Re: Re:
Scritto da: :Bacco: 21/01/2006 19.12
mai letto il libro, non saprei.
Cmq stenterei a rivedere il film... non so, non ce la farei
a rivederlo. Mi è parso quasi ingenuo in certe parti, ora non
lo ricordo bene, ma ho chiara questa situazione.
Se puoi apportare due considerazioni che ridestino
interesse, son ben apprezzate...soprattutto, non so, le
tematiche che affronti nella tua tesi.
dunque, bella responsabilità mi sono accollato, eh eh!
non so ancora su quali aspetti centrerò l'attenzione della mia tesi...
ora cercherò di buttare lì qualche spunto di riflessione:
0. cosa il film non è: non è un film sull'anoressia. letto sotto quest'ottica non si rivela solo ingenuo, ma anche mendace, grossolano e misogeno. garrone ha utilizzato questo fatto di cronaca per parlare d'altro (vedi dal punto 3 in su)
1. capacità incredibile di dirigere gli attori verso la non-recitazione (come nei migliori film di olmi, nel cinema neorealista gli attori non recitano una parte ma "sono" quella parte), con rilevante "effetto-neorealista" in un film dalla sceneggiatura piuttosto metaforica e simbolica.
2. uso magistrale della macchina da presa che, a dispetto di quanto affermato da numerosi critici, non è fine a se stesso. ogni inquadratura non solo è attentamente studiata per valorizzare il contenuto, ma essa stessa diventa messaggio.
(pensa ad esempio a come progressivamente, durante il film, i due protagonisti "spariscono" dall'inquadratura - parallelamente al loro sottrarsi al mondo reale -: attraverso sfocature, solarizzazioni, uscite di campo e quant'altro)
3. discorso interessante sul senso della ricerca artistica, sulla ricerca del bello, e sull'impossibilità del raggiungimento dello stesso.
4. discorso interessante sui rapporti di potere ed assoggettamento, visto però dall'esterno. chi dei due è il malato? chi decide cosa? di chi è la colpa? chi detiene il potere?
5. discorso metacinematografico sul
filmabile, ovvero su quello che il cinema è in grado di mostrare, e soprattutto su ciò che il cinema non potrà mai mostrare.
partendo dagli assunti del noto critico andré bazin, che afferma che il cinema conta per quello che riesce a mostrarci della realtà, possiamo notare che man mano che i personaggi perdono contatto con la realtà la macchina da presa li perde di vista, non "riesce" più a seguire i loro ragionamenti: e questa è l'unica cosa che il cinema ci può mostrare della pazzia. essa, come la morte, non può che essere guardata "da fuori", da lontano.
ma questo è un discorso complesso.. scriverne così in fretta in poche righe può portare solo ad fraintendimenti, o quantomeno ad una sterile confusione.
5. discorso sociale (che si ricollega al punto uno, per il discorso realista); garrone con pochi cenni delinea (come non ho visto fare a nessun altro) un nord est che normalmente viene bistrattato dal cinema (mi vengono in mente giusto due films ambientati in zona: la lingua del santo, ed il bellissimo pane e tulipani). egli mostra con severità la tranquilla deriva delle "province agiate d'italia", rivelandoci il cancro che si nasconde dietro il benessere economico (non parlo dei protagonisti, che vivono di una malattia loro, e che a questo mondo progressivamente si sottraggono, bensì mi riferisco a tutte le comparse, dagli operai che lavorano con vittorio, al proprietario della discoteca, all'"amico" di vittorio)
ho tediato? ho tediato! eh eh