla terra coltivata con mani avare, diede il sole per riscaldare i semi e moltiplicare i frutti. Da Dio viene la terra buona, il clima temperato, la fecondità dei semi, l`opera dei buoi che sono i mezzi della ricchezza dei campi. Ma qual è stata la reazione dell`uomo? Modi amari, odio, scarsezza nel dare. Questo era il ricambio a tanta magnificenza ricevuta. Non si ricordò dei suoi simili, non pensò che il superfluo dovesse essere distribuito agli indigenti, non fece nessun conto del comando: "Non ti stancare di dare al bisognoso" (Pr 3,27) e: "Spezza il tuo pane con chi ha fame" (Pr 3,3). Non sentiva la voce dei profeti, i suoi granai scoppiavano da ogni parte, ma il suo cuore avaro non era sazio. Aggiungendosi sempre nuovi prodotti ai vecchi, finí in questa inestricabile povertà di mente, che l`avarizia non gli consentiva di sottrarre ciò che superava e non aveva magazzini ove deporre la nuova ricchezza. Perciò non trova una soluzione, è affannato. "Cosa farò?" E` infelice per la fertilità dei suoi campi, per quello che ha, piú infelice per quello che aspetta. La terra a lui non produce dei beni, gli porta sospiri; non gli accresce abbondanza di frutti, gli porta preoccupazioni, pene, ansietà. Si lamenta come i poveri. Il suo grido cosa farò? non è il medesimo che emette l`indigente? Dove troverò il cibo, il vestito? Il ricco fa lo stesso lamento. E` afflitto. Ciò che porta gioia agli altri, uccide lui. Non si rallegra, quando i granai son tutti pieni; le ricchezze sovrabbondanti e incontenibili lo feriscono; ha paura che qualche goccia, che n`esca, sia motivo di sollievo a un indigente.

     

    (Basilio di Cesarea, In illud «Destruam», 1 )

     

     

    2. La nostra terra è straniera

     

    Sapete di abitare una terra straniera. La vostra città è molto lontana da questa. Se sapete la città che dovete abitare, perché mai qui vi procurate campi, apparati sontuosi, case e dimore inutili? Chi prepara queste cose per questa città non cerca di ritornare nella propria. O stolto, dissociato e infelice, non pensi che tutte queste cose ti sono estranee e sotto il dominio di un altro? Infatti, il signore di questa città dirà: Non voglio che tu abiti nella mia città, ma vattene perché non obbedisci alle mie leggi. Tu che hai campi, abitazioni e molti altri averi, mandato via da lui, cosa potrai fare del campo, della casa e delle altre cose che ti procurasti? Ti dice giustamente il signore di questo paese: Obbedisci alle mie leggi o vattene da questo paese. Che dovrai fare tu, che hai una legge nella tua città? Per i tuoi campi e per le altre sostanze rinnegherai completamente la tua legge e camminerai nella legge di questa città? Vedi che non sia nocivo rinnegare la tua legge. Se vuoi tornare nella tua città, non sarai ricevuto perché rinnegasti la legge della tua città e ne sei rimasto tagliato fuori. Bada, abitando in terra straniera, di non procurarti piú dello stretto necessario e sii pronto. Quando il signore di questa città vuole cacciarti perché ti sei opposto alla sua legge, uscirai da questa città e andrai nella tua e obbedirai alla tua legge senza ostilità e con gioia. Guardate voi che servite il Signore avendolo nel cuore. Fate le opere di Dio, ricordandovi dei suoi comandamenti e delle promesse che ha fatto. Credetegli, le adempirà se sono osservati i suoi precetti. Invece dei campi, riscattate le anime oppresse come uno può, visitate vedove e orfani (cf. Gc 1,27) e non disprezzateli. Consumate le vostre ricchezze e tutte le sostanze che avete ricevuto da Dio in questi campi e case. Per questo il Signore vi arricchí, per prestare a lui tali servizi. E` molto meglio acquistare questi campi, sostanze e case che ritroverai nella tua città quando vi tornerai. Questo investimento è bello e santo, non ha né tristezza né paura, ma allegria. Non fate, dunque, l`investimento dei pagani che è dannoso ai servi di Dio. Fate l`investimento che vi è proprio in cui potete rallegrarvi. Non defraudate, non toccate l`altrui e non desideratelo; è turpe desiderare le cose degli altri. Espleta il tuo lavoro e sarai salvo.

     

    (Erma, Pastor, Sim. 1)

     

     

    3. Giusto uso delle ricchezze

     

    "Guai a voi ricchi, che avete già la vostra consolazione!" (Lc 6,24). Sebbene l`abbondanza delle ricchezze rechi con sé molté sollecitazioni al male, si trovano tuttavia in esse anche inviti alla virtù. Ma senza dubbio la virtù non ha bisogno di sussidi e l`offerta del povero è certamente piú degna di lode che la generosità del ricco. Comunque, coloro che vengono condannati dall`autorità della sentenza di Cristo non sono coloro che possiedono le ricchezze, ma coloro che non sanno usarle bene. Infatti, come il povero è piú degno di lode quando dona di buon animo e non si lascia fermare dalla minaccia della miseria, poiché non si ritiene povero se ha quello che basta alla sua condizione, cosí tanto piú degno di rimprovero è il ricco che dovrebbe, almeno, rendere grazie a Dio di tutto quello che ha ricevuto, non tener nascosto e inutilizzato quanto ha avuto per l`utilità di tutti, e non covare i suoi tesori seppellendoli sotto terra. Non è dunque la ricchezza che è condannata, ma l`attaccamento ad essa. Ebbene, quantunque l`avaro per tutta la vita faccia la guardia inquieta, un gravoso servizio di sentinella - pensa questa che non trova l`eguale -, per conservare, in un continuo e angoscioso timore di perderlo, ciò che servirà ai piaceri degli eredi, tuttavia, dato che le preoccupazioni dell`avarizia e il desiderio di ammassare si nutrono di una sorta di vana felicità, chi ha avuto la sua consolazione in questa vita presente, ha perduto la ricompensa eterna.

     

    (Ambrogio, In Luc., 5, 69)

     

     

    4. Ricchezza e Provvidenza

     

    Tra fratelli non deve intromettersi un giudice, ma deve l`affetto reciproco decidere sulla ripartizione del loro patrimonio. D`altra parte, non è il patrimonio del denaro, ma quello dell`immortalità che si deve cercare; è vano infatti ammassare ricchezze senza sapere di poterne usare, come colui che, poiché i suoi granai ricolmi crollavano sotto il peso delle nuove messi, preparava magazzini per questa sovrabbondanza di raccolti, senza sapere per chi accumulava (cf. Lc 12,16-21). Resta nel mondo tutto quanto è del mondo, e ci vediamo sfuggire tutto quanto accumuliamo per i nostri eredi: infatti non è nostro ciò che non possiamo portare con noi. Solo la virtù accompagna i morti, ci segue solo la misericordia che, conducendoci e precedendoci nelle dimore del cielo, acquista per i morti, a prezzo di vil denaro, la dimora eterna, come testimoniano i precetti del Signore che ci dice: "Fatevi degli amici con le ricchezze d`iniquità, affinché essi vi accolgano nei loro padiglioni eterni" (Lc 16,9). Ecco dunque un precetto buono, salutare, capace di spingere anche gli avari a scambiare le ricchezze effimere con quelle eterne, ciò che è terrestre con ciò che è divino.

     

    (Ambrogio, In Luc., 7, 122)

     

     

    5. Sobrietà non è solo freno della lussuria

     

    Capisci ciò che sto ripetendo ogni momento, che la sobrietà non è limitata solo all`astinenza dalla fornicazione, ma vuole il controllo e la fuga anche di tutti gli altri vizi? Dunque chi ama il denaro, non è sobrio. Come, infatti, quello va in cerca di corpi, questo va in cerca di denaro. Anzi questo è piú intemperante, perché non è trascinato con altrettanta violenza. Verrebbe, infatti, chiamato inesperto non il cocchiere, che non riuscisse a domar con le redini un cavallo focoso e senza freni, ma quello che non riuscisse a tenerne a bada uno piuttosto mansueto.

     

    (Giovanni Crisostomo, In epist. ad Titum, 5, 2)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 07/08/2013 07:21
    XIX DOMENICA

    Letture: Sapienza 18,3.6-9
    Ebrei 11,1-2.8-19
    Luca 12,32-48

    1. I valori della vita umana

    Non vi sembra che la vita sia una via lunga e distesa e quasi un cammino segnato da tappe? Il cammino ha inizio col parto materno e finisce col sepolcro, dove, chi prima chi dopo, arrivano tutti; alcuni dopo aver fatto tutte le tappe, altri già alle prime. Dalle altre strade, che menano da una città all`altra, si può uscire, ci si può fermare, se uno lo vuole; questa invece, anche se volessimo rimandare il percorso, trascina i viandanti senza posa alla meta prestabilita. E neanche è possibile che uno che è uscito dalla porta e s`è messo sulla via, non raggiunga la meta. Ciascuno di noi, appena uscito dal seno materno, è preso dal fiume del tempo, lasciandosi sempre indietro il giorno vissuto, senza possibilità di ritorni. Noi ci congratuliamo degli anni che passano e alle diverse tappe siamo felici, come se guadagnassimo qualche cosa e ci sembra bello, quando uno da ragazzo diventa uomo e da uomo diventa vecchio. Ma dimentichiamo che tutto il tempo che abbiamo vissuto è un tempo che non abbiamo piú; cosí a nostra insaputa la vita si consuma, sebbene noi la misuriamo dal tempo che è passato via. E non pensiamo quanto sia incerto quant`altro tempo ci voglia concedere colui che ci ha mandato a fare questo viaggio e quando ci aprirà le porte d`ingresso alla dimora stabile e che dobbiamo tenerci sempre pronti a partire di qua. Ci dice, però: "Tenete la corda ai fianchi e la lucerna accesa siate simili ai servi che aspettano il ritorno del padrone e si tengono pronti, in modo che gli possano aprire, appena bussa" (Lc 12,35-36)... Tralasciamo le cose inutili e curiamo le cose che sono veramente nostre. Ma quali sono le cose veramente nostre? L`anima, per la quale viviamo e che è intelligente e il corpo, che il Creatore ci ha dato come veicolo per passar la vita. Questo è l`uomo, una mente in una carne complementare. Questo vien fatto dal Creatore nel seno materno. Questo viene alla luce col parto. Questo è destinato a dominare sulle cose terrene. Le creature gli sono sottoposte, perché eserciti la virtù. Gli è data una legge, perché rassomigli al suo Creatore e porti sulla terra un segno della disciplina del cielo. Di qui viene. Questo è chiamato al tribunale di Dio, che lo ha mandato; è chiamato in giudizio, riceverà la mercede di ciò che fa nella vita. E le virtù saranno cosa nostra, se saranno diligentemente fuse con la natura; e non ci abbandonano, se non le cacciamo con i vizi, e ci vanno innanzi alla gloria futura e mettono tra gli angeli chi le coltiva e splendono eternamente sotto gli occhi del Creatore. Le ricchezze invece e i titoli e la gloria e i piaceri e tutta la turba di queste cose che crescono ogni giorno per la nostra insipienza, non vennero alla vita con noi e non ci accompagnano all`uscita; ma in ogni uomo rimane fisso e certo, ciò che fu detto dal giusto: "Sono uscito nudo dal seno di mia madre e nudo tornerò" (Gb 1,11).

    (Basilio di Cesarea, Hom. Quod mundanis, 2 s., 5)


    2. Il piccolo gregge (Lc 12,32)

    Al gruppo scelto del piccolo gregge
    aggiungi l`anima sterile di questa pecorella,
    affinché piaccia alla volontà del Padre
    dare anche a me come ad essi il Regno...

    Il servitore tuo non ho imitato
    che il tuo ritorno aspettava, Signore;
    e il tuo arrivo alla seconda vigilia
    né alla terza io attendo.

    Ecco perché non oso piú sperare
    della promessa l`onore ineffabile e sublime
    che Tu ti cinga ponendoti a servire
    al posto del tuo servitore.

    Al disperato sono invece simile
    che picchiava i tuoi servi,
    fatto pari allo sbronzo ed all`ingordo
    che i beni tuoi scialacquava, Signore.

    E se ignorante fossi me beato
    e non come chi conosce il male,
    per non ricever le tante bastonate
    sempre poche se commisurate al torto.

    Sono al presente dotto nella scienza del male,
    e indotto volontario in quella del meglio;
    custode attento non son della mia anima
    con l`occhio vigile della sentinella.

    Svegliami dal sonno mio mortale,
    perché abbia a guardarmi dal Brigante.
    Dammi la grazia di sperare fino all`aurora
    finché mi rassicuri la tua vista.

    Rendimi simile a quel servitore
    che nutre i suoi compagni,
    per dare a tempo il midollo del tuo Verbo
    a qualsivoglia anima affamata.

    La cintura concedimi virile
    per tener legata la concupiscenza;
    del tuo precetto illumina la lampada
    nella mia anima spenta e tenebrosa.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 554, 545-552)


    3. La fine del mondo

    Sorvegliate la vostra vita. Le vostre lampade non si spengano, e non si sciolgano i vostri fianchi, ma siate pronti. Non sapete l`ora in cui nostro Signore viene (cf. Mt 24,42-44). Riunitevi spesso cercando ciò che conviene alle vostre anime non vi gioverà tutto il tempo della vostra fede, se non sarete perfetti in ultimo. Negli ultimi giorni aumenteranno i falsi profeti e i corruttori, le pecore si cambieranno in lupi (cf. Mt 7,15) e l`amore si muterà in odio. Crescendo l`iniquità, gli uni odieranno gli altri, si perseguiteranno e si tradiranno. Allora comparirà il seduttore del mondo come figlio di Dio e farà segni e prodigi. La terra sarà nelle sue mani, e farà cose scellerate che mai avvennero dal principio del mondo. Allora il genere umano perverrà al fuoco della prova, si scandalizzeranno molti e periranno. Quelli, invece, che perseverano nella fede saranno salvati (cf. Mt 24,10-12) dalla maledizione di lui. E allora appariranno i segni della verità; prima il segno dello squarcio nel cielo, poi il segno del suono della tromba, in terzo luogo la risurrezione dei morti. Non di tutti, ma secondo quanto fu detto: "Verrà il Signore e tutti i santi con lui" (Zc 14,5). Allora il mondo vedrà il Signore che viene sopra le nubi del cielo (cf. Mt 24,30).

    (Didachè, 16, 1-8)


    4. Il mondo offre solo le tenebre

    Qual mai vantaggio ho tratto io dal mondo
    e quei che son nel mondo cosa acquistano?
    Invero nulla, nudi vivranno nei sepolcri,
    nudi risorgeranno e tutti
    incorreranno in giudizio,
    perché la via vera hanno abbandonato,
    la luce del mondo, il Cristo intendo;
    le tenebre hanno amato,
    e camminare in esse han preferito
    essi che non hanno accolto
    la luce che nel mondo s`è diffusa,
    che il mondo non può cogliere o vedere.

    (Sirneone Nuovo Teologo, Hymn., 28, 48-56)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 17/08/2013 06:07
    XX DOMENICA

    Letture: Geremia 38,4-6.8-10
    Ebrei 12,1-4
    Luca 12,49-57

    1. Fuoco sulla terra

    "Fuoco sono venuto a portare sulla terra" (Lc 12,49). Non si tratta certo di fuoco che consuma i buoni, ma del fuoco che suscita la buona volontà, che rende migliori i vasi d`oro della casa del Signore, consumando il fieno e la paglia (cf. 1Cor 3,12ss). Questo fuoco divino divora tutte le cose del mondo accumulate dalla voluttà, brucia le opere emmere della carne, ed è quello stesso che infiammava le ossa dei profeti, come dice il santo Geremia: "E` divenuto come un fuoco ardente che infiamma le mie ossa" (Ger 20,9). E` infatti il fuoco del Signore, a proposito del quale sta scritto: "Un fuoco arderà davanti a lui" (Sal 96,3). Ma il Signore medesimo è fuoco, dato che egli stesso ha detto: "Io sono il fuoco che brucia e non si consuma" (Es 3,2; 24,17; Dt 4,24; Eb 12,29); il fuoco del Signore è infatti la luce eterna, ed è a questo fuoco che si accendono le lucerne delle quali poco prima ha detto: "I vostri fianchi siano cinti e le lampade accese" (Lc 12,35). La lampada è necessaria, perché i giorni di questa vita sono come notte. Ammaus e Cleopa testimoniano che il Signore ha messo questo fuoco anche in loro, quando dicono: "Or non ci ardeva il cuore per via, mentre ci spiegava le Scritture?" (Lc 24,32). Essi cosí hanno manifestato con evidenza qual è l`azione di questo fuoco, che illumina l`intimo del cuore. E` forse proprio per questo che il Signore verrà nel fuoco (cf. Is 66,15-16), per consumare tutte le colpe al momento della risurrezione, ricolmare con la sua presenza i desideri di ciascuno, e proiettare la sua luce sui meriti e sui misteri...
    Come potrebbe allora il Signore essere "la nostra pace, egli che di due ne fece uno?" (Ef 2,14). E com`è che egli stesso dice: "Io vi do la mia pace, vi lascio la mia pace" (Gv 14,27), se è venuto per separare i padri dai figli, e i figli dai padri, distruggendo i loro vincoli? Come può essere "maledetto chi non onora suo padre" (Dt 27,16), e religioso chi lo abbandona?
    Ma se noi ci ricordiamo che la religione sta al primo posto e al secondo la pietà, comprenderemo anche come sia facile questa questione: tu devi infatti porre l`umano dopo il divino. Se abbiamo doveri d`amore verso i genitori, quanto maggior dovere non abbiamo per il Padre dei nostri genitori, cui dobbiamo riconoscenza anche per i nostri stessi genitori? E, se essi non riconoscono il loro Padre, come potrai tu riconoscerli? Il Signore non dice che si deve rinunciare ai parenti, ma che si deve anteporre a tutti Dio. Perciò in un altro libro tu puoi leggere- "Chi ama il padre e la madre piú di me, non è degno di me" (Mt 10,37). Non ti è vietato di amare i tuoi genitori, ma ti è vietato di preferirli a Dio: gli affetti naturali sono infatti un beneficio del Signore, e nessuno deve amare il beneficio piú di Dio stesso che gliel`ha concesso.
    Dunque, anche stando al solo significato letterale, a coloro che intendono con pietà non manca una spiegazione religiosa. Tuttavia stimiamo che c`è da cercare un significato piú profondo, per quello che egli aggiunge...
    Cosí, fino a quando, a causa dell`unione dei vizi, vi era nella stessa casa un accordo indivisibile e inseparabile, sembrava che non vi fosse alcuna divisione. Ma quando Cristo portò sulla terra il fuoco, con cui egli consuma le colpe della carne, e la spada, che significa il dispiegamento della potenza in atto, che penetra nell`intimo dello spirito e delle midolla (cf. Eb 4,12), allora la carne e l`anima, rinnovate nel mistero della rigenerazione, dimenticando ciò che erano e cominciando a essere ciò che non erano, si separano dalla compagnia antica del vizio, amato sino a quel momento, e spezzano tutti i legami con la loro degenere posterità. E` cosí che i genitori sono divisi e si pongono contro i figli, in quanto la nuova temperanza del corpo rinnega l`antica intemperanza, e l`anima evita ogni legame con la colpa, né resta piú posto per la straniera venuta dal di fuori, la voluttà.

