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L'AUTORITA' NELLA CHIESA

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    00 06/08/2012 23:03
    1 - "I settari diventarono la spina più amara inflitta nella carne di
    Lutero, in quanto essi rappresentavano il chiaro segno del suo
    rifiuto dell'autorità esistente, e lo indussero ai gesti più
    violenti, compresa l'approvazione della pena di morte per gli eretici
    quali gli Anabattisti".
    A distanza di quattro secoli e mezzo dalla vita di Lutero non lo si
    può scagionare dall'aver dato l'avvio, certamente contro sua voglia,
    a quel proliferare di sette religiose spuntate dopo di lui, e che
    spuntano ancora, specie nelle nazioni e tra i popoli maggiormente
    toccati dalla Riforma luterana.
    Si tratta certamente d'una applicazione errata del principio
    del "libero esame", della "sola fede", della "sola Scrittura". Nella
    mente di Lutero questo principio voleva dire che la fede del vero
    cristiano si basa sull'autorità della Parola di Dio, di Cristo, del
    suo Spirito. Lutero non escludeva il ministero o servizio della
    Parola, ossia la presenza e l'opera nelle comunità cristiane di
    persone qualificate, che annunciassero autorevolmente la Parola di
    Dio (cfr. Efesini 4, 11-16; 1 Corinzi 12, 4-30 ecc.). Lutero fu una
    di queste.
    2 - Tuttavia, fondati sul principio del "libero esame", Lutero e i
    suoi seguaci, quanti cioè si sono ispirati e si ispirano al suo
    insegnamento, hanno rigettato l'autorità del Papa e dei Concili, cioè
    del Magistero ecclesiastico. A loro avviso, il Magistero
    ecclesiastico ha soppiantato l'autorità della Scrittura. Vedremo che
    non è così.
    Questo rifiuto portò al rigetto di non poche dottrine ed elementi
    importanti della Chiesa Cattolica, quali la santa Messa, la
    confessione, il battesimo dei bambini, il culto della Madonna e dei
    Santi, la fede nell'esistenza del purgatorio ecc.
    3 - I cattolici giudicarono errata questa nuova dottrina e quindi
    pericolosa per la vera fede, perché in definitiva dava troppo spazio,
    anzi tutto lo spazio, al proprio giudizio. Essa apriva le porte a un
    deleterio soggettivismo o, peggio ancora, a un deprecabile settarismo
    come di fatto avvenne. I protestanti o riformatori replicavano che si
    trattava d'un ritorno puro e semplice alle origini, al genuino
    insegnamento del Vangelo. A loro avviso, la Chiesa Cattolica se ne
    sarebbe allontanata, sostituendo all'autorità di Cristo quella di
    uomini come papi, vescovi, concili.
    Dov'è la verità?
    Precisazioni doverose
    Prima di rispondere a questa domanda, seguendo fedelmente ciò che
    dice il Vangelo, è doveroso e anche utile fare alcune precisazione.
    1 - Anzitutto non è esatto dire che i cattolici, nella loro scelta di
    fede e nella coerenza morale della vita, obbediscono a un'autorità
    diversa dalla Parola di Dio. E' errato dire che i cattolici basano la
    loro fede sull'autorità arrogante di uomini come papi, vescovi,
    concili.
    Senza paura di essere frainteso, almeno da quanti sanno e ragionano,
    dico che per il cattolico l'atto di fede è fondamentalmente una
    scelta libera e responsabile del soggetto credente. Sono io a voler
    accettare la fede e la morale insegnate nella Chiesa Cattolica.
    Nessuno me lo impone.
    In altre parole, l'atto di fede del cattolico è basato su un proprio
    giudizio, che è l'accettazione della "sola Scrittura", purché si
    intenda tutta la Scrittura. Certo è lo Spirito Santo che muove
    all'obbedienza della fede (cfr. Romani 1, 5), dopo l'annuncio e
    l'ascolto della Parola (cfr. Romani 10, 14). Ma rimane il fatto che
    il credente cattolico risponde liberamente all'impulso dello Spirito
    che parla mediante tutta la Scrittura. Vedremo in seguita come la
    Scrittura, intesa nella sua integrità, non esclude anzi esige il
    servizio autorevole di Papi, Vescovi e Concili.
    2 - Per ora diciamo che da questa norma o processo non sono esenti né
    papi né vescovi né concili. Anzi vi sono legati in modo particolare
    perché nel servizio alla comunità sono essi i garanti della fede. Qui
    fede va intesa in senso oggettivo, vale a dire il complesso di verità
    da accettare liberamente per essere un autentico discepolo di Cristo.
    Il Concilio Vaticano Il ha espresso questa dottrina con la massima
    chiarezza:
    "L'ufficio poi di interpretare autenticamente la Parola di Dio
    scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa,
    la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. il quale
    Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve,
    insegnando soltanto ciò che è trasmesso, in quanto per divino mandato
    e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santa-
    mente custodisce e fedelmente espone quella Parola, e da questo unico
    deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come
    rivelato da Dio".
    Osservazioni:
    a) Per Magistero bisogna intendere l'insieme dei vescovi (papa e
    vescovi) in qualità di maestri o testimoni della Parola di Dio. Sono
    ministri della Parola e pastori del gregge (cfr. Atti 20, 28).
    E' detto vivo nel senso che tali ministri e pastori, per volontà di
    Cristo, sono presenti nella sua Chiesa in ogni epoca della storia.
    Sono suoi rappresentanti per far conoscere agli uomini di tutti i
    tempi il suo insegnamento dato una volta per sempre (cfr. Giuda 3).
    Non il proprio insegnamento, ma l'insegnamento di Cristo.
    b) Per compiere questo loro ministero, papi e vescovi devono essi
    stessi ascoltare la Parola di Dio e custodirla fedelmente senza
    alterazione alcuna. Sono servi della Parola, non superiori ad essa.
    Prima e sopra di loro vi è Cristo, vi è la Scrittura. Il papa e i
    vescovi insegnano solo ciò che Cristo ha insegnato senza aggiungere o
    togliere nulla. Ciò che essi insegnano è contenuto nel deposito della
    fede (cfr. I Timoteo 5, 20). Lo Spirito Santo guida nella conoscenza
    della verità tutta intera (cfr. Giovanni 14, 26).
    c) Se nella lunga storia della Chiesa Cattolica vi sono pagine o
    gesti di papi e di concili che potrebbero far pensare diversamente,
    vale a dire che papi o concili abbiano alterato la parola di Dio,
    un'analisi accurata ed onesta di quelle pagine o gesti può
    rettificare e cancellare quella impressione. Bisogna analizzare
    coscienziosamente i singoli casi come hanno fatto storici e teologi
    di grande valore. In quanta verità di fede e di morale il Magistero
    Ecclesiastico, anche se alcune volte rappresentato da persone
    moralmente discutibili, non ha mai insegnato cose contrarie alla
    Parola di Dio.
    3 - Riassumendo diciamo o ripetiamo:
    a) Secondo la dottrina cattolica la fede del credente cattolico è una
    libera risposta alla chiamata di Dio mediante la sua Parola
    conosciuta intelligentemente e confermata autorevolmente. Nessun
    cattolico è forzato a credere ciò che crede. Dire il contrario è
    calunnioso. La fede è un dono di Dio accettato liberamente dall'uomo.
    Il cattolico accetta e aderisce alla Scrittura mediante una risposta
    libera, personale, soggettiva, in virtù di una libera valutazione e
    di una decisione personale.
    Ci può essere, perciò, una interpretazione esatta del principio
    del "libero esame", quando si vuole mettere in risalto la
    responsabilità della persona e il primato della Parola di Dio; ma non
    si può accettare l'uso che ne è stato fatto storicamente (e che si fa
    ancora oggi) per far passare l'individualismo e il soggettivismo nel
    campo della fede e della morale.
    b) Affinché poi l'oggetto della fede e della morale sia garantito o,
    in altre parole, affinché ciò che il cattolico crede sia veramente
    Parola di Dio, Cristo ha stabilito il Magistero. Sotto tale guida la
    Parola di Dio non è lasciata all'arbitrio dei singoli, ma preservata
    nella sua integrità e purezza, e trasmessa nella sua genuinità.
    c) L'atto di fede del cattolico ha perciò due componenti: una
    soggettiva, che è, la libera adesione alla Parola di Dio; l'altra
    oggettiva, nel senso che egli attinge ciò che crede dal deposito
    della fede custodito e interpretato fedelmente dal Magistero sotto la
    guida speciale dello Spirito Santo.
    d) Il Magistero, infine, non è libero d'insegnare ciò che vuole.
    Papi e Vescovi non sono superiori alla Parola di Dio, ma ad essa
    servono, insegnando soltanto ciò che è trasmesso. Essi piamente
    ascoltano, santamente custodiscono e fedelmente espongono la Parola
    di Dio.

    PARTE PRIMA
    LA STRUTTURA DELLA VERA CHIESA
    Concetto o nozione di Chiesa
    Ritorniamo ora alla domanda o questione di prima, che può essere
    formulata nel modo seguente.
