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L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come atto di rappresaglia in seguito a un attacco partigiano contro le truppe germaniche avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione.

Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, sono diventate un monumento a ricordo dei fatti e sono oggi visitabili.









Un'organizzazione clandestina il 23 marzo 1944 decide di agire contro i tedeschi, il giorno scelto è quello del 25° anniversario della nascita dei fasci combattenti, il gruppo si chiamava GAP. I fascisti vorrebbero ricordare solennemente la creazione dei fasci con una adunata di massa vecchio stile, il sostenitore di questa idea era il federale Pizzirani, i nazisti erano contrari non sapendo come valutare la reazione della popolazione ad un evento del genere. Pizzirani si rivolge, dunque, al ministro dell’interno Buffarini per esortare il duce a far pressione agli alleati se non direttamente a Hitler, ma a quest'ultimo la questione non gli arrivò mai, Rahm e Wolff d’accordo con Maektzer e Kappler, erano inamovibili, la celebrazione doveva avvenire in una sala al chiuso.



Vengono predisposte ingenti misure di protezione, visto che numerose voci su attentanti circolano in continuazione. Quel giorno durante la celebrazione Buffarini-guidi, Moellhausen e l’agente di Himmler, Dollmann, ascoltano il discorso di Borsani, un invalido cieco di guerra, alla fine Moellhausen disse di essersi affacciato alla finestra per prendere un boccata d’aria, quando all’improvviso sentì diverse esplosioni. Quello che udì erano le bombe dei gappisti, precisamente dal gruppo formato da: Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna, Carla Capponi, Alfio Marchini, la via dell’attentato era via Rasella, nel momento che veniva attraversata da un reparto di sussidiari delle SS provenienti da Bolzano, 32 di loro muoiono 10 vengono feriti, inoltre rimangono uccisi 2 civili che erano di passaggio, la strada disseminata di cadaveri e feriti che si lamentano, la milizia fascista spara all’impazzata verso le finestre aperte, fino a che Buffarini-guidi non ordina con forza il cessate il fuoco.

Compare sulla scena il generale Maeltzer ubriaco come spesso capitava, i militari e la polizia irrompono nelle abitazioni e cacciano fuori gli abitanti per suo ordine, in preda alla furia li vorrebbe far fucilare all’istante, Moellhausen invece cerca di calmarlo, la decisione sul da farsi viene presa da Hitler stesso, che dispone che sia compito delle SS di far giustizia, in quanto le vittime ne facevano parte. Il primo a comunicare la notizia a Mussolini fu il prefetto di Salerno, poco dopo Buffarini-Guidi, il quale gli descrive la reazione scomposta di Maeltzer “ubriaco come al solito e talmente fuori di se da voler far saltare in aria un isolato”. Ancora Buffarini mezz’ora dopo comunica al duce le notizie apprese dal questore di Roma Caruso, i tedeschi decisero che per ogni tedesco morto sarebbero stati uccisi 10 italiani, ordine che secondo lui sarebbe stato impartito dal Fuher, Mussolini non riesce a far desistere i tedeschi da questa idea, sebbene tra questi ultimi regnasse la confusione dove ognuno voleva far subire alla città, la vendetta in maniera diversa, in ogni caso il generale Wolf disse a Kappler di non prendere alcune decisione fintanto che Rahn non fosse arrivato a Roma.

Il giorno dopo il generale arrivò in città dopo essersi messo al corrente di tutto disse di aver parlato con Kesselring sul da farsi oltre ad aver ricevuto ordini diretti da Himmler, Hitler vorrebbe far saltare in aria un intero quartiere di Roma con tutti quelli che lo abitano e per ogni poliziotto tedesco ucciso vorrebbe far fucilare da 30 a 40 italiani. Wolff fece sapere a Kesselring che Himmler era determinato oltre a punire i responsabili anche a eliminare tutti i sospettabili o comunisti per questo diede ordine di cominciare ad organizzare la deportazione di tutta la popolazione maschile dei quartieri più pericolosi, famiglie comprese rastrellando le persone dai 18 ai 45 anni. La deportazione non fu fatta solo per problemi di natura tecnico militare, la Wermacht non voleva rimuovere preziose forze dal fronte per eseguire l’idea folle di Himmler, ma le SS erano ben determinate a sfruttare questa occasione per intimorire Roma, Kesselring via radio informa la cittadinanza romana che dovrà farsi carico delle spese di risarcimento alle famiglie delle vittime e questa richiesta sarebbe stato l’ultimo atto di clemenza, ma a Kappler fu affidato l’incarico di fare “giustizia”, 10 italiani per ogni morto tedesco, tra l’altro Kappler dichiara di aver già abbastanza prigionieri dopo gli arresti avvenuti dopo lo sbarco alleato detenuti al regina Coeli in via tasso e dal torturare Koch, si rivolge al questore fascista chiedendogli i nomi ma questo fa presente di non avere una lista di condannati a morte, a questo punto Caruso si vede minacciato di arresti e si rivolge a buffarini al quale dice che si rivolse addirittura al vaticano senza nulla ottenere.

Poco prima dell’esecuzione muore un altro ferito di via rasella, quindi non più 320 italiani dovranno morire ma bensì 330, ma Kappler, per "errore" ne mandò a morte 335, dei quali neanche uno aveva avuto un qualche ruolo dell’attentato di via rasella, quei 5 morti in più gli costarono l’ergastolo, di fatti se non fosse stato così si sarebbe fatto solo un paio di anni in prigione potendo affermare di solo eseguito degl'ordini. Il 24 marzo all’incrocio di via Fosse Ardeatine e via delle sette chiese compare un plotone di soldati tedeschi che blocca l’accesso alla cava di arenaria (appunto le fosse ardeatine), poco dopo arrivano 5 macchine delle SS armati di tutto punto, questi sorvegliano lo scarico di 4 camion e un furgone della croce rossa dal quale stanno uscendo trascinandosi i condannati, molti di loro erano stati appena torturati, i tedeschi li spingono nei cunicoli della cava, poco dopo i soldati iniziano a lanciare bombe a mano nella cava iniziando così la carneficina, si può pensare che non tutti i 335 uomini siano morti subito ma nessuno ebbe cura di controllare e per chiudere la fossa comune usarono delle cariche esplosive in due serie distanziate di un ora.

Il giorno seguente il 25 marzo, il fetore è già così forte che i nazisti decisero di far saltare nuovamente delle bombe per sigillare meglio la cava, a mezzogiorno il sacerdote don Nicola Cammarota impartisce l’assoluzione. Il 30 marzo tredici sacerdoti si recano alle fosse capendo che l’entità della tragedia era grande, già il giorno dopo si cominciò a disseppellire e riconoscere i morti, nel frattempo uno dei sacerdoti corse in vaticano ad avvertire della strage, riferendo a monsignor Montini, il futuro Paolo VI, ma dal vaticano non venne nessuna condanna fino alla fine della guerra.
[Modificato da kamo58 30/03/2012 08:17]