    (Ambrogio, In Luc., 7, 132, 135 s., 145)


    2. Il fuoco dello Spirito Santo

    Tali erano il loro torpore e la loro pigrizia congiunti a invidia: duplice vizio che noi dobbiamo con forza espellere dalla nostra anima.
    Ma per poterlo combattere, bisogna essere piú ardenti del fuoco. Per questo Gesú dice: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che desidero se non che si accenda?" (Lc 12,49). E per lo stesso motivo lo Spirito Santo apparve in terra sotto forma di fuoco.
    Eppure, dopo tutto questo, noi restiamo piú freddi della cenere e piú insensibili dei morti. Non ci commoviamo affatto al vedere Paolo elevarsi al di sopra del cielo, passare anzi di cielo in cielo piú veemente di una fiamma, vincere tutti gli ostacoli e porsi al di sopra degli inferi e dei supemi, del presente e dell`avvenire, di ciò che è e di ciò che non è. Se questo esempio vi sembra troppo grande, ebbene ciò è segno della vostra rilassatezza. Che cosa ha Paolo piú di voi, per dire che vi è impossibile imitarlo? Ma per non insistere su questo punto, lasciamo da parte Paolo e gettiamo uno sguardo sui primi cristiani: denaro, proprietà, onori mondani, affari terreni, essi gettarono via tutto, per donarsi tutti interi a Dio per meditare giorno e notte sugli insegnamenti della sua paroia. Ecco qui il fuoco dello Spirito Santo: esso non tollera che si abbia alcun desiderio delle cose di questo mondo, in quanto ci conduce verso un altro amore. Perciò colui che prima amava le cose terrene, ora, anche se occorresse donare tutto quanto possiede, abbandonare le gioie di questa terra, disprezzare la gloria e dare la sua stessa vita, farà tutto ciò con meravigliosa facilità. Infatti quando l`ardore di questo fuoco è entrato nell`anima dell`uomo, esso scaccia l`indifferenza e la pigrizia. Questo fuoco rende l`anima che ne è invasa piú leggera di una piuma e le conferisce inoltre la capacità di disprezzare tutte le cose terrene. Quest`uomo rimane sempre in un perpetuo pentimento e nella contrizione. Piange senza tregua e trova grande sollievo e gioia nelle sue lacrime.
    Di certo, non c`è niente che congiunga e unisca piú strettamente a Dio di queste lacrime. Colui che si trova in tali condizioni, anche se vive in città, è come se abitasse in un eremo nel deserto, su una montagna o nella foresta. Egli non rivolge piú uno sguardo alle cose presenti, non si sazia di gemere e piange per i propri peccati come per quelli degli altri. Per questo Gesú proclama beati, prima di altri, gli uomini di tal genere, dicendo: "Beati quelli che piangono!" (Mt 5,5). Ma in qual senso allora -mi direte voi - Paolo ha detto: "State sempre allegri nel Signore" (Fil 4,4)? Lo ha detto per esprimere la gioia che queste lacrime suscitano. Infatti, come la gioia terrena ha sempre per compagna la tristezza, cosí le lacrime che si versano per amore di Dio, fanno fiorire nell`anima una beatitudine che non muore né appassisce mai. Fu cosí che quella peccatrice, di cui parla il Vangelo, divenne piú pura delle stesse vergini, in quanto era stata presa totalmente da questo fuoco divino. Quando fu infiammata dal fervore della penitenza, arse d`amore per Cristo. Sciolse i suoi capelli, bagnò i piedi di Gesú con le lacrime, li asciugò con la sua chioma e versò su di essi il profumo. Tutto questo avveniva esteriormente, ma i sentimenti della sua anima erano assai piú ardenti d`ogni esterna manifestazione e solo Dio li vedeva! Ecco, tutti coloro che ascoltano la sua storia, si rallegrano con lei per le sue sante azioni e la considerano purificata da tutti i suoi peccati.
    Come l`aria diviene piú pura dopo violente piogge, cosí dopo questa effusione di lacrime lo spirito diviene tranquillo e sereno e le nubi del peccato si dissipano del tutto. Come siamo purificati nel Battesimo, grazie all`acqua e allo Spirito, cosí lo siamo nella penitenza grazie alle lacrime e alla confessione dei peccati, sempre che non facciamo questo per ostentazione o per vanagloria. Infatti, colei che piange con simili intenzioni, è piú degna ancora di condanna di quella che si trucca in ogni modo il volto per il desiderio di apparire piú bella. Quanto a me, io cerco le lacrime che non sono sparse per ostentazione, ma per contrizione, quelle lacrime che si versano segretamente, nel piú nascosto recesso della propria casa, senza che nessuno veda; quelle lacrime che scorrono in silenzio e in profonda quiete, che escono dall`intimo del cuore, che nascono dal dolore e dalla tristezza e si versano per Dio solo. Di tal genere sono le lacrime di Anna, di cui la Scrittura dice che "muoveva le labbra senza che si udisse la sua voce" (1Sam 1,13). Ma anche solo le sue lacrime effondevano un suono piú squillante di una tromba. Per questo Dio la guarí dalla sua sterilità e di una rocca dura fece un campo fertile.

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 6, 4-5)


    3. Dio è Spirito

    "Dio è Spirito e coloro che lo adorano debbono adorarlo in Spirito e in verità" (Gv 4,24). "Dio nostro è anche un fuoco che divora" (Dt 4,24). Dio dunque è chiamato con due nomi: "Spirito e fuoco:" Spirito per i giusti, fuoco per i peccatori. Ma anche gli angeli sono del pari chiamati spirito e fuoco: "Egli fa dei suoi angeli degli spiriti" - dice la Scrittura - "e dei suoi servi un fuoco ardente" (Sal 104,4; Eb 1,7). Gli angeli sono spiriti per tutti i santi, ma sottomettono al fuoco e alle fiamme coloro che meritano di essere puniti. In questo senso anche il nostro Signore e Salvatore, pur essendo Spirito, "è venuto a portare il fuoco sulla terra" (Lc 12,49). Egli è Spirito secondo queste parole della Scrittura: "Quando tu ti sarai convertito al Signore cadrà il velo" (2Cor 3,16) e "il Signore è lo Spirito" (Gv 4,24; 2Cor 3,17).
    Peraltro egli è «venuto a portare il fuoco», non nel cielo ma «sulla terra», come egli stesso dimostra con queste parole: "Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che altro desidero se non che divampi?" (Lc 12,49). Se infatti «ti sarai convertito al Signore» che è "Spirito", il Cristo sarà "Spirito" per te, e non sarà venuto per te a «portare il fuoco sulla terra». Ma se al contrario rifiuti di convertirti a lui, e se possiedi la terra e i suoi frutti, «egli è venuto a portare il fuoco sulla terra», che è in te. La Scrittura parla anche di Dio in termini analoghi: «Il fuoco della mia collera si è acceso», non soltanto fino al cielo, ma «fino al fondo dell`inferno», ed «esso consumerà», non il cielo, ma "la terra e i suoi germogli" (Dt 32,22).
    Per quale motivo ho ricordato tutto questo? Perché il Battesimo di Gesú è anche un Battesimo «nello Spirito Santo e nel fuoco». Senza dimenticare ciò che ho detto prima, né perdere di vista l`interpretazione data piú sopra, voglio aggiungerne una nuova. Se tu sei santo, sarai battezzato nello Spirito Santo; se sei peccatore, sarai precipitato nel fuoco; e un medesimo battesimo diverrà condanna e fuoco per i peccatori indegni; ma i santi, che si convertono al Signore con fede completa, riceveranno la grazia dello Spirito Santo e la salvezza.

    (Origene, In Luc., 26, 1-3)


    4. Il battesimo di sangue

    Noi abbiamo anche un secondo lavacro: è quello stesso del quale il Signore dice, dopo essere stato battezzato nel Giordano: "Devo essere battezzato con un battesimo". Era venuto, come scrive Giovanni, per essere battezzato con l`acqua e col sangue; con l`acqua per lavarsi, col sangue per essere glorificato. E poi, per far di noi dei "chiamati" con l`acqua e degli "eletti" col sangue, trasse due battesimi dalla ferita del suo petto, perché, coloro che credono nel sangue fossero lavati dall`acqua e quelli che si son lavati con l`acqua, debbano lavarsi anche col sangue. Questo è il Battesimo che può sostituire la lavanda che non è stata fatta e restituire anche quella che è andata perduta!

    (Tertulliano, De baptismo, XVI, 1-10)


    5. Il fuoco (Lc 12,49)

    Hai sparso sulla terra il fuoco tuo celeste,
    grazie al quale le anime purifichi degli uomini;
    attizzalo nel mio cuore cosí freddo;
    l`anima mia riscalda col tuo amore.

    Tu sol mia eredità sii, Signore,
    al par di Paolo che t`ha tanto amato (cf. Rm 8,35-38);
    ch`io non ti baratti con le creature,
    anche davanti ai piú crudi tormenti.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 555-556)


    6. Un celebre Detto del Signore

    Chi è vicino a me, è vicino al fuoco;
    chi è lontano da me, è lontano dal Regno!

    (Vangelo sec. Tommaso, in: Origene, In Jerem. lat., 1 [3], v. 104)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/08/2013 09:18
    XXI DOMENICA

    Letture: Isaia 66,18-21
    Ebrei 12,5-7.11-13
    Luca 13,22-30

    1. Il numero di quelli che si salvano

    Certo son pochi quelli che si salvano. Ricordate la domanda fatta nel Vangelo: "Signore, son pochi quelli che si salvano?" (Lc 13,21). E che cosa risponde il Signore? Non dice: Non sono pochi; né sono molti, ma: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta (ibid.)". Allora, ha confermato che son pochi, perché solo pochi possono entrare, se la porta è stretta. In altra circostanza, dice anche: "E` stretta la via che porta alla vita e pochi ci si mettono; è larga e spaziosa invece la via che porta alla morte, e molti la prendono "(Mt 7,13-14). Come facciamo a sognar moltitudini? Sentitemi, voi pochi. Siete molti a sentire, ma pochi a darmi ascolto. Vedo un`aia, ma cerco il grano. A stento si vedono i chicchi di grano, quando si batte il grano; ma verrà la ventilazione. Son pochi, allora, quelli che si salvano, se si pensa ai molti che si dannano; ma i pochi sono una gran massa. Quando verrà il ventilatore col ventilabro in mano, pulirà l`aia; raccoglierà il grano nei suoi granai; la pula la brucerà in un fuoco inestinguibile (cf.Lc 3,17). La pula non si permetta di irridere il grano: quello che si dice è vero, non trae nessuno in inganno. Siate pure molti tra molti, ma al confronto con altri molti sembrate pochi. Da quest`aia uscirà una massa cosí grande da riempire il regno dei cieli. Cristo Signore non si può contraddire. Disse che son pochi quelli che entrano per la porta stretta e che molti si perdono per la via larga, e disse anche: "Molti verranno da Oriente e Occidente" (Mt 8,11). Molti, certamente pochi: e pochi, e molti. Vorrà dire alcuni pochi e alcuni molti? No. Proprio quei pochi sono i molti; pochi in confronto di quelli che si perdono, ma tanti, se riferiti alla moltitudine degli Angeli. Sentite, carissimi. L`Apocalisse dice: "Poi vidi gente d`ogni lingua e stirpe e razza, che veniva con palme e in vesti bianche, ed era una moltitudine innumerevole" (Ap 7,9). Questa è la massa dei santi. Con quanto piú chiara voce l`aia ventilata, purgata dalla turba degli empi e falsi cristiani, separati quelli che fanno ressa ma non toccano il corpo di Cristo; allontanati, dunque, quelli che si dannano, la massa che sta alla destra, senza timore di alcun male, senza timore di perdere alcun bene, sicura di regnare con Cristo, con quanta fiducia dirà: "So bene quanto è grande il Signore" (Sal 134,5).
    Se, dunque, fratelli miei, parlo ai chicchi di grano, se i predestinati al regno dei cieli, capiscono ciò ch`io dico, parlino con le opere, non con parole. Sono costretto a dirvi ciò che non avrei dovuto mai dire. Avrei dovuto, infatti, trovare in voi motivi di lode, non motivi di rimprovero. Lo dico subito. Prendete coscienza del dovere dell`ospitalità; è la via per arrivare a Dio. Se accogli un ospite, accogli un tuo compagno di viaggio, perché siamo tutti viandanti. Lo è il cristiano che riconosce di essere un pellegrino, sia a casa sua, sia nella sua patria. La nostra patria è lassú: solo lí non saremo ospiti. Qui, anche in casa sua, ognuno è ospite. Se non è ospite, non se ne vada. Se un giorno se ne andrà, è ospite. Non s`illuda, è ospite; lo voglia o non lo voglia. Ma lascia la sua casa ai suoi figli. Non dice niente: è un ospite che lascia il posto a un altro ospite. In un albergo non lasci il posto a un altro che arriva? Cosí a casa tua. Tuo padre lasciò a te il tuo posto, tu lo lascerai ai tuoi figli. Non ci stai per rimanerci; e non lo lascerai a uno che ci rimarrà. Se dobbiamo tutti passare, cerchiamo di fare qualche cosa che non passi perché una volta passati e arrivati là donde non si parte piú, vi troviamo delle nostre opere buone. Il custode è Cristo, puoi temere di non trovarci piú quello che ci metti?

    (Agostino, Sermo 111, 1-2)


    2. «Il Signore ama il cuore puro»

    Questo mistero è grande, ed è arduo il percorso della castità; ma è grande pure la ricompensa, e il Signore vi ci chiama quando dice nel Vangelo: "Venite, benedetti del Padre mio, e prendete possesso del regno che vi è stato preparato fin dall`origine del mondo" (Mt 25,34). E ancora, sempre il Signore in persona, dice: "Venite a me, tutti voi che soffrite e che vi sentite stanchi, ed io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché sono dolce ed umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre, perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30).
    Ancora il Signore, invece, dirà a quelli che saranno alla sua sinistra: "Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno che il Padre mio ha preparato per il diavolo e per i suoi satelliti. Non vi conosco, voi che siete operatori d`iniquità. Là vi sarà pianto e stridor di denti" (Mt 25,41; Lc 13,27-28).
    E certamente in quel luogo vi saranno gemiti e pianti da parte di tutti coloro che si sono ingolfati negli affari di questa vita tanto da dimenticarsi di quella futura, di coloro che la venuta del Signore sorprenderà sotto il peso del sonno dell`ignoranza, oppressi dalle onde d`una dannosa spensieratezza. E` per questo, appunto, che ancora lui dice nel Vangelo: "State all`erta, perché non vi succeda di appesantirvi il cuore nei bagordi, nell`ubriachezza e nelle preoccupazioni di questa vita, e che quel giorno vi colga all`improvviso come un laccio, perché piomberà cosí su tutti coloro che si troveranno sulla faccia della terra" (Lc 21,34-35); e ancora: "Vegliate e pregate, perché non sapete quando arriverà questo momento" (Mc 13,33).
    Sono fortunati coloro che quel giorno l`aspettano, lo stanno a spiare, direi, per fare in modo di prepararvisi giorno per giorno; e senza starsene tranquilli per la vita trascorsa nella giustizia, si rinnovano di giorno in giorno nella virtù (cf. 2Cor 4,16). E` un fatto che dal giorno in cui uno smette di esser giusto, la giustizia del passato non gli servirà proprio a niente, come pure l`ingiustizia non porterà alcun danno al malfattore dal momento in cui questi si convertirà dalla sua vita iniqua (cf. Ez 18,26-28).
    Per conseguenza, un santo non deve essere sicuro di se stesso finché si trova a combattere in questa vita, ma neppure deve disperarsi chi è peccatore, poiché in base alla massima del Profeta che abbiamo riportato può diventar giusto in un solo giorno.
    Ma tu mettiti sotto per far sí che lungo il tempo di tua vita riesca a praticare la giustizia; e non fidarti della rettitudine in cui hai trascorso la vita passata, perché questo ti renderebbe piú rilassata. Fa` invece come dice l`Apostolo: "Dimentico il passato, e proteso a ciò che mi sta davanti corro verso la meta per conseguire il premio della mia sublime vocazione" (Fil 3,13-14), ben sapendo che sta scritto come chi scruta il nostro cuore è Dio (cf. Pr 24,12). Appunto per questo si preoccupa di aver l`anima monda dal peccato, in quanto sta scritto ancora: "Salvaguarda il tuo cuore con ogni attenzione possibile" (Pr 4,23), e anche: "Il Signore ama i cuori puri, e tutti coloro che sono senza macchia li guarda con amore" (Pr 22,11).
    Sotto, dunque, a regolare il tempo che ti resta di vita in modo da passarlo senza colpa alcuna. Potrai allora tranquillamente cantare col Profeta: "M`aggiravo dentro casa mia con l`innocenza nel cuore" (Sal 100,2), e anche: "M`accosterò all`altare di Dio, al Dio che rende gioiosa la mia giovinezza" (Sal 42,4).
    Non basta, infatti, cominciare. La giustizia sta nel portare a termine.

    (Girolamo, Epist., 148, 31-32)


    3. Nessuno agisce senza l`aiuto di Cristo

    In effetti, anche in te era il Signore - ed è cosí -, nessuno compie le opere di Cristo senza Cristo: per il cui aiuto e benedizione a te molti pani, come già i discepoli che da lui li ricevettero benedetti da distribuire - che hai ricevuto in suo nome - sono stati commisurati per le innumerevoli bocche dei poveri; e mangiarono e si saziarono; e di quanto ne avanzò, tutti ne riportarono piene le proprie sporte. Ma tu hai raccolto ogni sopravanzo di frammenti spirituali, la fede apostolica di dodici ceste, la grazia spirituale di sette sporte; non meno mirabilmente operando Cristo nei tuoi pani, trasformò il tuo pane carnale in cibi celesti, e ti preparò un`eterna sazietà. Infatti, sedendo a tavola a pieno titolo con i padri Abramo, Isacco e Giacobbe, siedi, rivestito di veste nuziale, al convito di Cristo, poiché colà insieme con i suoi poveri prende posto Cristo, e in te "il Figlio dell`uomo ha dove posare il proprio capo" (Mt 8,20).

    (Paolino di Nola, Epist., 13, 12)


    4. La virtù sta sempre all`erta

    Non deve sembrare né strano né fuor di luogo se, chi va per una via stretta, si sente schiacciare. E` proprio della virtù che sia piena di fatiche, sudori, insidie e pericoli. Però, se questo è il cammino, poi verranno la corona, il premio e beni arcani, che non avranno fine. Consolati, dunque, con questo pensiero: le gioie e avversità di questa vita scorrono insieme con la vita presente e con essa finiscono. Nessuna gioia, quindi, gonfi vanamente il tuo cuore, ma neppure nessuna avversità ti avvilisca. Il buon timoniere non cessa d`essere vigilante se il mare è tranquillo, e non si conturba, quando la tempesta imperversa.

    (Giovanni Crisostomo, Epist., 45).
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 31/08/2013 07:38
    XXII DOMENICA

    Letture: Siracide 3,19-21.30-31
    Ebrei 12,18-19.22-24a
    Luca 14,1.7-14

    1. La vera umiltà

    Vorrei dirti di guardarti dall`orgoglio e ti vorrei raccomandare una sincera umiltà, in modo che in tutte le tue azioni, quando rifletti su te stessa non ti senta mai sicura. E parliamo di questo dono utilissimo di Dio, per aiutarci a scoprire non solo le cose palesi, ma anche quelle occulte della nostra coscienza. E` una virtù multiforme, bella nelle sue espressioni esteriori, ma di gran lunga piú luminosa e bella nei suoi aspetti intimi; dove nulla è oscuro, torbido, inquieto, poiché: "E` grande la pace di coloro che amano la legge li Dio; nel loro cammino non trovano inciampo" (Sal 118,165). Dovendo parlare della beata umiltà, scartiamo subito tutte le forme di avvilimento che affliggono gli animi indolenti e incostanti, ed evitiamo di dar gloria di umiltà ad azioni che umili non sono. Alcuni gesti, nati da uno stato di necessità, sono simili ai gesti fatti per elezione di libera volontà, e la modestia può essere confusa con l`indolenza. Ma altro è non aver la forza d`agire, altro è domare il proprio impeto, e diversissimo è l`esito d`una irremovibile miseria e altro quello d`una fortezza, che esercita la sua pazienza. Così la parola «povertà» è una sola, ma i poveri non son tutti uguali; perché altro è godere di ricchezze bene impiegate, altro è lamentarsi di ricchezze che non sei riuscito ad afferrare, o che hai perduto. Anche la parola «timor di Dio» è una sola; ma altro è temere Dio, perché hai peccato, e altro è temerlo, perché non vuoi peccare, il primo è timore della pena, il secondo è amore del premio. Leggiamo, infatti: "L`amore perfetto scaccia il timore" (1Gv 4,18) e: "Il timore del Signore è santo, rimane in eterno" (Sal 18,10). Scartata, allora, quella umiltà apparente, che non serve a niente, prendiamo in considerazione gli atti d`una virtù cosciente e voluta, atti che non son tutti uguali tra loro, ma son sempre, comunque, in linea con la virtù.
    La prima nota dell`umiltà è la fedeltà agli impegni della vita comune, attraverso i quali essa si accaparra la benevolenza di Dio e stringe i vincoli della vita sociale. L`umiltà rafforza la carità. L`Apostolo dice: "Amatevi, onorandovi scambievolmente" (Rm 12,10). E cresce la carità, quando l`umile crede gli altri superiori a sé e ama di servire, e, se è messo a comandare, non si gonfia. Cresce la carità, quando il povero s`inchina facilmente a, ricco e il ricco ha piacere di sollevare il povero al suo rango: quando il nobile non si gloria dei suoi titoli familiari e i poveri non accampano la comunanza della natura; quando non si fa piú conto delle grandi fortune che dei buoni costumi, né è stimata di piú la decorata potenza dei malvagi che la disadorna giustizia dei superiori. Da questo equo e modesto diritto della concordia, in cui non c`è gara per emergere sugli altri, né la fortuna fa gonfie le cose proprie o brucia le altrui, alcuni progrediscono meravigliosamente verso quella fortezza dell`umiltà, che da se stessa si pone al di sopra di ogni dignità...
    Poiché, dunque, la Chiesa di Dio, che è il corpo di Cristo, è cosí bene fusa nella sua molteplice varietà, che tutte le parti, anche diverse, concorrono ad un unico splendore, e d`ogni specie di uomini, d`ogni grado di ministeri, da ogni opera e da ogni virtù nasce un`inseparabile unità di struttura e una sola bellezza, e non manca al tutto ciò che non manca alle parti, ed ha tanta concordia che non può non essere di tutti ciò che è anche di ciascuno, è evidente che vi deve essere una forza copulatrice che tiene insieme e fonde tutta la molteplicità e diversità dei santi. E questa forza è la vera umiltà, la quale, qualunque sia la diversità dei diversi gradi, è sempre simile a se stessa. Infatti nei gradi degli uffici, nella dolcezza della mansuetudine, nella povertà volontaria c`è molta diversità, e l`intensità del proposito fa necessariamente dei piú e dei meno; nella vera umiltà invece non c`è divisione e tutto è comune, l`umiltà fa di tutti i suoi cultori una cosa sola, perché non tollera disuguaglianze.

