parentesi singola

fabella
lunedì 13 luglio 2020 17:37
(quattromani)


*
qui sta l’estate, tra la noce e la quercia,
nella fila indiana delle formiche
che tornano continuamente al nido.

innumerevoli, sulle pieghe dei gradini
come angoli grevi, ché i calcoli furono
analfabeti tra i sottoboschi e le arenarie

*
così coricato, il vento verso est sorveglia i volti,
le bocche dove la fame tiene denti stretti, borracce vuote,
silenzi. fermi, gli occhi bisbigliano: d’altri tempi gli sguardi
perpetuano ricordi. sei qui che osservi, nella solitudine
dei tuoi simili. sei qui che chiami, nei cimiteri dei tuoi pianti.

forse il tuo passo reclama il dolore, ma tenero, taci,
ti inabissi . . . altrove.

*
forse il tuo passo è il profilo urgente del pane che s’appende alla casa
prima ancora della brace, e l’odore che scende lungo il pruno

non siamo così distanti dalle misure dei padri
tagli sul muro che giocano addosso alle brume del bosco
gli occhi di una fame che ogni carnevale porta in braccio
un cimitero incline a impolverare dinastie di granaglie
dove l’acqua comincia, bagnando l’orlo alle finestre

*
per come noto i volti, dietro le maschere di carnevale,
la loro forma rettangolare che svita occhi rotondi e piccoli,
come ceri silenziosi che scontentano le vie,
dove comincia il ballo, gli scherzi applauditi appena,
l’odore del pane, i panni stesi, l’anziana signora
che osserva il mondo col pensiero della morte;

diventa tirchio lo sguardo, il perpetuare il respiro
della città, ch’è soltanto sola in questo assalirsi di voci,
mute, pigre, e scialbe destinazioni
rimarcano i passi, nel partire.

*
ascolta il suono:
sull’acqua prende piega e ne tramuta il rumore
in accenni silenziosi, di misure pacate di voci,
così appena, dentro un ticchettio di piogge e passi
curvi e densi, in attesa del fiato.

senza voltarti, nel volto condiziona l’aria
come il fiato delle radici degli alberi,
delle foglie rammaricate per il perdono tralasciato del cielo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ché piove e di pioggia saprà la tua voce

non dimenticare come l’addio perpetuato ai passi
sia rimasto accasciato a queste case, verso l’andare.

*
ascolta il suono:
sull’acqua prende piega e ne tramuta il rumore
in accenni silenziosi, di misure pacate di voci,
così appena, dentro un ticchettio di piogge e passi
curvi e densi, in attesa del fiato.

senza voltarti, nel volto condiziona l’aria
come il fiato delle radici degli alberi,
delle foglie rammaricate per il perdono tralasciato del cielo
ché piove e di pioggia saprà la tua voce

non dimenticare come l’addio perpetuato ai passi
sia rimasto accasciato a queste case, verso l’andare.

*
il mio andare resta un passo senza provvidenze
solo, contro le miniature delle siepi, un prestare voce
ad ogni incrinatura, cercando sedimento tra le pietre

disperazioni eluse come colpe ancora più grandi
nell’addio tornano a perpetuare il giorno, l’ora
che di sacro ha il tozzo di pane, immolato d’orgogli
lieviti di madri, dove le tasche stremano mittenti
diseguali e poco m’appartiene il giro degli indici sul piano-forte

è l’aderire al palmo, come nostalgia
che ascolta il vento al suono di confine

*
dove batte il racconto del sale, l’acqua
disegna voci in negativo, righe di storia
come attraversamenti

segna il coraggio d’un silenzio
che prende fiato nei volumi del vuoto
e riversa in controluce un perpetuo ritorno

http://www.youtube.com/watch?v=iM5888CyZKg&feature=player_embedded


nel confine appartiene quel tratto dismesso,
una fotografia sbiadita dalla sabbia e dal mare,

il vento scosceso alle rocce
che ad ogni incrinatura dell’acqua, sembrano salire
e poi scendere, come galleggiassero.

*
ché questa riga, potesse farsi via,
domandarsi appena cos’è la fine, qual è la vita

senza l’attesa del silenzio
come un precipizio continuo verso il basso

un andirivieni lieve . . . . . una forma conca di bacio
nelle pagine oblique e poi dritte continue.

*

la tua voce disperde la pioggia
sotto il tetto di frassino, come fosse miele
pesante sulle tegole, nel saper urlare.

*

urlare, in un canale morso dalle rocce, dove una volta
si tornava bambini, ai racconti del padre, a un’eco

il rimprovero che saremmo diventati grandi
affacciati ancora alle riviere
con un ciondolo greve a forma di peccato

finirà la casa, il declivio degli orti, le radici
come ossa non avranno fuoco per il loro consumare
[URL=
www.youtube.com/watch?v=_DArD6TKP-8]
www.youtube.com/watch?v=_DArD6TKP-8

*
resta nella cenere
la parola frantumata alla bocca
il grido appena della pelle
che consuma l’estate sotto le nostre
gambe, strette, prima di andare.

*
le voci spargono assenze
sul tratto discontinuo della la casa
il labbro, come una riga di sale
piega verso terra
il grembo di questo partire

*
la casa compressa all’occhio
rocca assottigliata priva di cadere
nel bilico, tra pupilla ed il bianco.
un fitto respirare di narici gonfie
come vele di questo allontanarsi
continuo
per farsi navigare.

*
l’orlo della bocca ha un tratto vegetale
lucida i capezzoli d’argilla
quasi a chiarificarli

il dondolio della testa
balbetta stretto alla lingua
come annusasse il silenzio delle alghe

*
restami parte minerale,
tratto d’acqua che contiene agli occhi
nuvole rapprese, tagli introversi senza soglie
il rigore dei prati, la penombra che inclina l’albero
lo apre, lo fa casa, campanile a benedire ogni copione
come un canto di croci, digiuni d’agrifoglio
i pollici alla riverenza dei padri

*
nido
come taglio naturale di corpo
tracciato ad albero, ombra ricucita fragile
addosso, una maglia di pelle
che ti rendo – fori a nuche strette
negli ombelichi di noi statue affiancate
precise, come per dormire.

*
crederci giunco
impastato come dita nell’appartenersi
solco che incarna ali piegate nelle mani di un bambino
il soffio minimo, l’acqua resa sorgente
dai tuoi occhi stabili
poi mobili, ad assorbire il cielo

*
senti come nel vento
i giunchi frammentano suoni
dalle radici
dopo orme di specchi sull’acqua

mentre stai per andare.

*
è passo che accade dopo passo
la distanza svolta – la minima, la massima
la pelle, fatta crosta
a gocciolare impronte come frastuoni

quando non ti vedo tornare

*
è passo che neve denuda
corpo esile che costeggia bocche
anelli in catena sciolta nel mare

acqua che bevi qui dalla mano
dai palmi aperti
dai vincoli di arterie in disuso

un denso trasportare
frontiere.

*
è peso incompiuto il muschio
che cresce dove la fonte incava
il calco di una mano

-oltre confine a abbeverare il lupo

si apre, a misura di testa
di lingua che intorbidisce al fondo
un ululare lento
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