Poeti della Luce Forum Comunità virtuale di poeti e scrittori dilettanti

"SGUARDI" - Riflessioni quotidiane di Laura Bosio

  • Messaggi
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 03/12/2012 11:16


    Come un mosaico



    Le parole di viaggio non formano, tutte insieme, quell'«oceano dipinto» di cui diceva Coleridge? Tonino Repetto lo ha suggerito componendo un mosaico a più voci, pubblicato su Kurz, periodico dei Presìdi del libro di Vercelli e del Piemonte. I testi, che insieme costruiscono un racconto, sono seguiti dall'elenco dei libri da cui sono tratte le citazioni. Ma è il mosaico senza nomi che precede a raggiungere lo scopo: quello di narrare una storia in cui tutti ci riconosciamo, un «viaggio dei viaggi» sotto un titolo magnifico. Ecco qualche tessera. «La fredda e umida brezza notturna soffiò, un gabbiano volò in alto stridendo, noi lanciammo col cuore pesante tre evviva e ci tuffammo ciecamente come il Fato nell'Atlantico deserto … Bene, siamo in viaggio … Noi lasciammo la città equatoriale / Verso l'inquieto mare notturno / Andavamo andavamo, per giorni e per giorni … Appare la città grigia e velata… Poi fuggii. Mi persi nel tumulto delle città colossali… Per le strade / strette oscure misteriose … Camminavo, camminavo nell'amorfismo della gente … Via dal tanfo / Via dal tanfo e per le strade / E cammina e via cammina / Già le case sono più rade … Si calmi. Dove vuole mai andare? … Abbiamo ancora un po' di strada da fare … E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare …».


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 05/12/2012 10:05



    La ragione e la polvere



    Cammino sul marciapiede in una strada laterale della circonvallazione esterna, piuttosto tranquilla alle quattro del pomeriggio. Ma di colpo, un botto. Qualche passo più avanti, a un incrocio due auto si sono inspiegabilmente scontrate. Mi avvicino, i cofani delle parti anteriori sono un po' ammaccati, per terra ci sono vetri di fanale e pezzi di paraurti. Nessuna conseguenza per i guidatori e per i passeggeri, quattro uomini e una donna, che scendono dalle auto incolumi. Subito però cominciano ad alzare la voce, gesticolando come se volessero passare alle mani. Urlano, si insultano, uno degli uomini agita sotto il naso degli altri un dito che si sarebbe gonfiato, la donna risponde togliendosi una scarpa ed esibendo il tacco rotto. Niente di più, e anche loro se ne rendono conto. A poco a poco le voci si abbassano, i gesti si fanno più misurati. Alla fine tutti parlano in modo pacato, appoggiati ai cofani un po' ammaccati riempiono i moduli per la constatazione amichevole dell'incidente, si accendono reciprocamente le sigarette. Mi chiedo quanto tempo ci serva perché la ragionevolezza prenda il sopravvento. E quante volte la violenza esploda perché non c'è stato lo spazio per riprendere il controllo. I minuti necessari per rientrare in noi ed evitarci di sollevare inutile polvere di parole.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 06/12/2012 10:48


    A quanto sembra



    Sembra che un treno si sia fermato per permettere il trasbordo di un uomo colpito da infarto. Sembra che molti passeggeri abbiano inveito contro il conduttore del treno chiedendogli di proseguire. Sembra che davanti alle spiegazioni dei ferrovieri abbiano risposto chissenefrega. Sembra che un ragazzo abbia scaraventato addosso al conduttore lo zaino con i libri minacciando di fargli causa se non fosse riuscito a dare l'esame che avrebbe dovuto sostenere quella mattina. Sembra che una donna si sia accasciata sul sedile, mezzo svenuta, dopo avere strillato per un quarto d'ora i fatti suoi. Sembra che una bambina si sia messa a piangere. Sembra che le primarie, le elezioni, cambiare il nome ai partiti, ridurre lo spread, controllare la spending review, approvare nuove norme anticorruzione: sembra che tutto questo rischi di servire a poco, se prima non si ritrova il senso della comunità. Se non si recupera la disponibilità a dare senso alle cose al di là dell'utilità immediata, se non ci si riappropria di una virtù modesta e sicura, la serietà, attualmente sostituita dal voler far passare tutto per gioco, per burla, chiudendo gli occhi, sottovalutando, sopravvalutando, tirando a campare. Se ciascuno non capisce una cosa semplice: che quell'uomo infartuato la prossima volta potrebbe essere lui.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 07/12/2012 11:36