    (Pseudo-Prospero di Aquitania, Ad Demetriadem, 1-6, già attribuita a Leone Magno)


    2. La vita perfetta

    Guai a quell`uomo che si presenta al banchetto senza la veste nuziale! Non gli resta che sentirsi dire immediatamente: "Amico, come hai potuto venire qui?" (Mt 22,12). Egli resterà muto. Allora si dirà ai servi: "Prendetelo, legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nel buio: ivi sarà pianto e stridor di denti" (Mt 22,13).
    Guai a colui che tiene legato nel fazzoletto il talento ricevuto: mentre gli altri s`industriano a trarne profitto, lui conserva soltanto quello che gli è stato affidato! Ma subito sarà incalzato dai rimbrotti del padrone sdegnato: "Servo malvagio, perché non hai messo il denaro alla banca? Al mio ritorno l`avrei ritirato con gli interessi!" (Lc 19,22-23). Vale a dire: avresti dovuto deporre ai piedi dell`altare questo fardello che non potevi reggere! Perché, mentre tu, commerciante infingardo, non hai fatto che custodire il denaro, hai occupato il posto d`un altro che poteva raddoppiarlo!
    Per questo, se colui che serve bene si guadagna un buon posto, colui che s`accosta al calice del Signore indegnamente sarà responsabile del Corpo e del Sangue del Signore stesso (cf. 1Cor 11,27).
    Non tutti i vescovi sono vescovi.
    Tu pensi a Pietro, ma guarda anche a Giuda! Tu hai in mente Stefano, ma ricorda anche Nicola, detestato dal Signore nella sua Apocalisse! Costui ha inventato tali nefandezze e tali turpitudini che dal suo ceppo è sorta l`eresia degli Ofiti (cf. Ap 2,6).
    Ognuno si esamini prima d`accostarsi al santo banchetto! Non è la dignità ecclesiastica che fa cristiani, Cornelio il centurione, ancora pagano (cf. At 10), è inondato dai doni dello Spirito Santo; Daniele ancora giovanetto giudica gli anziani (cf. Dn 13); Amos diventa profeta in un istante, mentre coglie more selvatiche (cf. Am 7,14); David, un pastorello, viene eletto re (cf. 1Re 16); e Gesú ama d`un amore di preferenza il piú giovane dei discepoli (cf. Gv 13,23).
    Mettiti all`ultimo posto, fratello, quando siedi a mensa; cosí se arriva uno meno degno di te, sarai invitato a passare ad un posto piú degno (cf. Lc 14,10). Su chi si riposa il Signore, se non sugli umili, sui miti, su coloro che temono le sue parole? A chi è stato affidato di piú, viene richiesto di piú. "I potenti sopporteranno tormenti tremendi" (Sap 6,7).
    Nessuno si vanti d`una castità che sia semplice mondezza di corpo; nel giorno del giudizio gli uomini dovranno rendere conto di ogni parola inutile uscita dalla loro bocca, e un`ingiuria rivolta al fratello sarà allora ritenuta un omicidio.
    Non è facile stare nella posizione di Paolo, od occupare il grado di coloro che regnano ora con Cristo. Potrebbe venire l`angelo da un momento all`altro a lacerare il velo del tuo tempio e a rimuovere il tuo candelabro dal posto che occupa (cf. Mt 27,51; Ap 2,5). Se t`accingi a costruire una torre, fa` prima il calcolo delle spese (cf. Lc 14,28). Il sale divenuto insipido non serve a nient`altro che ad essere gettato via e calpestato dai porci (cf. Mt 5,13).

    (Girolamo, Epist., 14, 8-9)


    3. La via dell`umiltà

    Scrivi che sei innamorato dell`umiltà e desideri apprendere il modo come averne da Dio la grazia. Se dunque vuoi davvero fugare la superbia e ottenere il dono beato dell`umiltà non trascurare le cose che potranno aiutarti ad acquistarlo, anzi metti in opera tutte le cose che ne favoriscono la crescita. L`anima infatti si adatta alle cose che ama e prende sempre piú la somiglianza delle cose che fa spesso. Abbi, allora, la persona, gli indumenti, il modo di camminare, la sedia, il cibo, il letto, in una parola, tutto, di stampo frugale; perfino il discorso, il movimento del corpo, la conversazione; e queste cose devono tendere alla mediocrità e non alla distinzione. Sii buono e placido col fratello, dimentica le ingiurie degli avversari; sii umano e benevolo verso i piú abietti, porta aiuto e sollievo ai malati, abbi riguardo per chi è colpito da dolori, avversità, afflizioni non disprezzare nessuno, sii dolce nella conversazione, lieto nelle risposte, onesto in tutto, disponibile a tutti.

    (Nilo di Ancira, Epist., 3, 134)


    4. «Le generazioni mi chiameranno beata»

    "Ecco che sin d`ora tutte le generazioni mi chiameranno beata". Se intendo «tutte le generazioni» secondo il piú semplice significato, ritengo che si faccia allusione ai credenti. Ma se cerco di vedere il significato piú profondo, capirò quanto sia preferibile aggiungere: "Perché fece grandi cose per me colui che è potente". Proprio perché "chiunque si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11), Dio «ha guardato l`umiltà» della beata Maria; per questo ha fatto per lei grandi cose "colui che è potente e il cui nome è santo".

    (Origene, In Luc., 8, 6)


    5. Il posto al banchetto (Lc 14,7-11)

    Sul cuscino piú alto mi son seduto,
    in prima fila tra i tuoi dignitari;
    non per tuo invito mi son fatto innanzi,
    ma solo spinto dalla vanagloria.

    Quando Tu chiamerai il genere umano
    al Banchetto di Nozze universale,
    a me, audace, non venga diretta, o mio Ospite,
    la tua parola: «Spostati piú in basso!».

    Ma io che adesso son giacente a terra,
    che da Te ascolti la parola detta ai buoni:
    «Sali piú in alto, amico,
    nelle altezze divine!».

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 563-565)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 04/09/2013 07:31

    XXIII DOMENICA

     

    Lettura: Sapienza 9,13-19

    Filemone 9b-10.12-17

    Luca 14,25-33

     

    1. Amore di Dio prima dell`inclinazione naturale

     

    Dice Gesú: "In verità vi dico: non c`è nessuno che avrà abbandonato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo"(Mc 10,29). E non vi turbino queste parole né quanto, con accenti ancor piú duri, è scritto altrove: "Chi non odia suo padre e sua madre ed i suoi figli, persino anzi la sua stessa vita, non potrà divenire un mio seguace" (Lc 14,26). Non ci turbino giacché il Dio della pace, colui che ingiunge di amare anche i propri nemici, non ci invita certo all`odio ed alla separazione dalle persone a noi piú care. In realtà, se occorre amare i propri nemici, risulta chiaro che, risalendo da essi, è necessario amare anche coloro che ci sono piú prossimi per vincoli di sangue. Se, al contrario, occorre nutrire odio nei confronti di coloro che ci sono vicini per legami di parentela, il ragionamento che ne consegue, in tal caso, insegnerebbe a respingere ancor di piú i propri nemici. Cosicché i due discorsi si confuterebbero a vicenda. Essi, invece, non si confutano affatto, giacché con lo stesso stato d`animo e la stessa disposizione e la stessa limitazione nutrirebbe odio verso il padre ed amore nei confronti del nemico chi non si vendicasse del nemico e non onorasse il padre piú di Cristo.

    Infatti, con il primo discorso (in cui vien detto di amare il proprio nemico), Cristo vieta di odiarlo e di fargli del male nel secondo, invece (in cui si dice di odiare il proprio padre), egli raccomanda di guardarsi da quel falso rispetto nei confronti dei propri cari allorché questi si mostrino d`impedimento alla salvezza. Nel caso in cui, perciò, qualcuno avesse un padre od un figlio od un fratello empio e d`ostacolo per la propria fede e d`impedimento nella prospettiva della vita celeste, non rimanga unito a lui né condivida i suoi pensieri, ma, a motivo dell`inimicizia dello spirito, sciolga pure la parentela della carne.

    Fingiti una controversia: immagina che tuo padre, standoti a fianco, ti dica: «Io ti ho dato la vita e ti ho allevato: seguimi e prendi parte assieme a me a quest`azione ingiusta e non obbedire alla legge di Cristo», aggiungendo tutte le altre cose che potrebbe dire un uomo blasfemo e morto spiritualmente. Dalla parte opposta, ascolta, invece, il Salvatore: «Io ti ho donato la seconda vita, mentre tu avevi ricevuto l`amara vita del mondo ed eri destinato a morire; io ti ho liberato, ti ho curato, ti ho riscattato; sarò io a fornirti la vita che non avrà mai fine, la vita eterna, la vita superiore a quella del mondo; ti mostrerò il volto di quel buon padre che è Dio. Non chiamare nessuno "padre" su questa terra. I morti seppelliscano i loro morti, ma tu, invece, vieni dietro a me, giacché io ti condurrò dove potrai riposare e dove potrai gustare beni ineffabili e indescrivibili che mai nessun occhio vide né orecchio udí e che mai entrarono nel cuore degli uomini; beni verso i quali gli angeli stessi ambiscono di protendersi, onde contemplare quelle meraviglie allestite da Dio per i suoi santi ed a beneficio di coloro che lo amano. Sono io che ti nutro e, a mo` di pane, ti offro me stesso: chiunque mi avrà gustato, non correrà piú il pericolo di morire; giorno per giorno, poi, mi offro a te come bevanda d`immortalità. Io sono maestro di insegnamenti celesti. Per te ho lottato con la morte. Sono stato io a scontare, al posto tuo, quella pena di morte che tu avevi meritato a causa degli antichi peccati e della disobbedienza a Dio».

    Ascoltando, dall`una come dall`altra parte discorsi come questi, decidi per il tuo bene e scegli il partito della salvezza. Se un fratello, perciò, ovvero un figlio od una sposa o chiunque altro ti dice qualcosa di simile alla fine sia Cristo a vincere su di te, al di sopra di tutti: è lui, infatti, che lotta per te.

     

    (Clemente di Ales., Quis dives, 22 s.)

     

     

    2. Costruire la torre dell`umiltà

     

    "Chi di voi, volendo edificare una torre, non fa i conti, per vedere se ne ha abbastanza per portarla a termine, perché non gli capiti che, gettate le fondamenta, non possa continuare e comincino a portarlo in giro dicendo: Costui ha cominciato una costruzione e non l`ha potuta terminare" (Lc 14,28-30). Dobbiamo programmare tutto ciò che facciamo. Ecco, secondo la parola di Gesú Cristo, se uno vuol costruire una torre, prepara il danaro necessario. Se, dunque, vogliamo costruire la torre dell`umiltà, dobbiamo prepararci contro gli ostacoli di questo mondo. E la differenza tra un edificio terreno e un edificio celeste è questa: che l`edificio terreno lo si costruisce raccogliendo il danaro che serve, quello celeste invece distribuendo e donando il danaro. Per quello i fondi li facciamo, raccogliendo ciò che non abbiamo; per il celeste, invece, lasciando anche quello che abbiamo. Questi fondi non li ebbe quel ricco che, avendo molti possedimenti, chiese al Signore: "Buon maestro, che debbo fare per acquistare la vita eterna?" (Mt 19,16). Il quale, sentendo che avrebbe dovuto lasciar tutto, se ne andò via rattristato e divenne piccolo di cuore proprio perché aveva larghi possedimenti. Poiché amava in questa vita lo sfoggio della grandezza, anche nel tendere alla vita eterna non volle abbracciare la ricchezza dell`umiltà. Bisogna poi considerare le parole: "Comincino a portarlo in giro", perché, come dice Paolo: "Siamo sotto gli occhi del mondo, degli angeli e degli uomini" (1Cor 4,9). E in tutto ciò che facciamo dobbiamo tener presenti i nostri avversari, che ci seguono e son felici dei nostri insuccessi. Di essi il Profeta dice: "Dio mio, confido in te, non dovrò vergognarmi e non avranno a burlarmi i miei nemici" (Sal 24,2)... Il re che, andando a combattere contro un altro re, s`accorge che non ce la può fare, manda una commissione per trattare la pace. Con quali lacrime allora dobbiamo sperare il perdono, noi che in quel tremendo confronto col nostro Re ci presentiamo in condizioni di inferiorità... Mandiamogli come ambasceria le nostre lacrime, le opere di misericordia, sacrifichiamo sul suo altare vittime di espiazione, riconosciamo che non possiamo stare in giudizio con lui, misuriamo la sua forza, chiediamo la pace. Questa è l`ambasceria che calma il nostro Re. Pensate quanta bontà ci sia nel suo tardare a venire. Mandiamo la nostra ambasceria, donando, offrendo vittime sacre. Giova moltissimo, per ottener perdono, la vittima dell`altare, offerta con lacrime, perché lui che non muore piú ancora nel mistero s`immola per noi. Ogni volta che offriamo l`ostia della sua Passione, rinnoviamo la nostra assoluzione.

     

    (Gregorio Magno, Hom., 37, 6)

     

     

    3. Martirio delle sante Perpetua e Felicita e dei loro compagni

     

    Cosí, dunque, essa racconta: Quando noi vivevamo fra i nostri persecutori, desiderando mio padre piegarmi con le sue parole e, spinto dal suo amore, persistendo nel tentativo di farmi apostatare: «Padre - gli dissi -, vedi, ad esempio, questo vaso o quell`orciolo?».

    «Lo vedo», mi rispose.

    Io proseguii: «Puoi tu forse chiamarli con un altro nome diverso da quello che essi sono?».

    «No», mi rispose.

    Ed io allora gli dissi: «Cosí non posso io essere chiamata con un nome diverso da ciò che sono: cristiana». Mio padre allora, irritato da queste mie parole, mi si scagliò addosso, come volesse strapparmi gli occhi. Tuttavia si limitò a maltrattarmi poi se ne andò, vinto, e portandosi via i suoi diabolici argomenti. Per quei pochi giorni che mio padre fu assente ringraziai il Signore e la sua assenza mi era di sollievo. Proprio nello spazio di quei pochi giorni fummo battezzati, e lo Spirito mi suggerí che all`acqua battesimale non avevo da chiedere altra grazia che la pazienza della carne (nelle sofferenze del martirio).

    Dopo pochi giorni fummo incarcerati: ebbi tanta paura, perché non avevo mai conosciuto tenebre come quelle. O giorno terribile, quello! C`era un caldo soffocante per l`ammucchiamento delle persone; i soldati ci maltrattavano ed io, poi, ero anche tormentata dal pensiero del piccolo figlio (che avevo dovuto lasciare). Allora Terzo e Pomponio, diaconi benedetti, che ci assistevano, ottennero, a prezzo d`oro, che per poche ore fossimo messi in un luogo migliore per poter almeno respirare. Usciti dal carcere, ognuno pensava alle sue necessità, ed io potei allattare il mio bambino che già veniva meno per la fame. Mentre mi curavo di lui, parlavo con mia madre, confortavo mio fratello e ad entrambi raccomandavo mio figlio. Ero piena di dolore perché li vedevo soffrire per causa mia. In queste angustie passai molti giorni; poi ottenni di poter tenere con me, in carcere, mio figlio. Fui subito risollevata e acquistai nuove forze per il lavoro e la sollecitudine per mio figlio. Il carcere allora divenne subito per me un palazzo, al punto che preferivo rimanervi che trovarmi in alcun altro posto...

    Pochi giorni dopo corse voce che saremmo stati interrogati. Giunse allora dalla città anche mio padre, consumato dal dolore. Venne a me per dissuadermi, dicendomi: «Figlia mia, abbi pietà dei miei capelli bianchi: abbi pietà di tuo padre, se sono degno d`esser da te chiamato padre. Se con queste mani ti ho allevata fino a questo fiore della tua età; se ti ho preferito a tutti i tuoi fratelli, non gettarmi nell`obbrobrio degli uomini. Guarda i tuoi fratelli, guarda tua madre e la tua zia materna, guarda il figlio tuo, che, morta tu, non potrà sopravvivere. Deponi il tuo folle proposito, non distruggerci tutti: nessuno di noi infatti potrà piú parlare liberamente, se tu dovessi subire un`ignominiosa condanna».

    Cosí parlava come padre, spinto dal suo amore, e nel mentre mi baciava le mani e si prostrava ai miei piedi: e fra le lagrime non figlia mi chiamava, ma signora. Io soffrivo per il caso di mio padre, il solo di tutta la mia famiglia che non riusciva a rallegrarsi del mio martirio. Cercai di consolarlo, dicendogli: «Sul palco sarà quel che Dio vorrà. Sappi, infatti, che noi non siamo posti nel nostro potere, ma in quello di Dio».

    Se ne andò profondamente addolorato.

    Un altro giorno, mentre stavamo mangiando, fummo condotti via per l`interrogatorio. Giungemmo al foro. Subito, nelle vie vicine, si sparse la voce del nostro arrivo e si radunò una folla immensa. Salimmo sul palco. Interrogati, gli altri confessarono la fede. Venne anche il mio turno. In quel momento apparve mio padre con in braccio mio figlio e, trattenendomi, mi supplicava: «Abbi pietà di questo bambino».

    E il procuratore Ilariano, che allora aveva ricevuto lo "ius gladii", in luogo del defunto proconsole Minucio Timiniano: «Abbi pietà - disse - delle canizie di tuo padre; abbi pietà della tenera età di tuo figlio. Sacrifica per la salute dell`imperatore».

    Ed io risposi: «No, non lo faccio».

    Ilariano mi chiese: «Sei cristiana?».

    Io risposi: «Sí, sono cristiana».

    E poiché mio padre continuava a starmi accanto per farmi desistere, Ilariano ordinò che fosse allontanato e... bastonato. Soffrii per lui: fu come se quei colpi cadessero su di me, tanto mi dolsi della sua triste vecchiaia.

    Allora Ilariano pronuncia la sentenza contro tutti noi e ci condanna alle fiere; e noi pieni di gioia tornammo nel carcere.

     (Acta Martyrum, I, Città Nuova, Roma 1974, pp. 127-131)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 10/09/2013 08:27

    XXIV DOMENICA

     

    Letture: Esodo 32,7-11.13-14

    1 Timoteo 1,12-17

    Luca 15,1-32

     

     

    1. Vera penitenza è non tornare a peccare

     

    Se uno che è fuori dello scoglio della troppa ricchezza o troppa povertà ed è sul facile sentiero dei beni eterni, tuttavia, dopo la liberazione dal peccato, ricade e si seppellisce in esso, questo deve essere ritenuto rigettato da Dio. Chiunque, infatti, si rivolge a Dio con tutto il cuore, gli si aprono le porte, e il Padre accoglie con tutto l`affetto il figlio veramente pentito. Ma la vera penitenza consiste nel non ricadere e nello sradicare i peccati riconosciuti come causa di morte. Se ne levi questi, Dio abiterà di nuovo in te. E` una gioia immensa e incomparabile in cielo per il Padre e per gli angeli la conversione di un peccatore (Lc 15,2). Perciò è detto anche: "Voglio misericordia e non sacrificio. Non voglio la morte del peccatore, ma che si penta. Se i vostri peccati saranno come la porpora, li farò bianchi come la neve; e se saranno neri come il carbone li ridurrò come neve" (Os 6,6; Mt 9,13; Ez 18,23; Is 1,18; Lc 5,21). Solo il Signore può perdonare i peccati e non imputare i delitti e ci comanda di perdonare i fratelli pentiti (Mt 6,14). Che se noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, quanto piú il Padre della misericordia, quel Padre di ogni consolazione, pieno di misericordia, avrà lunga pazienza e aspetterà la nostra conversione? (Lc 11,13). Ma convertirsi dal peccato, significa finirla col peccato e non tornare indietro.

    Dio concede il perdono del passato; il non ricadere dipende da noi. E questo è pentirsi: aver dolore del passato e pregare il Padre che lo cancelli, poiché lui solo con la sua misericordia può ritenere non fatto il male che abbiamo fatto e lavare con la rugiada dello Spirito i peccati passati. E` detto, infatti: "Vi giudicherò, come vi troverò (In Evang. apocr.)", in modo che se uno ha menato una vita ottima, ma poi si è rivolto al male, non avrà alcun vantaggio del bene precedente; invece, chi è vissuto male, se si pente, col buon proposito può redimere la vita passata. Ma ci vuole una gran diligenza, come una lunga malattia vuole una dieta piú rigorosa e piú accortezza. Vuoi, o ladro, che il peccato ti sia perdonato? Finisci di rubare. L`adultero spenga le fiamme della libidine. Il dissoluto sia casto. Se hai rubato, restituisci un po` di piú di quanto hai preso. Hai testimoniato il falso? Impara a dir la verità. Se hai spergiurato, astieniti dai giuramenti, taglia i vizi, l`ira, la cupidigia, la paura. Forse è difficile portar via a un tratto dei vizi inveterati; ma puoi conseguirlo per la potenza di Dio, con la preghiera dei fratelli, con una vera penitenza e assidua meditazione.

     

    (Clemente di Ales., Quis dives, 39 s.)

     

     

    2. Proprio l`umiliazione di Dio ci salva

     

    Per peccati piú gravi ci voleva una piú potente medicina: i peccati erano stragi scambievoli, adulteri, spergiuri, furiosa sodomia e idolatria, che rivolge alle creature il culto del Creatore. E poiché queste piaghe avevano bisogno d`un aiuto piú energico, tale esso venne. E questo fu lo stesso Figlio di Dio, piú antico del tempo, invisibile, incomprensibile, incorporeo, principio dal principio, luce da luce, fonte d`immortalità, espressione della prima Idea, sigillo intatto, immagine perfetta del Padre e questo prende carne e per la mia anima si unisce all`anima umana, per purificare il simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il peccato (Eb 4,15), concepito da una vergine nell`anima e nel corpo già purificata dallo Spirito... O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto, l`increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne, perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero mi circonda? Ho ricevuto l`immagine di Dio, non l`ho custodita; lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza all`immagine e l`immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo consorzio e di gran lunga piú meraviglioso del primo; allora diede a noi ciò ch`era piú eccellente; ma ora lui stesso s`è fatto partecipe di ciò che è piú deteriore. Questo consorzio è piú divino del primo; questo per chi ha cuore è molto piú sublime... E tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? E` forse piccolo, perché per te s`è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la sua anima per le sue pecore (Gv 10,11), cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e ricondottala nell`ovile, dov`erano quelle che non ne uscirono mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa, purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento che li aveva messi a conoscenza della sua economia?

     

    (Gregorio di Nazianzo, Sermo 38, 13 s.)

