enzo conte

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jgor
00mercoledì 26 ottobre 2005 16:59
La salsa è una libera espressione corporea, un ballo "in divenire", in continua evoluzione anche se, per fortuna, ha una radice popolare che ne garantisce l'identità.
In realtà la salsa è un ballo semplice. Diventa però complicato ed estremamente articolato se attraverso di essa vogliamo sviluppare la nostra fantasia o il nostro virtuosismo. Ecco perché diventa così difficile classificarla o identificarla con un popolo.
Nel tentativo di capire meglio l'evoluzione del ballo, prendiamo ad esempio l'isola di Puerto Rico.
In questo caso, limitarsi a parlare di linee, di tondi o di cerchi è secondo me un approccio completamente sbagliato che fa torto e persino offende la cultura e la storia di questo popolo che ha una sua ricca tradizione che affonda in balli come la danza, il seis, la plena e la bomba. I ballerini portoricani ballano però senza rispettare dei codici particolari, attingono dal loro folclore ma lasciano parlare soprattutto la fantasia. Siamo noi italiani semmai che vogliamo a tutti i costi trasformarci in geometri o architetti, nonché legislatori, stabilendo cosa è giusto e cosa sia sbagliato (e se continua così finirà che saremo noi italiani a dire a loro come si balla...).
Se il ballo popolare rimane un ballo semplice fatto di poche ed essenziali cose, diverso è il discorso quando volgiamo la nostra attenzione sui virtuosi della calle oppure sui maestri o sui ballerini emergenti. E' chiaro che in questo caso si presenta un quadro più che mai frammentario.
Sicuramente quindici anni fa tutti i ballerini di Puerto Rico erano enormemente influenzati dallo stile di Papito Jala Jala e dei suoi Jala Jala dancers, Uno stile incentrato più sul sabor che sulle evoluzioni coreografiche. Il cambiamento vero c'è stato però con la nascita del Congresso Mondiale della Salsa (1997) che ha portato a i ballerini locali a confrontarsi con altri stili, con altri modi di interpretare la salsa. Se sia stato un bene o sia stato un male questo sta al gusto di ognuno di noi stabilirlo.

Vi voglio raccontare a questo proposito un aneddoto, credo, interessante
Una volta andai ad Arecibo ad assistere ad una esibizione di un quartetto già in partenza formidabile: si trattava di Tito Ortos e Tamara Livolsi; Angel Martinez e Gisella Rivera. A mia sorpresa fecero una esibizione che poco aveva a che fare con il loro abituale stile, visto che era ricca di figure e persino di acrobazie.
Lì per lì confesso che non mi era affatto piaciuta. Quando Angel mi venne a chiedere un parere sulla loro coreografia gli dissi con la mia abituale franchezza:
"Scusami Angel, la vostra caratteristica è il sabor. Perché allora vi mettete a copiare quelli di Los Angeles o di New York?"
Sapete qual'è stata la risposta altrettanto franca di Angel?
"Vogliamo dimostrare che anche noi sappiamo fare quelle cose!"
Questa risposta già da solo a ci fa capire tutto il problema. In realtà anche i grossi ballerini sentono il bisogno di emulare quello che fanno gli altri. Certo, in questi casi, si corre il rischio di perdere la propria identità, ma non sempre le persone, nel tentativo di seguire l'onda o le mode imperanti, sanno dare il giusto valore alle cose che fanno.

Se il casino cubano (pur nella sua libertà espressiva) ha una sua precisa definizione, essendo stato nella stessa Cuba oggetto di ricerca da parte di molti studiosi del ballo; più difficile è stabilire, ad esempio, le differenze attuali tra lo stile di New York e quello di Puerto Rico. Se analizziamo il popolino della calle o quello che affolla locali come il Copacabana di New York o il Coabey di San Juan, non mi sembra che ci siano grosse differenze. Si balla in maniera molto semplice e abbastanza indefinita (anche se diversa dal casino cubano) soprattutto se ci riferiamo al tempo d'esecuzione (che in ogni caso è generalmente sull'uno). Se ci riferiamo, al contrario, ai ballerini più in voga, tranne qualche rara eccezione, possiamo notare come oggi tutti i ballerini tendono un po' a somigliarsi. Ci sono sicuramente quelli che hanno delle caratteristiche più marcate ma alla fine tutti, o quasi, finiscono col fare una sapiente miscela di vari elementi.
Prendiamo ad esempio un tipico ballerino portoricano: Jhesus Aponte. Che stile balla Jhesus? Certamente un suo stile ma è indubbio che il suo stile è a sua volta influenzato da tutte le cose che esistono in giro. Nel suo ballo trovi il sabor di Papito Jala Jala, le piroette di Eddie Torres, le acrobazie dei fratelli Vasquez, il jazz di Broadway, l'eredità del latin hustle. Di tutto e di più. E allora alla fine che fa? Free style?
Forse fa semplicemente salsa. Una salsa contaminata dalla danza, ma pur sempre salsa, visto che la salsa è di per se una mescolanza.
E allora non sarebbe meglio, invece di perderci dietro a delle definizioni ormai obsolete e fuorvianti, tornare ad usare questa semplice parola che non ha bisogno di aggettivi altisonanti per avere una sua propria identità?
D'altra parte se è salsa non ha bisogno di aggettivi.
Il nome già dice tutto!!!!
Che ne pensate?
un abbraccio
Enzo Conte
babedj
00mercoledì 26 ottobre 2005 17:25
MITICO ENZO CONTE, HO AVUTO IL PIACERE DI PARLARE CON LUI, E ANKE DI BALLARCI..DEVOO DIRE OLTRE A ESSERE UN OTTIMO MAESTRO...UN GRANDISSIMO PROFESSORE D'ITALIANO
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