    Come riceve il cattolico la fede oggettiva, ossia le verità rivelate
    da Dio, a cui aderisce liberamente? Direttamente dalla Scrittura
    sotto l'impulso dello Spirito Santo oppure dalla Scrittura conservata
    e interpretata, attraverso il tempo, da una guida autorevole, diretta
    dallo Spirito Santo? E in questo secondo caso, qual è questa guida?
    Chi l'ha costituita?
    Com'è facile capire qui è in questione la natura e la struttura della
    vera Chiesa di Gesù Cristo: Com'è strutturata questa Chiesa? Che cosa
    dice la Scrittura a questo riguardo?
    1 - La parola chiesa (greco ekklesìa da ekkalèin convocare) indica
    l'assemblea religiosa. Il termine fu usato già prima di Cristo per
    indicare l'assemblea religiosa degli Israeliti nel suo insieme. Col
    tempo venne a indicare le assemblee religiose locali degli Israeliti
    fuori di Gerusalemme, ossia le comunità riunite intorno alla sinagoga.
    Presso i cristiani la Ekklesìa venne a indicare il gruppo o i gruppi
    dei discepoli di Cristo che si riunivano prima a Gerusalemme e poi in
    altre città e località fuori di Gerusalemme. Indicava cioè le chiese
    o comunità locali, particolari. Così era chiamato il gruppo dei
    cristiani di Gerusalemme (cfr. Atti 11, 22), come pure quello di
    Antiochia (cfr. Atti 13, 1). Identico significato in san Paolo che
    scrive "alla chiesa di Dio che è in Corinto" (1 Corinzi 1, 2; 2
    Corinzi 1,1); "alle chiese della Galazia" (Galati 1, 2). Anche le
    chiese, di cui in Apocalisse capitoli 2 e 3, sono chiese locali.
    2 - Tuttavia lo stesso vocabolo Ekklesìa è usato nel Nuovo Testamento
    per indicare l'assemblea o comunità dei discepoli di Cristo nella
    loro totalità. Così, per esempio, in Efesini 1, 22-23 san Paolo parla
    della Chiesa come del Corpo di Cristo, la pienezza di Lui che tutto
    riempie. Identico significato> in Efesini 5, 25, dov'è detto
    che "Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei per
    santificarla". E' tutto il Popolo di Dio, tutto l'Israele di Dio
    (cfr. Galati 6, 16), che Cristo ha santificato. Così pure in Matteo
    Gesù chiama Ekklesìa la moltitudine dei suoi discepoli, che avranno
    Pietro come fondamento incrollabile (cfr. Matteo 16, 16-18).
    3 - Per indicare questa medesima realtà, ossia l'assemblea universale
    dei discepoli di Cristo, la Bibbia usa anche altri vocaboli, altre
    immagini. Ne ricordiamo solo alcune.
    La Chiesa tutta è paragonata al gregge e ovile (cfr. Giovanni 10, 1-
    10). L'una e l'altra immagine fa pensare a un'unica grande comunità
    guidata da un Pastore. Un'altra immagine è quella della famiglia, che
    comporta anche una struttura unitaria sotto una guida incontestata e
    sicura (cfr. Efesini 2, 19-22). In quanto tale la Chiesa è detta
    anche "la dimora di Dio con gli uomini" (Apocalisse 21, 3), "tempio
    santo di Dio" (Efesini 2, 21), "la Città Santa" (Apocalisse 21, 2).
    La Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21, 10 ss.)
    Soffermiamoci ora a considerare la Chiesa nella sua totalità, come
    l'assemblea di tutti i discepoli di Cristo: qual è la struttura che
    di essa ci offre la Bibbia? Citiamo e spieghiamo brevemente un testo
    dell'Apocalisse molto significativo.
    1 "L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande ed alto, e
    mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da
    Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande
    e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli
    e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele (...).
    Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono
    i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello" (Apocalisse 21, 10-
    14, CEI).

    Spiegazione:
    1 - La città santa, Gerusalemme, che l'angelo mostra a Giovanni, è
    certamente la Chiesa universale, "tutto l'Israele di Dio" (Galati 6,
    16). Di essa fa parte il popolo dell'Antico Testamento, come fa
    chiaramente capire la menzione dei nomi delle dodici tribù dei figli
    d'Israele. Ma fa parte soprattutto il popolo della Nuova Alleanza,
    rappresentato dai nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
    2 - Qui interessa mettere in rilievo come le mura della città santa
    Gerusalemme, che è la Chiesa, poggiano su dodici basamenti, sopra i
    quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Giovanni
    dunque, presentando la struttura della Chiesa universale, assegna ai
    dodici apostoli la funzione di fondamento (cfr. anche Efesini 2, 20).
    Se si tiene presente che le fondamenta sono insostituibili nella
    struttura d'un edificio, ne segue che la funzione dei dodici apostoli
    è essenziale e di primaria importanza per la solidità e stabilità
    della vera Chiesa di Cristo. San Giovanni non poteva essere più
    chiaro: la vera Chiesa di Cristo deve essere apostolica, altrimenti
    non è la vera Chiesa di Cristo.
    Si ha qui un'illustrazione plastica del pensiero di san Paolo che,
    riferendosi a tutti i credenti in Cristo, dice: "Siete concittadini
    dei santi e membri della casa di Dio, sopraedificati sul fondamento
    degli apostoli e dei profeti con lo stesso Cristo Gesù quale pietra
    angolare" (Efesini 2, 19-20).
    La vera Chiesa di Cristo, nella sua universalità, non poggia su uno
    scritto, ma su uomini, testimoni e messaggeri di quello scritto.
    3 - Ricordiamo infine che Giovanni nell'Apocalisse presenta la Chiesa
    di tutti i tempi, la Chiesa di ieri, di oggi, di sempre, come procede
    nel tempo tra lotte e trionfi, eroismi e tradimenti, coraggio e
    viltà. Questa Chiesa poggia sulle solide fondamenta dei dodici
    Apostoli.
    Uno sguardo alle origini
    Questa visione di Giovanni non è una sua invenzione. Egli era ben
    consapevole di come il divino Maestro aveva strutturata la sua
    comunità, il popolo della Nuova Alleanza. Uno sguardo alle origini ci
    aiuta a capire bene le cose.
    1 - Nei vangeli non si legge che il Signore Gesù abbia avuto mai la
    preoccupazione di scrivere o di far scrivere i suoi insegnamenti, il
    Vangelo del Regno. Egli volle essere un Maestro (Rabbì), non uno
    scriba: "E si stupivano del suo insegnamento, perché li ammaestrava
    come uno che ha autorità e non come gli scribi" (Marco 1, 22). Né
    volle circondarsi di scribi.
    Leggiamo invece nei vangeli che fin dai primi giorni della sua vita
    pubblica il Maestro accettò, anzi invitò, persone che lo seguissero
    come discepoli (cfr. Giovanni 1, 37-42). Il gruppo di questi
    discepoli andò sempre crescendo.Erano molti (cfr. Luca 6, 17).
    2 - E arrivò un giorno in cui il Maestro, dopo aver pregato a lungo
    (cfr. Luca 6, 12), fece una scelta tra quanti lo seguivano come
    discepoli. Racconta san Marco:
    "Poi salì sulla montagna e chiamò quelli che volle, ed essi andarono
    da lui. E ne costituì dodici perché stessero con lui, e per mandarli
    a predicare col potere di scacciare i demoni. Costituì, dunque, i
    Dodici: Simone, al quale diede il nome di Pietro ecc." (Marco 3, 13-
    16, Garofalo). Seguono i nomi dei Dodici scelti.
    San Luca, nel racconto parallelo, precisa che ai Dodici Gesù "diede
    il nome di apostoli" cioè inviati (Luca 6, 13). Parlando poi della
    prima missione, dice: "Riunì i Dodici" (Luca 9, 1).
    La precisazione di Luca fa capire chiaramente che tra i discepoli in
    genere e i Dodici scelti da Gesù esiste una differenza rimarchevole.
    San Matteo dice: "I dodici discepoli", ma subito dopo precisa: "I
    nomi dei dodici apostoli sono questi: primo, Simone detto Pietro
    ecc." (Matteo 10, 2).
    I Dodici dunque formano un gruppo ben distinto tra i seguaci o
    discepoli di Cristo, con compiti o funzioni particolari. A conferma
    vale il fatto che, dopo questa scelta o elezione, il gruppo è assai
    spesso designato col solo nome di "I Dodici" (Oi Dòdeka): 34 volte
    contro 8.
    Gesù e i Dodici
    Leggendo i vangeli si nota facilmente come dopo la scelta dei Dodici,
    tra Gesù e questo gruppo si siano creati gradatamente rapporti
    particolari. Molto significativa è l'espressione di Marco che
    dice: "Li scelse per averli con sé, per mandarli a predicare e perché
    avessero il potere di scacciare i demoni" (Marco 3, 14-15).
    1 - Effettivamente, non molto tempo dopo la scelta, Gesù affida ai
    Dodici la prima missione: li manda da soli, a due a due, rivestendoli
    della sua stessa autorità e dei suoi poteri. Oltre all'impegno di
    annunziare il Vangelo, come farà anche coi settantadue discepoli (cfr
    Luca 10, 1 ss.), ai Dodici Gesù "diede autorità sugli spiriti maligni
    e di guarire le malattie" (Luca 9, 1-2). Disse loro: "Guarite i
    malati, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, scacciate i demoni"
    (Matteo 10, 8).