    Folla di voci


    Siamo frastornati di parole, ovunque e comunque. Persino sul silenzio, che invochiamo come una liberazione, non facciamo che parlare. Affoghiamo nelle parole, sostenendo tutto e il contrario di tutto, magari nell'arco di pochi mesi, o giorni. Viene da pensare a Lord Chandos, il personaggio del racconto omonimo di Hugo von Hofmannsthal, e alla sua Lettera: un manifesto, ha scritto Claudio Magris, «del deliquio della parola e del naufragio dell'io nel convulso e indistinto fluire delle cose non più nominabili e dominabili dal linguaggio». Il protagonista sente di non poter più scrivere perché nessuna parola gli sembra oggettiva, aderente alla realtà. Ma il problema non è tanto la sua esperienza individuale, la progressiva repulsione per i concetti astratti, che paragona a «funghi ammuffiti»; e non è nemmeno il silenzio della realtà. Quello su cui si interroga, fino alla paralisi e alla rinuncia a ogni attività letteraria, è l'affollamento delle voci, che ogni giorno si moltiplicano e lo assalgono, fuori e dentro di lui. «Il mio caso in breve è questo: ho perduto ogni facoltà di pensare o di parlare coerentemente su qualsiasi argomento». Lo scriveva all'inizio del Novecento e leggerlo oggi dà la vertigine. Un secolo dopo quel suo “caso” non è diventata la condizione di tutti noi?


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 10/12/2012 11:28


    La promessa



    A Firenze, subito dopo il Ponte Vecchio venendo dal centro città, ci si ritrova quasi di fronte alla chiesa di Santa Felicita, per lo più ignorata dalle folle di turisti con le videocamere e le macchine fotografiche al collo. Nella prima cappella a destra, c'è uno dei dipinti più belli del Rinascimento italiano, la Deposizione del Pontormo. Metto la moneta nell'apparecchio per dare la luce e intanto rivedo nella mente il tableau vivant che Pasolini ha fatto di questo quadro nel suo film La ricotta, dove una troupe cinematografica è impegnata nelle riprese di una Passione di Cristo. Il dipinto si illumina. Sostenuto da undici figure che sembrano galleggiare in un viluppo di vesti e mantelli colorati di verde, rosa e azzurro, il corpo del Cristo evoca un dolore prossimo alla trasfigurazione. Nessuna croce vi è rappresentata e la Madre e il Figlio, nella folla delle figure che formano una piramide, non sono uniti, come spesso nelle Deposizioni, ma separati. I personaggi che reggono il corpo guardano verso l'esterno, rivolti agli spettatori, e non avvertono il peso, procedono in punta di piedi. Una misteriosa brezza gonfia alcuni abiti, altri sono come una seconda pelle. A questo dolore privo di gravità sembra adattarsi la definizione di Stendhal: «La bellezza non è che una promessa di felicità».

