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totalwar
00venerdì 15 luglio 2005 11:54
PSICOPATOLOGIA DEL LETTORE QUOTIDIANO
[Come riconoscerlo in libreria, come aiutarlo, come liberarlo dal suo vizio]

IL LETTORE ENTUSIASTA
Questo lettore, detto lettore E, entra in libreria come
in casa sua. Il sorriso con cui saluta i commessi è il suo
stendardo. In piedi, incurante degli altri clienti, inizia a
leggere tutto quello che trova. Alcuni libri li sottolinea
con risate fragorose, o li commenta leggendone brani ai
presenti. Al reparto fumetti, si sdraia per terra e legge
per ore. A volte si porta la merenda. Una farcitura di
briciole in un volume è il segno del suo passaggio.
Se il lettore E vede un lettore normale incerto su un
acquisto, lo assale alle spalle, gli fa leggere tutti i
risvolti di copertina oltre a bibliografie e brani scelti. Il
suo incitamento a comprare ha una martellante tenacia
che nessun libraio possiede. Nel reparto libri d’arte
passa ore e ore, e non di rado, all’ora di chiusura, lo si
può trovare nascosto nel reparto tascabili mentre con
occhi imploranti dice “per favore, l’ho quasi finito”. È
insomma un lettore avido e allegro, con un solo difetto:
non compra quasi libri, non si sa se per povertà, difetto
genetico o scelta ideologica.

IL LETTORE FISSATO
Terrore di ogni libraio, il lettore F si riconosce dagli
occhiali molto spessi, dall’andatura decisa e dal
foglietto che tiene in mano. Questo lettore cerca da
mesi, da anni, forse dalla nascita, un libro introvabile, e
in questa ricerca ha ormai consumato l’esistenza. Ma
non demorde. Eccolo avvicinarsi all’incauto libraio e
chiedergli le Note sulla composizione gregoriana nelle
chiese trentine dell’abate Vermentin, edizioni La Talpa
Bianca, Castel Luvisonio. Il libraio, dopo aver
consultato i suoi ricordi e il computer, gli comunica di
non avere nessun titolo simile. Alle ulteriori pressioni
del lettore F vengono consultate prima la voce Note, poi
Gregoriano, poi Chiese, indi Trentino, Vermentin, Talpa
Bianca. Non appare alcun abate Vermentin nella storia
della letteratura. Le edizioni Talpa Bianca risultano aver
pubblicato un solo libro sui funghi nel 1953, e poi sono
scomparse nel nulla. Non esiste, sulle carte geografiche,
la località Castel Luvisonio. Ma il lettore F non
demorde. Resta fermo davanti al libraio, col suo
biglietto, chiedendo se si può fare qualcosa, magari
consultare gli archivi della CIA. A volte si mette a
piangere sommessamente, nei casi più gravi ha un
leggero mancamento. Dopo che l’intera libreria si è
mobilitata, si è chiesto aiuto a due librerie trentine, si è
convocato il parroco della chiesa limitrofa e si è litigato
con tutte le centraliniste d’Italia chiedendo la linea con
Castel Luvisonio, il direttore della libreria in persona si
presenta dal lettore F e gli comunica ufficialmente: “Mi
dispiace signore, ma il suo libro è introvabile”.
“Grazie”, risponde il lettore F, “tornerò domani”.
Le ipotesi a questo punto sono molte:
a) il lettore F è pazzo;
b) il lettore F ha un sacco di tempo libero;
c) il lettore F è un provocatore mandato dalla libreria
concorrente;
d) il lettore F è l’abate Vermentin in persona;
e) il lettore F è Talpa Bianca;
f) il lettore F è un venusiano, mandato dal suo pianeta a
studiare la resistenza psichica dei terrestri;
g) il lettore F è un rompicoglioni.
A voi la risposta. Chi indovina, vince una copia del
libro dell’abate Vermentin, firmata dall’autore.

IL LETTORE INDECISO
Il lettore I entra in libreria, sceglie un libro, lo lascia,
lo riprende in mano. Lo scambia con quattro pocket. Va
verso la cassa, si pente, rimette i pocket al loro posto
facendo crollare la pila, e li sostituisce con un libro
d’arte da mezzo milione. Lo consulta a lungo con aria
afflitta. Lo ripone e prende due guide turistiche della
Camargue. Va alla cassa, si mette in fila, ma quando è il
suo turno all’improvviso si scusa, torna indietro, ripone
le guide e acquista lo Zibaldone di Leopardi. Si pente e nasconde Leopardi nel reparto fantascienza. Prende un
libro di fantascienza, lo cambia con sei volumi della
Storia d’Italia e poi alla fine compra un libro di
barzellette. Tornerà il giorno dopo per cambiarlo.
Anche sul lettore I abbiamo alcune ipotesi:
a) vorrebbe comprare tutto ma non ha abbastanza soldi;
b) non vorrebbe comprare nulla, ma fuori piove;
c) non vorrebbe comprare nulla, ma fuori c’è un killer
che lo bracca;
d) è innamorato della cassiera;
e) è innamorato del cassiere;
f) non sa leggere;
g) ha lasciato gli occhiali a casa e non vuole
ammetterlo;
h) è pazzo;
i) il libro che cerca gli serve per pareggiare le gambe
di un tavolo;
l) è in realtà il lettore F travestito, e sta cercando il
libro sul canto gregoriano perché non è convinto che
l’abbiano cercato abbastanza;
m) è un rompicoglioni.
Chi indovina la risposta vince l’opera completa
dell’abate Vermentin.