    2 - Ai Dodici, in corso di tempo, Gesù fa conoscere la vera natura
    della sua missione messianica, vale a dire che, contrariamente alla
    comune attesa, egli restaurerà il Regno di Dio mediante la sofferenza
    e la morte, seguita dalla risurrezione. Più d'una volta Gesù aveva
    accennato alla sua passione (cfr. Matteo 16, 21; 17, 22, e paralleli;
    Giovanni 2, 19-22). Ma ai Dodici parlò in modo particolare e
    abbastanza chiaro:
    "Mentre erano nella strada che sale a Gerusalemme (…) ancora una
    volta Gesù prese in disparte i Dodici discepoli e si mise a parlare
    di quello che gli doveva accadere. Disse loro: "Ecco, noi stiamo
    salendo verso Gerusalemme; là il Figlio dell'uomo sarà dato nelle
    mani dei capi dei sacerdoti" (Marco 10, 32-34).
    3 - Altro momento forte di questa intimità tra Gesù e i Dodici è
    certamente la celebrazione dell'ultima Pasqua. Senza dubbio in quella
    circostanza c'erano a Gerusalemme altri discepoli. Ma Gesù volle
    celebrare la Pasqua solo coi Dodici: "Quando fu sera, si mise a
    tavola insieme ai Dodici discepoli" (Matteo 26, 20; Marco 14, 17;
    Luca 29,4).
    Dal tenore delle parole che Gesù rivolse ai Dodici in quella
    circostanza, apprendiamo che conferì loro il potere sacerdotale di
    offrire l'unico sacrificio della Nuova Alleanza: "Fate questo in
    memoria di me" (Luca 22, 19).
    4 - Anche nel lungo discorso che segui la Santa Cena, in
    cammino verso il Getsemani, gli interlocutori immediati di Gesù
    furono i Dodici. A loro in modo particolare Gesù promette lo Spirito
    Santo.
    "lo pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito (difensore,
    assistente, consolatore), che starà sempre con voi, Io Spirito di
    verità (... ). Vi ho detto queste cose mentre sono con voi. Ma il
    Padre vi manderà nel mio nome un Difensore: lo Spirito Santo. Egli vi
    insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che ho detto"
    (Giovanni 14, 16.25-26).
    Senza dubbio lo Spirito Santo è dato a tutti i credenti in Cristo
    (cfr. Giovanni 7, 39). Ma qui appare chiaro che una particolare
    effusione dello Spirito è promessa ai Dodici, in vista certamente
    della funzione speciale che avrebbero dovuto svolgere in seno alla
    comunità dei discepoli di Cristo.
    5 - Dopo la crisi del venerdì santo, che vide dispersi anche i
    Dodici, il Risorto li ristabilisce nella loro missione, che riceve un
    assetto definitivo dalla certezza della risurrezione. Luca ci informa
    che il Risorto fu assunto in cielo "dopo aver dato istruzioni agli
    Apostoli che si era scelti nello Spirito Santo. Egli si mostrò ad
    essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo per
    quaranta giorni e parlando del Regno di Dio" (Atti 1, 2-3).
    Certo il Risorto apparve anche ad altri; ma nelle apparizioni una
    particolare attenzione fu riservata ai Dodici. Nel racconto sommario
    che san Paolo fa delle apparizioni di Cristo Risorto afferma
    esplicitamente che si fece vedere ai Dodici (cfr. 1 Corinzi 15, 5).
    I Dodici nella Chiesa primitiva
    La scelta dei Dodici fatta da Gesù e la cura particolare che egli
    ebbe nei loro riguardi spiegano e giustificano il ruolo che i Dodici
    ebbero nella Chiesa dei primi tempi. I primi cristiani ricevettero la
    fede non da uno scritto, ma dalla viva voce dei Dodici e dei loro
    collaboratori.
    1 - I Dodici insegnano e presiedono nella comunità di Gerusalemme
    (cfr. Atti 2, 42-43). Con grande coraggio attestano la risurrezione
    del Signore e riscuotono grande simpatia (cfr. Atti 4, 33), ma anche
    avversità e persecuzioni (cfr. Atti 5, 17-18). S'interessano dei beni
    della comunità (cfr. Atti 4, 34-35; 5, 2). Parlano in nome di Gesù e
    sempre in suo nome compiono segni e miracoli (cfr. Atti 5, 12 e 5,
    40). Riservandosi il servizio della Parola, autorizzano altri ad aver
    cura della distribuzione dei beni (cfr. Atti 6, 2-6).Si riuniscono a
    Gerusalemme insieme agli anziani per decidere, sotto la guida dello
    Spirito Santo, che cosa bisogna esigere dai cristiani provenienti dal
    paganesimo (cfr. Atti 15, 2-22).
    2 - A conferma di questo ruolo direttivo dei Dodici nella Chiesa
    primitiva vale quanto sugli Apostoli, ossia sui Dodici, dice san
    Paolo nelle sue Lettere.
    Scrivendo ai cristiani di Corinto afferma che nell'organismo
    ecclesiale, oltre alla basilare uguaglianza di tutti come membra di
    Cristo, vi sono diversità di funzioni volute da Dio:
    "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua
    parte. Alcuni però Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come
    apostoli" (1 Corinzi 12, 27-28).
    E altrove:
    "E' lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come
    profeti" (Efesini 4, 11).
    Commentando queste parole dell'Apostolo la Traduzione Ecumenica della
    Bibbia osserva:
    "La Lettera pone l'accento sull'iniziativa del Signore che dà alla
    Chiesa gli uomini necessari per la propria edificazione. In questa
    lista di ministri si nota il primato degli apostoli".
    Significato d'una scelta
    1 - Nella Chiesa primitiva i Dodici, oltre al ruolo di annunciare la
    Parola e dirigere le comunità, ebbero anche la preoccupazione di
    assicurare che queste due funzioni fossero partecipate e continuate
    mediante persone qualificate ad essi intimamente legate.
    Il primo esempio di questa preoccupazione fu l'elezione di Mattia per
    occupare il posto lasciato vuoto dal traditore. Siamo alle origini
    della Chiesa. Il Vangelo doveva essere annunziato da testimoni
    oculari e auricolari della vita e della risurrezione del Signore.
    Mattia era uno di quelli che fin dal battesimo di Gesù era stato in
    loro compagnia, e lo fu fino alla fine. In questo modo era
    qualificato a diventare testimone della sua risurrezione e ascensione
    (cfr. Atti 1, 21-22).
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    00 06/08/2012 23:04
    2 - Neppure Saulo, divenuto Paolo, era del numero dei Dodici scelti
    da Gesù durante la sua vita terrena. Tuttavia egli fu riconosciuto
    Apostolo a pieno titolo. Egli considera la sua missione come un
    incarico ricevuto direttamente dal Signore (cfr. Atti 9, 15; Galati
    2, 7-10; 1 Corinzi 9, 1). Anche a lui era apparso il Risorto (cfr.
    Atti 9, 3-5; 1 Corinzi 15, 8).Paolo poteva dire di essere
    Apostolo "non per volere di uomo né per tramite d'uomo, ma per opera
    di Gesù Cristo e di Dio Padre" (Ga- lati 1, 1; cfr. 1 Timoteo 2, 7; 2
    Timoteo 1, 11; Tito 1, 1; 1 Tessalonicesi 2, 7).
    3 - In seguito, nella misura in cui la fede si diffondeva anche fuori
    la Palestina, e i testimoni oculari diminuivano sempre più, non vi fu
    la preoccupazione di conservare il numero dei Dodici. L'essenziale
    era la continuità della missione apostolica. Nessuno prese il posto
    dell'Apostolo Giacomo, uno dei Dodici, fatto decapitare da Erode
    (cfr. Atti 12, 2); ma molti dentro e fuori la Palestina continuarono
    la sua missione in stretta collaborazione con gli Apostoli.
    Nelle nuove comunità furono costituiti maestri e guide qualificate ed
    autorevoli col compito di continuare ed estendere nel tempo e nello
    spazio la testimonianza e la funzione dei Dodici. Comincia così la
    catena dei collaboratori prima, e dei successori poi. Non più
    condizionamento di numero, ma compito di annunciare la Parola, di
    guidare le comunità e di presiedere l'Eucaristia. La catena non si è
    mai interrotta attraverso i secoli. In questo modo comincia ad
    attuarsi quella nota caratteristica della vera Chiesa di Cristo, che
    è la sua apostolicità mediante la successione.
    4 - Nella scelta dei Dodici possiamo e dobbiamo perciò distinguere
    due aspetti o componenti.
    Una personale, quindi irripetibile, finita con la morte dei Dodici. I
    Dodici furono testimoni della risurrezione del Signore e fonte
    diretta della Rivelazione da lui fatta all'umanità. Fin dal tempo
    degli Apostoli la Lettera di Giuda esortava a combattere per la
    fede, "che fu trasmessa ai credenti una volta per sempre" (Giuda 3).