    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 11/12/2012 11:49


    La sottile linea



    Sul tram, un uomo anziano e sua moglie danno segni d'insofferenza. Tre file davanti, una donna straniera sta parlando al cellulare a voce molto alta. Nessuno capisce quello che dice, forse in indiano o pakistano. Nell'espressione del viso non si nota una preoccupazione particolare, sembra che stia facendo semplicemente quattro chiacchiere. Il signore anziano e sua moglie continuano ad agitarsi, finché lui esplode, urlando paonazzo: «Basta! La smetta!». Poi, come liberato, si guarda intorno con fierezza ed esclama: «Non se ne può più di questi incivili!». La donna lo ignora e continua a parlare ad alta voce al cellulare. Gli altri fingono di guardare altrove o di leggere il giornale. Episodio piccolo e trascurabile, che mostra però in azione un tipico conflitto, se non morale, psicologico: da una parte una donna non italiana che strilla al telefono, come tantissimi italiani, senza curarsi di assordare tutti; dall'altra un "cittadino" che non si sa bene se sia contrariato per il volume della voce o perché a parlare in quel modo sia una straniera (propenderei per questo motivo). Il razzismo sotterraneo si unisce alla comprensibile rimostranza per la maleducazione dilagante. Resta una sottile linea di confine fra questi due comportamenti: il secondo si può sopportare.

    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 12/12/2012 09:17


    Tenace direzione



    Ho ripreso in mano, traendo spunto da una "lettura" che gli aveva dedicato Gianfranco Piacentini, i Microcosmi di Claudio Magris. Piccoli mondi, o compendi dell'universo, nei quali si avvicendano e si intersecano realtà umane, animali, geografiche, insieme alle cose più disparate. Il «viaggio senza meta» di Magris, sull'«Arca di Noè di carta», «si perde, s'impiglia in relitti semisepolti che fanno incespicare, imboccare sentieri cancellati», e riporta sempre, ovunque e comunque, a fare i conti con se stessi, con la propria anima, e con la Medusa che vi mette radici. «Afferrarsi al legno, senza paura, perché il naufragio può essere pura salvezza. Come dice la vecchia storia? La paura bussa alla porta, la fede va ad aprire: fuori non c'è nessuno. Ma chi insegna ad aprire? Da tempo non si fa altro che chiudere porte…». Ma dietro le porte chiuse, nell'anonimato, «ci si può anche nascondere, scomparire: sbarazzarsi dell'io come una buccia». Consapevoli di non essere nella terra promessa, né di riuscire a raggiungerla, si può «continuare tenacemente il cammino nella sua direzione», attraverso il deserto, la laguna, il mare, le foreste, le radure, la campagna: «Pure quella confusione è bella, con le foglie accartocciate, i rami che si avvolgono e si avviticchiano come gli pare, e i fiori che splendono sul balcone prima di cadere in strada».


    Laura Bosio


    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 13/12/2012 10:04


    Il dono restituito



    Apro una parentesi per parlare di santa Lucia. È il mio secondo nome, Lucia, e su qualche documento compare, ma è stato ormai dimenticato, e non solo sulle carte anagrafiche. Dove sono nata, in Piemonte, e dove vivo, a Milano, il 13 dicembre è una giornata come tante e non una festa come in altre regioni italiane. Mi sono sempre raffigurata Lucia attraverso la pittura, un dipinto in particolare, nella chiesa di San Zaccaria a Venezia, dove lei, di profilo, assorta, è alle spalle di Gerolamo; nella mano destra, che solleva lembi di un abito semplice e prezioso, la scatola con gli occhi. Quest'anno, forse perché mi hanno chiesto di scrivere un racconto su santa Lucia, a sostegno di un'associazione che opera a favore dei bambini ipovedenti, sono andata a cercare le storie che la riguardano: il martirio della fanciulla siracusana nell'epoca di Diocleziano, il culto promosso da Gregorio Magno, la sua diffusione dalla Sicilia a Ravenna a Costantinopoli. Quello che però ha finito per incuriosirmi sono altri occhi di santa Lucia. Si raccolgono sulle spiagge della Sardegna e sono piccole pietre rotonde e lisce con al centro un ricciolo rosato che si avvolge su se stesso. Secondo le leggende popolari, questo ricciolo-occhio è l'iride che santa Lucia aveva versato in mare come dono all'umanità, e che le onde restituiscono. Chiudo la parentesi.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 14/12/2012 11:41