     

     

    3. Conversione e remissione

     

    Ricorda quello che lo Spirito dice alle Chiese: accusa gli Efesini di aver abbandonato l`amore, riprende gli abitanti di Tiatira per i loro stupri e l`uso di carni immolate agli idoli, imputa agli abitanti di Sardi che le loro opere non sono perfette; rimprovera gli abitanti di Pergamo d`insegnare dottrine perverse; quelli di Laodicea di confidar troppo nelle loro ricchezze. Eppure esorta tutti alla penitenza, anzi, ad essa li ammonisce. Ma non ammonirebbe chi non si pente, se a chi si pente le colpe non fossero perdonate. E` lui, è lui che "preferisce la misericordia ai sacrifici" (Mt 9,13).

    Si allietano i cieli, e gli angeli lassú presenti, per la penitenza dell`uomo. Orsú, peccatore: sta` di buon animo! Vedi dove ci si allieta per il tuo ritorno. Che ci vogliono dimostrare gli argomenti delle parabole del Signore? La donna che, persa la moneta, la cerca, la ritrova e invita le amiche a rallegrarsi, non è esempio del peccatore ravveduto? Si è smarrita una sola pecorella del pastore, ma egli non ha premura maggiore per il gregge intero: ricerca quella sola, gli preme piú di tutte le altre, e finalmente la trova, la porta sulle sue spalle, perché si era molto stancata vagolando. E non posso tralasciar di ricordare quel padre tenerissimo che richiama il figliol prodigo e con tanto cuore lo riaccoglie, ravveduto nella miseria: uccide il vitello ingrassato e manifesta la sua gioia con un banchetto. E perché no? Aveva trovato il figlio perduto; lo sentiva piú caro, perché lo aveva riguadagnato. Chi dobbiamo intendere che sia quel padre? Dio, naturalmente: nessuno è tanto padre, nessuno è tanto affettuoso. Egli dunque riaccoglierà te, figlio suo, anche se ti sarai allontanato dopo esser già stato accolto, anche se tornerai nudo, solo per il fatto del tuo ritorno: e si allieterà piú di questo ritorno che della regolatezza dell`altro figlio; ma solo se ti pentirai di cuore, se metterai a confronto la tua fame con la buona situazione degli operai di tuo padre, se abbandonerai il gregge di porci immondi, se ritornerai da lui, per quanto offeso, dicendo: "Ho peccato, padre, e non son piú degno di esser chiamato tuo figlio" (Lc 15,14s). La confessione allevia il delitto, quanto la dissimulazione lo aumenta. La confessione infatti manifesta disposizione alla riparazione, la dissimulazione invece all`ostinazione.

     

    (Tertulliano, De paenitentia, 8)

     

     

    4. Dio ci ha cercati per puro amore

     

    "Dio è amore. E chi resta nell`amore resta in Dio e Dio rimane in lui" (1Gv 4,15-16). Abitano l`uno nell`altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, cosí come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla, sei tu che ti purifichi ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l`abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di sérvi, ma i servi hanno bisogno di Dio perciò un salmo dice: "Dissi al Signore: tu sei il mio Dio". E` lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? "Tu non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare, anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi, ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15,4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece piú necessario il pastore alla pecora?

     (Agostino, In I Ep. Ioan. Tract., 8, 14)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 17/09/2013 08:33

    XXV DOMENICA

     

    Letture: Amos 8,4-7

    1 Timoteo 2,1-8

    Luca 16,1-13

     

    1. Quelli che fanno il bene dovrebbero impegnarsi almeno quanto quelli che fanno il male

     

    E` una parabola molto chiara e non c`è bisogno di spiegarne i dettagli. Ci dica lo stesso Signore perché inventò questa parabola. "Perché", egli dice, "i figli di questo mondo son piú avveduti dei figli della luce" (Lc 16,8). Il Signore non loda, certo, la malizia dell`amministratore, ma la sua avvedutezza. Non lo loda per la frode che fa, ma per l`ingegno col quale provvede al suo futuro. Non sapendo, infatti, come vivere, poiché non era capace di zappare e si vergognava di chieder l`elemosina, trovò un aiuto singolare, aggiungendo una frode alla malversazione dei beni del suo padrone. Non viene lodato per la moralità della sua azione, ma per l`astuta trovata. E a questa avvedutezza applaude il Signore, quando dice: "I figli di questo mondo sono piú avveduti dei figli della luce". Quelli sono piú avveduti nel male che questi nel bene. A stento, infatti, si trovano alcuni santi che mettano tanta accortezza nell`acquisto dei beni eterni, quanta furbizia hanno questi nell`accaparrarsi i beni temporali. Per questi essi vegliano giorno e notte, lavorano, s`angustiano, e con frodi, furti, rapine, tradimenti, spergiuri, omicidi non cessano mai d`accumular tali ricchezze. E chi può dire quanta furbizia mettano nell`ingannarsi l`un l`altro? Sentano i figli della luce e si vergognino di farsi vincere dai figli di questo mondo. Queste cose sono state scritte proprio perché diventiamo piú accorti senza tuttavia imitarli nell`ingiustizia. Perciò viene aggiunto: E io vi dico: "Fatevi degli amici col mammona d`iniquità" (Lc 16,9), ma non come fece l`amministratore infedele. Non frodando l`altrui, ma dando il vostro. Tutte le ricchezze che sono avaramente conservate, sono inique. E non sono equamente distribuite, se, dopo aver messo da parte ciò che serve a te, non dai il resto agli indigenti. Perciò l`Apostolo: Ci vuole - dice - una certa uguaglianza; la vostra abbondanza colmi la loro indigenza e la loro abbondanza supplisca alla vostra necessità (cf. 2Cor 8,13). Dalle quali parole si vede bene che non ci viene ordinato di dare il necessario, ma il di piú. L`Apostolo non vuole che diamo al punto da ridurci in penuria. Le ricchezze, allora, che per sé sono inique se son divise a questo modo, generano amici e il premio eterno. Le ricchezze non divise sono ingiuste, ma se son divise, diventano giuste. Né c`è piú affatto ricchezza, se i beni son ridotti alla necessità. Tolto il superfluo, finisce il problema dell`iniquità della ricchezza. Il Maestro continua: "Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto, chi è ingiusto nel poco, è ingiusto anche nel molto (ibid.)". Questo vale particolarmente per gli apostoli e per i dispensatori dei beni della Chiesa. Non sono dunque da affidare cose importanti a quelli che nella vita privata non sono stati fedeli, e di quel poco che avevano non fecero opere di misericordia e di pietà. Ma non dobbiamo dubitare della fedeltà amministrativa di coloro che generosamente sovvengono gli altri col poco che hanno. Perciò l`Apostolo ammonisce che i vescovi non devono essere cupidi di danaro né procacciatori di lucro ingiusto. Bisogna tener presente nella elezione dei capi come si siano diportati nel poco e quanto abbiano di misericordia e di pietà. Perciò è detto ancora: "Se non siete stati fedeli nell`amministrare le ricchezze di questo mondo, chi vi affiderà le vere?" Se non avete usato in misericordia dei beni transitori, chi potrà affidarvi l`amministrazione dei beni della Chiesa, che sono veri e santi?

    "E se non siete stati fedeli nel bene altrui, ciò che è vostro chi ve lo darà?" Non son beni nostri le cose che possono essere perdute a ogni momento della vita, come tutti i beni temporali. Son nostri invece i beni che non possiamo perdere. Son ricchezze altrui le ricchezze temporali; essere buoni e non mettere la nostra speranza nei beni temporali, questa è, invece, la nostra vera ricchezza. Ma questa ricchezza veramente nostra non ci sarà data, se non saremo fedeli nell`amministrare i beni temporali; a questa condizione i veri beni ci sono stati predestinati.

     

    (Bruno di Segni, In Luc., 2, 7)

     

     

    2. La corona della vittoria

     

    Lottiamo, dunque, o fratelli miei, sapendo che il combattimento è vicino a che molti partecipano alle gare corruttibili. Non tutti sono coronati, ma solo quelli che si sono molto allenati e lottano bene. Lottiamo, dunque, per essere tutti coronati. Corriamo sulla strada retta (cf. 2Pt 2,15) per l`agone incorruttibile e partiamo in molti a gareggiare per essere incoronati. Se poi non possiamo tutti conseguire la corona, ne siamo almeno vicini. Bisogna sapere che chi affronta una gara corruttibile, se viene trovato manchevole, viene fustigato, preso e cacciato dallo stadio. Che vi sembra? Cosa patirà chi è manchevole nella gara della incorruttibilità? (La Scrittura) dice di quelli che non hanno salvaguardato il Battesimo: "Il loro verme non finirà e il loro fuoco non si spegnerà e saranno di spettacolo ad ogni carne" (Is 66,21).

    Sino a quando stiamo sulla terra, pentiamoci. Siamo come l`argilla nella mano dell`artigiano. Il vasaio se gli si sforma o gli si rompe il vaso che sta lavorando, lo plasma di nuovo, ma se l`ha messo già nella fornace, nulla può farci. Cosí anche noi. Sino a quando stiamo su questo mondo pentiamoci con tutto il cuore dei peccati che abbiamo commesso nella carne, per essere salvati dal Signore, mentre c`è tempo per la penitenza. Dopo che siamo usciti dal mondo, di là non possiamo piú confessarci e pentirci. Cosí, fratelli, facendo la volontà del Padre e conservando pura la carne ed osservando i comandamenti del Signore potremo conseguire la vita eterna. Dice il Signore nel Vangelo: "Se non avete custodito il poco chi vi darà il molto? Vi dico che chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto" (Lc 16,10-12). Questo, dunque, dice: conservate pura la vostra carne e intatto il Battesimo per conseguire la vita eterna.

    E qualcuno di voi non dica che questa carne non sarà giudicata e non risorgerà. Di grazia, in che foste salvati, in che otteneste la vista se non essendo in questa carne? Bisogna dunque, che noi, come tempio di Dio, custodiamo la carne. Nel modo con cui foste chiamati nella carne, nella carne anche vi presenterete. Se Cristo nostro Signore che ci ha salvati, da Spirito che era si è incarnato e cosí ci ha chiamati, allo stesso modo anche noi in questa carne riceveremo il premio. Amandoci l`un l`altro perché tutti possiamo entrare nel Regno di Dio. Avendo ancora tempo per essere curati, affidiamoci a Dio che guarisce, dandogli la ricompensa. Quale? Il pentirsi con cuore sincero. Egli prevede tutto e sa ciò che è nel nostro cuore. Lodiamolo non solo con la bocca, ma col cuore perché ci riceva come figli. Dice, infatti, il Signore: "Sono miei fratelli quelli che fanno la volontà del Padre mio" (Mt 12,50; Mc 3,35; Lc 8,21).

    Fratelli miei, facciamo la volontà del Padre che ci ha chiamati per vivere e seguire sempre piú la virtù.

     

    (Pseudo-Clemente, Epist. II Cor., 7-10)

     

     

    3. L`amministratore infedele

     

    "Se non siete stati fedeli nei beni che vi sono estranei, chi vi darà ciò che è vostro?" (Lc 16,12). Le ricchezze ci sono estranee, perché esse sono fuori della nostra natura: non nascono con noi, né trapassano con noi. Cristo, invece, è nostro, perché è la vita. "Cosí egli venne nella sua casa, e i suoi non lo ricevettero" (Gv 1,11). Ebbene, nessuno vi darà ciò che è vostro, perché voi non avete creduto a ciò che è vostro, non l`avete ricevuto.

    Cerchiamo dunque di non essere schiavi dei beni che ci sono estranei, dato che non dobbiamo conoscere altro Signore che Cristo; "infatti uno è Dio Padre, da cui tutto deriva e in cui noi siamo, e uno è il Signore Gesú, per cui mezzo tutte le cose sono" (1Cor 8,6).

    Ma allora? Il Padre non è Signore e il Figlio non è Dio? Certo, il Padre è anche il Signore, perché "per mezzo della Parola del Signore i cieli sono stati creati" (Sal 32,6). E il Figlio è anche Dio, "che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli" (Rm 9,5).

    In qual modo allora, nessuno «può servire a due padroni»? E` perché non c`è che un solo Signore, dato che non c`è che un solo Dio.

     (Ambrogio, In Luc., 7, 246-248)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 24/09/2013 08:19

    XXVI DOMENICA

     Letture: Amos 6,1a.4-7

    1 Timoteo 6,11-16

    Luca 16,19-31

     

    1. Fate dei poveri i vostri avvocati

     

    "Un tale era ricco e si vestiva di porpora e bisso e banchettava ogni giorno splendidamente. E c`era un mendicante, di nome Lazzaro, pieno di piaghe, che se ne stava per terra alla porta del ricco" (Lc 16,19). Alcuni credono che il Vecchio Testamento sia piú severo del Nuovo ma si sbagliano. Nel Vecchio, infatti, non è condannato il non dare, ma la rapina. Qui, invece, questo ricco non è condannato per aver preso l`altrui, ma per non aver dato il suo. Non si dice ch`egli abbia fatto violenza a qualcuno, ma che faceva pompa dei beni ricevuti. Si può capire, quindi, quale pena dovrebbe meritare colui che ruba l`altrui, se è già condannato all`inferno colui che non dona il proprio. Nessuno perciò si assicuri dicendo: Non ho rubato nulla, mi godo ciò che m`è stato legittimamente assegnato, poiché questo ricco non è stato punito per aver rubato, ma perché si abbandonò malamente alle cose che aveva ricevuto. Lo ha condannato all`inferno quel suo non essere guardingo nella prosperità, il piegare i doni ricevuti al servizio della sua arroganza, il non aver voluto redimere i suoi peccati, pur avendone tutti i mezzi...

    Ma bisogna far bene attenzione anche al modo di narrare usato dalla Verità, quando indica il ricco superbo e l`umile povero. Si dice infatti: "Un tale era ricco", e poi si aggiunge subito: "E c`era un povero di nome Lazzaro". Certo, tra il popolo son piú noti i nomi dei ricchi, che quelli dei poveri. Perché allora il Signore, parlando di un ricco e di un povero, tace il nome del ricco e ci dà quello del povero? Certo, perché il Signore riconosce e approva gli umili e ignora i superbi. Perciò dice anche ad alcuni che s`insuperbivano dei miracoli da loro operati:"Non vi conosco; andate via da me, gente malvagia" (Mt 7,23). Invece di Mosè è detto: "Ti conosco per nome" (Es 33,12). Del ricco, dunque, dice: "Un tale ricco"; del povero, invece: "Un mendicante di nome Lazzaro", come se volesse dire: Conosco il povero, umile, non conosco il ricco, superbo; quello lo approvo riconoscendolo, questo lo condanno rifiutando di conoscerlo.

    Bisogna anche osservare con quanta attenzione il nostro Creatore disponga tutte le cose. Il fatto è uno solo, ma non dice una cosa sola. Lazzaro, coperto di piaghe, sta innanzi alla porta del ricco. Da questo unico fatto il Signore ricava due giudizi. Forse il ricco avrebbe avuto una scusa, se Lazzaro povero e piagato non fosse stato proprio alla sua porta, se fosse stato lontano, se la sua indigenza non avesse dato perfino fastidio ai suoi occhi. E se il ricco fosse stato lontano dagli occhi del povero malato, questi avrebbe dovuto sopportare una tentazione meno grave. Ma ponendo il povero e malato alla porta del ricco e gaudente, il Signore, allo stesso tempo, aggrava il titolo di condanna del ricco, che non si commuove alla vista del povero, e fa vedere quanto grande sia la tentazione del povero, che vede ogni giorno lo scialacquio del ricco. Non vedete, infatti, che dura tentazione dovesse essere per il povero non aver neanche il pane, esser malato, e vedere il ricco far feste tra porpora e bisso; sentirsi mordere dalle piaghe e veder quello scialarsela tra tanti beni, aver bisogno di tutto e veder quello che non voleva dar nulla? Che tumulto di tentazioni dev`essere stato nel cuore del povero, per il quale poteva essere già abbastanza la sola pena della povertà, anche se fosse stato sano; e poteva essere abbastanza la malattia, anche se avesse avuto dei mezzi. Ma perché il povero fosse maggiormente provato, fu afflitto contemporaneamente dalla malattia e dalla povertà. Vedeva il ricco muoversi sempre in mezzo a uno stuolo di gente, e lui nessuno lo visitava. E che nessuno lo avvicinasse lo attestano i cani che ne leccavano le piaghe.

    "Morí poi il mendicante e fu portato dagli angeli tra le braccia di Abramo. Morí anche il ricco e fu gettato nell`inferno" (Lc 16,22). Cosí proprio quel ricco, che in questa vita non volle aver compassione del povero, ora, condannato, ne cerca l`aiuto. Viene aggiunto, infatti: "Alzando gli occhi dai suoi tormenti, vide lontano Abramo e Lazzaro tra le sue braccia e gridò: Padre Abramo, abbi pietà di me. Di` a Lazzaro che metta il suo dito nell`acqua e ne faccia cadere una goccia sulla mia bocca, perché io brucio in questa fiamma" (Lc 16,23-24). Oh, quant`è sottile il giudizio di Dio! E quant`è misurata la distribuzione dei premi e delle pene! Lazzaro avrebbe voluto le briciole che cadevano dalla mensa del ricco, e nessuno gliele dava; ora il ricco, nel supplizio, vorrebbe che Lazzaro facesse cadere dal dito una goccia d`acqua sulla sua bocca. Vedete, vedete, allora, fratelli, quanto sia stretta la giustizia di Dio. Il ricco non volle dare al povero piagato la piú piccola porzione della sua mensa, e nell`inferno è ridotto a chiedere la piú piccola delle cose. Negò le briciole e chiede una goccia d`acqua...

    Ma voi, fratelli, conoscendo la felicità di Lazzaro e la pena del ricco, datevi da fare, cercate degli intermediari e fate in modo che i poveri siano vostri avvocati nel giorno del giudizio. Avete ora molti Lazzari; stanno innanzi alla vostra porta e hanno bisogno di ciò che ogni giorno, dopo che voi vi siete saziati, cade dalla vostra mensa. Le parole del libro sacro ci devono disporre ad osservare i precetti della pietà. Se lo cerchiamo, ogni giorno troviamo un Lazzaro; ogni giorno, anche senza cercarlo, vediamo un Lazzaro.

     

    (Gregorio Magno, Hom., 40, 3 s.10)

     

     

    2. Ricchezza e povertà

     

    Perché mai un uomo è ricco e un altro è povero? Non lo so; e ti dico subito che l`ignoro, per insegnarti che non tutte le cose possono essere controllate e che niente è abbandonato al capriccio del caso. D`altra parte, se si ignora la vera ragione delle cose, non si ha ugualmente il diritto di inventare una spiegazione fantastica. E` meglio infatti non conoscere, piuttosto che conoscere male. Chi riconosce di non sapere, si lascia con facilità istruire; chi invece, non conoscendo la ragione delle cose, inventa una falsa scienza, si allontana ancor piú dal vero, in quanto per essere poi istruito è necessario dapprima che le sue false idee siano cancellate. Senza fatica si può scrivere ciò che si vuole su un foglio di carta bianca; ma se il foglio è già scritto, è molto piú faticoso scrivervi di nuovo, perché occorre prima cancellare quanto è stato scritto male. E` preferibile il medico che non dà alcuna ricetta a quello che prescrive rimedi dannosi. Un architetto che costruisce malamente è peggiore di colui che non posa neppure una pietra. Infine vale di piú una terra che non produce di quella che produce spini. Non cerchiamo quindi di conoscere tutto; rassegniamoci a ignorare qualcosa, di modo che se troviamo un maestro non gli daremo doppio lavoro. Vi sono persone cadute in dottrine false, che è pressoché impossibile correggere. Non è lo stesso lavoro seminare in un campo pieno di vecchie radici che dobbiamo strappare, anziché in una terra che non è stata mai coltivata. Cosí, quando si hanno erronee concezioni, è necessario sradicarle dalla mente, prima di poter ricevere la verità, ma, se non si hanno pregiudizi, l`intelletto è ben preparato ad accogliere la verità. Detto questo, rispondo alla vostra domanda: alcuni sono ricchi perché Dio ha donato loro queste ricchezze, oppure ha permesso che ne dispongano; altri ancora le posseggono per un`altra sua segreta disposizione. Questa spiegazione, come vedete, è breve e semplice. Ma voi insistete a chiedermi: Come mai Dio rende ricco quest`uomo malvagio, adultero, frequentatore di luoghi malfamati e che fa cattivo uso dei suoi beni? Non è che Dio - vi rispondo - rende ricco quest`uomo, è che lo permette. La differenza che esiste tra fare e permettere è assai grande, anzi immensa. Ma perché - voi direte ancora - Dio tollera questo? Perché non è ancora giunto il momento del giudizio, quando ciascuno riceverà ciò che merita. Quale colpa è piú odiosa di quella del ricco che non volle dare al povero Lazzaro nemmeno le briciole della sua mensa? (cf. Lc 16,19ss). Ebbene, egli ha ricevuto la punizione piú terribile di tutti, dato che, essendo stato crudele nella sua ricchezza, non ottenne neppure una goccia d`acqua. Cosí, se due persone sono ugualmente malvagie, ma non godono qui in terra degli stessi beni, essendo l`una ricca e l`altra povera, non saranno ugualmente punite all`inferno, ma il ricco soffrirà molto piú del povero.

    Non vedete, infatti, che questo ricco malvagio è punito nell`altra vita assai piú severamente, in quanto durante la sua vita ha ricevuto la sua parte di beni? Ebbene, quando voi vedete un ricco malvagio godere di ogni sorta di piaceri, piangete e compatite la sua sorte, perché tutta quella ricchezza serve ad accrescere il suo castigo.

     

    (Giovanni Crisostomo, In Matth., 75, 4 s.)

