00 26/11/2011 21:01


Mio padre? Non lo incontrai mai. In qualsiasi caso, se l’avessi fatto, ora non sarei qui. Nacqui nella foresta dove mia madre, sola e in preda al dolore, si era rifugiata. Nessuno mi avrebbe mai accettata per quello che ero, lo so, e la cosa peggiore fu che non ero nulla di male: nelle mie vene scorreva l’antico sangue dei Silvani. Ma loro, quelli del villaggio, non mi volevano: anni addietro avevano accolto nella loro comunità mia madre, con me non avrebbero fatto altrettanto.
Avrei dovuto morire la stessa notte in cui nacqui, se non fosse stato per una ragazzetta del villaggio, che aveva seguito mia madre, e che l’aiutò in quella notte oscura, durante la quale le grida di mia madre squarciarono l’aria più e più volte e poi, quando il suo sospiro non sfiorò più alcun albero, il mio pianto irruppe nel mondo, solo. Io, una mezzosangue, tra le braccia di una ragazzina di sì e no dieci anni, che mi riportò al villaggio, nascondendo la mia identità, dicendo che mi aveva trovata alla fonte, nella foresta del Vordeln. Il resto della storia non lo seppi mai.

Crebbi in una famiglia non mia, che lentamente iniziò ad intuire che qualcosa, in me, era differente. Ma come potevano condannarmi per una colpa non mia? Come potevano sbarazzarsi di me quando mi avevano già salvato una volta la vita? Delle volte osservavo Saven, colei che mi aveva salvata, e sua madre pregare, spargendo erbe odorose, lavanda e biancospino nel piccolo caldano al centro della capanna. Non ricordo con esattezza quando inizia a rendermene conto, forse da subito. Più e più volte chiesi perché facessero così ma loro mi risposero in un sussurro che non era ancora arrivato, per me, il tempo di esser messa al corrente della Madre, finchè sarei rimasta una bambina.
Ero desiderosa di sapere, lo ero sempre stata, ma quando il mio riflesso tremolava nelle gelide acque delle polle sorgive della valle, io non potevo fare a meno di chiedermi chi fossi. Ero alta, molto più di tutte le ragazzine della mia età, e le mie orecchie, puntute, avevano uno strano taglio, così curioso e singolare. Chiesi alla madre di Saven, chiesi di me, che ero così diversa. Era una fredda notte invernale quando mi raccontò che non ero sangue del suo sangue, e che quella mia natura era una condanna –come poteva dire altrimenti, un’umana, non conoscendo il significato della verità?-, poiché figlia mezzosangue, figlia della Foresta. Non lo accettai. Ero una bambina, e gridai, e piansi, e corsi fuori dalla capanna, scalza, nella neve; e rimasi fino a che non mi riportarono di forza all’interno, a maledire le stelle e il ghiaccio.

Ci volle molto tempo, ma accettai, seppur a fatica, il mio essere meticcia. Non ci fu nemmeno tempo che i tratti leggiadri di mio padre iniziassero a diventare in me ancora più marcati che il nostro piccolo villaggio fu attaccato. Nell’intera valle venne dato fuoco ai covoni di fiero e nella foresta il lupo ululò irascibile. Io riuscii a fuggire assieme ad altri, ma fu proprio la nostra corsa disperata lontano dal villaggio: per i bracconieri non fu difficile bloccarci la strada e farci loro prigioniere.
Così iniziò la mia “seconda vita”, la parte più dolorosa e buia del racconto. Ma anche il punto nodale, quello senza il quale, anche se involontariamente, ora non mi troverei ad Avalon.
Coloro che avevano attaccato il nostro villaggio erano dei commercianti di uomini, così li chiamavano. Una sera, quando la carovana si fermava per la sosta notturna e i nostri aguzzini si riunivano attorno al fuoco per consumare una scarsa cena e discutere sul da farci, scorsi in un angolo del carro una donna di mezza età, che sussurrava qualcosa a fil di labbra. Rimasi ad osservarla e lei iniziò a spiegarmi della Vergine, della Madre e dell’Oscura. Della Dea che è Una ed è Tre volti. Così capii le preghiere di Saven e sua madre, e le erbe, e i canti. Mi insegnò che Ella aveva scelto un sentiero per ognuno di noi, un sentiero colmo di dolore e gioia senza confine; che il mio destino era nelle Sue mani, e io appresi lentamente, ma sempre più, sulla Madre, sulla Vergine e sull’Anziana, mentre ella invecchiava, come fanno tutti, ma come non facevo io. Ogni volta che potevo ascoltavo il suo dire, ed ogni notte pregavo la Trina. La donna mi disse che non mi avrebbe mai abbandonata, e che io non avrei dovuto abbandonare lei. Lo giurai.
Non le chiesi mai come si chiamasse, e lei non lo chiese mai a me. Mi chiamava Sihne. E sorrideva. Viaggiammo molto ed a lungo, attraversando la Normandia e poi il freddo mare grigio che ci portò in Britannia: gli schiavisti erano probabilmente intenzionati a venderci lì, dove il vento soffia anche d’estate ed il cielo piange pioggia di continuo. Era una giornata nebbiosa quando ci fermammo in un mercato e, mentre i commercianti di uomini svolgevano i loro loschi affari, vendendo i loro prigionieri più forti e giovani, io fui mandata ad acquistare alcune provviste ed altri beni. Mi seguivano con lo sguardo: avevano capito che sarei stata capace di fuggire lontano, qualora me ne si fosse presentata l’occasione, ma ero debole per tentare: debole per continuare. E non avrei mai abbandonato la donna che sussurrava sempre in un angolo del carro. Loro lo sapevano bene. Quando tornai mi dissero di caricare tutto sul carro, e di stare buona. Obbedii. Qualche giorno dopo tra quando avevo acquistato, e che ancora giaceva nel carro, la donna trovò un boccettino con un inchiostro naturale, resistente e scuro, ed un sorriso si allungò sul volto di quella ormai anziana donna. Le mie unghie graffiarono il pavimento di legno del carro mentre la donna mi bucava la pelle della schiena con un ago, per imprimere sulla mia cute un disegno, l’ultimo della sua vita. L’Oroborus. Il Cerchio senza fine.
Ella mi abbandonò qualche anno dopo, morì, durante un gelido inverno, uno dei più freddi di tutta la mia vita, durante il quale i nostri aguzzini furono costretti a sbarazzarsi dei prigionieri che non erano sopravvissuti abbandonandoli lungo la via. Io ero rimasta abbracciata alla donna senza nome, lo ero rimasta per tutto il tempo. I miei occhi erano impastati dalle troppe lacrime che avevano solcato il mio volto e il mio abbraccio era di pietra, su di lei. Mi cedettero morta. E mi lasciarono al confine con una grigia città che scoprii in seguito chiamarsi Barrington.





// abracadabra