    «Che tutti vedano»



    Il libro di Renzo Salvi, Davide. La Parola e la comunicazione, dedicato a David Maria Turoldo, mi riporta alla mente una sua pagina. Erano gli anni della guerra, Milano era occupata dai tedeschi. Turoldo era braccato dai fascisti a causa di una predica "sovversiva" nel Duomo di Milano: «…una predica sull'aspirazione dell'uomo verso la luce. Era il Vangelo del cieco di Gerico che gridava verso il Cristo perché gli usasse pietà. E Gesù gli chiede: "Cosa vuoi che ti faccia?". E il cieco a supplicarlo: "Signore, che io veda". E io lanciato, con il vangelo in mano, dall'altare: proteso sulla folla (che domeniche!) a dire, a urlare: "Signore, che tutti vedano!". Che vedano i grandi e i fanciulli, i giovani e gli anziani… Che veda la Chiesa, che veda il governo… Perché se un cieco conduce un altro cieco… Un sacrista è venuto a dirmi di mettermi in salvo, a messa finita. Allora, mescolato alla folla, sono uscito per una porta laterale e sono corso verso la periferia per nascondermi a casa di amici… Loro mi danno quello che hanno… mi offrono un meravigliosa pesca… Appena addentata, ecco che mi viene ancora di cantare: Senti che è di troppo / il sapore di una pesca / in questa povertà / di case diroccate… Sposato hai / una pena / di non sentire mai / dolcezza alcuna / che non sia di tutti».


    Laura Bosio




    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 15/12/2012 11:32


    Il lavoro vale



    In un'intervista inedita al giornalista russo Ostap Karmodi, pubblicata da Terre di mezzo, David Foster Wallace, scrittore americano fra i più lucidi, liberi e antidogmatici degli ultimi decenni, ritrae la nostra società e le sue zone d'ombra: il cinismo della politica, i guasti del consumismo, le derive della letteratura contemporanea, l'orrore degli allevamenti industriali. «Tecnologie e logiche economiche sono diventate così sofisticate» osserva «che oggi è possibile perpetrare crudeltà inimmaginabili due o trecento anni fa. Per questo abbiamo l'obbligo morale di tentare con tutte le nostre forze di sviluppare la compassione, la pietà e l'empatia». Nei suoi libri, da Infinite Jest a La ragazza dai capelli strani, e soprattutto nel Re pallido, il grande romanzo incompiuto, uscito postumo nel 2008, Wallace offre, non tanto una soluzione, quanto un importante elemento di riflessione: l'idea che svolgere bene il proprio lavoro abbia un valore, sia un valore, per sé e per la società. Quel lavoro preciso, scrupoloso, solitario ed eroico che si compie nella noia di giornate uguali, e che Blaise Pascal, ripreso da Wallace, contrappone alla vacuità del "divertimento". Il lavoro esigente, nascosto, e per questo più degno, che coincide con il più difficile che abbiamo: il nostro mestiere di vivere.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 16/12/2012 10:11


    Cura e movimento



    «La scrupolosità, la precisione, anche una certa dose di pignoleria fanno parte delle caratteristiche di questa professione, il resto molto meno. Io per esempio amo moltissimo l'attività sportiva e la natura, in particolare la montagna, anzi devo dire che spesso le idee più brillanti per il mio lavoro mi sono venute durante uno sforzo prolungato in montagna…». Chi parla è un lessicografo, Mario Cannella. In un libro-intervista, pubblicato da Zanichelli, spiega che cosa sia il suo lavoro: quali capacità e attitudini richiede, in che modo si opera nella "fabbrica" di un vocabolario adeguandolo alla società in evoluzione, come scegliere le parole antiche da conservare e le nuove da inserire, quale atteggiamento avere di fronte alle parole provenienti da altre lingue o ai nuovi strumenti che l'informatica mette a disposizione. Nicola Zingarelli, presentando la quinta edizione del suo vocabolario nel 1935, scriveva: «Mancherà di sicuro molto per la perfezione: ché non si può far sempre tutto quel che si vuole, e le circostanze frastornano; e la materia è per se stessa la più irrequieta e sfuggevole. Ma mentre vivo, io sentirò l'obbligo di assisterla e fermarla e curarla». Scrupolosità, attenzione e cura del (dentro il) mondo in movimento. Sono le parole che ricorrono in questo mestiere. Bisognerebbe farne tesoro anche per gli altri.


