distruzione di proprieta'

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antobrun
00sabato 27 agosto 2005 20:10
Noi riaffermiamo che la distruzione di proprieta' non e' un'azione violenta, a meno che non ci perda la vita qualcuno o qualcuno ne abbia danno (fisico). Secondo questa definizione la proprieta' privata -- specialmente la proprieta' privata delle multinazionali [chiaro] -- e' in se stessa infinitamente piu' violenta di ogni azione rivolta contro di essa. La proprieta' privata va distinta dalla proprieta' personale. La seconda riguarda l'utilizzo mentre la prima riguarda il commercio. Il principio basilare riguardo alla proprieta' personale e' che ognuno ha cio' di cui ha bisogno. Il principio che invece sottende il concetto di proprieta' privata e' che alcuni di noi hanno qualcosa che qualcun'altro vuole o di cui ha bisogno. In una societa' che si fonda sui diritti della proprieta' privata, quelli che sono capaci di accumulare molti beni di cui gli altri hanno bisogno o desiderio hanno un grande potere. Per estensione, hanno un ancor piu' grande potere quanto piu' riescono a far percepire agli altri di dover desiderare o di aver bisogno di determinati beni, solitamente nell'interesse di aumentare i loro profitti. Portare avanti il "libero mercato" vuol dire far arrivare questo processo alle sue logiche conclusioni: una rete di poche industrie monopoliste con un controllo completo sulle vite di tutti noi. Portare avanti un "mercato giusto/equo" vuol dire aspirare a vedere questo processo mitigato dalle leggi dei governi, ossia imporre degli standard umanitari di base. Da anarchici rifiutiamo entrambe le posizioni. La proprieta' privata -- e quindi il capitalismo -- sono intrinsecamente violenti ed oppressivi e non possono essere riformati o mitigati. Se il potere di ognuno di noi e' concentrato nelle mani di poche corporazioni o impegnato nel creare un apparato di regole che possano mitigare gli effetti del disastro da esse provocato, nessuno puo' essere poi cosi' libero o cosi' potente come potrebbe invece esserlo in una societa' non gerarchica. Quando rompiamo una vetrina, noi aspiriamo a distruggere la sottile maschera di leggittimita' che circonda i diritti della proprieta' privata. Nello stesso modo, noi aborriamo quel tipo di relazioni sociali violente e distruttive di cui sono oramai impregnate tutte le cose che ci circondano. Con il "distruggere" la proprieta' privata, noi ne convertiamo il suo limitato valore e ne espandiamo il valore d'uso. Una vetrata di un megastore diventa una fessura attraverso la quale passa una ventata di aria fresca nell'atmosfera oppressiva di un ipermercato (almeno fino a quando la polizia non decide di sparare i lacrimogeni vicino la barricata che blocca la strada). Un distributore automatico di giornali diventa un attrezzo per creare questa fessura, o per fare una piccola barricata per richiedere spazio pubblico libero [...]. Un cassonetto diventa un ostacolo all'avanzata di un plotone di sbirri antisommossa ed una fonte di luce e di calore. La facciata di un palazzo diventa una bacheca per messaggi per registrare illuminanti idee per un mondo migliore. Dopo il 30 novembre molte persone non guarderanno piu' una vetrina o un martello allo stesso modo. Gli usi potenziali dell'intero arredo urbano sono enormemente aumentati. Il numero delle vetrine infrante impallidisce di fronte al numero dei tabu' infranti, tabu' che ci vengono imposti dall'egemonia delle corporazioni per farci stare buoni e non farci pensare a tutte le violenze perpetrate in nome della proprieta' privata ed a tutte le potenzialita' di una societa' senza di loro. Le vetrine rotte possono essere chiuse con tavole (con ancora altro spreco delle nostre foreste) ed eventualmente sostituite, ma l'infrangimento dell'accettazione passiva speriamo che persista per molto tempo a venire.
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