    L'altro aspetto o componente della scelta dei Dodici è la funzione
    che essi hanno trasmesso ai loro successori: il compito di annunciare
    il Vangelo, di guidare la comunità, di santificare i credenti coi
    sacramenti.
    L'una e l'altra cosa ci danno il vero significato di quella scelta.
    I primi collaboratori dei Dodici
    Ma vediamo come sono andate le cose seguendo fedelmente la Bibbia e
    le più antiche testimonianze. Il Nuovo Testamento ci fa assistere fin
    dall'età apostolica al sorgere e costituirsi d'una gerarchia di
    governo che prolunga nel tempo la funzione degli Apostoli.
    1 - A Gerusalemme, uno dei più noti collaboratori dei Dodici fu
    Giacomo, detto il minore (cfr. Marco 15, 40). Lo vediamo a capo della
    comunità di Gerusalemme forse anche a motivo della sua parentela con
    Gesù. Era infatti figlio di quell'altra Maria (cfr. Matteo 27, 56;
    Marco 15, 40), sorella o cugina della Madre di Gesù (cfr. Giovanni
    19, 25). E' detto, assieme a Cefa (= Pietro) e Giovanni, "colonna
    della Chiesa" (Galati 2, 9). Al concilio di Gerusalemme formulò le
    decisioni da prendere dopo che Pietro, parlando per prime>, ebbe
    esposto la questione (cfr. Atti 15, 6-21). Giacomo è comunemente
    conosciuto come il primo Vescovo di Gerusalemme. Fu infatti capo di
    quella chiesa dopo che Pietro fu costretto ad andare altrove (cfr.
    Atti 12, 17).
    2 - Un caso tipico è quello di Barnaba. Non era del numero dei Dodici
    né ebbe una vocazione miracolosa come Paolo. Fu uno tra i primi
    convertiti al Vangelo e, dopo questa scelta, si dedicò al servizio
    del Signore a tempo pieno (cfr. Atti 4, 36-37). Ebbe perciò incarichi
    di prim'ordine da parte degli Apostoli.
    Barnaba fu inviato ad Antiochia in forma ufficiale, quale delegato di
    Pietro e di Giovanni, per rendersi conto, approvare e incoraggiare la
    nascita e la crescita di quella comunità: "Vi fu inviato Barnaba.
    Arrivò, vide quel gran dono di Dio e ne gioì. Poi si diede a
    esortarli a restar fedeli a Gesù con tutto lo slancio. Era un uomo
    virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, e una grande moltitudine
    fu così guadagnata a Gesù" (Atti 11, 22-24).
    Episcopi e presbiteri
    Nell'opera degli Apostoli avente lo scopo di prolungare nel tempo la
    loro funzione, accanto alle grandi figure di Giacomo e di Barnaba,
    appaiono fin dalle origini gli episcopi e i presbiteri.
    1 - Gli episcopi erano dei sorveglianti come indica la parola (greco
    episkopein = sorvegliare). Ad essi vengono attribuite le funzioni di
    pascere il gregge di Dio (cfr. Atti 20, 28; 1 Pietro 5, 1-3),
    presiedere le assemblee (cfr. 1 Timoteo 3, 5; 5, 17), esercitare il
    ministero della Parola con autorità (cfr. 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9).
    2 - I presbiteri erano persone anziane chiamate a compiere varie
    funzioni in seno alle comunità dei cristiani. A Gerusalemme ricevono
    ed amministrano gli aiuti mandati dai fratelli di Antiochia ai
    fratelli della Palestina (cfr. Atti 11, 29-30). Sempre a Gerusalemme
    gli anziani prendono parte al concilio, assieme agli Apostoli e a
    Giacomo (cfr. Atti 15, 6.21-28).
    Fuori della Palestina, nelle chiese fondate da Paolo, i presbiteri o
    anziani sono incaricati di guidare le comunità locali (cfr. Atti 14,
    23). Scrivendo a Tito, Paolo lo esorta a stabilire presbiteri in ogni
    città (cfr. Tito 1, 5).
    Le funzioni o compiti dei presbiteri erano diverse: presiedevano alle
    comunità in qualità di pastori (cfr. Atti 20, 28), di amministratori
    (cfr. Tito 1, 6-9; 1 Timoteo 3, 1-7; Atti 11, 29-30), di maestri,
    cf. Atti 20, 28.32; 1 Timoteo 5, 17; Tito 1, 9). Ad essi spettava
    pure l'esercizio di determinati riti liturgici come l'unzione degli
    infermi (cfr. Giacomo 5, 14). Dai più antichi documenti sappiamo che
    i presbiteri presiedevano alla "celebrazione del sacrificio
    eucaristico".
    3 - Episcopi e presbiteri spesso coincidono. In Atti 20, 18 sono
    detti presbiteri quelli che poco dopo Paolo chiama episcopi. Agli uni
    e agli altri vengono spesso attribuite le stesse funzioni (cfr. Atti
    20, 28; 1 Pietro 5, 1-3; 1 Timoteo 3, 5; 5, 17; Tito 1, 9).
    Tuttavia è da notare che nelle Lettere Pastorali il titolo di
    episcopo appare solo al singolare e con l'articolo determinativo.
    Paolo esorta Tito a stabilire presbiteri nelle singole città; poi,
    subito dopo, dà istruzioni riguardanti l'episcopo (ton episkopon) al
    singolare.
    All'inizio pare che i termini presbiteri ed episcopi siano
    equivalenti, nel senso che indicano gli anziani che guidano le
    comunità. Con l'andare del tempo invece i compiti si specificano come
    appare dalle Lettere Pastorali, e l'episcopo assume la direzione
    della chiesa locale.
    I grandi rappresentanti dell'Apostolo
    Come nella Chiesa Madre di Gerusalemme, dove accanto alla figura di
    Pietro e di Giovanni appare quella di Giacomo, così pure nelle chiese
    fondate da Paolo emergono figure, il cui ruolo supera di molto quello
    di un semplice responsabile locale. Tali sono soprattutto Timoteo e
    Tito.
    1 - Timoteo era nato da padre pagano e da madre giudea convertita al
    cristianesimo (cfr. Atti 16, 1; 2 Timoteo 1, 5).Fu compagno di Paolo
    nel secondo e terzo viaggio missionario (cfr. Atti 17, 14 ss.; 18, 5;
    19, 22; 20, 4). A lui Paolo diede incarichi speciali di grande
    fiducia (cfr. Atti 19, 22; 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9; 1
    Tessalonicesi 3, 2-6).Segno di questa stretta collaborazione sono le
    due Lettere indirizzate da Paolo a Timoteo, oltre a quelle
    indirizzate dall'Apostolo alle varie chiese anche in nome di Timoteo
    (cfr. Filippesi 1, 1; Colossesi 1, 1; 1 e 2 Tessalonicesi, esordio).
    A un dato momento della sua vita, quasi certamente verso gli ultimi
    anni, Paolo, prevedendo prossima la sua morte, affida a Timoteo la
    cura o governo della Chiesa di Efeso:
    "Quando partii per andare in Macedonia ti raccomandai di rimanere a
    Efeso. Restaci ancora, ti prego, perché vi sono alcuni che insegnano
    false dottrine e tu devi ordinare che la smettano" (i Timoteo 1, 3).
    Le parole usate da Paolo hanno tutto il sapore di un affidamento più
    che di una semplice e ordinaria collaborazione. E' qui indicato
    chiaramente un caso di successione apostolica, cioè di trasmissione
    di poteri apostolica per la continuità dell'annuncio genuino del
    Vangelo conforme alla struttura della Chiesa voluta esplicitamente
    dal Signore Gesù.
    2 - Tito fu pure un immediato collaboratore di Paolo, che lo
    chiama "mio vero figlio riguardo alla fede comune" (Tito 1, 4). Paolo
    lo aveva generato in Cristo essendo stato lui lo strumento, di cui
    Cristo si era servito, per dare a Tito la nuova vita nella fede (cfr.
    Galati 4, 19; 1 Corinzi 4, 14-1 5; 2 Corinzi 6, 13).
    Tito ebbe dall'Apostolo vari incarichi anche delicati (cfr. 2 Corinzi
    2, 13; 7, 6; 8, 6-17; 12, 18; Romani 15, 26). In modo analogo a
    quanto aveva fatto con Timoteo, Paolo affida a Tito la cura della
    Chiesa di Creta coi potere di continuare l'opera sua.
    "A Creta ti lasciai per questo scopo: perché tu dia l'ultima mano a
    ciò che resta da fare e faccia in modo che in ogni città ci sia
    qualche presbitero, secondo le disposizioni che ti ho dato" (Tito 1,
    5).
    E' chiaro che Tito riceve da Paolo la consegna della sua stessa
    missione, che comportava non solo la vigilanza e la testimonianza
    della sana dottrina, ma anche la scelta delle guide o pastori che
    partecipassero e continuassero la stessa missione.
    Abbiamo qui un altro caso di successione apostolica analogo a quello
    di Timoteo.
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    00 06/08/2012 23:06
    PARTE SECONDA
    LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
    Verità da ricordare
    Ricordiamo ancora alcune verità bibliche:
    1 - Il Signore Gesù vuole che il suo Vangelo sia annunziato a tutte
    le genti e assicura che in quest'opera universale e perenne egli sarà
    sempre coi suoi inviati o apostoli fino alla fine dei mondo (cfr.