    Laura Bosio




    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 18/12/2012 10:36


    Strappando erbacce



    «Sebbene il corso della vita possa sembrare predestinato, esso è comunque costantemente contrassegnato da cambiamenti dettati dalla volontà dell'uomo». Hermann Hesse arrivò a Montagnola, in Ticino, nel 1919, e sentì subito che lì poteva ricominciare da capo, una nuova vita. Vi trascorse gli ultimi quarant'anni, i più intensi. Ancora oggi quella terra, che ha dipinto in numerosi acquerelli, è la sua casa, e i visitatori gli lasciano omaggi sulla tomba. Passeggiando per i vialetti del piccolo cimitero, il giornalista e scrittore Carlo Zanda ha avvertito il fascino di un'esistenza racchiusa in un mosaico di volti, da quello di arguto lettore di Jung fino al volto, tormentato ma sorridente, di un Siddharta che indaga sull'ascesi religiosa dell'uomo contemporaneo. Da quella fascinazione è nato Un bel posticino, come Hesse chiamava il suo rifugio: un libro di testimonianze, ricordi e fotografie raccolte con passione e profonda comprensione. Uno dei capitoli è dedicato al giardino che Hesse coltivava sulla Collina d'Oro. Un giorno aveva spiegato al figlio Bruno che strappare le erbacce per lui non era per niente noioso: «Le mani sono occupate, ma la testa è libera». E gli aveva svelato un segreto: buona parte del Giuoco delle perle di vetro, il libro che gli valse il premio Nobel, era nata mentre estirpava le erbacce.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 19/12/2012 12:02


    Piccolo finimondo



    Sguardo di famiglia in casa Hesse. Katò, la domestica ungherese, era già da un paio di anni nella Casa Rossa di Montagnola, dove lo scrittore si era ritirato, quando si verificò un incidente antipatico. Accadde un martedì, il giorno del bollito, il piatto preferito da Hesse. Il protocollo domestico prevedeva due regole per l'acquisto della carne. La prima: gli acquisti dovevano avvenire di giorno in giorno in modo che i gatti avessero sempre carne fresca a disposizione. La seconda: a ogni persona spettavano centocinquanta grammi senza osso o duecento con l'osso. Katò aveva il compito di controllare che tutto si svolgesse come stabilito. Quel martedì il macellaio consegnò cento grammi di carne con l'osso in più del dovuto, e questo provocò un piccolo finimondo. Ninon, la moglie di Hesse, pretendeva che la domestica chiamasse il macellaio perché venisse a riprendersi la fettina in eccesso, ma Katò, sentendosi offesa e umiliata, si rifiutò di farlo e andò a chiudersi in cucina sbattendo la porta. Il pranzo si svolse in un clima così teso che Hesse si alzò da tavola senza neanche finire di mangiare. Ma quel martedì era l'ultimo giorno di carnevale e Hesse ne approfittò: raggiunse Katò in cucina e le propose una gita con lui e Ninon a Lugano, per andare a vedere le maschere.