     

     

    3. Di chi è la ricchezza?

     

    A chi faccio torto, dici, se mi tengo il mio? Ma, dimmi, che cosa è tua? Che cosa hai portato tu alla vita? Come se uno, avendo preso prima un posto in un teatro, poi cacci via quelli che entrano, pretendendo che sia suo ciò che è fatto a beneficio di tutti; cosí sono i ricchi. Occupano i beni comuni e ne pretendono la proprietà perché li hanno occupati prima. Se invece ognuno prendesse solo ciò che è necessario al proprio bisogno e lasciasse agli altri ciò che non gli serve, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe povero. Non sei uscito nudo da tua madre? Non tornerai nudo nella terra? Da che parte ti son venuti i beni che hai? Se dici che ti vengono dal fato, sei un empio, perché non riconosci il Creatore e non sei grato a chi te li ha dati; se dici che ti vengono da Dio, spiegaci perché te li ha dati. Può essere ingiusto Dio, che darebbe inegualmente le cose necessarie alla vita? Perché, mentre tu sei ricco, l`altro è povero? Non forse perché tu possa avere la mercede del giusto e fedele dispensatore e l`altro acquisti il grande premio della pazienza? Tu invece abbracci tutto nelle insaziabili pieghe dell`avarizia e mentre privi tanta gente, credi di non far torto a nessuno. Chi è l`avaro? Colui che non è contento di quanto basta. Chi è il saccheggiatore? Chi prende la roba degli altri. Non sei avaro? non sei un saccheggiatore? Tu ti appropri di ciò che hai ricevuto per dispensarlo. Sarà chiamato ladro chi spoglia uno che è vestito e non meriterà lo stesso titolo colui che, potendo vestire un nudo, non lo veste? E` dell`affamato il pane che tu possiedi; è del nudo il panno che hai negli armadi; è dello scalzo la scarpa che s`ammuffisce in casa tua; è dell`indigente l`argento che tu tieni seppellito. Quanti sono gli uomini ai quali puoi dare, tanti son coloro cui fai torto.

     

    (Basilio di Cesarea, Hom., 12, 7)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 03/10/2013 08:07
    XXVII DOMENICA

    Letture: Abacuc 1,2-3; 2,2-4
    2 Timoteo 1,6-8.13-14
    Luca 17,5-10

    1. Avere la stessa fede è grande grazia

    Gli apostoli avevano ben compreso che tutto ciò che riguarda la salvezza viene da Dio come un dono, perciò domandarono al Signore anche la fede: "Signore, aumenta la nostra fede" (Lc 17,5). Non si aspettavano questa virtù dal loro libero arbitrio; credevano, invece, di poterla ricevere esclusivamente dalla magnificenza di Dio. Inoltre, lo stesso autore della nostra salvezza insegna a riconoscere quanto sia fragile, malata e non bastevole a se stessa la nostra fede, senza l`aiuto divino: "Simone, Simone, ecco Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno" (Lc 22,31-32). Un altro, sentendo in sé la propria fede come sospinta dai flutti dell`incredulità verso sicuro naufragio, si rivolse al Signore, dicendo: "Signore, aiuta la mia incredulità" (Mc 9,23).
    Gli apostoli e gli altri uomini che figurano nel Vangelo avevano capito che nessun bene si compie in noi senza il divino aiuto; erano persino convinti di non poter conservare la fede, affidandosi alle sole forze della ragione, o alla libertà dell`arbitrio, da chiedere che questa fede venisse posta e conservata in loro. Se la fede di Pietro, infatti, aveva bisogno di Dio per non venir meno, chi sarà cosi presuntuoso e cieco da credere di poterla serbare senza quell`aiuto? Non è forse il Signore stesso a dichiarare la nostra insufficienza quando afferma: "Come il tralcio non può produrre frutto se non resta unito alla vite, cosí nessuno può portare frutto se non rimane in me" (Gv 15,4)? E ancora: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5)? Quanto insulso e sacrilego sia, dunque, attribuire alcunché delle nostre azioni al nostro saper fare, e non alla grazia di Dio e al suo aiuto, appare provato da una sentenza accusatoria del Signore, che afferma che nessuno può senza la sua ispirazione e il suo aiuto cogliere frutti spirituali: "Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall`alto e discende dal Padre della luce" (Gc 1,17). E del pari Zaccaria: "Cosa c`è di buono o di bello che non gli appartenga? (Zc 9, 17). Per Paolo, poi, è una nota costante: "Che cos`hai che tu non abbia ricevuto? E se l`hai ricevuto, perché te ne glori come se non l`avessi ricevuto?" (1Cor 4,7).
    Persino le possibilità di tolleranza che possiamo dispiegare nel sostenere le tentazioni, non dipendono dalla nostra virtù quanto piuttosto dalla misericordia di Dio e dalla sua moderazione, come si esprime in proposito il beato Apostolo: "Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti, Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d`uscita e la forza per sopportarla" (1Cor 10,13). Il medesimo Apostolo insegna che Dio adatta e consolida i nostri spiriti per ogni buon operare, ed opera in noi quelle cose che sono secondo il suo beneplacito: "Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un`alleanza eterna, il Signore nostro Gesú, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che è a lui gradito per mezzo di Gesú Cristo" (Eb 13,20-21). Perché poi lo stesso avvenga per i Tessalonicesi, cosí prega, dicendo: "E lo stesso Signore nostro Gesú Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene" (2Ts 2,16-17).
    Il profeta Geremia, da persona di Dio, afferma senza mezzi termini che anche il timore di Dio ci è infuso dal Signore. Cosí egli dice, infatti: "Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi. Concluderò con essi un`alleanza eterna e non mi allontanerò piú da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore perché non si distacchino da me" (Ger 32,39-40). Del pari Ezechiele: "Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio" (Ez 11,19-20).
    Da tutto ciò siamo piú che edotti che l`inizio della buona volontà in noi si ha per ispirazione di Dio, vuoi perché egli stesso ci attrae verso la via della salvezza, vuoi perché si serve delle esortazioni di una persona qualsiasi o della necessità o della perfezione delle virtù o di cose simili. La nostra parte sta in questo: noi possiamo, con piú fervore o con piú tiepidità eseguire l`esortazione di Dio e appoggiare il suo aiuto, e qui risiede la nostra possibilità di merito o di castigo appropriato. Quindi, ciò che per sua elargizione e provvidenza è stato a noi dato con benignissima degnazione, sarà per noi causa di premio o di castigo in dipendenza di quanto lo avremo trascurato o ci saremo studiati di aderirvi con la nostra devota obbedienza.

    (Giovanni Cassiano, Collationes, 3, 16-19)


    2. Fede nei dogmi e fede carismatica

    Lazzaro morí e trascorsero uno, due e tre giorni: i suoi tendini si dissolvevano e la putrefazione divorava il corpo. Uno che era morto già da quattro giomi come poteva credere e invocare in proprio favore un liberatore? Ma quanto mancava al morto, fu supplito dalle sorelle. Quando venne il Signore, la sorella si prostrò ai suoi piedi e, alla richiesta di lui: «Dove l`avete messo? «, rispose: «Signore, già puzza, perché è di quattro giorni». Dice allora il Signore: "Se crederai, vedrai la gloria di Dio" (Gv 11,14ss), come se dicesse: Supplisci tu alla fede che manca al morto. E la fede delle sorelle fu tanto valida da richiamare il morto dalle porte dell`Averno. Se alcuni, credendo per altri, riuscirono a risuscitarli dai morti, non ne avrai tu profitto ancor maggiore credendo sinceramente per te stesso? Qualora poi tu fossi infedele o povero di fede, il misericordioso Iddio ti seguirà nella via del pentimento. Di` solamente con semplicità: "Credo, Signore; aiuta la mia infedeltà" (Mc 9,23).Che se invece ti credi fedele, non hai ancora la perfezione della fede, ma ti è necessario dire, come gli apostoli: "Signore, aumenta in noi la fede" (Lc 17,5), poiché essa in piccola parte proviene da te stesso, ma la parte piú grande la ricevi da lui.
    Il termine «fede» è unico come vocabolo, ma la realtà che esso significa è duplice. V`è una specie di fede, quella dei dogmi, che consiste nell`assenso dell`anima a una verità, essa è utile all`anima, secondo la parola del Signore: "Chi ascolta le mie parole e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non viene alla condanna" (Gv 5,24); e ancora: "Chi crede in lui non è condannato" (Gv 3,18): "ma è passato da morte a vita" (Gv 5,24). Oh, il grande amore di Dio per gli uomini! Gesú ti dona gratuitamente, nel corso di una sola ora, quello che essi guadagnarono meritandosi per molti anni le sue compiacenze, operando rettamente. Se tu crederai che Gesú Cristo è il Signore e che Dio lo risuscitò dai morti, sarai salvo (Rm 10,9) e verrai trasportato in paradiso da colui che vi ha introdotto il buon ladrone. Non credere che sia cosa impossibile. Colui che, su questo santo Golgota, ha salvato il ladrone (Lc 23,43) che credeva da una sola ora, salverà te pure, se credi.
    V`è una seconda specie di fede, quella che ci è donata da Cristo come puro dono gratuito. "Dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza secondo il medesimo Spirito; a uno la fede, nel medesimo Spirito; a un altro il dono delle guarigioni" (1Cor 12,8-9). Questa fede, che è dono gratuito dello Spirito, non riguarda solamente i dogmi, ma anche l`effiicacia di operare cose che superano le umane possibilità. Chi possiede questa fede, dirà a questo monte: «Trasferisciti da qui a lì»; ed esso si trasferirà (cf. Mt 17,20). Quando uno dice questo, mosso dalla fede, e crede che ciò avvenga e non ne dubita in cuor suo (Mc 11,23), riceve la grazia. E` a questa fede che si riferisce la frase: "Se avete fede come un chicco di senape" (Mt 17,20). Un grano di senape è piccolo di mole, ma ha la forza di bruciare; seminato in un piccolo recinto, emette grandi rami e, una volta cresciuto, è capace di fornire ombra agli uccelli (Mt 13,32). Così anche la fede ha la forza di operare grandissime cose buone in pochissimo tempo. Essa rappresenta Iddio con immagini e lo intuisce, per quanto le è concesso, illuminata dalla fede dei dogmi. Essa gira attorno ai confini del mondo e, prima ancora della fine del secolo presente, vede il giudizio e la retribuzione dei beni promessi. Abbi quella fede che è in tuo potere e conduce a lui, per ricevere da lui anche quella che supera le possibilità dell`uomo.

    (Cirillo di Gerus., Catech., 5, 9-11)


    3. Il superbo che si fa creditore di Dio

    Quanto è bene adatta questa similitudine per colui che diceva: "Dio, ti ringrazio, perché non sono come tutti gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri o come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana, pago le decime di tutti i miei beni" (Lc 18,11). Quanto sarebbe stato meglio se avesse detto umilmente: Signore, sono un servo inutile, ho fatto solo ciò che dovevo fare. Infatti, poiché il servo fa il suo ufficio per dovere e per necessità, il padrone non gli deve nessuna gratitudine, se egli fa ciò che gli vien comandato. Così noi quando osserviamo i comandamenti; via, dunque, la superbia, la vanagloria, il fumo della mente, e inginocchiamoci tra gli umili servi inutili, come quello che diceva: "La mia anima è innanzi a te come terra senz`acqua" (Sal 142,6). E` terra senza acqua, secca, infeconda, sterile, inutile. Ma è uno che aveva fatto tutto ciò che gli era stato comandato, com`è detto: "Non mi sono allontanato dai tuoi precetti" (Sal 118,51) e: "Non ho dimenticato la tua giustizia" (Sal 118,141).

    (Bruno di Segni, In Luc., 2, 39)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 09/10/2013 07:50

    XXVIII DOMENICA

     

    Letture: 2Re 5,14-17

    2 Timoteo 2,8-13

    Luca 17,11-19

     

    1. La gratitudine promuove sempre piú grazie

     

    "Non furono dieci a essere guariti; e gli altri nove dove sono?" (Lc 17,17). Penso che ricordiate che son queste le parole del Salvatore, che rimproverava l`ingratitudine di quei nove. Si vede dal testo quanto abbiano saputo ben pregare coloro che dicevano: "Gesú, figlio di David, abbi pietà di noi" (Lc 18,17); mancò però l`altra cosa di cui parla l`Apostolo (cf. 1Tm 2,1), il ringraziamento, perché non tornarono a render grazie a Dio.

    Anche oggi vediamo molti impegnati a chiedere ciò di cui sanno d`aver bisogno, ma vediamo ben pochi che si preoccupano di ringraziare per ciò che hanno ricevuto. E non è che è male chiedere con insistenza; ma l`essere ingrati toglie forza alla domanda. E forse è un tratto di clemenza il negare agli ingrati il favore che chiedono. Che non capiti a noi di essere tanto piú accusati d`ingratitudine, quanto maggiori sono i benefici che abbiamo ricevuto. E` dunque un tratto di misericordia, in questo caso, negare misericordia, com`è un tratto d`ira mostrare misericordia, certo quella misericordia di cui parla il Padre della misericordia attraverso il Profeta, quando dice: "Facciamo misericordia al malvagio, ed egli non imparerà a far giustizia" (Is 26,10)...

    Vedi, dunque, che non giova a tutti essere guariti dalla lebbra della conversione mondana, i cui peccati son noti a tutti; ma alcuni contraggono un male peggiore, quello dell`ingratitudine; male che è tanto peggiore, quanto è piú interno...

    Fortunato quel Samaritano, il quale riconobbe di non aver niente, che non avesse ricevuto e perciò tornò a ringraziare il Signore. Fortunato colui che a ogni dono, torna a colui nel quale c`è la pienezza di tutte le grazie; poiché quando ci mostriamo grati di quanto abbiamo ricevuto, facciamo spazio in noi stessi a un dono anche maggiore. La sola ingratitudine impedisce la crescita del nostro rapporto di grazia, poiché il datore, stimando perduto ciò che ha ricevuto un ingrato, si guarda poi bene di perdere tanto piú, quanto piú dà a un ingrato. Fortunato perciò colui che, ritenendosi forestiero, si prodiga in ringraziamenti per il piú piccolo favore, e ha coscienza e dichiara che è un gran dono ciò che si dà a un forestiero sconosciuto. Noi però, miserabili, sebbene a principio, quando ancora ci sentiamo forestieri, siamo abbastanza timorati, umili e devoti, poi tanto facilmente ci dimentichiamo quanto sia gratuito tutto ciò che abbiamo ricevuto e, come presuntuosi della nostra familiarità con Dio, non badiamo che meriteremmo di sentirci dire che i nemici del Signore sono proprio i suoi familiari (cf. Mt 10,36). Lo offendiamo piú facilmente, come se non sapessimo che dovranno essere giudicati piú severamente i nostri peccati, dal momento che leggiamo nel salmo: "Se un mio nemico mi avesse maledetto, l`avrei pure sopportato" (Sal 54,13). Perciò vi scongiuro, fratelli; umiliamoci sempre piú sotto la potente mano di Dio e facciamo di tutto per tenerci lontani da questo orribile vizio dell`ingratitudine, sicché, impegnati con tutto l`animo nel ringraziamento, ci accaparriamo la grazia del nostro Dio, che sola può salvare le nostre anime. E mostriamo la nostra gratitudine non solo a parole, ma anche con le opere e nellla verità; perché il Signore nostro, che è benedetto nei secoli, non vuole tanto parole, quanto azioni di grazie. Amen.

     

    (Bernardo di Chiarav., De diversis, 23, 5-8)

     

     

    2. Gesù salvezza universale

     

    Il Signore Gesú loda chi lo ringrazia, rimprovera gli ingrati guariti nella pelle, ma ancora lebbrosi nel cuore. Che dice l`Apostolo?"Discorso fedele e degnissimo di essere accolto" (1Tm 1,15s). Che discorso è? "Gesú Cristo è venuto nel mondo". A che fare? "Per salvare i peccatori". E tu chi sei? "Io sono il primo dei peccatori". Chi dice di non essere, o di non essere stato peccatore, è ingrato verso il Salvatore. Nessun uomo in questa massa, che viene da Adamo, nessun uomo affatto è esente da malattia, nessuno è guarito senza la grazia di Cristo. Che cosa bisogna dire dei bambini, malati per la loro discendenza da Adamo? Anch`essi son portati alla Chiesa; se non possono andarci con i loro piedi, vi vanno con i piedi degli altri, per essere guariti. La Chiesa accomoda loro i piedi degli altri, perché vi giungano; il cuore degli altri, perché credano; la lingua degli altri, perché professino la fede, proprio perché son malati, perché un altro ha peccato...

    Non disperate. Se siete malati, accostatevi a lui, e fatevi guarire; se siete ciechi, accostatevi a lui, e fatevi illuminare. Se siete sani, ringraziatelo; se siete malati, correte a lui per la guarigione. Dite tutti: "Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti" (Sal 95,6) e uomini e salvi. Se lui ci ha fatti uomini, noi ci siam fatti salvi: abbiam fatto meglio di lui. E` meglio, infatti, un uomo salvo, che uno semplicemente uomo. Se, dunque, Dio ti ha fatto uomo, e tu ti sei fatto un uomo buono, quello che hai fatto tu è meglio. Ma non ti credere piú di Dio; abbassati, adora, inchinati a colui che ti ha fatto: nessuno ricrea, se non colui che crea; nessuno ti rifà, se non colui che ti ha fatto. Leggiamo in un altro salmo: "Lui ci ha fatti, non ci siam fatti da noi" (Sal 99,3). Certo, quando ti fece, tu non potevi far nulla; ora che sei, anche tu puoi fare qualche cosa; puoi andare dal Medico, lo puoi chiamare; egli è dappertutto. E perché lo chiamassi, risvegliò il tuo cuore e ti diede la possibilità di invocarlo. "Perché Dio opera in voi e vi rende capaci di volere e di operare" (Fil 2,13). Proprio perché tu avessi la buona volontà, lui ti ha chiamato prima. Grida: "La grazia del mio Dio mi viene in aiuto" (Sal 58,11). La sua misericordia ti ha prevenuto, perché esistessi, sentissi e acconsentissi. Lui ti ha prevenuto in tutto; previeni tu in qualche modo la sua ira. Come? Dichiara che tutto il bene che hai, lo hai da Dio, e che tutto il male viene da te. Non disprezzarlo in ciò che hai di bene, non lodarne te stesso. Non lo accusare della tua malizia; non scusare te stesso. Colui che ti ha prevenuto in tanti beni, verrà da te e vedrà i suoi doni e i tuoi mali e guarderà come ti sarai servito dei suoi doni. Dal momento ch`egli ti ha prevenuto in tutti questi beni, vedi un po` come tu puoi prevenire la sua venuta. Senti il salmo: "Preveniamo il suo incontro". Renditelo propizio, prima che arrivi; placalo, prima che stia qui. Hai un sacerdote per mezzo del quale puoi placare il tuo Dio; ed egli, insieme col Padre è Dio per te, lui che s`è fatto uomo per te. Cosí canterai con i salmi, preparandoti a riceverlo con la tua confessione. Esulta con i salmi; professando la sua misericordia, accusa te stesso. Lodando lui, che ti ha fatto, e accusando te stesso, verrà colui che è morto per te e ti risusciterà.

    La dottrina mutevole e incostante è la lebbra della mente. Tenete ben fisso questo. Nessuno apporti novità, nessuno faccia il lebbroso. Una dottrina incostante, che cambia colore, è segno di lebbra mentale: anche questa la guarisce Cristo. Forse avevi seguito qualche novità, ci riflettesti e tornasti alla dottrina migliore; e ciò ch`era cambiato è tornato di un solo colore. Non ne attribuire il merito a te stesso, per non essere uno di quei nove che non ringraziarono il Signore. Uno solo ringraziò. Gli altri erano tutti Giudei. Quello era uno straniero, simboleggiava i Gentili, e lui, il decimo dei lebbrosi, con quel numero, pagò le decime a Cristo. A lui infatti dobbiamo che esistiamo, che viviamo, che abbiamo intelligenza; se siamo uomini, se siamo buoni, se l`intelligenza è retta, lo dobbiamo a lui. Di nostro abbiamo solo i nostri peccati. Che hai, che non l`abbia ricevuto? (cf. 1Cor 4,7). Voi, dunque, soprattutto voi che capite ciò che udite, sollevate il cuore guarito dalla malattia, purificato dalle tentazioni di novità, e ringraziate Iddio.

     

    (Agostino, Sermo 176, 2.5)

     

     

    3. La carità piú eccellente della fede e della speranza

     

    La fede ha per oggetto le cose che non si vedono, ma cederà il posto alla chiara visione, quando le vedremo. La speranza ha per oggetto le cose che non possediamo, sicché, quando verrà la realtà, non ci sarà piú la speranza, perché non c`è piú ragione di sperare ciò che ormai possediamo. Quanto alla carità, viceversa, essa non può non aumentare sempre di piú (cf. 1Cor 13,4-13). Se amiamo ciò che non vediamo, quanto dovremo amarlo allorché lo vedremo! Cresca dunque sempre il nostro desiderio! Se siamo cristiani, lo siamo soltanto in ordine alla vita eterna. Nessun cristiano riponga la sua speranza nei beni presenti, nessuno, per il fatto di essere cristiano, si riprometta la felicità in questo mondo. Della felicità presente usi come meglio può, se può, quando può e nella misura in cui può. Quando ce l`ha renda grazie a Dio che cosí lo consola; quando non l`ha renda grazie alla giustizia di Dio. Sia in ogni caso pieno di gratitudine; mai sia ingrato! Ringrazi il Padre che consola e che accarezza; e ringrazi ugualmente il Padre che vuol raddrizzare, che flagella e che sottopone a disciplina. Dio infatti sempre ama: sia quando accarezze sia quando minaccia. Ripeta le parole che avete udito nel salmo: "E` buono lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, Altissimo" (Sal 91,2).

