00 09/10/2012 11:26
Il Consiglio di Stato blocca il decreto del Tesoro per l'applicazione dell'Imu sugli enti non commerciali, e quindi anche sulla Chiesa. Il decreto, secondo i giudici di Palazzo Spada, in molte parti "esula" dalle competenze che erano state affidate dalla legge e inoltre affida a criteri troppo eterogenei la determinazione delle attività che possono essere agevolate rispetto dall'imposta. Non è dunque una pronuncia di merito sul fatto che anche la Chiesa debba pagare l'Imu, ma c'è quanto basta per fermare il percorso del decreto in attesa di "contromisure" e correttivi da parte del governo.

Nella sentenza si legge che "non è demandato al ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell'esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali". Il provvedimento del governo prevede l'estensione dell'imposta a tutti quei beni immobili di proprietà della Chiesa non destinati al culto in maniera esclusiva.

Il ministero dell'Economia, con il decreto sull'Imu per la Chiesa, è andato oltre i poteri regolamentari che gli erano conferiti espressamente dalla legge. Questa è in sostanza la critica del Consiglio di Stato nel parere ufficiale reso noto oggi dopo le anticipazioni di Repubblica dei giorni scorsi 1. Ora il Tesoro dovrà rispondere entro fine anno dal momento che la legge prevede il via alla applicazione dell'imposta dal 1° gennaio 2013.

"Trattandosi di un decreto ministeriale - si legge nel parere - il potere regolamentare deve essere espressamente conferito dalla legge e, di conseguenza, il contenuto del regolamento deve essere limitato a quanto demandato". Deve invece "essere rilevato - fa notare il Consiglio di Stato - che parte dello schema in esame è diretta a definire i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attività come svolte con modalità non commerciali. Tale aspetto esula - si sottolinea nel parere - dalla definizione degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale in caso di utilizzazione dell'immobile mista 'c.d. indistinta' e mira a delimitare, o comunque a dare una interpretazione, in ordine al carattere non commerciale di determinate attività".

E ancora: "L'amministrazione - scrivono i giudici - ha compiuto alcune scelte applicative, che non solo esulano dall'oggetto del potere regolamentare attribuito, ma che sono state effettuate in assenza di criteri o altre indicazione normative atte a specificare la natura non commerciale di una attività". Il Consiglio di Stato, dunque, non solo solleva una questione di competenze violate, ma critica anche l'"eterogeneità" dei criteri utilizzati per le convenzioni con lo Stato per le attività erogate dalle onlus in campo sanitario, culturale o sportivo.

Infatti, elencano i giudici dell'organo supremo della giustizia amministrativa, per stabilire i criteri di convenzione, "in alcuni casi è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri il criterio dell'importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche)". Non spetta al Consiglio di Stato stabilire se questo modo di procedere sui criteri sia corretto, ma "la loro diversità e eterogeneità rispetto alla questione dell'utilizzo misto", secondo i giudici, "conferma che si è in presenza di profili che esulano dal potere regolamentare in concreto attribuito".

Per i giudici amministrativi "tali profili potranno essere oggetto di un diverso tipo di intervento normativo o essere lasciati all'attuazione in sede amministrativa sulla base dei principi generali dell'ordinamento interno e di quello dell'Unione europea in tema di attività non commerciali".

Fonte

Qui invece troverete i pro e i contro

Mauro