    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 20/12/2012 11:28


    Quel che importa



    «Signor Hesse, mi può dire qual è la cosa più importante nella vita?». A proposito di questa domanda, dalla risposta difficilissima, Carlo Zanda, nel suo libro Un bel posticino, riferisce un episodio interessante. Un giorno Sigfried Unseld, all'epoca giovane studioso destinato a prendere il posto di Peter Suhrkamp alla guida della casa editrice tedesca, andò a trovare Hesse nella casa sulla Collina d'Oro. Unseld aveva scritto una tesi di dottorato su di lui, che, già celebrato autore,
    teneva una fitta corrispondenza con i suoi lettori, dai quali veniva interpellato per
    i problemi più vari, letterari o esistenziali, quasi fosse un confidente. Il maestro e l'allievo pranzarono, poi si fermarono a conversare. All'improvviso, Hesse si ricordò di dover rispondere a un ragazzo di diciotto anni che gli aveva posto un interrogativo particolarmente delicato. In una lettera gli aveva infatti chiesto quale fosse, a suo parere, la cosa più importante nella vita. Hesse rilanciò il quesito a Unseld: «Lei che cosa risponderebbe?». L'allievo rimase a guardarlo in silenzio, paralizzato dall'emozione. Allora Hesse disse: «Bene, se non sappiamo che cosa rispondergli, consultiamo Confucio». Si alzò, prese un libro da uno scaffale e trovò la risposta: «Essere fedeli a se stessi e buoni verso gli altri».


    Laura Bosio




    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 22/12/2012 15:22



    La lotta e l'appiglio



    Vocazione e resistenza è il titolo che Gianfranco Piacentini aveva scelto per un volume su David Maria Turoldo, pubblicato nelle "Letture" della Fondazione Vidas di Milano: «Due termini che esprimono e rivelano il mondo, la poetica, la "profezia" di Turoldo. Vocazione perché fino all'ultimo, chiedendosi se "ancora mi farei frate" si sentiva dire "non poteva capitarmi sorte migliore". Vocazione perché tutta la sua vita fu visitata dal dramma di Dio: e Dio fu la sua gioia e il suo dolore, la sua pace e la sua guerra. Accanto alla vocazione, la resistenza: come opposizione, nel nome dell'uomo e del Vangelo, a tutto ciò che emargina e crocifigge. Dunque, resistenza alle ingiustizie nel mondo. Anche all'interno della Chiesa». Già dalla sua prima raccolta, fin dal titolo Io non ho mani, si comincia al negativo; i non, o i loro equivalenti, si moltiplicano via via nei testi. Ma nella lotta con l'angelo del Nulla accade che riesca a divincolarsi, a puntellarsi a un appiglio, e allora "canta", come lui dice, canta il Tutto: «Essere nuovi come la luce a ogni alba…». In Mie notti con Qohelet afferma: «L'ideale di tutta la mia vita fu quello di scrivere e testimoniare tanto da fratello di chi crede, quanto da fratello di chi cerca». E l'ultimo verso del suo ultimo canto suona: «una selva sola, la terra, di mani».

    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 24/12/2012 11:27


    Soltanto per amore



    «Se vuoi amarmi, sia soltanto per amore. / Non dire mai: “L'amo per il sorriso, / l'amo per i capelli, i pensieri, le dolci parole: / quei pensieri tanto simili ai miei, / che m'hanno infuso oggi una dolce sensazione / di quiete”. Queste cose possono, o amato, / mutare in sé o in te: l'amore, / nato da esse, ne morrebbe. / E non amarmi per detergere il pianto / delle mie ciglia: potrebbe non piangere più / chi godette del tuo conforto, e amore / ne morrebbe. Amami soltanto per amore: / così s'ama per sempre, per l'eternità». È una delle Parole d'amore, di Elisabeth Barrett Browning, raccolte da Guido Davico Bonino in un volume uscito da Interlinea: libro-scrigno, libro-talismano, libro-viatico, libro-amico, con dentro l'effusione amorosa di uomini e donne dei cinque continenti, di tempi remoti o vicinissimi, della tradizione più colta o di quella “popolare”. Sono come i giorni dell'anno le poesie riunite, trecentosessantacinque. L'augurio di un anonimo Inuit, dalla Groenlandia, il primo gennaio: «Che la tua fronte sia candida / come la neve appena caduta / dopo la tormenta…». La preghiera di una fanciulla, di Jean Moréas, il giorno di Natale: «I finocchi selvatici m'han detto: “T'ama così pazzamente ch'è in tua balìa: apprestati al suo ritorno!” I finocchi selvatici non sanno che adulare… Dio abbia pietà del mio cuore!».


