racconto

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byggym
00mercoledì 8 novembre 2006 08:26

Era una giorno feriale come tutti gli altri, e come faccio spesso anche quel giorno, passai dal sig. Aristide il bottegaio che aveva il negozio vicino all’ospedale, dove lavoro, e dove prima di tornare a casa mi fermo, a comprare il pane, le uova o la focaccia fresca, insomma quello che serve giornalmente alla nostra famiglia. Quel giorno comprai il pane 3,75 euro le uova 2,40 euro gli diedi 20 euro, per la fretta dovuta alla fame di mezzogiorno, scappai via senza prendere al resto. Il sig. Aristide mi rincorse gridando “il resto, il resto” ma io già dall’altra parte della strada, gli feci segno con la mano “domani, domani”. Lui annui e mentre girò le spalle per ritornare in negozio lo vidi fare dei gesti di disapprovazione nei miei confronti, anche perché non era la prima volta che mi succedeva, ma tanto pensai “domani sono ancora qui”. Il giorno seguente alla solita ora mentre salivo i primi gradini della bottega vidi attaccato alla serranda abbassata un cartello su cui stava scritto – CHIUSO PER LUTTO – caspita! pensai che sarà successo, chiesi notizie a Nino il parrucchiere di fianco, e mi confermò quello che ahimé temevo, il sig. Aristide era morto, un infarto se lo era portato via nel sonno, quella mattina sua moglie lo aveva chiamato ma, dopo alcuni vani tentativi si accorse che purtroppo era morto. Lo accompagnai il giorno del funerale e la moglie dopo qualche giorno, appese una suo foto a fianco del bancone e riaprì la bottega. La sig. Silvia, cosi si chiama, i primi tempi vestiva di nero come segno di lutto, per la perdita del marito, ma poi col passare dei mesi i vestiti si coloravano sempre di più cosi come il dolore che col tempo sbiadisce, lasciando il posto alla quotidianità. E lei se la cava abbastanza bene, a differenza del marito, il rapporto con chi si ferma da lei a comprare, è più aperto e confidenziale, infatti accoglie tutti col sorriso e non si tira mai indietro quando deve dare dei buoni consigli. E da lei tutti i giorni feriali, mi fermo a comprare quello che serve, non mi sono mai permesso di andare a chiedere le 13,85 alla signora, non mi sembrava proprio il caso, sicuro come sempre che se perdi qualcosa prima o poi da qualche parte ritorna, con gli interessi. Anche se ad essere sincero devo dire, che da quel giorno, aspetto sempre di prende il resto prima di andar via. Passo qualche mese, e una sera dopo aver spento il televisore, col pensiero alla prossima dura giornata di lavoro, andai a letto, dopo poche pagine del romanzo di turno, il sonno chiamò. Spensi la luce, e mi addormentai quasi subito o meglio, mi imbarcai per un viaggio che mi portò a vivere in prima persona una esperienza impensabile, fantasiosa e forse, anche un po’ magica.
Mi trovavo in una strana stanza stile antico dove, non ero mai stato prima, i muri superavano il metro di larghezza, lo si indovinava dai davanzali delle finestre, che una per ogni lato si affacciavano da un’altezza piuttosto imponente su un bellissimo panorama, da li si scorgevano verdi colline, paesini sparsi a destra e a manca, e più in basso una cittadina piuttosto estesa, i campanili delle sue chiese spiccavano sull’attenti davanti al sole, che velato da una lieve foschia illuminava i tetti delle case. Scostando le tende pesanti di un colore verde chiaro mi affacciai per vedere meglio, e stranamente la cittadina sembrava deserta, nessuno per le strade, ne passanti e ne’automobili, le finestre erano tutte chiuse, gli unici esseri viventi che sembrava abitassero li, erano le rondini che in un saliscendi continuo dalle finestre dove stavo fino alla cittadina disabitata andavano a caccia di cibo. All’improvviso la porta di quella enorme stanza si aprì, e vidi entrare il sig. Aristide. vestito preciso come nella foto che sta in bottega, il suo solito camice bianco