    Matteo 28, 19-20; Marco 16, 15). In effetti con la scelta dei Dodici
    e la missione loro affidata Gesù aveva fatto chiaramente capire che
    quest'opera universale e perenne di salvezza si sarebbe realizzata
    mediante il servizio di persone qualificate e autorizzate (cfr.
    Matteo 28, 18-20; Marco 16, 15; Luca 24, 46-49; Giovanni 20, 20-23).
    I Dodici hanno ricevuto questo mandato direttamente dal Maestro (cfr.
    Marco 3, 14, e paralleli). Ma essi sono morti. Come può essere
    continuato questo ministero qualificato voluto dal Maestro divino?
    Come sarà perpetuata la struttura della comunità dei suoi discepoli
    quale egli ha chiaramente indicata?
    2 - Gli Apostoli hanno ben capito questa volontà del loro Maestro.
    Perciò non solo ebbero la preoccupazione di predicare il Vangelo
    anche fuori della Palestina, nel mondo allora conosciuto, ma si
    circondarono di collaboratori, che potessero continuare la loro
    missione. A questi essi trasmisero anche mediante un gesto visibile e
    significativo, vale a dire con la imposizione delle mani l'autorità
    che essi avevano ricevuto dal loro Maestro. In seguito diedero
    disposizioni che, quando essi fossero morti, altri uomini fedeli ed
    esimi, subentrassero al loro posto.
    Abbiamo qui delineata quella che si chiama "successione apostolica",
    cioè la continuità del ministero o servizio qualificato nella Chiesa
    mediante uomini collegati ai Dodici senza interruzione, e mediante i
    Dodici allo stesso divino Fondatore della Chiesa.
    Giustifica la Bibbia questa continuità?
    Giustificazione biblica
    Un assertore esplicito della successione apostolica è, in modo
    particolare, san Paolo. Non molto tempo prima della sua morte
    scriveva a Timoteo: "Tu, dunque, figlio mio, fortificati nella grazia
    che è in Cristo Gesù. Le cose che udisti da me con l'appoggio di
    molti testimoni, affidale ad uomini fedeli, capaci di istruire altri
    a loro volta" (2 Timoteo 2, 1-2).
    Spiegazione:
    1 - Quando Paolo scriveva queste parole ave- va poca o nessuna
    speranza di ricuperare la libertà, di poter cioè vivere ancora a
    lungo. Prevedendo prossima la sua fine si preoccupa di assicurare
    la continuità nella trasmissione del Vangelo mediante ministri
    fedeli e ben preparati. Timoteo era certamente uno di questi. A lui
    Paolo, in una Lettera precedente, aveva raccomandato: "Non trascurare
    il carisma che è in te e che ti fu dato per mezzo della profezia
    insieme all'imposizione delle mani dei presbiteri" (1 Timoteo 4, 14).
    Timoteo, dunque, può essere considerato il primo anello, dopo Paolo,
    d'una lunga catena, che è la successione apostolica. Questo
    significano le parole: "Le cose da me udite con l'appoggio di molti
    testimoni". Si tratta d'una consegna, d'una trasmissione di poteri.
    L'espressione allude a un particolare momento nella vita di Timoteo,
    nel quale ricevette la missione di predicare il Vangelo con autorità.
    La consegna era accompagnata da un rito, cioè la imposizione delle
    mani (cfr. 1 Timoteo 4, 14; 6, 12).
    2 - Ma Paolo guarda più avanti. Egli vuole che anche dopo Timoteo vi
    siano nella Chiesa uomini fedeli e capaci di continuare la stessa
    autorevole missione. Ad essi Timoteo deve trasmettere lo stesso
    ministero che ha ricevuto da Paolo: "Le cose che udisti da me
    affidale ad uomini fedeli, capaci".
    Abbiamo qui il secondo anello della stessa catena: come Timoteo si
    ricollega a Paolo nel servizio qualificato e autorevole della Parola,
    così altri devono collegarsi a lui e, mediante lui, a Paolo, a
    Cristo. Questo servizio non è perciò lasciato allo sbaraglio, alla
    balìa di avventurieri, ma deve essere continuato mediante la
    trasmissione da parte di coloro che a loro volta l'hanno ricevuto e
    fedelmente esercitato.
    3 - La catena continua. Gli uomini fedeli e capaci, a cui Timoteo ha
    affidato le cose udite da Paolo, ossia il Vangelo autentico di
    Cristo, devono fare lo stesso cammino, affidare cioè ad altri, fedeli
    e capaci, quelle stesse cose, non altre.
    Abbiamo qui il terzo anello della catena. E' implicito nel pensiero
    di Paolo che su questi altri incombe lo stesso dovere, vale a dire di
    non spezzare la catena, ma continuarla affidando ad altri ancora lo
    stesso qualificato e autorevole servizio della Parola. E cosi fino
    alla fine dei tempi.
    4 - In questa chiara esposizione dell'Apostolo sono ben delineati i
    connotati di quella che si chiama "la successione apostolica". E' una
    catena ininterrotta - ripetiamo - che dal Signore Gesù, mediante gli
    Apostoli da lui scelti, autorizzati, inviati, e mediante i loro
    legittimi successori, deve continuare fino alla fine del mondo (cfr.
    Matteo 28, 20). Chi si pone fuori di questa catena non ha nessuna
    autorità, nessun diritto, nessuna garanzia di annunciare il Vangelo
    eterno del Figlio di Dio. Il Signore Gesù ha assicurato la sua
    presenza, cioè la sua assistenza, ai suoi Apostoli, non ad altri,
    fino alla fine del mondo.
    Commenta un biblista:
    "La "successione apostolica" è qui chiaramente delineata (...).
    L'Apostolo si preoccupa che Timoteo stesso si prepari dei
    collaboratori nell'insegnamento, tra i quali, ovviamente, qualcuno
    avrebbe dovuto prendere il suo posto quando il discepolo stesso
    sarebbe morto. "Quelle cose da me udite davanti a molti testimoni,
    affidale in custodia ad uomini sicuri, i quali siano capaci di
    ammaestrare anche altri" (2 Timoteo 2, 2). Come Cristo si è creato i
    suoi rappresentanti legittimi, cioè gli Apostoli, così questi si
    scelgono e designano dei successori, i quali a loro volta designano
    altri; e così fino alla fine dei tempi. C'è una "legittimità" di
    rappresentanza, la quale non può prescindere, oltre che da specifiche
    doti umane e spirituali, quali l'apostolo ripetutamente enumera,
    anche da un autentico e ben chiaro rapporto di ascendenza che, in
    qualche maniera, ricolleghi a colui o a coloro dai quali viene
    gestita la rappresentanza".
    0 Timoteo, custodisci il deposito (1Timoteo 6, 20)
    Noi arriveremo alla stessa conclusione esaminando ciò che Paolo
    scrive ancora a Timoteo nella prima Lettera: "0 Timoteo, custodisci
    il deposito" (1 Timoteo 6, 20).
    Quando Paolo scriveva questa Lettera, dense nubi si addensavano
    all'orizzonte della sua vita. Infatti, dopo appena due anni, arriverà
    per lui il tempo di levare l'ancora (cfr. 2 Timoteo 4, 6), e verserà
    il suo sangue come offerta a Dio gradita.
    In questo contesto, le parole sopra citate a Timoteo, che era stato
    preposto alla guida della chiesa di Efeso, hanno tutto il sapore di
    un testamento. Al discepolo, che aveva tutte le caratteristiche di un
    Vescovo, Paolo raccomanda di custodire il deposito. Nel linguaggio
    giuridico del tempo deposito era qualcosa consegnata a una persona di
    fiducia, che contraeva il diritto-dovere di custodire la cosa
    consegnata nella sua integrità per riconsegnarla a suo tempo
    sostanzialmente immutata.
    Al di là della metafora, le cose sono chiare senza possibile dubbio.
    Cristo ha affidato il deposito del Vangelo agli Apostoli. Paolo si
    sentiva ed era Apostolo di Cristo a tutti gli effetti. Come i Dodici
    egli sentiva di essere un depositario della Parola di Dio.
    Presentendo vicina la sua fine terrena, affidava tale deposito a
    persona qualificata e di fiducia quale era appunto Timoteo.
    Trattandosi di un deposito, Timoteo a sua volta dovrà fare lo stesso,
    finché il tesoro depositato si conservi integro fino al ritorno del
    Depositante, che è Cristo Signore. Si forma così una catena
    ininterrotta di depositari, che garantiscono la custodia integra kl
    deposito conforme alla volontà del Padrone.
    "Come Paolo ha ricevuto gli insegnamenti che ha tra- smesso ai suoi
    discepoli (cfr. 1 Corinzi 11, 2 e 23; 15, 1-3; Galati 2, 2.9), così
    dovrà fare a sua volta Timoteo il deposito (cfr. 1 Timoteo 6, 20) è
    da custodirsi e insieme trasmettersi. Canale di questa trasmissione è
    Timoteo insieme ad altri, perché non udì da solo gli insegnamenti di
    Paolo, ma fra molti testimoni (cfr. 1 Timoteo 6, 12). Timoteo e i
    testimoni insieme formano come una sola vox populi del cristianesimo
    che è la vox Dei, ed essi a loro volta trasmetteranno quella unica
    voce ad uomini fedeli".