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 27/12/2012 07:16

    Ciò che sconvolge



    «Quando gli economisti raccontano favole» scrive Luca Gallesi introducendo il suo libro C'era una volta… l'economia, «è giunto il momento di rivolgersi alle favole». Il Gatto e la Volpe spiegano, forse meglio di tanti studiosi, cosa capita a chi crede di poter moltiplicare i risparmi senza fatica. Per non parlare delle maledizioni che puniscono gli avidi della tradizione favolistica, da Esopo a Harry Potter. Ma è soprattutto in due capolavori moderni della letteratura per ragazzi che, secondo Gallesi, si trovano le riflessioni più acute e brillanti: il Mago di Oz e Mary Poppins. Ambientati durante le crisi che alla fine dell'Ottocento e negli anni Venti del Novecento misero in ginocchio l'economia statunitense e quindi quella mondiale, entrambi «forniscono, più di serissime e impettite trattazioni, gli strumenti per capire l'eterna lotta tra Oro e Lavoro, tra chi si guadagna il pane con le proprie forze e chi specula sulla fatica altrui». Per esempio Mary Poppins, «figura scossa dal vento», contrasta immediatamente l'equilibrio contabile del «dare e avere» quando si installa come bambinaia nella casa londinese del bancario Mr Banks. «Starò finché cambia il vento» dice, e con i suoi modi poco ortodossi contribuisce al cambiamento, dimostrando quanta verità ci sia in questa frase di John Ruskin: «Nelle equazioni umane vi sono elementi morali che sconvolgono tutti i calcoli».


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 28/12/2012 10:35


    Beatus ille homo


    Nei Racconti gastronomici raccolti da Laura Grandi e Stefano Tettamanti c'è un "appunto" di Aldo Buzzi che mi ha molto incuriosita, assieme al Pentolino di Sholem Aleykhem, alla Gallina di Clarice Lispector, alla Grande fame di John Fante (ma com'è possibile scegliere fra le specialità culinarie di Dahl, Cechov, Maupassant, Piero Chiara, Mario Soldati e di altri?). «Il pane» annota Buzzi «è in decadenza dappertutto. Non si dice più: 'Buono come il pane' e finiremo per dire, come gli inglesi: 'Buono come l'oro'». Per cercare di capire, Buzzi interroga un fornaio. Gli chiede, chiamandolo Maestro, da chi abbia imparato l'arte e il fornaio risponde: «Da mio padre». Gli domanda se i clienti non protestino perché il pane non è più buono e il fornaio risponde: «Vogliono solo che sia bianco». A un passo da loro, un uomo anziano e grasso, «ma di un grasso privo di benessere», pare interessato al dialogo. Buzzi lo interpella. L'uomo gli porge un biglietto rosa, dove è stampato: «Egregio Signore, Signora. La natura mi ha creato sordo-muto e il mio unico mezzo di esistenza è la generosità del prossimo». A Buzzi vengono in mente questi versi di Eichendorff, in un latino facilmente comprensibile: «Beatus ille homo / qui sedet in sua domo / et sedet post fornacem / et habet bonam pacem». Una "beatitudine" che non sappiamo quasi più riconoscere.