e la bustina in testa, mi fece cenno di sederci su delle bellissime sedie, con i bordi dorati e il sedile di velluto rosso, davanti a un tavolo enorme color noce antico, alle nostre spalle stava un camino grandissimo adornato di araldi e moschetti napoleonici, sui muri pendevano arazzi finissimi raffiguranti epiche battute di caccia, agli angoli della stanza stavano all’erta quattro armature di bronzo, sul soffitto a forma di cupola l’affresco di un cielo stellato faceva la sua bella figura, al centro del tavolo, scorsi una vecchia radio Minerva, di quelle grandi di una volta, quelle con quel suono bellissimo e quel inconfondibile rumore di sottofondo che assomiglia al rombo di un aereo .
Dopo avermi salutato e dato la mano, Aristide cominciò a parlare e mi disse:
- ti ricordi che di dovevo 13,85 ?
- si mi ricordo ma non si preoccupi sig. Aristide adesso avrà altro per la testa?
Lui freddo e impassibile come sempre mi disse:
- No, no, io non devo niente a nessuno e quindi ora voglio saldare il mio debito.
Io cercando di non far notare la mia perplessità:
- si ma come si fa, anche se vuole lei ormai è morto e i morti sono morti, non pagano i debiti.
Ma lui accennò un sorriso quasi ironico e mi rispose:
- adesso ti faccio vedere come fanno i morti a pagare i debiti, però ricordati che non dipende solo da me, perché io la mia parte come vedi la sto facendo, poi dall’altra parte, tutto dipende da te, ed io con la testa che hai, non mi fido tanto, perché come ti sei dimenticato quel giorno di prendere il resto, cosi ti puoi dimenticare quello che ti sto dicendo, ed io mi sono dovuto scomodare da dove sono per te, ma ora farò in modo che tu ti ricordi, e mi raccomando ricordatelo, ricordatelo, ricordatelo.
Cosi dicendo allungò il dito indice della mano destra sul pulsante int.(on) della radio, che era sul tavolo, e la radio cominciò a riscaldarsi, emanando quel rumore di sottofondo che tanto ricorda le canzoni degli anni trenta, prima con un sottile sibilo e poi sempre più normalmente la radio cominciò:
- estrazioni del lotto del sette di ottobre del duemila sei ruota di Milano.
Aristide fece cenno con la mano la radio cessò di parlare e cominciò lui:
- Adesso ti faccio sentire i numeri che usciranno però mi raccomando tu quando ti svegli ricordati hai capito ricordati.
Ed io senza parole e a bocca aperta ascoltavo, meravigliato non dal fatto che stavo parlando con un morto, ma dalla situazione per cosi dire curiosa. Così una altro cenno della mano e la radio riprese:
- primo estratto settantadue.
Il solito cenno della mano e Aristide ricominciò:
- allora ricordati primo estratto settantadue, ora per farti ricordare meglio, ti faccio vedere l’icona di quello che nella smorfia napoletana rappresenta il numero settantadue.
E mise sul tavolo una statuetta di gesso, raffigurante un cane bianco e disse:
- settantadue, il cane bianco, ricordati.
La radio ricominciò:
- secondo estratto, diciotto.
E vidi sul tavolo una statuetta raffigurante la nonna paterna.
- allora non ti distrarre, secondo estratto diciotto, la nonna paterna, guarda e ricordati.
La voce della radio riprese:
- terzo estratto ruota di Milano, trentasei.
Come al solito Aristide riprese:
- terzo estratto trentasei, la palla che rimbalza prendila e ricordati
E mi lanciò una pallina da ping-pong che rimbalzò sul tavolo e che io afferrai al volo.
- quarto estratto sulla ruota di Milano, ottantotto.
E subito allo stesso modo lui riprese:
- quarto estratto ottantotto, il marinaio eccolo qua non ti dimenticare.
Mise sul tavolo la statuetta da marinaio con la maglia a righe bianche e celesti e la pipa in bocca.
- quinto e ultimo estratto sulla ruota di Milano estrazione del sette di ottobre duemilasei, novanta.
Quella volta rimasi impressionato.
- allora ultimo estratto lo stesso della settimana scorsa, novanta, il cardinale morto mi raccomando ricordati.