     (Agostino, Enarr. in Ps., 91, 1)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/10/2013 08:27
    XXIX DOMENICA

    Letture: Esodo 17,8-13a
    2 Timoteo 3,14; 4,2
    Luca 18,1-8

    1. Non molte parole nella preghiera, ma pregare sempre

    Credete, o fratelli, che Dio non sappia di che abbiamo bisogno? Conosce e prevede i nostri desideri, lui che conosce bene la nostra povertà. Perciò, quando insegnò a pregare, disse anche ai discepoli di non essere verbosi nelle loro preghiere: "Non dite molte parole; il Padre vostro sa già di che avete bisogno, prima che glielo chiediate" (Mt 6,7). Ma se il Padre nostro sa di che abbiamo bisogno già prima che glielo chiediamo, che bisogno c`è di chiederglielo, sia pur brevemente? Che motivo c`è per la stessa preghiera, se il Padre sa di che abbiamo bisogno? Par che dica: Non chiedere a lungo; so già che cosa ti serve. Ma, Signore mio, se lo sai, perché dovrei chiederlo? Tu non vuoi ch`io faccia una lunga preghiera. Ma, mentre in un luogo si dice: "Quando pregate, non usate molte parole" (Mt 6,7), in un altro si dice: "Chiedete e vi sarà dato" (Mt 7,7), e perché non si pensi che sia una frase detta casualmente, viene anche aggiunto: "Cercate e troverete (ibid.)". E poi ancora, perché si capisca che la cosa è detta di proposito, dice a modo di conclusione: "Bussate e vi sarà aperto (ibid.)". Vuole, dunque, che tu chieda, perché possa ricevere; che cerchi, per trovare; che bussi, per entrare. Ma se il Padre sa già di che abbiamo bisogno, perché chiedere perché cercare, perché bussare? Perché affaticarci a chiedere, a cercare, a bussare? Per istruire colui che sa tutto? In altro luogo troviamo le parole del Signore: "Bisogna pregare sempre, senza venir mai meno" (Lc 18,1). Ma se bisogna pregare sempre, perché dice di non usar molte parole nella preghiera? Come faccio a pregar sempre, se devo finir presto? Da una parte mi si dice di pregar sempre, senza venir mai meno, e dall`altra di essere breve. Che cosa è questo? E per capire questo, chiedi, cerca, bussa. E` astruso, ma per allenarti. Dunque, fratelli, dobbiamo esortare alla preghiera noi e voi. In questo mondo, infatti, non abbiamo altra speranza che nel bussare con la preghiera tenendo per certo che, se il Padre non dà qualche cosa, è perché sa che non è bene. Tu sai che cosa desideri, ma lui sa che cosa ti giova. Pensa di essere malato - e siamo malati, perché la nostra vita è tutta una malattia e una lunga vita non è che una lunga malattia. Immagina, allora, che vai dal medico. Ti vien di chiedere che ti faccia bere del vino. Non t`è proibito di chiederlo, purché non ti faccia male. Non esitare a chiedere, non indugiare; ma se te lo nega, non ti scomporre. Se è cosí col medico della tua carne, quanto piú con Dio, Medico, Creatore e Redentore della carne e anima tua?

    (Agostino, Sermo 80, 2)


    2. Valore della preghiera

    La preghiera è il sacrificio spirituale, che annulla gli antichi sacrifici. "Che mi serve la moltitudine dei vostri sacrifici? Ne ho fin troppo dei sacrifici dei vostri arieti e sono stanco del grasso di agnelli e del sangue di tori e di capri. Chi vi ha chiesto queste cose?" Ciò che Dio chiede, lo dice il Vangelo: "Verrà il tempo che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio infatti è spirito" e cosí vuole i suoi adoratori (cf. Gv 4,21.23). E noi siamo veri adoratori, se preghiamo in spirito e in spirito offriamo in sacrificio la nostra preghiera, come dono a Dio, appropriato e gradevole: il dono ch`egli vuole, il dono ch`egli va cercando. Questa è l`offerta che dobbiamo portare all`altare di Dio, nata dall`intimo del cuore, nutrita di fede, accomodata dalla verità, piena d`innocenza, pura di castità, coronata dall`agape fraterna, accompagnata dallo splendore delle buone opere, allietata da canti e inni; ed essa ci otterrà tutto da Dio.
    Che cosa infatti Dio potrà negare a una preghiera che nasce dallo spirito e dalla verità, come lui la vuole? Quante testimonianze possiamo leggere e sentire della sua efficacia! L`antica preghiera liberava dal fuoco, dalle bestie e dalla fame, eppure non aveva ricevuto forma da Cristo. Quanto piú, dunque, può ottenere la preghiera cristiana! Non ferma l`angelo della rugiada in mezzo alle fiamme, non chiude la bocca dei leoni, non porta agli affamati il pranzo dei contadini, non porta via la sensazione del dolore; ma istruisce nella sofferenza coloro che sentono il dolore, accresce la grazia, perché la fede, comprendendo che cosa soffra per il nome di Dio, conosca che cosa riceve da Dio.
    Nel Vecchio Testamento la preghiera infliggeva piaghe, disperdeva eserciti nemici, sospendeva l`irrorazione delle piogge. Ora invece la preghiera allontana ogni ira di Dio, veglia per i nemici, supplica per quelli che perseguitano. E` strano che strappi acque celesti, quella preghiera che poté far venire fuoco dal cielo? Solo la preghiera vince Dio; ma Cristo non volle che operasse alcun male, le diede solo la virtù di fare il bene. Perciò non sa far altro che richiamare i defunti dal cammino della morte, rinforzare i deboli, restaurare i malati, liberare gl`indemoniati, aprire le carceri, sciogliere le catene degli innocenti. E` la preghiera che cancella i delitti, allontana le tentazioni, pone fine alle persecuzioni, consola i pusillanimi, dà gioia ai forti, guida i pellegrini, doma le tempeste, blocca i ladri, nutre i poveri, consiglia i ricchi, rialza coloro che son caduti, sostiene quelli che stanno per cadere, consolida quelli che stanno in piedi.
    La preghiera è la fortificazione della fede, armatura contro il nemico che ci aggredisce da ogni parte. Ricordiamola quando siamo di sentinella di giorno e quando vegliamo di notte. Sotto le armi della preghiera custodiamo lo stendardo del nostro imperatore, aspettiamo in preghiera la tromba dell`angelo.
    Pregano anche tutti gli angeli, prega ogni essere creato, pregano le greggi e le bestie feroci e s`inginocchiano, e uscendo dalle stalle e dalle tane si voltano al cielo e a loro modo muovono il loro spirito. Anche gli uccelli, appena svegli, s`innalzano verso il cielo, stendono le ali in forma di croce e dicono qualcosa che sembra una preghiera. Che volete di piú per il valore della preghiera? Anche il Signore pregò, e a lui sia lode e benedizione nei secoli dei secoli.

    (Tertulliano, De oratione, XXVIII, 1-4; XXIX, 1-4 )


    3. La preghiera di Cristo

    «E passò la notte in preghiera a Dio». Ecco che ti viene indicato un esempio, ti viene offerto un modello da imitare. Cosa non dovrai tu fare per la tua salvezza, mentre per te Cristo passa la notte in preghiera? Cosa ti conviene fare, quando vuoi intraprendere qualche opera buona, se consideri che Cristo, al momento di inviare gli apostoli, ha pregato, e ha pregato da solo? Se non mi sbaglio, in nessun luogo si trova che egli ha pregato insieme con gli apostoli: ovunque egli prega da solo. Il disegno di Dio non può essere disturbato da desideri umani, e nessuno può essere partecipe dell`intimo pensiero di Cristo.

    (Ambrogio, In Luc., 5, 43)


    4. Perseveranza nella preghiera

    "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Sono in relazione con quel passo ove ha detto: "Venite, ascoltate, e vi racconterò, tutti voi che temete Dio, quante cose egli ha fatte all`anima mia" (Sal 65,16). Dette le cose che avete ascoltate e giunto alla fine, cosí ha concluso: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né le mie preghiere né la sua misericordia". In questo modo colui che parla giunge alla risurrezione, dove per la speranza siamo anche noi; o, meglio, chi pronunzia questa invocazione siamo anche noi, e tale voce è anche la nostra voce. Finché dunque siamo qui in terra, preghiamo Dio affinché non rimuova da noi la nostra preghiera né la sua misericordia: cioè, affinché con perseveranza noi preghiamo e con perseveranza egli abbia misericordia di noi. Molti infatti stentano a pregare; e, mentre all`inizio della loro conversione pregano con fervore, dopo pregano svogliatamente, poi con freddezza, e quindi con frequenti omissioni: quasi fossero divenuti sicuri! E` sveglio il nemico, e tu dormi? Il Signore stesso ci ha ordinato nel Vangelo: "E` necessario pregare sempre e non venir meno" (Lc 18,1). E propone la parabola di quel giudice ingiusto che non temeva Dio né aveva rispetto per gli uomini e al quale ogni giorno si rivolgeva, per essere udita, quella vedova. Fu vinto dalla importunità il giudice cattivo che non era stato piegato dalla compassione; e dentro di sé cominciò a dire: "Io, veramente, non temo Dio né ho rispetto per gli uomini; tuttavia, per la noia che ogni giorno mi arreca questa vedova, ascolterò la sua causa e le renderò giustizia". E aggiunge il Signore: "Se un giudice iniquo ha agito cosí, il Padre vostro non vendicherà i suoi eletti, che a lui gridano giorno e notte? Anzi, vi dico: Renderà loro giustizia al piú presto" (Lc 18,4-8). Non cessiamo dunque mai di pregare. Quanto ha promesso di darci, anche se ci viene rinviato, non ci viene tolto. Sicuri della sua promessa, non cessiamo di pregare, sapendo che anche questo è suo dono. Ecco perché dice il salmo: "Benedetto il mio Dio, che non ha allontanato da me né la mia preghiera né la sua misericordia". Quando vedrai che la tua preghiera non è allontanata da te, sta` tranquillo!, non è rimossa da te neppure la sua misericordia.

    (Agostino, Enarr. in Ps., 65, 24)


    5. Fine e perfezione della preghiera

    Essendo [Gesú] la fonte inviolabile della santità, non aveva bisogno per ottenere la purificazione dell`aiuto della segregazione dal mondo e del soccorso della solitudine esteriore... e tuttavia "si ritirò solo sul monte a pregare" (Mt 14,23). Volle con ciò insegnarci, dandocene l`esempio, che anche noi, se vogliamo consultare Dio con cuore puro e integro negli affetti, dobbiamo del pari appartarci da ogni inquietudine e confusione delle folle, affinché, pur dimoranti ancora nel corpo, possiamo gustare in certa misura quella beatitudine che è promessa in futuro ai santi, e sia possibile almeno in parte per noi che "Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28).
    Allora, infatti, si potrà dire perfettamente adempiuta in noi quella preghiera rivolta al Padre dal nostro Salvatore a favore dei suoi discepoli: "Perché l`amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Gv 17,26), e ancora: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siamo anch`essi in noi una cosa sola" (Gv 17,21). Quando quell`amore perfetto, con il quale egli ci ha amato per primo (cf.1Gv 4,10), sarà trasfuso anche nell`affetto del nostro cuore, sarà compiuta questa preghiera del Signore che noi crediamo non possa in alcun modo venir cancellata.
    Se cosí avverrà, dato che ogni amore, ogni desiderio, ogni impegno, ogni sforzo, ogni nostro pensiero, tutto ciò che vediamo, quel che diciamo, quanto operiamo e speriamo avrà Dio come fine, l`unità che è ora del Padre con il Figlio, e del Figlio con il Padre, sarà trasfusa nei nostri sensi e nella nostra mente. E come Dio ci ama di un amore puro e sincero, anche noi saremo uniti a lui da carità perpetua e inseparabile; uniti a lui in tal modo, qualunque cosa speriamo, pensiamo o parliamo, sarà Dio; in lui, infatti, raggiungeremo quel fine di cui abbiamo parlato e che lo stesso Signore pregando auspica che si compia in noi: "Che tutti siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola, io in loro e tu in me, affinché siano anch`essi perfetti nell`unità" (Gv 17,22-23). E inoltre: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato, dove sono io, siano anche loro con me (ibid.)". Questo il destino del solitario [monaco], tale deve essere il suo intento, sí da meritare di possedere in questo corpo mortale un`immagine della futura beatitudine, avere quaggiú in qualche modo una caparra della celeste conversazione e della gloria che qui ha il suo inizio.

    (Giovanni Cassiano, Collationes, 10, 6 s.)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/10/2013 08:06
    XXX DOMENICA

    Letture: Siracide 35,15b-17.20-22a
    2 Timoteo 4,6-8.16-18
    Luca 18,9-14

    1. L`umiltà ottiene il perdono

    Poiché la fede non è dei superbi, ma degli umili, "disse per alcuni che credevano di essere giusti e disprezzavano gli altri, questa parabola. Due uomini andarono al tempio a pregare; un fariseo e un pubblicano. Il fariseo diceva: Ti ringrazio, Dio, che non sono come tutti gli altri uomini" (Lc 18,9s). Avesse detto almeno: come molti uomini. Che cosa dice questo "tutti gli altri", se non tutti, eccetto lui? Io, afferma, sono giusto; gli altri son tutti peccatori. "Non sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri". Ed eccoti dalla vicinanza del pubblicano un motivo di orgogliosa esaltazione. Dice, infatti: "Come questo pubblicano". Io sono solo, dice; questo è uno come tutti gli altri. Non sono come costui, per la mia giustizia, per cui non posso essere un cattivo, io. "Digiuno due volte la settimana, pago le decime su tutte le mie cose". Cerca nelle sue parole, che cosa abbia chiesto. Non trovi niente. Andò per pregare; ma non pregò Dio, lodò se stesso. Non gli bastò non pregare, lodò se stesso; e poi insultò quello che pregava davvero. "Il pubblicano se ne stava invece lontano"; ma si avvicinava a Dio. Il suo rimorso lo allontanava, ma la pietà lo avvicinava. "Il pubblicano se ne stava lontano; ma il Signore lo aspettava da vicino. Il Signore sta in alto", ma guarda gli umili. Gli alti, come il fariseo, li guarda da lontano; li guarda da lontano, ma non li perdona. Senti meglio l`umiltà del pubblicano. Non gli basta di tenersi lontano; "neanche alzava gli occhi al cielo". Per essere guardato, non guardava. Non osava alzare gli occhi; il rimorso lo abbassava, la speranza lo sollevava. Senti ancora: "Si percoteva il petto". Voleva espiare il peccato, perciò il Signore lo perdonava: "Si percuoteva il petto, dicendo: Signore, abbi compassione di me peccatore". Questa è preghiera. Che meraviglia che Dio lo perdoni, quando lui si riconosce peccatore? Hai sentito il contrasto tra il fariseo e il pubblicano, senti ora la sentenza; hai sentito il superbo accusatore, il reo umile, eccoti il giudice. "In verità vi dico". E` la Verità, Dio, il Giudice che parla. "In verità vi dico, quel pubblicano uscí dal tempio giustificato a differenza di quel fariseo". Dicci, Signore, il perché. Chiedi il perché? Eccotelo. "Percbé chi si esalta, sarà umiliato, e chi si umilia, sarà esaltato". Hai sentito la sentenza, guardati dal motivo; hai sentito la sentenza, guardati dalla superbia.

    (Agostino, Sermo 115, 2)


    2. Pensa a te stesso

    Mi verrebbe meno il giorno, se volessi elencare gli studi di quelli che s`interessano del Vangelo e quanto esso si adatti a tutti. Pensa a te stesso; sii sobrio, ascolta i consigli, controlla il presente, prevedi il futuro. Non trascurare, per indolenza, il presente e non t`illudere d`aver già in mano cose future, che ancora non sono e forse non si avvereranno mai. Non è questa la malattia propria dei giovani, che per leggerezza dimente credono di avere già le cose che sperano? Infatti in un momento di riposo o nella pace della notte costruiscono delle immagini di cose inesistenti e si ripromettono splendore di vita,illustri matrimoni, figli fortunati, lunga vecchiaia, tributi di onore. Poi, incapaci come sono di fermarsi a una qualsiasi speranza si lasciano trasportare dall`ardore del loro animo alle cose piú grandi della terra. Comprano case belle e grandi e le riempiono di preziosa e vaga suppellettile; e aggiungono tutto quanto è fuori del mondo. Aggiungono greggi, folle di servi, magistrature civili, principati, comandi militari, guerre, trofei, regno. Passate queste cose in rassegna, per eccesso di stoltezza, credono presenti queste cose sperate e se le vedono già innanzi ai piedi. E` la malattia dell`ignavo, veder nella veglia gli oggetti d`un sogno. Per reprimere questa sfrenatezza di mente, la Scrittura enunzia il sapiente precetto: "Pensa a te stesso" e non promette mai ciò che non esiste e dirige le cose presenti alla tua utilità. Penso che il legislatore si sia servito di questo monito, per eliminare un tal vizio dalle abitudini degli uomini. Perché a noi è piú facile curiosare nelle cose altrui, che pesare le proprie cose. Perciò finiscila di andare a scovare nei mali altrui, guardati dal frugare nelle malattie altrui, volgi gli occhi e scruta te stesso. Non son pochi coloro che, secondo la parola del Signore (Mt 7,3), vedono la pagliuzza nell`occhio del fratello e non s`accorgono della trave che è nel loro occhio. Non cessar mai di esaminarti se la tua vita si attiene al precetto; ciò che è intorno a te, non lo guardare, perché non ti si presenti l`occasione di imitare quel fariseo, che giustificava se stesso e disprezzava il pubblicano (Lc 18,11). Chiediti sempre se hai peccato in pensieri, se la lingua sia stata troppo facile, se la mano sia stata temeraria. E se troverai che hai peccato molto (e lo troverai, perché sei uomo), usa le parole del pubblicano: "Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Bada a te stesso. Questa parola ti starà bene nel felice successo, quando la tua nave è portata dalla corrente, e ti gioverà nei momenti difficili, in modo che non diventi orgoglioso nel fasto e non disperi nell`avversità. Ti senti grande perché sei ricco? T`inorgoglisci per la nobiltà deituoi antenati? Ti glorii della tua nazione, bellezza, onori ricevuti? Pensa a te stesso: Sei mortale; vieni dalla terra e tornerai nella terra (Gen 3,19)

    (Basilio di Cesarea, Hom. «Attende tibi ipsi», 5)


    3. Dio non preferisce il peccatore a chi non ha peccato

    Dato che egli aggiunge: «Perché dunque questa preferenza accordata ai peccatori?» e cita opinioni analoghe, per rispondere dirò: il peccatore non è assolutamente preferito a chi non ha peccato. Capita che un peccatore che ha preso coscienza della sua colpa, e per tal motivo progredisce sulla via della conversione umiliandosi per i suoi peccati, venga preferito ad un altro che si riguarda come meno peccatore, e che, lungi dal credersi peccatore, si gonfia di orgoglio per certe qualità superiori che crede di possedere. E` quel che rivela a chi legge lealmente il vangelo la parabola del pubblicano che dice: "Abbi pietà di me peccatore", mentre il fariseo, con sufficienza perversa, si gloriava dicendo: "Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri, e neppure come quel pubblicano". Gesú, infatti, conclude il suo discorso sui due uomini: "Il pubblicano scese a casa sua giustificato, al contrario dell`altro, poiché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,13; 1,14).
    Siamo ben lontani, perciò, «dal bestemmiare Dio e dal mentire», insegnando ad ogni uomo, chiunque esso sia, a prendere coscienza della propria umana piccolezza in rapporto alla grandezza di Dio, e a chiedere incessantemente ciò che manca alla nostra natura a colui che solo può colmare le nostre insufficienze.

    (Origine, Contra Celsum, 3, 64)


    4. Il fariseo e il pubblicano (Lc 18,9-14)

    Il fariseo della Legge,
    Nella sua preghiera al Tempio,
    In mostra metteva il ben compiuto
    Agli occhi tuoi che tutto scrutano.

    S`inorgoglisce l`anima insensata,
    Se stessa comparando all`uman genere
    Lontano, ed al vicino pubblicano,
    Che, nello stesso istante, supplicava.

    Non sol non ebbe quel che domandava
    Per il magniloquente suo linguaggio,
    Ma le antecedenti opre di giustizia,
    Perse per il suo dire vanitoso.

    Ma allora che farò io alla mia anima,
    Affezionata al vizio totalmente,
    Del tutto disattenta al buon oprare,
    E attenta ad ammassar cattive azioni?

    Le buone azioni, in effetti, io non compio
    Di cui si gloriava il fariseo;
    Eppure di gran lunga io lo supero
    Nel vezzo del vanto e dell`orgoglio.

    Del pubblicano dona bensí la voce
    Capo di pubblicani, all`anima guarita,
    Per gridare di sua propria voce:
    «Mio Dio, perdona i miei peccati!».