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    00 06/08/2012 23:08
    Modalità nella successione
    Gli Apostoli dunque ebbero dei collaboratori, ai quali trasmisero il
    ministero o servizio qualificato e autorevole di maestri e guide
    delle comunità. I collaboratori divennero successori. Ma quale fu la
    forma concreta di questa successione? Chi ne fu il soggetto?
    1 - Dai documenti in nostro possesso, soprattutto dagli Atti degli
    Apostoli e dalle Lettere di san Paolo, appare chiaro che la
    trasmissione dei poteri dell'Apostolo è personale e individuale, non
    collettiva e anonima. A Gerusalemme abbiamo il caso di Giacomo. Fin
    dai primissimi tempi appare come il Vescovo di quella chiesa,
    attorniato da anziani o presbiteri (cfr. Atti Il, 30; 15, 6-13; 21,
    8). Simile corso ebbe luogo nelle chiese di Efeso con la presenza e
    l'opera di Timoteo (cfr. 1 Timoteo 1, 3), e di Creta con Tito (cfr.
    Tito 1, 5). Ben a ragione i due collaboratori dell'Apostolo vanno
    considerati come i primi successori in quelle comunità col potere
    d'insegnare e di guidare.
    La stessa cosa sembra potersi dire della chiesa di Antiochia di
    Siria. Con ogni probabilità fu Pietro a guidare quella chiesa per un
    certo tempo (cfr. Galati 2, 11). A lui successe Evodio, a cui tenne
    dietro come Vescovo Ignazio, che finì la vita col martirio a Roma nel
    107 d.C. Il martire Ignazio è il testimone più esplicito della forma
    monarchico-episcopale delle chiese fin dai suoi tempi, vale a dire
    fin dalla seconda metà del primo secolo (cfr. infra).
    Infine è molto probabile che "gli angeli" delle sette chiese, di cui
    parla l'Apocalisse nei capitoli 2 e 3 (cfr. anche 1, 20),
    rappresentino i singoli Vescovi di quelle chiese. E Giovanni scrisse
    verso la fine del primo secolo.
    2 - Tuttavia, almeno in alcune chiese di origine paolina, sembra che
    la successione si sia attuata in un primo tempo in una forma
    collegale, sfociata a breve scadenza in quella monarchica, a
    imitazione delle altre chiese. Le cose si sarebbero svolte nel modo
    seguente in sintonia con quanto aveva fatto lo stesso Paolo.
    Finché visse l'apostolo era lui il responsabile. Ma la cura immediata
    delle singole comunità era affidata a un consiglio di anziani (cfr.
    Atti 14, 23; 1 Tessalonicesi 5, 12-13). Tra gli anziani era eletto
    uno chiamato "episcopo" con funzioni direttive particolari (cfr. Tito
    I# 5). La figura dell'episcopo è di qualcuno che debba avere qualità
    non comuni (cfr. 1 Timoteo 3, 1 ss; Tito 1, 7-9). E' significativo il
    fatto che Paolo, nella Lettera a Tito (1, 7), parli dell'episcopo al
    singolare.
    Dopo la morte dell'Apostolo, assai di buon'ora, prevalse la forma
    monarchica di successione. L'episcopo divenne Vescovo, imitando il
    comportamento avuto da Paolo nei riguardi di Timoteo e Tito.
    3 - Testimone autorevole di questo sviluppo è certamente il martire
    Ignazio di Antiochia, già ricordato. Egli visse nella seconda metà
    del primo secolo e fu quindi contemporaneo dell'autore
    dell'Apocalisse. Di lui rimangono numerose e chiare testimonianze
    sulla struttura delle singole chiese, che si accentra nella figura
    del Vescovo.
    "Procurate di fare ogni cosa (...) sotto la guida del Vescovo, che
    tiene il luogo di Dio": "Nessuno faccia senza il Vescovo alcuna di
    quelle cose, che riguardano la Chiesa (...). Dove appare (il
    Vescovo), ivi sia la comunità, come dov'è Gesù Cristo, ivi è la
    Chiesa cattolica Quello che il Vescovo fa è approvato da Dio".
    In tutte le lettere di Ignazio, anche in quelle indirizzate alle
    chiese di origine paolina, la figura del Vescovo appare in modo
    chiaro ed inequivocabile.
    "Dato che prima della fine del 1 secolo si trovano chiese sotto un
    unico Vescovo, si può presumere che uno dei membri del collegio fosse
    eletto a succedere all'apostolo, dopo la morte di lui, come capo
    monarchico della chiesa".
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    00 06/08/2012 23:12
    PARTE TERZA
    TRADIZIONE E SUCCESSIONE
    Concetto cattolico di Tradizione
    1 - Per Tradizione noi cattolici non intendiamo quello di cui i tdG e
    altri settari malignamente ci accusano, vale a dire la sostituzione
    di insegnamenti umani alla Parola di Dio. L'uso che essi fanno di
    alcuni testi biblici come Matteo 15, 1-6; Marco 7, 1-13, per dare
    un'apparenza di verità alla loro calunnia, è completamente errato.
    Nei testi citati Gesù rimprovera i farisei di anteporre al
    comandamento di Dio, quale l'onorare i genitori, precetti umani quali
    il lavarsi le mani prima del cibo o al ritorno dal mercato, come,
    pure lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame (cfr. Marco
    7, 4; Matteo 15, 2). E' semplicemente ridicolo attribuire alla Chiesa
    Cattolica l'insegnamento per tradizione di questi e simili precetti.
    Al contrario, la Chiesa Cattolica si basa sulla Tradizione per
    conoscere in modo completo e fare osservare fedelmente e in modo
    esatto la Parola di Dio. Questo concetto di Tradizione è
    perfettamente giustificato dalla Bibbia.
    2 - La parola "tradizione" (greco paràdosis)
    significa "trasmissione". In questo senso i detti e i fatti di Gesù,
    cioè il Vangelo (per limitarci solo al Nuovo Testamento) furono
    trasmessi da Lui a viva voce ai suoi discepoli, soprattutto ai
    Dodici, e da questi ad altri. E' fuor di dubbio che quanti udirono
    Gesù o furono testimoni delle sue opere non scrissero subito la
    cronaca di quegli eventi per farla leggere ad altri. Il "servizio
    stampa" era ancora lontano secoli e millenni. Quei discepoli si
    imprimevano nella memoria i detti e i fatti del Maestro, che poi
    riferivano ad altri a viva voce. Il Vangelo fu Tradizione prima che
    prendesse forma scritta (cfr. 1 Corinzi Il, 23; 15, 3; Luca 1, 1-2).
    Gli scritti che vennero dopo non erano destinati a riportare tutta la
    Tradizione (cfr. Giovanni 20, 30-31; 21, 24-25). Questo è talmente
    vero che lo stesso Paolo raccomandava ai cristiani di Tessalonica
    di "mantenere le tradizioni che avete apprese così dalla nostra
    parola come dalla nostra lettera" (2 Tessalonicesi 2, 15).
    3 - Da ciò ne segue che il contenuto della Tra, dizione, vale a dire
    dei detti e dei fatti di Gesù, che è Parola di Dio, ci può essere
    pervenuto anche per altri canali che non siano i vangeli e gli
    scritti apostolici. Infatti alcuni discepoli immediati degli Apostoli
    ci hanno lasciato testimonianze scritte di ciò che avevano udito da
    loro. Noi possiamo considerare queste testimonianze come autentici
    insegnamenti di Gesù e degli Apostoli.
    A questo tipo di Tradizione, che è Parola di Dio, appartengono non
    pochi detti riguardanti la successione apostolica. Tale dottrina -
    come abbiamo dimostrato - è contenuta nella Bibbia. Ma anche fuori
    della Bibbia abbiamo numerose testimonianze della stessa verità. Sono
    gli scritti di alcuni eminenti testimoni delle prime generazioni
    cristiane.
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    Credente
    00 06/08/2012 23:13
    Testimoni e testimonianze
    1 - San Clemente Romano
    Tra i discepoli immediati degli Apostoli, nel caso specifico di san
    Pietro, va annoverato Clemente Romano. Fu terzo successore di san
    Pietro a Roma, dopo Lino, ed Anacleto, dall'anno 92 all'anno 101 Era
    Cristiana. Clemente conobbe molte cose, cioè insegnamenti di Pietro e
    forse anche di Paolo. Poi ebbe occasione di mettere queste cose per
    iscritto. Uno di questi scritti è giunto fino a noi e contiene
    un'esplicita testimonianza della successione apostolica. Eccola:
    "Gli Apostoli furono mandati a portare la Buona Novella dal Signore
    Gesù Cristo; Gesù Cristo fu mandato da Dio. Il Cristo dunque viene da
    Dio, e gli Apostoli da Cristo. Ambedue le cose procedettero dunque
    ordinatamente dalla volontà di Dio. Ricevuto quindi il loro mandato,
    resi sicuri dalla risurrezione dei Signore Nostro Gesù Cristo e
    fiduciosi nella Parola dì Dio, con l'assicurazione dello Spirito
    Santo, andarono ad annunziare la Buona Novella, l'avvicinarsi del
    regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi
    provavano nello Spirito Santo le loro primizie (= le prime
    conversioni) e le costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti.