ae:6 [SM=x761242]
totalwar
00venerdì 15 luglio 2005 11:56
LA RIVOLTA DELLE SETTE.
La cosa più strana, circa l'avvenimento di cui hanno parlato i giornali e che va sotto il nome di rivolta delle sette, è che essa era stata fissata per le sei. Ma in realtà poteva esser fissata per un'ora qualsiasi, poiché per sette s'intendeva non l'ora, ma le associazioni segrete che pullulano in quel paese. Sette, plurale di setta.
Purtroppo, finché c'è una sola setta, tutta va liscio; ma, quando esse cominciano a moltiplicarsi, si salvi chi può. E questa fu causa non ultima dei guai a cui andò incontro il moto insurrezionale.
Difatti gli organizzatori fissarono la sommossa, come detto, per le sei del pomeriggio. Ora comoda, né troppo presto né troppo tardi che permetteva a tutti di parteciparvi senza scombussolare né l'orario d'ufficio né quello della cena. 1 congiurati si passarono la voce, come è buon uso nelle congiure, e del resto non si può fare diversamente in questi casi, e bisogna farlo con le dovute cautele. Un congiurato, passando accanto a un altro, mormorava in fretta, senza guardarlo, per non dar nell'occhio agli altri passanti:
" Ci vediamo alla rivolta delle sette ".
L'altro credeva che alludesse non alle associazioni, ma alle ore. Né, del resto, poteva stare a domandare spiegazioni, anzi doveva filar via come niente fosse. Così pure, si svolgevano dialoghi di questo genere:
" Anche tu fai parte della rivolta... ".
" ... delle sette, sì. " .
E i capi facevano circolare l'ordine: " Domani, tutti alla rivolta delle sette! Nessuno manchi ".
Conclusione: la maggior parte dei congiurati si presentò alle sette invece che alle sei. Voi capite che, in una faccenda di questo genere, un ritardo può esser fatale. Determinò il fallimento. Fu per questo che, in un successivo tentativo, l'ora della rivolta fu fissata, a scanso d'equivoci, per le sette. Col che gli organizzatori ottennero che, nominando soltanto il moto sedizioso, si diceva contemporaneamente anche l'ora per cui era fissato e, d'altro canto, dicendo l'ora, si indicava anche a quale moto si alludeva, con evidente risparmio di tempo e di spesa, per tutto quello che si riferisce a stampati, circolari, ecc Alcuni più pignoli dicevano:
" La rivolta delle sette delle sette ".
Ora bisogna sapere che le sette, in quel paese, erano una ventina, ma alla rivolta partecipavano soltanto sette di esse, e non fra le più importanti. Quindi fu necessario dire: < La rivolta delle sette sette ", oppure: " La rivolta delle sette sette delle sette ".
Ciò anche quando, prevalendo la tendenza unificatrice, le sette si ridussero a sette.
Ogni setta, era composta di sette membri, i quali erano chiamati i sette delle sette sette, e il loro moto sovversivo si chiamò la rivolta dei sette delle sette sette delle sette.
La cosa grave è che c'era un'altra rivolta, o meglio una controrivolta, un movimento reazionario, insomma, i cui promotori nulla avevano a che fare con la prima e anzi erano contro di essa e contro ogni setta.
Disgraziatamente questi, ignorando che l'altra rivolta era fissata per. le sette, fissarono per la stessa ora anche la loro. Non vi dico quello che successe fra i congiurati delle due parti, che fecero confusioni tremende, sicché gli antisette finirono fra le sette, verso le sette e mezzo, e le sette, fra gli antisette alle sette.
La controrivolta si chiamò la rivolta delle sette degli antisette contro la rivolta dei sette delle sette sette delle sette.
In attesa che essa scoppiasse, i congiurati giocavano a tressette. E questi giuochi passarono alla storia come i tressette della rivolta antisette delle sette, contro quella dei sette delle sette sette delle sette.
Un caso curioso avvenne quando uno dei sette congiurati della rivolta delle sette contro quella dei sette delle sette sette, giocando al tressette verso le sette, si fece un sette ai pantaloni: e questo si dovette chiamarlo il sette dei tressette d'uno dei sette della rivolta antisette delle sette contro quella dei sette delle sette sette delle sette.


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totalwar
00venerdì 15 luglio 2005 11:59
LA QUERCIA DEL TASSO

Quell'antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa.

Anche a quei tempi la chiamavano così.

Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.

Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.

Un caso.

Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.

Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri.

Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tasso dell'olmo o il Tasso della quercia?".

Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?".

"Della quercia del Tasso."

E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso".

Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due).

Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.

Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.

Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.

Viveva.

E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: "la guercia del Tasso della quercia del tasso".

Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso".

Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso".

Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso.

Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell'animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.

Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.


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