Sul tavolo stavolta non c’era la solita statuetta di gesso colorato, ma un vero e proprio morto, un morto vestito da cardinale, l’anello pastorale al dito, la tunica color rosso porpora, e un crocifisso d’argento al collo e il padrenostro tra le mani giunte. Mi alzai indietreggiando la sedia, ma Aristide mi venne incontro e mi rassicurò:
- no, no aspetta non avere paura è solo un sogno, e non ti devi ancora svegliare aspetta, aspetta, calmo, calmo.
Mi disse esponendo di nuovo sul tavolo tutti gli oggetti.
Seguì qualche minuto di silenzio, rotto soltanto dal sottofondo della radio accesa, poi Aristide riprese:
– ora per essere sicuro che tu non ti dimentichi ti sveglio e faccio in modo che ti svegli subito, ma tu non dire niente a nessuno di questo sogno, tienilo per te, ma l’importante che ti ricordi i numeri, mi raccomando. Ora io ti faccio paura e ti sveglio apri quella porta scendi le scale e comincia a svegliarti.
Io presi, aprii quella porta e cominciai a scendere le scale, quando mi trovai nel piano terra, vidi davanti a me tantissimi corridoi, non sapevo quale prendere anche perché sembravano tutti uguali ne presi uno a caso, delle urla alle mie spalle attirarono la mia attenzione, mi girai e vidi Aristide che correva verso di me, con in mano il coltello che usava per tagliare le baghette, urlava e correva verso di me, con le mani alzate, ed io vedendolo cominciai a correre più forte che potevo e correvo, correvo cercando l’uscita che non trovavo e lui sempre dietro urlando, sempre più vicino io col cuore in gola col sudore che mi bagnava ormai non solo la fronte, ansimando col fiato che mi mancava e la bocca aperta, la voce che non usciva, lo sentivo ormai a pochi passi da me cercavo di non girarmi e di continuare a correre più forte che potevo, ma ormai avevo il suo fiato sul collo, mi fermai di colpo, mi girai, e lui non potendo fermare per tempo la sua corsa, mi cadde addosso e mentre sentivo il peso del suo corpo su di me, liberai finalmente un urlo e mi svegliai non solo io ma anche mia moglie, che vedendomi in quello stato, mi consolò dicendomi come davanti a un bambino
- non è niente, non è niente è solo un brutto sogno calmo, calmo.
Ma vedendomi in quelle condizioni non riuscì a fare a meno di chiedermi:
- ma che hai sognato?
Ed io, col cuore che ancora mi batteva forte dalla paura le dissi:
- non so non ricordo, ricordo solo che avevo paura.
Piano, piano mi venne in mente il sig. Aristide, la stanza, la radio, ma i numeri niente per quanto mi sforzassi di ricordare niente nemmeno l’ombra, solo quel: “ricordati, ricordati, ricordati” di Aristide mi rimbalzava nella testa e non riuscii più a prendere sonno cercando di ricordare i numeri. La mattina mi alzai abbastanza intontito come chi ha dormito poco, era il sette Ottobre Sabato giorno dell’estrazione, ma come potevo giocare dei numeri che non mi ricordavo, ma ripetendo a me stesso un “non si sa mai” che tanto sapeva di sensi di colpa, per non essere riuscito a ricordare quello che mi era stato raccomandato, andai ugualmente a giocare le 13,85 euro sulla ruota di Milano e giocai cinque numeri a caso nove, ventisette, cinquantaquattro, sessantatre e ricordandomi solamente della paura non mancai di giocare il novanta. La sera dopo cena consultai la pagina 291 del televideo e vidi:

MILANO 72 18 36 88 90

Mi vennero in mente il cane bianco, il sorriso della nonna paterna, la pallina che rimbalzava, il marinaio e il cardinale morto.
Dopo il terribile sogno di quella notte e l’altrettanto terribile rimorso per non aver ricordato e soprattutto non aver vinto la bellezza di 13,85 moltiplicato seimilioni, a volte mi capita di pensare al sig. Aristide, ma dopo di allora non è più venuto a cercarmi purtroppo, spero tanto che sia convinto di avere assolto alla sua pendenza, e che riposi in pace.




F I N E

[Modificato da celeste.basta 21/11/2006 17.13]

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