    E questa non era cosa nuova, poiché da gran tempo la Scrittura
    parlava di vescovi e diaconi. Così dice infatti la Scrittura in un
    luogo. "Stabilirò i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi
    nella fede".
    E ancora: "Anche gli Apostoli nostri conobbero, per mezzo del Signore
    Nostro Gesù Cristo, che ci sarebbero stati contrasti a riguardo della
    dignità episcopale. Per questa ragione, prevedendo perfettamente
    l'avvenire, istituirono coloro che abbiamo detto (cioè vescovi e
    diaconi); e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri
    uomini provati succedessero nel ministero. Coloro dunque che furono
    stabiliti dagli Apostoli, oppure in seguito da altri uomini esimi con
    l'approvazione di tutta la Chiesa (... ), costoro noi crediamo che
    non sia giusto scacciarli dal loro ministero".
    Osservazioni:
    a) La testimonianza di san Clemente Romano in materia di successione
    apostolica è di un valore incalcolabile sia per la sua antichità sia
    per la forma assai esplicita in cui è affermata. La Lettera è stata
    scritta "dalla chiesa di Roma alla chiesa di Corinto" verso l'anno 96
    Era Cristiana. Sappiamo da sant'Ireneo che la Lettera deve essere
    attribuita a Clemente, che guidava in quel tempo la chiesa di Roma.
    Di lui scrive Ireneo: "La predicazione degli Apostoli risuonava
    ancora nelle sue orecchie e il loro insegnamento era ancora sotto i
    suoi occhi".
    b) Clemente fa risalire a Gesù Cristo l'origine della successione
    apostolica. Fu Lui a voler assicurare la trasmissione del vero
    Vangelo mediante una catena ininterrotta di persone qualificate e
    autorizzate. Questo vale sempre. Ma vale specialmente quando lupi
    rapaci si intromettono nel gregge di Cristo (cfr. Atti 20, 29-31),
    arrogandosi un potere che nessuno ad essi ha mai dato. Così era.
    avvenutovi tempi di Clemente, così avviene in altre epoche della
    storia, anche ai nostri giorni. Gesù ha ammonito: "Guardate di non
    lasciarvi ingannare (...). Non seguiteli" (Luca 21, 8).
    c) E' da notare infine che la chiesa di Corinto, a cui Clemente
    indirizzava la sua Lettera, era una chiesa di origine paolina. Anche
    in quella chiesa la guida della comunità era affidata a persone
    fedeli e capaci che fossero legate agli Apostoli mediante il filo
    ininterrotto della successione.
    2 - Sant'Ireneo Appartiene alla terza generazione cristiana. Nacque
    verso la metà del secondo secolo, probabilmente nell'anno 140 d.C., a
    Smirne (nella odierna Turchia), e chiuse la sua vita col martirio a
    Lione in Francia, dov'era Vescovo, nell'anno 203 d.C.. Nella sua
    prima gioventù fu discepolo di san Policarpo (69 - 155), Vescovo di
    Smirne, che a sua volta era stato alla scuola di Giovanni, l'autore
    del quarto vangelo. Sant'ireneo fu anche a Roma, dove poté conoscere
    direttamente molte cose riguardanti quella chiesa.
    L'opera principale di Ireneo è lo scritto Adversus Haerescs (contro
    le eresie), in cui parla anche della successione apostolica.
    Basandosi sui testi della Scrittura, Ireneo dimostra che gli eretici
    sono in errore perché sono fuori della successione .
    "Così tutti coloro che vogliono conoscere la verità possono osservare
    in ogni chiesa la tradizione degli Apostoli, manifestata in tutto il
    mondo. Noi possiamo enumerare coloro che dagli Apostoli furono
    stabiliti vescovi nelle chiese, e i loro successori fino ad oggi.
    Essi non hanno insegnato nulla, nulla hanno conosciuto che somigli
    alle fantasticherie di costoro (degli eretici) ...".
    Continua Ireneo: "Ma poiché sarebbe troppo lungo, in un volume come
    questo, enumerare la successione di tutte le chiese, noi esaminiamo
    la chiesa grandissima e antichissima e conosciuta da tutti, fondata e
    stabilita a Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; e
    dimostreremo che la tradizione, che essa ha dagli Apostoli, e la
    fede, che ha annunciato agli uomini, sono giunte fino a noi
    attraverso la successione di Vescovi".
    Segue l'elenco dei successori di san Pietro nel governo della chiesa
    di Roma. Da questi dati di fatto Ireneo tira le conseguenze:
    "Tali essendo le nostre prove, non c'è, bisogno di andare a cercare
    altrove la verità, che è facile trovare nella Chiesa, perché gli
    Apostoli come in uno scrigno vi hanno deposto tutta la verità nella
    sua pienezza affinché chiunque lo voglia, possa attingervi la bevanda
    di vita (cfr. Apocalisse 22, 17). Questo è l'ingresso alla vita.
    Tutti gli altri sono ladri e briganti (cfr. Giovanni 10, 1.8-9).
    Bisogna perciò evitarli, ed amare invece d'un amore sommo tutto ciò
    che è della Chiesa, e apprendere la tradizione della verità".
    Osservazioni:
    a) La testimonianza di Ireneo relativa alla successione, non meno di
    quella di Clemente Romano, merita la più grande credibilità. Egli
    aveva appreso da testimoni oculari il comportamento degli Apostoli in
    questo settore della vita della Chiesa, vale a dire come essi si
    erano preoccupati di trasmettere a persone ben provate e preparate la
    funzione di preservare e passare ad altri il tesoro o sacro deposito
    delle verità rivelate, della Parola di Dio. A Smirne, sua città
    natale, Ireneo aveva appreso questa dottrina da san Policarpo,
    discepolo dell'Apostolo Giovanni. A Roma poté apprendere da persone
    degne di fede come si erano svolte le cose in quella grandissima e
    antichissima Chiesa.
    b) Basandosi su documenti e testimonianze dirette, Ireneo è convinto
    che la successione ininterrotta dei vescovi è la sola garanzia della
    preservazione e trasmissione autentica della Parola di Dio nella vera
    Chiesa di Cristo. Fuori di questo canale ininterrotto dei successori
    degli Apostoli non vi può essere vera Chiesa e non si può trovare la
    verità.
    3 - Tertulliano
    Nacque a Cartagine verso il 160 Era Cristiana. Il suo intero nome era
    Quinto Settimio Fiorenzo Tertulliano. Pagano di nascita si convertì
    al cristianesimo all'età di 33 anni circa. Era avvocato. Divenuto
    cristiano fu apologista, polemista, teologo e moralista. Morì in età
    avanzata verso il 240. La sua attività letteraria si svolse
    soprattutto nei primi decenni del terzo secolo, dal 200 al 220 circa.
    Per Tertulliano il vero cristiano è colui che appartiene alla Chiesa
    fondata dagli Apostoli, aderisce alla dottrina insegnata da loro e
    preservata nelle chiese apostoliche. Questo gli eretici non ce
    l'hanno. Quindi non sono cristiani. Sono fuori della vera Chiesa di
    Cristo. Col suo stile energico Tertulliano scrive in forma di sfida:
    "Non pare che Gesù Cristo abbia rivelato il Padre suo ad altri che
    agli Apostoli, che egli inviò a predicare (... ). E qual è la materia
    della loro predicazione? ( ... ). Per saperlo bisogna necessariamente
    rivolgersi alle chiese che gli Apostoli in persona fondarono e
    costruirono, sia a viva voce sia, più tardi, per lettera. Se la cosa
    sta così, ne consegue che si debba considerare vera solo quella
    dottrina che concordi con la dottrina delle chiese apostoliche, madri
    e sorgenti della fede (...). Ne segue che deve essere giudicata a
    priori parto di menzogna ogni altra dottrina che contraddica alla
    verità delle chiese degli Apostoli di Cristo e di Dio".
    L'eresia manca di apostolicità:
    "Può darsi che ci siano eresie, le quali osino rifarsi all'età
    apostolica sì da parer insegnate dagli Apostoli. Si può replicare ad
    esse: "Mettano fuori dunque le carte di nascita delle loro chiese;
    sciorinino i cataloghi dei loro vescovi, che dimostrino la loro
    successione fin dal principio, in modo che si veda che quegli che fu
    il primo vescovo ricevette l'investitura e fu preceduto da uno degli
    Apostoli o almeno da un uomo apostolico, che con gli Apostoli avesse
    avuto rapporti costanti. Questo è il modo con cui le Chiese
    apostoliche esibiscono i propri titoli: così la chiesa di Smirne
    mostra che Policarpo fu collocato in quella sede da Giovanni; così
    quella di Roma mostra che Clemente vi fu ordinato da Pietro; e così
    pure le altre esibiscono i vescovi che, costituiti nell'episcopato
    dagli Apostoli, sono per esse i veicoli della semente apostolica".
    Rivolto agli eretici Tertulliano scrive: "Alto là! Chi siete voi?