    Con lui, Signor, giustificami,
    Con un sol verbo come facesti a lui;
    Lo spirito mio umilia dal di dentro,
    Perché dalla tua grazia sia esaltato.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 659-665)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 30/10/2013 06:39
    XXXI DOMENICA

    Letture: Sapienza 11,23; 12,2
    2 Tessalonicesi 1,11; 2,2
    Luca 19,1-10

    1. La conversione di Zaccheo

    Il Maledetto cinge la spada contro di noi e mostra le armi per spaventarci, ma esse si struggono come cera sui corpi. che non si lasciano indurre al peccato Si adira Satana, perché la schiera dei giusti è piú numerosa del suo esercito. E perfino il suo gregge insorge e fugge verso il Figlio di Maria.
    Si è allontanato da lui il suo zelante seguace Zaccheo, poiché il Signore l`ha incontrato e l`ha accolto benevolmente; il sicomoro lungo la via è stato il suo rifugio. Ne è sceso stanco e ha riacquistato le forze. Stando sull`albero, Gesú lo ha illuminato con la sua luce; sul ramo, le tenebre si sono dissipate.
    Eva ha seguito il cattivo consiglio e l`ha fatto suo, ma è apparsa Maria, la Santa, e le ha ridato l`antico splendore. Il serpente ha mescolato segretamente il peccato con il sangue della morte e lo ha porto ad Eva. E perché ella non rifiutasse la bevanda, ha simulato amicizia. Nostro Signore ha mescolato col sangue il proprio vino, lo ha reso medicamento di vita e lo ha dato a bere. L`innocente (Maria) ha assaggiato ed ha dominato il sale mortale della terra. In paradiso, il peccato ha assalito Eva e quando ella gli ha ceduto l`ha scacciata dal paradiso. Ha dato ascolto al serpente ed ha perso il giardino. Il serpente che non ha piedi ha impedito il passo ad Eva, ma Maria ha servito la madre. La giovane ha portato la vecchia per poter vivere nell`antica dimora. E` morta Eva in tarda età, ma ha generato Maria, tornando così, giovane. La nascita della figlia ha riparato la colpa dell`antica madre. Eva ha nascosto nel nostro feto il fermento della morte e della miseria. Ma è apparsa Maria che ha tolto questo fermento, perché le creature non si corrompessero.
    Dio ha celato le sue onde nella Vergine. Dalla gloriosa è sgorgata la vita. I torrenti hanno risalito i monti, sopra le valli e le voragini. Il Maligno è stato vinto dall`annuncio del Figlio, dinanzi al quale tutti si sono prosternati. A quelli che chiedevano ha rivelato la sua natura, i campi si sono inariditi non potendo sopportare la sua gloria. Quella medicina ha fortificato i ricchi nella grazia, le loro mani l`hanno accolta nel lutto. Le nazioni l`hanno presa, essa ha sanato la ferita prodotta dal serpente.
    Il mare della misericordia ha rotto i suoi argini per lavare le colpe di Zaccheo. La grazia ha vinto la colpa, il colpevole si è sollevato senza subire condanna. Gesú è stato benigno con i peccatori, anche se i nemici lo hanno percosso. Il suo amore è stato quello del pastore che è uscito in cerca della pecorella smarrita (cf. Lc 15,4-7). Egli ha affermato solennemente, perché noi gli credessimo, di non volere la nostra perdizione; quando un peccatore fa penitenza, il Padre e i suoi angeli esultano (cf. Lc 15,7-10).
    Un giorno, ha vietato di persistere nell`odio e nell`ira. Ha voluto renderci simili a lui che tante colpe perdona agli uomini. Essendo egli giusto, ci salva dalla perdizione dandoci a tal fine i mezzi. In cielo, gli angeli tremano davanti a lui, e agli abitanti della terra si permette di vincere.
    Quando le lacrime corrispondono a quello che chiede, egli si lascia commuovere. Tende il suo arco per spaventarci, ma ha pietà e l`arco perde tensione.
    Passando vicino all`albero, ha visto il peccatore, lo ha abbracciato con lo sguardo e si è fermato. Un giorno, per Simone oggi ha gioito per Zaccheo e gli ha ordinato di scendere subito dal sicomoro. Il giusto ha comandato al peccatore di comparire triste davanti al tribunale. Come si sarà rallegrato il colpevole, quando ha incontrato il Giudice misericordioso.
    Quanto piú Zaccheo ha temuto, quanto meno ha osato chiedere il perdono; tanto piú il Signore ha avuto pietà, tanto piú gli ha usato misericordia.
    Giusto e clemente è il Signore, abbiate paura, voi peccatori, ma abbiate fiducia! Perdona le colpe a coloro che fanno penitenza e manda castighi agli ostinati. Per mezzo di Zaccheo, egli ci chiama: guardate al suo amore! Come il pescatore, il Signore getta le reti per potervi prendere in gran numero.
    Ha preso il penitente dall`albero, l`ha trapiantato subito nel suo giardino. Ha visto che come Adamo egli aveva perduto la sua gloria, perciò lo ha vestito di un abito tessuto di misericordia. Lodate il Signore che ha trovato e accolto un peccatore, che altrimenti si sarebbe perduto. Ci ha mostrato con ciò la via della sua misericordia.
    Signore, invece di salire su un albero, io vengo nella tua casa, mi salvi il tuo mistero! Piú grande è la croce che il ramo, si riversi sopra di me la tua misericordia!

    (Cirillona, Hymn. in convers. Zacch., passim)


    2. Zaccheo: il buon uso delle ricchezze

    "Ed ecco un uomo di nome Zaccheo" (Lc 19,2). Zaccheo è sul sicomoro, il cieco è sulla strada. Il Signore ha pietà dell`uno e lo aspetta; nobilita l`altro, onorandolo di una sua visita. Interroga il cieco per guarirlo; si invita a casa di Zaccheo senza essere invitato: sapeva infatti che il suo ospite sarebbe stato largamente ricompensato, e se non gli aveva sentito proferire l`invito con la voce, ne aveva tuttavia sentito il desiderio di farlo...
    Ritorniamo ora nelle grazie dei ricchi: non vogliamo offenderli, in quanto desideriamo, se possibile, guarirli tutti. Altrimenti, impressionati dalla parabola del cammello, e lasciati da parte, nella persona di Zaccheo, prima di quando converrebbe, essi avrebbero un giusto motivo per ritenersi ingiuriati.
    Essi debbono apprendere che non c`è colpa nell`essere ricchi, ma nel non sapere usare delle ricchezze: le ricchezze, che nei malvagi ostacolano la bontà, nei buoni debbono costituire un incentivo alla virtù. Ecco, qui il ricco Zaccheo è scelto da Cristo: ma donando egli la metà dei suoi beni ai poveri, restituendo fino a quattro volte quanto aveva fraudolentemente rubato. Fare soltanto la prima di queste due cose non sarebbe stato sufficiente, poiché la generosità non conta niente, se permane l`ingiustizia: il Signore poi chiede che si doni, non che si restituisca semplicemente ciò che si è rubato. Zaccheo compie ambedue le cose, e perciò riceve una ricompensa molto piú abbondante di quanto ha donato.
    Opportunamente si fa rilevare che costui è il "capo dei pubblicani" (Lc 19,2): chi allora potrà disperare della salvezza, quando si è salvato anche colui che traeva il suo guadagno dalla frode?
    "Ed era ricco", sta scritto (Lc 19,2), affinché impari che non tutti i ricchi sono avari.
    Perché le Scritture non precisano mai la statura di nessuno mentre di Zaccheo si dice che "era piccolo di statura" (Lc 19,3)? Vedi se per caso egli non era piccolo nella sua malizia, o piccolo nella sua fede: egli non aveva ancora promesso niente, quando era salito sul sicomoro; non aveva ancora visto Cristo, e perciò era piccolo. Giovanni invece era grande perché vide Cristo, vide lo Spirito, come colomba, fermarsi su Cristo, tanto che disse: "Ho visto lo Spirito discendere come colomba e fermarsi su di lui" (Gv 1,32).
    Quanto alla folla, non si tratta forse di una turba confusa e ignorante, che non aveva potuto vedere le altezze della Sapienza? Zaccheo, finché è in mezzo alla folla, non può vedere Cristo; si è elevato al di sopra della turba e lo ha visto, cioè meritò di contemplare colui che desiderava vedere, oltrepassando l`ignoranza della folla...
    Cosí vide Zaccheo, che stava in alto; ormai per l`elevatezza della sua fede egli emergeva tra i frutti delle nuove opere, come dall`alto di un albero fecondo...
    Zaccheo sul sicomoro è il nuovo frutto della nuova stagione.

    (Ambrogio, In Luc., 8, 82.84-90)


    3. La risposta di fede alla chiamata di Dio

    L`occhio della fede, che è stato posto nella pupilla della semplicità, riconosce la voce di Dio non appena l`ascolta...
    Tutti coloro che sono stati chiamati hanno obbedito su due piedi alla voce che li invitava, allorché il peso delle cose terrene non si aggrappava alla loro anima. Infatti, i legami del mondo sono un peso per l`intelligenza e per i pensieri, e coloro che ne sono avvinti e impediti difficilmente sentono la voce della chiamata divina.
    Gli apostoli, invece, e prima di loro i giusti e i padri, non erano in queste condizioni: obbedirono come viventi, e ne uscirono leggeri, perché nulla del mondo li appesantiva. Niente può legare e impedire l`anima che ascolta Dio: essa è aperta e pronta, sí che la luce della voce divina, ogniqualvolta si fa presente, la trova in condizione di riceverla.
    Nostro Signore chiamò Zaccheo dal sicomoro sul quale era salito, e subito Zaccheo si affrettò a scendere e lo ricevette nella sua casa: il fatto è che sperava di vederlo e diventare suo discepolo ancor prima di essere stato chiamato. Ed è cosa davvero ammirevole che egli abbia creduto in lui senza che Nostro Signore gli avesse parlato e senza averlo visto corporalmente, ma solo sulla parola di altri: la fede che era in lui era stata custodita nella sua vita e nella sua salute naturali. Egli ha dimostrato la propria fede allorché credette in Nostro Signore sentendolo annunciare; e la semplicità della sua fede è affiorata quando ha promesso di dare la metà dei propri beni ai poveri e di restituire il quadruplo di ciò che aveva frodato.
    In effetti, se l`anima di Zaccheo non fosse stata ripiena in quel momento della semplicità che si addice alla fede, non avrebbe fatto una tale promessa a Gesú e non avrebbe elargito e distribuito in poco tempo quanto il suo lavoro aveva ammassato in lunghi anni. La semplicità spandeva da un lato e dall`altro ciò che la scaltrezza aveva ammucchiato e la purezza dell`anima spargeva ciò che era stato acquisito con i pensieri dell`astuzia; la fede rinunciava a quanto l`ingiustizia aveva trovato e posseduto, e proclamava che non gli apparteneva. Infatti, l`unico bene della fede è Dio e non consente a possedere altro al di fuori di lui; tutti gli altri beni hanno poca importanza per lei, al di fuori di quell`unico bene durevole che è Dio; ed è stata posta in noi per trovare Dio e non possedere che lui, e per vedere che tutto ciò che esula da lui risulta a nostro detrimento.

    (Filosseno di Mabbug, Hom., 4, 77-80)


    4. Il piccolo Zaccheo (Lc 19,1-10)

    Come ha fatto Zaccheo il pubblicano
    non mi sono elevato da questa terra vile
    sullo slanciato albero della sapienza
    per la divina tua contemplazione.

    La corta taglia da spirituale
    non è cresciuta in me con l`opre buone,
    senza posa al contrario è sminuita
    fino a ridurmi al latte dei bambini.

    A ritroso percorrendo la parabola,
    del corpo pravo l`albero ho salito,
    per terragno amore dal soave gusto,
    come Zaccheo, anche lui sul fico.

    Di lì, per la possente tua parola
    fammi scendere in fretta come lui;
    prendi alloggio nella magion dell`anima,
    e con Te, il Padre ed il Consolatore.

    Fa` che il corpo che ha reso torto all`anima
    in servizio il quadruplo le renda,
    e dia metà dei beni corporali
    al mio libero arbitrio impoverito,

    per la parola tua a lei diretta,
    d`ascoltar la tua voce io sia degno,
    essendo io del par figlio di Abramo,
    del Patriarca seguendone la fede.

    (Nerses Snorhalí, Jesus, 668-673)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 05/11/2013 08:06
    XXXII DOMENICA

    XXXII DOMENICA


     


    Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14


    2 Tessalonicesi 2,15; 3,5


    Luca 20,27-38


     


    1. Cristo ci libera dal peccato


     


    "Come abbiamo portato l`immagine dell`uomo terreno, cosí portiamo anche l`immagine dell`uomo che viene dal cielo; poiché il primo uomo, che vien dalla terra, è terreno; l`altro che vien dal cielo, celeste" (1Cor 15,49). Se faremo questo, carissimi, non morremo piú. Anche se questo corpo si corromperà vivremo in Cristo, come dice egli stesso: "Chi crede in me, anche se muore vivrà" (Gv 11,25). Siam dunque certi, sulla parola del Signore che Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti gli altti santi, sono vivi. Di questi stessi dice il Signore: "Son tutti vivi; Dio è Signore dei vivi, non dei morti" (Lc 20,38). E Paolo dice di se stesso: "Cristo è la mia vita, e il morire è un guadagno: vorrei morire e stare con Cristo" (Fil 1,21). E anche: "Nel tempo che stiamo nel corpo, camminiamo lontani dal Signore. Ci guida la fede, non vediamo direttamente" (2Cor 5,6).


    Questa è la nostra fede, fratelli. D`altra parte,"se riponiamo la nostra speranza in questo mondo, siamo piú infelici di tutti gli uomini" (1Cor 15,19). La vita del mondo, come vedete da voi, o è come quella delle pecore, delle fiere, degli uccelli, o anche piú corta. E` invece proprio dell`uomo ciò che Cristo gli ha dato, attraverso il suo Spirito, cioè, la vita eterna; ma se non si pecca piú. Perché come la morte la si acquista col delitto, la si evita con la virtù; cosí la vita la si perde col delitto, la si conserva con la virtù. "Mercede del peccato è la morte; dono di Dio è la vita eterna per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore" (Rm 6,23). Prima di tutto ritenetevi, o figli, gente data un giorno in potere delle tenebre, ma ora liberata per la potenza di Gesú Cristo. E` lui che ci redime"perdonando tutti i peccati e distruggendo la sentenza pronunziata contro di noi per la nostra disobbedienza; l`affisse alla croce; morendo ha trascinato le potenze avverse nel suo trionfo" (Col 2,13-15). Sciolse i prigionieri e spezzò le nostre catene, come dice David:"Il Signore innalza gli sconfitti, scioglie i prigionieri, illumina i ciechi" (Sal 145,7). E anche: "Hai spezzato le mie catene, ti benedirò" (Sal 115,16). Liberati dunque dalle catene, per il Battesimo, rinunziamo al diavolo, al quale avevamo servito; perché, una volta liberati dal sangue di Cristo, non serviamo piú al diavolo. Che se qualcuno, dimenticando la sua redenzione, tornasse al servizio del diavolo e alle debolezze del mondo, sarà di nuovo legato con le antiche catene e le sue condizioni saranno peggiori di prima (cf. Lc 11,26) perché il diavolo lo legherà piú strettamente... Dunque, carissimi, una volta sola ci laviamo, una volta sola siamo liberati, una volta sola entriamo nel regno immortale; una volta sola "son felici coloro i cui peccati furono perdonati" (Sal 31,1). Stringete forte ciò che avete avuto, conservatelo bene, non peccate piú. Conservatevi puri dal peccato e immacolati per il giorno del Signore. Son grandi e immensi i premi preparati per chi è fedele; premi che "né occhio mai vide, né orecchio udí, né mai alcuno ha immaginato" (1Cor 2,9). Aspirate a questi premi con azioni di giustizia e con desideri spirituali. Amen.


     


    (Paciano di Barcellona, Sermo de Baptismo, 6 s.)


     


     


    2. La nostra fede nella risurrezione dei morti


     


    Al pari di queste cose dette, ammettete almeno la nostra testimonianza, piú di loro credenti, in Dio, noi che attendiamo di rivestire i nostri corpi, anche se abbandonati senza vita alla terra, dal momento che nulla è impossibile a Dio.


    E a ben pensarci, cosa potrebbe apparirci piú credibile - se noi non possedessimo un corpo - del sentirci dire che da una piccola stilla dell`umano sperma possano derivare ossa e nervi e carni formate all`immagine che vediamo? Se, in via di ipotesi, voi non esisteste così fatti né così generati, e uno vi assicurasse categoricamente, mostrandovi da una parte il seme umano e dall`altra una immagine dipinta, che questa essere prodotta da quello, se non vedeste in atto la cosa, la credereste? No; nessuno ardirebbe contestarlo!


    Orbene, è per la stessa ragione che, per non averlo ancora visto, non credete al risorgere dei morti. Senonché, come inizialmente non avreste creduto possibile che da una piccola stilla originassero creature siffatte - eppure le vedete prodotte -, cosí dovete ammettere la non impossibilità che i corpi umani andati in dissoluzione e scompostisi a guisa di semi sulla terra, a tempo debito, per ordine di Dio, risorgano e si vestano dell`incorruttibilità (cf. 1Cor 15,53).


    Quale potenza di Dio è in grado di concepire chi afferma il ritorno degli esseri allo stato da cui sorsero e la contemporanea impotenza di Dio a trascendere questa legge, è difficile poterlo stabilire; una cosa però va rilevata, che costui non avrebbe creduto mai il potersi generare esseri - e da quali elementi! - simili a se stesso e al mondo quale egli lo vede. Meglio credere perciò in cose impossibili agli uomini e alla natura, anziché non credervi al pari degli altri, ricordando l`insegnamento del nostro Maestro Gesú Cristo: "Ciò che è impossibile presso gli uomini è possibile presso Dio" (Mt 19,26; Mc 10,27; Lc 18,27). Disse pure: "Non temete quelli che uccidono il corpo e poi non possono fare altro; temete piuttosto colui che dopo avere ucciso il corpo ha il potere di gettarvi, anima e corpo, nella Geenna" (Lc 12,45; cf. 2Cor 5,4). La Geenna è il luogo dove andrà punito chi vive nell`iniquità e non crede alla realizzazione di quanto Dio ha insegnato per mezzo di Cristo.


     


    (Giustino, I Apol., 18-19)


     


     


    3. La coscienza della risurrezione


     


    Se la risurrezione dei morti per te non esiste, perché condanni i violatori dei sepolcri? Se il corpo si dissolve e la risurrezione è senza speranza, perché chi viola il sepolcro incorre in una pena? Vedi che anche se tu neghi con le labbra, rimane piena in te la coscienza della risurrezione.


    Un albero abbattuto rifiorisce e l`uomo abbattuto non rifiorisce? Ciò che è stato seminato e mietuto rimane sull`aia e l`uomo reciso da questo mondo non rimane sull`aia? I tralci della vite e i rami degli alberi completamente tagliati, trapiantati ricevono la vita e portano frutto, l`uomo, poi, per il quale le piante esistono, una volta sotterrato non risorgerà? Al confronto delle fatiche, quale è piú grande, plasmare una statua che da principio non c`era, o rifare di nuovo con la stessa forma una che si era rotta? Dio che ci fece dal nulla, non potrà di nuovo far risorgere quelli che c`erano e sono morti?


    Ma tu non credi a quanto è scritto sulla risurrezione perché sei greco. Contempla dalla natura questo e rifletti sulle cose che sino ad oggi si vedono. Si semina il frumento, se piace, o qualsiasi genere di semi. Appena cade, come se morisse, va in putrefazione ed è inutile al nutrimento. Ma quello putrefatto risorge verdeggiante e caduto piccolo risorge bellissimo. Il frumento è fatto per noi. Per il nostro uso il frumento e i semi sono fatti, non per se stessi. Quelle cose che per noi sono state create, morte rivivono, e noi, motivo per i quali esse vivono, morti non risorgeremo?


    E` tempo d`inverno, come vedi. Gli alberi sono come morti. Dove ora le foglie del fico? Dove i grappoli della vite? Nell`inverno questi sono morti e nella primavera verdeggianti e quando viene il tempo, allora, come dalla morte, rinasce la forza della vita. Dio guardando la tua infedeltà in queste cose fenomeniche opera ogni anno la risurrezione perché, vedendo ciò nell`inanimato, lo ritieni anche sull`animato.


     


    (Cirillo di Gerus., Catech., 18, 5-7)


     


     


    4. Attendiamo il giorno della risurrezione


     


    Come è simile il morto a colui che si è addormentato, la morte al sonno, la risurrezione al mattino!


    Un giorno splenderà in noi la verità come luce nei nostri occhi, guarderemo la morte come immagine del sonno che desta inquietudine.


    Folle chi vede che il sonno finisce la mattina, e crede che la morte sia un sonno che dovrà durare in eterno!


    Se la speranza ravviva i nostri occhi, vedremo ciò che è nascosto: il sonno della morte finirà un mattino.


    Svanirà il meraviglioso profumo del tesoro della vita nel corpo, nella dimora dell`anima, donde era uscito.


    Bellissimo sarà il corpo, diletto tempio dello Spirito, rinnovato si muterà nella casa della beata pace.


    Allora squillerà la tromba sulle sorde arpe: «Svegliatevi, cantate gloria davanti allo Sposo! «.


    Si sentirà un`eco di voci quando si apriranno i sepolcri, tutti prenderanno le arpe per suonare il canto di lode.


    Sia ringraziato il Signore che ha esaltato Adamo, anche se poi il superbo l`ha umiliato nel baratro!


    Gloria a lui quando umilia, gloria a lui quando risuscita. Anche la cetra suoni a Dio nel giorno della risurrezione!


     


    (Efrem, Carmen Nisib., 70)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 15/11/2013 08:09
    XXXIII DOMENICA

    XXXIII DOMENICA


     


    Letture: Malachia 4,1-2a


    2 Tessalonicesi 3,7-12


    Luca 21,5-19


     


    1. Abuso dei beni. Dio aiuta i perseguitati. La pazienza


     


    Riduciamo a strumento di colpa tutto ciò che abbiamo ricevuto quale mezzo di vita; ma ciò che riduciamo a strumento di peccato, ci sarà cambiato in strumento di pena. Riduciamo la tranquillità della pace a strumento di vana sicurezza, il viaggio terreno lo prendiamo come domicilio in patria, la salute del corpo ci serve per fomentare i vizi; l`abbondanza dei mezzi non l`usiamo per le necessità del corpo ma per la perversione dei piaceri; perfino la serena dolcezza dell`aria l`abbiamo forzata a servire ai piaceri terreni. E` giusto, dunque, che tutte le cose ci puniscano, poiché le abbiamo asservite tutte ai nostri vizi, in modo che quanti sono stati i piaceri di cui abbiamo goduto in questa vita, tanti saranno poi i tormenti cui saremo sottoposti nell`altra vita...