    Laura Bosio


    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 29/12/2012 09:22


    Il filo che lega


    «Ho provato a guardare in faccia il 'dolore' dell'umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interrogativi disperanti hanno trovato risposta, l'assurdità completa ha ceduto il posto a un po' più di ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo… mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo». Le parole del Diario di Etty Hilllesum, o meglio del contro-dramma che la giovane ebrea scrisse prima di seguire ad Auschwitz le sorti del suo popolo,
    accompagnano una donna cattolica, Maria Pia Bonanate, in un duro viaggio interiore, raccontato in un libro che nel titolo rivela fermezza, assunzione piena di responsabilità, presenza: Io sono qui. Quando il suo compagno di vita, colpito da una malattia, rimane cosciente ma totalmente immobile, senza la possibilità di comunicare se non con il battito della ciglia, lei impara ad ascoltare e a leggere il silenzio: a scoprire, in quell'assenza di suono, verità nuove o dimenticate. Il filo che la lega a Etty Hillesum, in una misteriosa empatia, le dà la forza di aprire la visione: «il coraggio dell'esistere e dello sperare. Dell'amare». Nel Diario Etty Hillesum aveva detto: «Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite».


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 31/12/2012 10:40


    A voce bassa



    Ricerche scientifiche recenti documentano come il silenzio rischi sempre più di essere in via di estinzione. Dopo gli umani, anche gli animali, per sovrastare il frastuono di traffico, onde sonore e macchinari, sono costretti ad alzare la voce. Le cavallette che vivono accanto alle strade devono "gonfiare i polmoni" per parlarsi, come sott'acqua le balene assordate dalle navi. Le comunicazioni più disturbate sono quelle amorose. Il dilemma di fronte al quale si trovano le rane studiate nell'università di Melbourne è esemplare: alle femmine piacciono i maschi dalla voce grave e profonda, ma i maschi, per riuscire a farsi ascoltare, accentuano gli acuti, disorientandole. Gli adattabili passeri hanno cambiato i loro canti in melodie poco articolate e facili da percepire. Non potremo più contare sul «conforto e diletto» di cui parla Leopardi elogiando gli uccelli nelle Operette morali. «E ciò credo io che nasca principalmente (…) da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, sì nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in ispecie. Il quale è, come a dire, un riso, che l'uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente». Controcorrente, confidando che il silenzio, il canto, l'allegrezza e il privilegio di ridere continuino a rimanere tra noi, lo dico a voce bassa, il mio saluto di fine anno e il mio grazie.


    Laura Bosio



    _________Aurora Ageno___________
  • OFFLINE
    auroraageno
    Post: 18.763
    Post: 11.136
    Registrato il: 02/08/2007
    Amministratore
    Utente Gold
    00 02/03/2013 09:17



    L'ALBA DI KAROL


    San Pietro, aprile 2005 - È ancora buio. Andando verso San Pietro mi trovo inaspettatamente dentro una folla che dal Lungotevere e da Piazza Pia cammina in fretta, quasi corre verso viale della Conciliazione. Lì d'improvviso ci fermiamo, dietro a un muro di gente. Nella prima alba si svela un'interminabile colonna di fedeli che attende di salutare per l'ultima volta Giovanni Paolo II. Sotto alle giacche a vento degli uomini si intravvede il nodo della cravatta: oggi lavorano, ma, prima, vanno dal Papa. Molti hanno in braccio i figli piccoli, addormentati.
    Il sole sorge in fondo a viale della Conciliazione, rosso, splendido. Una madre con il figlio per mano lo scuote: «Voltati, guarda». Avanziamo nei passi lenti di un lutto, ma nella luce sorgente di un sole chiaro.
    Nella penombra di San Pietro arriviamo infine davanti al corpo di Giovanni Paolo II, il volto bianco già trasfigurato nella morte. Pochi secondi a testa, e quanti non se ne vorrebbero andare, e rallentano il fiume della processione. I più piccoli in braccio ai genitori continuano a dormire: migliaia di bambini romani addormentati salutano stamattina il Papa. E quel sole alle spalle della folla, che va crescendo e alzandosi, come un segno più forte. Raramente la morte di un uomo lascia passare, nella sua ombra, tanta luce.


    Marina Corradi



    _________Aurora Ageno___________
3