    Quando e da dove siete venuti? Che cosa volete fare presso di noi,
    voi che non siete dei nostri? (... ). Come mai venite a seminarvi e a
    pascolarvi a vostro piacere? Il podere è mio; lo posseggo da lungo
    tempo e prima di voi. Il mio diritto originario è sicuro e
    inviolabile, poiché risale a coloro che ne furono i primi padroni. lo
    sono l'erede degli Apostoli! Come essi hanno deposto per me nel loro
    testamento e mi trasmisero per fedecommesso e confermarono per
    giuramento, così io sono il possessore. Quanto a voi, resta dunque
    chiaro che essi vi hanno per sempre diseredati e rinnegati, come
    degli estranei, come dei nemici".
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    Credente
    00 06/08/2012 23:14
    Conclusioni
    Al termine della nostra breve rassegna sia biblica che storica noi
    possiamo e dobbiamo dedurre e puntualizzare alcune conclusioni. Sono
    piuttosto verità o principi o norme indispensabili per conoscere con
    certezza quale deve essere l'oggetto della fede e della morale del
    vero discepolo di Cristo.
    La prima. Cristo ha voluto che la sua vera Chiesa procedesse nel
    tempo poggiata sulla testimonianza degli Apostoli, ossia di uomini
    scelti ed autorizzati dal Signore Gesù a preservare e trasmettere il
    Vangelo eterno. La vera Chiesa di Cristo o è apostolica o non è la
    sua vera Chiesa. Chiunque si è distaccato o si distacca da questa
    Chiesa Apostolica non ha nessuna autorità di annunciare ciò che
    bisogna credere e fare per piacere al vero Dio è conseguire la
    salvezza.
    La seconda. A cominciare dagli Apostoli si è formata una catena
    ininterrotta di persone qualificate e autorizzate, ossia di
    successori degli Apostoli. Sono i loro legittimi eredi, i custodi
    capaci e fedeli del deposito della fede. Solo essi danno la garanzia
    di preservare e trasmettere con fedeltà e integrità i fatti e i detti
    del Signore. Chiunque si arroga il diritto di annunciare la Parola di
    Dio senza essere inserito in questa catena, deve dirsi un intruso, o,
    peggio ancora, un usurpatore, un ladro (cfr. Giovanni 10, 1-10).
    La terza. Numerose testimonianze storiche, a cominciare dall'età sub-
    apostolica, attestano al di là d'ogni possibile dubbio che nella
    Chiesa Cattolica la catena dei successori degli Apostoli non è stata
    mai interrotta. Papa e Vescovi sono i legittimi eredi degli Apostoli
    nella funzione di pascere i veri discepoli dì Cristo, di guidarli
    cioè nella sana dottrina della fede e della morale. Il diritto della
    Chiesa Cattolica a dare il vero senso della Scrittura è originario e
    inviolabile. Esso risale a coloro che ne furono i primi custodi,
    ossia agli Apostoli, e mediante gli Apostoli, allo stesso Signore
    Gesù Cristo.
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    Coordin.
    00 22/08/2012 22:11
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    Credente
    00 07/06/2018 18:08
    SOTTO L’AUTORITA’ DI CHI?


    Ai nostri tempi vediamo che tante persone prendono sempre di più le distanze da qualsivoglia nozione di autorità , per seguire invece quello che è corretto e giusto secondo loro. Questo modo di pensare e di agire non lascia spazio alla verità oggettiva. li rischio e che qualcuno scelga con cura solo le dottrine e le istruzioni che gli piacciono o con le quali va d'accordo Di conseguenza, è di importanza vitale che, come credenti in Gesù Cristo e come appartenenti alla Chiesa cattolica, abbiamo un modo particolare di agire, che ci siano certi principi e valori a cui aderire e da seguire. Come cattolici non possiamo semplicemente scegliere ciò che vogliamo e che ci sembra ragionevole. Come chiesa, siamo sotto un'autorità e dobbiamo rendere conto a questa autorità per il modo in cui viviamo le nostre vite quotidiane. Perciò, esiste una domanda vitale a cui dobbiamo rispondere:
    Chi è questa autorità?
    La Costituzione Dogmatica della Chiesa afferma con forza che Gesù Cristo è la fonte del ministero della Chiesa Gesù Cristo ha dato alla Chiesa la sua autorità, la sua missione e le sue mete (LG 5). Di conseguenza, Gesù, mandato dal Padre e attraverso la potenza dello Spirito Santo è la più grande autorità della Chiesa.
    È pertanto imperativo che in qualità di credenti, discepoli di Gesù e mèmbri della Chiesa, sviluppiamo un rapporto più profondo e personale con Gesù. Da cattolico, sono chiamato a sottomettermi innanzitutto all'autorità e agli insegnamenti di Gesù. Questo richiede familiarità con la Parola di Dio, le Sacre Scritture. È cruciale che da cattolici noi preghiamo e meditiamo la Parola di Dio ogni giorno delle nostre vite.
    Stare sotto l'autorità di Gesù ci aiuta a tenere vivo tutto ciò che è cristiano in noi, la nostra vocazione, la nostra identità, la nostra visione, le nostre speranze e i nostri sogni. Questo è di importanza vitale, particolarmente durante t periodi di delusione, ansia e disorientamento. Il capitolo 21 del Vangelo di Giovanni descrive "la terza volta che Gesù apparve
    ai discepoli dopo la risurrezione dai morti" (Gv 21,14). Pietro e alcuni degli altri discepoli erano vicino al Mare di Gallica. Pietro disse: "Vado a pescare" (Gv 21,3). Pietro sembrava aver dimenticato i tré anni trascorsi con Gesù. Si dimenticò di tutti miracoli straordinan di Gesù. Si dimenticò dei suoi insegnamenti e di come la gente accorreva. Dimenticò le promesse che aveva fatto e in particolare che sarebbe risorto (Gv 12,31-32).
    Di conseguenza, nella sua delusione, Pietro dimenticò che Gesù lo aveva chiamato ad un compito speciale: di essere la guida delia Chiesa.
    Perciò l'unica cosa che gli rimaneva da fare, secondo Pietro, era di tornare al modo di vivere che aveva tenuto prima di incontrare Gesù, cioè di andare a pescare. Influenzò anche gli altri, ma non presero niente quella sera. Come facevano a prendere qualcosa se avevano un atteggiamento tanto negativo?
    Come potevano raggiungere il successo quando si sentivano sconfitti e disillusi? Eppure Gesù non era lontano. Era sulla riva "circa trecento metri da terra " (Gv 21,8).
    Sappiamo tutti come andò a finire. Attraverso la pesca miracolosa Gesù ricordò a Pietro che nonostante tutte le sue manchevolezze la sua missione rimaneva "pasci i miei agnelli" e "bada alle mie pecore" (Gv 21,16-17). Sotto l'autorità di Gesù 'Pietro non solo fu rinnovato e incoraggiato nella vocazione, ma gli fu dato anche potere di continuare il lavoro di Gesù, accompagnato da segni e prodigi (At 3,1-10). Allo stesso modo, quando, dati i nostri limiti, cominciamo a dubitare e tendiamo a scoraggiarci, Gesù continua ad assicurarci la sua autorità e la sua assistenza per proclamarlo Signore e continuare il suo lavoro.
    Inoltre, con il nostro battesimo non solo diventiamo una nuova creazione in Gesù Cristo, ma diventiamo anche mèmbri della Chiesa. Di conseguenza abbiamo bisogno di vivere sotto l'autorità di coloro a cui e stato affidato il Ministero della guida pastorale della Chiesa. Quando Gesù scelse i dodici Apostoli, "li costituì in forma di collegio o assemblea permanente, alla testa della quale mise Pietro, scelto fra in mezzo a loro' (LG 19, Le 6,13). Gesù chiamo Pietro "roccia Gli affidò il potere delle chiavi, ne fece il pastore del nuovo popolo di Dio (Mt 16,18-19). Inoltre, anche il ministero del legare e dello sciogliere che fu dato a Pietro fu dato anche agii altri apostoli quando erano uniti a lui (LG 22). Questo ministero pastorale di Pietro e degli apostoli è al cuore della fondazione e del ministero della Chiesa Oggi questo ministero continua ad opera dei vescovi, con e sotto la signoria del Papa.
    La missione di coloro a cui è stato affidato il ministero pastorale della Chiesa è di guidare i) popolo di Dio nei modi e negli insegnamenti di Gesù. Egli promise di proteggere la sua Chiesa e di essere con noi sempre, per mezzo del potere dello Spinto Santo. "Per adempiere a questo servizio, Cristo dotò i pastori della Chiesa del carisma dell'infallibilità in materia di fede e della morale. L'esercizio di questo carisma prende diverse forme" (CCC 890). Una spiegazione dettagliata del modo in cui il carisma deìl'infallibilità è esercitato nella Chiesa si trova nel CCC 891.
    Ponendoci decisamente sotto la signoria di Gesù e con i piedi ben piantati nella vita e negli insegnamenti della Chiesa potremo realizzare il nostro potenziale creato da Dio e anche aiutare gli altri a realizzare la loro identità in Dio e il loro scopo nella vita.

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