    Al sentir tante cose terrificanti, si sarebbero turbati gli animi deboli, perciò il Signore dice subito: "Mettetevi bene in mente di non preoccuparvi di come rispondere. Vi darò sapienza e bocca cui non potrà resistere nessuno dei vostri avversari" (Lc 21,14). Come se volesse dire: Non vi spaventate, non temete; voi scenderete in campo, ma sarò io a combattere; voi muoverete la lingua, ma sarò io a parlare. E aggiunge:"Sarete traditi dai genitori, fratelli, parenti, amici, e sarete uccisi" (Lc 21,16). I mali inflitti da estranei recano minor dolore. Ci fanno piú male le pene che vengono da quelli che credevamo ci volessero bene, perché al male del corpo si aggiunge il dolore dell`amicizia perduta...


    Ma perché è duro ciò che dice dell`afflizione, della morte, il Signore soggiunge subito l`idea della risurrezione, dicendo: "Eppure neppure un capello del vostro capo andrà perduto" (Lc 21,18). Sappiamo, fratelli, che un taglio nella carne fa male, il taglio del capello non fa male. E il Signore dice ai suoi martiri: "Non cadrà neppure un capello dal vostro capo", volendo significare: Perché temete di perdere un membro che fa male, se lo tagliate, quando c`è una promessa che neanche ciò che al taglio non duole sarà perduto? Continua: "Se saprete resistere, vi salverete" (Lc 21,19). La salvezza dell`anima è riposta nella virtù della pazienza, perché la fonte e la protezione di tutte le virtù è la pazienza. Attraverso la pazienza diventiamo padroni della nostra vita, perché quando impariamo a dominar noi stessi, allora davvero cominciamo ad essere padroni di ciò che siamo. Ma la pazienza è non solo tollerare i mali che ci vengono dagli altri, ma anche non sentirsi mordere contro colui che è causa del male. Perché se uno sopporta solo in silenzio il male ricevuto, ma desidera che si faccia giustizia, questi non ha pazienza la mostra soltanto. E` scritto, infatti: "La carità è paziente, è benigna" (1Cor 13,4). E` paziente, perché sopporta i mali che vengono dagli altri, ed è benigna, perché ama coloro che sopporta. Perciò la Verità dice: "Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano" (Mt 5,44). Per gli uomini è virtù tollerare i nemici, per Dio è virtù amarli; Dio accetta solo questo sacrificio, cui dà fuoco innanzi ai suoi occhi, sull`altare delle buone opere, la fiamma della carità.


    Bisogna poi sapere che a volte sembriamo pazienti solo perché siamo incapaci di rifarci. Ma chi non si vendica, perché non vi riesce, certo non è paziente; perché la pazienza non sta nell`apparenza, ma nel cuore. Il vizio dell`impazienza poi sciupa perfino la dottrina, che è la radice delle virtù. Sta scritto, infatti: "La dottrina dell`uomo forte la si vede nella pazienza" (Pr 19,11). Tanto meno, dunque, uno si rivela dotto, quanto meno si dimostra paziente. Non può, infatti, dar veramente dei beni, colui che non sa sopportare il male. E quale sia il valore della pazienza, lo dice la parola di Salomone: "Il paziente val piú dell`uomo forte, e chi domina il suo animo, vale piú di un conquistatore di città" (Pr 16,32). E` minor vittoria espugnare una città, perché i nemici vinti qui son fuori. La vittoria della pazienza è piú grande, perché qui è l`animo che supera se stesso, quando lo abbatte nell`umiltà della tolleranza.


     


    Bisogna sapere anche un`altra cosa, che accade spesso ai pazienti. Ed è che, nel momento che sopportano un`avversità o sentono un`ingiuria, non soffrono nessun dolore, e così hanno pazienza e nutrono anche buoni sentimenti. Ma poi, quando ripensano a ciò che gli è stato fatto si sentono stimolati da un fuoco fortissimo, cercano motivi di vendetta e perdono, nel ripensamento, tutta la mansuetudine che ebbero prima. E` che il nostro astuto avversario combatte contro due: uno lo eccita, perché faccia l`insulto; l`altro, l`offeso, lo provoca alla vendetta. Ma una volta ottenuta la vittoria contro quello che ha fatto l`ingiuria, si muove con tutte le sue forze contro l`altro che non poté spingere a restituire l`offesa. E poiché non riuscí ad eccitarlo nel momento in cui egli fu ingiuriato, si ritira per il momento dal campo e cerca il modo d`ingannarlo nel segreto del pensiero; vinto sul campo di battaglia, mette tutto il suo impegno a costruire occulte insidie. In un momento di pace torna nell`animo del vincitore e richiama alla sua memoria o il danno subito o le frecciate delle ingiurie; esagera tutto, fa vedere tutto intollerabile e turba l`animo con tanto furore, che quell`uomo, generalmente paziente, si vergogna d`aver lasciato passar la cosa impunemente, si duole di non aver restituito l`ingiuria e cerca l`occasione di farla pagare piú cara. A chi posso assimilare costoro, se non a quelli che, dopo aver vinto con la loro forza sul campo, si fanno poi vincere in casa per negligenza? A chi li paragonerò, se non a dei tali che non si fecero uccidere da una grave malattia, e poi morirono per una febbricciola insistente? E` dunque veramente paziente colui che in un primo tempo sopporta senza dolore i mali che riceve, ma sa poi anche, quando ci ripensa, gioire di quanto ha sopportato.


     


    (Gregorio Magno, Hom., 35, 1.3-6)


     


     


    2. Annuncio degli ultimi tempi


     


    "Non rimarrà pietra su pietra che non sia distrutta" (Lc 21,6).


    Segiuva l`argomento relativo alla vedova; ma siccome ne abbiamo già parlato nel libro che abbiamo scritto sulle vedove (cf. Lc 21,1-4), tralasciamo il commento di questo passo.


    Quanto alle parole che dice ora, esse rispondevano a verità per il tempio costruito da Salomone, e che per primo doveva essere distrutto dal nemico all`epoca del giudizio: non c`è infatti opera umana che la vetustà non corrompa, o che la violenza non distrugga, o che il fuoco non consumi. Ma c`è anche un altro tempio, costruito di belle pietre e ornato di doni, di cui il Signore sembra indicare la distruzione: la sinagoga dei Giudei, il cui invecchiato edificio va in rovina al sorgere della Chiesa. E c`è anche un tempio in ciascuno di noi, che crolla se viene a mancare la fede; soprattutto quando si ostenta il nome di Cristo per impadronirsi dei sentimenti interiori.


    Può darsi che questa interpretazione sia la piú utile per me. Che mi gioverebbe, infatti, conoscere il giorno del giudizio? A che mi serve, avendo io coscienza di tutti i miei peccati, che il Signore venga, se non viene nella mia anima, se non torna nel mio spirito, se Cristo non vive in me e non parla in me? E` a me che Cristo deve venire, è per me che deve realizzarsi il suo avvento. Orbene, il secondo avvento del Signore ha luogo alla fine del mondo, allorché noi possiamo dire: "Per me il mondo è crocifisso, e io per il mondo" (Gal 6,14).


    Se la fine del mondo trova quest`uomo sul tetto della sua casa (cf. Mt 24,17), e tale che la sua vita sia nei cieli (cf. Fil 3,20), allora sarà distrutto il tempio corporale e visibile, la legge corporale, la pasqua corporale, la pasqua visibile, gli azzimi corporali e visibili; e oso dire anche il Cristo temporale, quale egli era per Paolo prima che l`Apostolo credesse (cf. Gal 6,14): Cristo infatti è eterno per colui che è morto al mondo; per costui il tempio, la legge, la pasqua sono spirituali, poiché Cristo muore una sola volta (cf. Rm 7,14); costui mangia gli azzimi (cf. 1Cor 5,8), non provenienti dai frutti della terra, ma da quelli della giustizia. Per lui si realizza la presenza della sapienza, la presenza della virtù e della giustizia, la presenza della redenzione: infatti "Cristo è morto una sola volta per i peccati" (1Pt 3,18) del popolo, ma allo scopo di riscattare ogni giorno il popolo dai suoi peccati.


     


    (Ambrogio, In Luc., 10, 6-8)


     


     


    3. Distaccatevi dal mondo, per non essere coinvolti nella sua rovina


     


    Sentiamo che cosa venga ordinato ai predicatori, che il Signore mandò: "Camminando, annunziate che il regno dei cieli è vicino" (Mt 10,7). Questa vicinanza del regno dei cieli, fratelli carissimi, anche se il Vangelo non ne parlasse, la proclama il mondo. Le rovine sono le voci che la proclamano. Questo mondo, infatti, caduto dalla sua gloria, stritolato da colpi, ci mostra quasi un altro mondo che sta per venire. Esso è già divenuto amaro a quelli che lo amano. Le sue rovine gridano ch`esso non deve essere amato. Se, infatti, una casa minacciasse rovina, tutti quelli che vi abitano scapperebbero; e colui che pur l`aveva amata, mentre stava in piedi, si affretterebbe ad allontanarsene con la piú grande fretta, se la vedesse cadere. Se, dunque, il mondo cade e noi lo abbracciamo con amore, piú che abitare in esso noi vogliamo esserne oppressi, perché non ci sarà nulla che potrà distinguerci dalla sua rovina, se c`è un amore che ci lega alle sue passioni. Sarebbe facile, invece, ora che vediamo tutto distrutto, distaccare il nostro animo dal suo amore.


     


    (Gregorio Magno, Hom., 4, 2)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 20/11/2013 07:23
    XXXIV DOMENICA: SOLENNITA` DI CRISTO RE

    Letture: 2 Samuele 5,1-3
    Colossesi 1,12-20
    Luca 23,35-43


    1. Il paradiso aperto a un ladro

    Vuoi vedere un`altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il paradiso, ch`era chiuso da piú di cinquemila anni. In un giorno e in un`ora come questa, vi portò un ladro e cosí fece due cose insieme: aprí il paradiso e v`introdusse un ladro. In questo giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l`ha fatta casa di tutto il genere umano, poiché dice: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o quando scaccia i demoni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto di sputi e d`insulti, riesce a cambiar l`animo d`un ladro, perché tu possa scoprire la sua potenza. Ha spezzato le pietre e ha attirato l`anima d`un ladro, piú dura della pietra e l`ha onorata, perché dice: "Oggi sarai con me in paradiso". Sí, c`eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c`è il Signore dei Cherubini. Sí, c`era una spada fiammeggiante, ma questi è il padrone della vita e della morte. Sí, nessun re condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L`ha fatto Cristo, tornando nella sua patria, v`introduce un ladro, ma senza offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d`un ladro, accrescendone anzi l`onore; è onore, infatti, del paradiso avere un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del paradiso. Quando infatti egli introduceva pubblicani e meretrici nel regno dei cieli, ciò non era a disonore, ma a grande onore, perché dimostrava che il padrone del paradiso era un cosí gran Signore, che poteva far di pubblicani e meretrici persone cosí rispettabili, da meritare l`onore del paradiso. Come, infatti, ammiriamo maggiormante un medico, quando lo vediamo guarire le piú gravi e incurabili malattie, cosi è giusto ammirare Gesú Cristo, quando guarisce le piaghe e fa degni del cielo pubblicani e meritrici. Che cosa mai fece questo ladro, dirai, da meritar dopo la croce il paradiso? Te lo dico subito. Mentre per terra Pietro lo rinnegava, lui in alto lo proclamava Signore. Non lo dico, per carità, per accusare Pietro; ma voglio rilevare la magnanimità del ladro. Il discepolo non seppe sostenere la minaccia d`una servetta; il ladro tra tutto un popolo che lo circondava e gridava e imprecava, non ne tenne conto, non si fermò alla vile apparenza d`un crocifisso, superò tutto con gli occhi della fede, riconobbe il Re del cielo e con l`animo proteso innanzi a lui disse: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno" (Lc 23,42). Per favore, non sottovalutiamo questo ladro e non abbiamo vergogna di prendere per maestro colui che il Signore non ebbe vergogna di introdurre, prima di tutti, in paradiso; non abbiamo vergogna di prender per maestro colui che innanzi a tutto il creato fu ritenuto degno di quella conversazione che è nei cieli; ma riflettiamo attentamente su tutto, perché possiamo penetrare la potenza della croce. A lui Cristo non disse, come a Pietro: "Vieni e ti farò pescatore d`uomini" (Mt 4,19), non gli disse, come ai Dodici: "Sederete sopra dodici troni per giudicare le dodici tribú d`Israele" (Mt 19,28). Anzi neanche lo degnò d`una parola, non gli mostrò un miracolo; lui non vide un morto risuscitato, non demoni espulsi, non il mare domato; eppure lui innanzi a tutti lo proclamò Signore e proprio mentre l`altro ladro lo insultava...
    Hai visto la fiducia del ladro? La sua fiducia sulla croce? La sua filosofia nel supplizio e la pietà nei tormenti? Chi non si meraviglierebbe che, trafitto dai chiodi, non fosse uscito di mente? Invece non solo conservò il suo senno, ma abbandonate tutte le cose sue, pensò agli altri e, fattosi maestro, rimproverò il suo compagno: "Neanche tu temi Dio?" (Lc 23,40). Non pensare, gli dice, a questo tribunale terreno; c`è un altro giudice invisibile e un tribunale incorruttibile. Non t`affannare d`essere stato condannato quaggiú; lassú non è la stessa cosa. In questo tribunale i giusti a volte son condannati e i malvagi sfuggono la pena; i rei vengono prosciolti e gl`innocenti vengono giustiziati. Infatti i giudici, volenti o nolenti, spesso sbagliano; poiché per ignoranza o inganno o per corruzione possono tradire la verità. Lassú è un`altra cosa. Dio è giudice giusto e il suo giudizio verrà fuori come la luce, senza tenebre e senza ignoranza...
    Vedi che gran cosa è questa proclamazione del ladro? Proclamò Cristo Signore e aprí il paradiso; e acquistò tanta fiducia, che da un podio di ladro osò chiedere un regno. Vedi di quali beni la croce è sorgente? Chiedi un regno? Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare? In faccia hai una croce e dei chiodi, ma la croce, egli dice, è simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è proprio del re morire per i suoi sudditi. Questo stesso disse: "Il buon pastore dà la vita per le sue pecore" (Gv 10,11). Dunque, anche un buon re dà la vita per i sudditi. Poiché dunque diede la sua vita, lo chiamo Re. "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno".

    (Giovanni Crisostomo, Hom. de cruce et latrone, 2 s.)


    2. Inno di adorazione della Croce

    Quel Legno tre volte benedetto,
    Quel dono che arrecava la vita
    Fu dall`Altissimo in mezzo al paradiso
    Piantato perché Adamo vi trovasse,
    Eterno, la vita senza morte.

    Ma questi non cercò di riconoscere
    La vita che in dono gli era data,
    Se la lasciò sfuggire inoculato
    E assaporò la morte (cf. Gen 2,9; 3,22).

    Per contro, il ladro nel veder la pianta
    Felicemente dall`Eden trapiantata
    Sul Golgota, la vita riconobbe
    Insita in essa, entro di sé dicendo:
    «Questo un dí perdette l`antenato mio».

    Infatti, quand`egli sul Legno fu innalzato,
    Giustificato dalla confessione della fede
    Allor si apriva l`occhio del suo cuore (cf. Gen 3,7);
    E le delizie contemplò dell`Eden.

    Al centro vide splender la figura
    Che della Croce gli parea sembiante.
    Per lui io sono di lassú disceso,
    Nell`amor mio per l`uomo;
    Per misericordia volli riscattar suo seme.

    Per lui maledizione mi son fatto,
    Dalla Maledizion traendo Adamo e i suoi.
    Dal legno la trasgression s`impose
    All`antenato e per sua cagion dall`Eden

    Da malfattore venne un dí scacciato;
    Or vi rientra grazie al Legno della vita.
    Pur tu, primo, rientravi con lui.
    Quando erede nel Regno tuo sarai,
    Chiama i mortali e accoglivi i fedeli:

    Oggi, infatti, con me tu v`entrerai,
    Con me nel paradiso in grande gioia
    Oggi entrerai...

    Il ladro a tali ordini obbedendo,
    Come il tutto Misericordia aveva detto,
    L`emblema della grazia sulle spalle pose;
    Nel proceder il dono della Croce celebrava
    E cantava ininterrotto un canto nuovo (cf. Sal 32,3):

    «Tu dell`anime infeconde sei l`innesto,
    Tu sei l`aratro, util strumento che purifica il pensiero,
    Sana radice della vita mia risorta,
    Di castigo la verga che colpisce Adamo

    Nemico, e riapri la porta di delizie
    D`Adamo un tempo dalla colpa chiusa,
    Colpa da lui commessa in paradiso.
    Vita totale in grazia ci hai donato,
    O Legno per tre volte benedetto,

    A me e all`uman specie che il possesso
    Han di tua grazia. Il vincastro tu sei
    Che conduce alla vita i peccatori
    Pronti ad accoglierti in intima dimora;

    Come ventilator sei rivelato
    Che la paglia, abile, sull`aia disperde
    E sul fuoco Si getta mentre il grano
    In granai capienti si raccoglie.
    Tu degli Ebrei sei il giogo

    Domatore che quei selvaggi frena.
    Tu per la barca della santa Chiesa,
    Che in Cristo siede, sei il divino remo
    Che dritto al paradiso l`alme mena,

    Giuste e fedeli...».

    (Romano il Melode, Hymm., 39, 1-4.6 s.)


    3. Vexilla Regis prodeunt

    Del Re s`avanza il vessillo,
    brilla il mistero della Croce
    su cui la Vita soffrí la morte,
    e con la morte diede la vita.

    Egli, ferito
    da crudel punta di lancia,
    per lavarci dalle macchie dei peccati,
    fece sgorgare acqua e sangue.

    Compiuto è quello che profetò
    David con fedele carme
    dicendo alle nazioni:
    Dio regnò dal legno.

    Albero leggiadro e splendido,
    ornato della porpora del Re,
    scelto come degno sostegno
    a toccare membra sí sante.

    O te beata, dalle cui braccia
    pendé il prezzo del mondo,
    divenuta bilancia del corpo,
    che strappò la preda all`inferno.

    O Croce, unica speranza, salve!
    In questo tempo di passione
    accresci la grazia ai giusti,
    togli i peccati ai rei.

    Te, o Trinità, fonte di salute,
    lodi ogni spirito;
    a coloro ai quali doni la vittoria della Croce,
    aggiungi il premio. Cosí sia.

    (Venanzio Fortunato, Vexilla Regis prodeunt)


    4. Crux fidelis

    O Croce sempre fedele,
    sei l`unico albero glorioso.
    Nessuna selva ne produce uguali,
    per fronde, fiori e ceppo.

    Amato legno, che regge
    i dolci chiodi e il dolce Peso.
    Ogni lingua canti la corona di vittoria
    di una lotta gloriosa,
    e proclami del trofeo della Croce
    il famoso trionfo:
    poiché il Redentore del mondo,
    benché immolato, ha vinto.

    Del primo uomo ingannato,
    quando assaggiò il frutto proibito
    e precipitò nella morte,
    ha avuto pietà il Creatore:
    e fin da allora ha stabilito che un albero
    riparasse il danno dell`altro albero.

    Il disegno della nostra salvezza
    comportava questa impresa:
    che la sapienza divina superasse la scienza
    del traditore sempre operante;
    e cosí traesse la salute
    da dove il nemico aveva recato il danno.

    E quando si compí il tempo
    prestabilito da Dio,
    fu inviato dal seno del Padre
    il Figlio, creatore del mondo:
    ed egli venne tra noi incarnato
    dal seno della Vergine.

    Fa udire la sua voce il Bambino
    dato ana luce nella misera stalla;
    la vergine Madre avvolge e ricopre
    con panni le piccole membra,
    e cosí con strette fasce
    a Dio cinge le mani e i piedi.

    Compiuti ormai i trenta anni,
    terminata la vita mortale,
    liberamente alla passione
    si offre il Redentore:
    l`Agnello sul tronco della Croce
    viene innalzato per il sacrificio.

    Abbeverato di fiele, cade in agonia:
    spine, chiodi e lancia
    hanno trafitto l`amabile corpo
    e ne sgorgano acqua e sangue:
    è un torrente che deterge
    terra, mare, cielo e mondo.

    Piega i rami, albero svettante,
    allenta le tue fibre tese;
    quella rigidità si fletta
    che la natura ti ha dato:
    e tendi con morbido tronco
    le membra del Re celeste.

    O albero, tu solo sei stato degno
    di essere altare alla vittima per il mondo,
    e di essere l`arca porto di salvezza
    per il mondo in naufragio:
    tu, cosparso del sangue prezioso
    versato dal corpo dell`Agnello.

    Alla Trinità beata
    sia gloria sempiterna,
    uguale al Padre e al Figlio:
    e allo Spirito sia pari onore;
    all`Uno in tre Persone
    dia lode l`universo. Amen.

    (Venanzio Fortunato, Crux Fidelis)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 27/11/2013 10:39
    L'anno liturgico C si è concluso e con esso abbiamo terminato l'inserimento dell'intero ciclo di brani patristici adatti per la liturgia festiva.

    Per poter leggere i brani patristici festivi per l'anno liturgico A, già inseriti,  vedere a questo link, cercando  post relativo alla domenica di riferimento:

    SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno A)
2