arrestato il numero 2 del sismi

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Lux-86
00mercoledì 5 luglio 2006 11:26
ROMA - In manette il direttore delle operazioni del Sismi, Marco Mancini, (praticamente il numero due del nostro controspionaggio diretto da Nicolò Pollari) e almeno un altro agente. Altre persone ricercate, sfuggite alla cattura, ora sono latitanti. Gli arresti sono avvenuti questa mattina su richiesta della procura milanese nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento - da parte di agenti Cia con l'appoggio del Sismi - dell'imam Abu Omar il 17 febbraio 2003. Tra le richieste di arresto ce n'è anche una per Jeff Castelli, ai tempi del rapimento capo della Cia in Italia, attualmente tornato negli Usa dove ricopre un incarico dirigenziale presso la base militare di Langley. L'accusa, per gli italiani, è concorso in sequestro di persona. Sarebbero in corso anche delle perquisizioni.

Nella vicenda sono sotto accusa ventidue agenti americani per i quali la procura milanese avrebbe voluto l'estradizione contro la quale si schierò l'allora Guardasigilli Roberto Castelli. Il Sismi è sospettato di aver dato pieno appoggio all'operazione, collegata anche ai voli segreti della Cia per portare da un paese all'altro i suoi "prigionieri" nell'ambito di diversi blitz contro il terrorismo islamico.

La notizia è confermata anche dall'ex capo dello Stato Francesco Cossiga secondo il quale il blitz della magistratura milanese si tradurrebbe in "un aiuto a Osama Bin Laden". Su questi arresti, Cossiga ha presentato un'interpellanza durissima, rivolta al presidente del Consiglio Romano Prodi e ai ministri degli Esteri Massimo D'Alema, dell'Interno Giuliano Amato e della Difesa Arturo Parisi.

Nel documento - dai toni sarcastici - il senatore a vita difende l'operato del Sismi e attacca i giudici: "Dopo il fondamentale contributo dato alla sicurezza del Paese dalla procura della Repubblica di Milano con lo smantellamento tramite tempestivi arresti della Divisione controspionaggio del Sismi non intendano, a tutela della sicurezza del Paese, intavolare immediatamente trattative con Al Quaeda, anche nella persona di Osama Bin Laden, offrendo in cambio della intangibilità dei cittadini, degli interessi e del territorio italiani lo smantellamento di tutto l'apparato di sicurezza antiterrorismo dei Servizi di Informazione e di Sicurezza, dell'Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza".

Cossiga chiede inoltre se gli interpellati "non ritengano opportuno nominare per le necessarie trattative, con rango di ambasciatore straordinario e plenipotenziario, il benemerito magistrato dottor Spataro, sostituto procuratore della Repubblica di Milano".

Hassan Mostafa Osama Nasr, egiziano, era stato sequestrato in pieno giorno in via Conte a Milano il 17 febbraio di tre anni fa. Ex imam della moschea di via Quaranta e del centro di cultura islamica di viale Jenner, da oltre un anno era sotto indagine perchè sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste. Gli veniva contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale.

Il sequestro avvenne ad opera di 22 agenti della Cia, coadiuvati - si è scoperto in seguito - da agenti italiani del Sismi. L'imam, scaraventato su un furgone, venne portato nella base aerea di Aviano e qui torturato. Poi lo trasbordarono in Egitto dove è finito nelle carceri di Mubarak. Da allora non se ne hanno più notizie.
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altro che palle, la magistratura italiana non si ferma davanti a niente e a nessuno. [SM=g27987]
Lux-86
00mercoledì 5 luglio 2006 11:28
ma il fatto che cossiga sia contrario mi porta a pensare che abbiano fatto bene...
DarkWalker
00mercoledì 5 luglio 2006 13:02
Re:

Scritto da: Lux-86 05/07/2006 11.26

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altro che palle, la magistratura italiana non si ferma davanti a niente e a nessuno. [SM=g27987]

Lux-86
00mercoledì 5 luglio 2006 14:21
da notare che è stato arrestato anche il generale Pignero che, allora capitano dei carabinbieri, era dentro al caso Moro...

EDIT

e notare anche che cossiga, il più scatenato su questa vicenda, era ministro degli interni durante il caso Moro.

[Modificato da Lux-86 05/07/2006 14.32]

kurt2409
00sabato 8 luglio 2006 14:21
Difficilissimo farsi un'opinione, qui entrano in gioco molti fattori: fino a che punto i servizi segreti, in quanto tali, devono sottostare alle leggi come polizia e carabinieri? Ci consideriamo in guerra contro il terrorismo o no? E' normale che i servizi segreti debbano chiedere ad un magistrato il permesso di intercettare o no? E' sbagliato che i servizi segreti "facciano un favore" alla Cia, in un quadro di collaborazione tra tutti i servizi segreti occidentali?
Non ho ancora nulla da dire di mio, mi limito a pubblicare due riflessioni:

Il solito canovaccio italiano
di Sergio Romano

Nel melodramma dei servizi segreti il libretto, dalla prima metà degli anni Sessanta, è sempre lo stesso. Comincia con un brusio di sussurri e bisbigli che si gonfiano sino ad approdare sulle pagine dei giornali. Continua nelle settimane seguenti con un grande dibattito sui rischi della democrazia, minacciata da un potere occulto, e sulla necessità di una riforma che renda i Servizi democratici, civili e persino, secondo qualcuno, trasparenti. E si conclude prima o dopo con l'approvazione di una riforma che delimita i loro compiti e crea comitati interministeriali o commissioni parlamentari di controllo. I Servizi cambiano ragione sociale, i loro dirigenti vengono pensionati o assegnati ad altri incarichi. Ma il caso da cui è nato lo scandalo resta generalmente oscuro, continua ad avvelenare la vita nazionale e rende ancora più credibile lo scandalo successivo. Per un singolare rovesciamento delle regole di un qualsiasi processo, il fatto che le accuse iniziali siano difficilmente documentabili dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il «sistema è marcio». Sono passati più di quarant'anni ormai da quando i Servizi sono diventati, insieme alla mafia, alla Cia e ai «poteri forti», il braccio poliziesco del «secondo Stato», quello che lavora dietro le nostre spalle, ripulisce le colpe dei potenti, tesse trame golpiste, impedisce il buon funzionamento della democrazia italiana. Le istituzioni da cui dovrebbe dipendere la nostra sicurezza sono così, per molti italiani, un motivo di paura e di inquietudine. Il caso del rapimento di un imam nelle vie di Milano è diverso dagli altri ed è quello in cui le indagini della magistratura potrebbero fare chiarezza.
Ma il Paese dovrebbe chiedersi se questa diffidenza, continuamente alimentata dai settori più ideologici della sinistra italiana, non sia, con altri fattori, la causa di almeno due difetti che sono stati frequentemente imputati in questi anni ai Servizi italiani. Il primo è la loro eccessiva dipendenza dall'Intelligence americana: un rapporto che risale agli anni della Guerra fredda e si è ristabilito durante la lotta contro il terrorismo. I Servizi debbono sventare minacce, neutralizzare nemici, garantire la sicurezza del Paese. Ma non è facile farlo se l'organizzazione è sorvegliata a vista, dotata di scarsi mezzi e sospettata delle peggiori malefatte. È possibile che i Servizi italiani, per fare al meglio il loro lavoro, si siano appoggiati agli americani, abbiano approfittato dei loro mezzi e delle loro informazioni. Ed è possibile che questo rapporto abbia creato obblighi e debiti a cui, come forse nel caso dell'imam rapito a Milano, non era facile sottrarsi. Vi sono circostanze, nel mondo dei servizi, in cui occorre restituire i favori ricevuti.
Il secondo difetto è una certa contaminazione politica. Male amati e oggetto di una generale diffidenza, alcuni esponenti dei Servizi si sono forse controassicurati intrattenendo con uomini o gruppi politici rapporti che comportavano, anche in questo caso, lo scambio di reciproci favori. Sono soltanto ipotesi, naturalmente, e non basterebbero comunque a giustificare certi comportamenti arbitrari e censurabili. Ma se vogliamo che queste istituzioni rendano un servizio al Paese, non possiamo limitarci a moltiplicare i controlli parlamentari o addirittura pretendere che lavorino alla luce del sole. Dobbiamo garantire ad essi autonomia, rispetto e fiducia: tre doti senza le quali nessun servizio segreto può fare con efficacia il proprio lavoro.
07 luglio 2006

Da che parte sta l’Italia?
di Magdi Allam

Insieme alla vittoria ai Mondiali, o in alternativa come premio di consolazione, presto potremmo festeggiare il ritorno in Italia di Abu Omar. Con tante scuse ufficiali e un risarcimento di 10 milioni di euro per aver arbitrariamente interrotto la sua attività di predicatore d’odio e apologeta del terrore nella moschea di viale Jenner a Milano. Subito dopo, magari affidandosi all’assistenza del suo stesso avvocato Montasser Al Zayyat, con trascorsi in galera per la sua attività eversiva in Egitto, riaccoglieremo altri due militanti di spicco della Guerra santa islamica, Bouriqi Bouchta e Abdulqadir Fadlallah Mamour, allontanati con atti amministrativi.
Nel frattempo il corso della giustizia avrà accertato la responsabilità di un numero crescente di responsabili dei Servizi segreti, del ministero dell’Interno e della Difesa, di politici della passata e della presente coalizione governativa, di magistrati «non organici» e di giornalisti che hanno «collaborato» con le «spie». Il vertice dei nostri apparati di sicurezza sarà interamente rimosso e screditato, con gravi danni all’attività di contrasto del terrorismo e un ulteriore logoramento della fiducia della gente nelle istituzioni. Riflettiamoci bene prima di proseguire in questa guerra intestina che preannuncia un suicidio collettivo. Se l’applicazione formale e rigorosa della legge vigente anziché salvaguardare compromette pesantemente la sicurezza dei cittadini, che è la condicio sine qua non per poter godere di qualsiasi libertà, significa che o la legge è inadeguata o vi è un difetto nella sua applicazione. Personalmente ritengo che siano veri entrambi i casi.
L’inadeguatezza e il difetto risiedono principalmente nel fatto che l’attuale legislazione non recepisce integralmente la realtà e la specificità del terrorismo islamico globalizzato, in particolar modo la sua dimensione ideologica, spesso sommersa, che ha già trasformato anche l’Italia in una fabbrica di terroristi e aspiranti kamikaze. Ed è inevitabile che se non si contestualizza correttamente l’evento, l’elaborazione del legislatore, la valutazione del magistrato e l’azione dell’esecutivo risulteranno inficiate da un vizio di fondo. Il risultato sarà un insieme confuso che impone una navigazione a vista, subendo e reagendo agli eventi anziché prevedendo e realizzando delle scelte.
È un dato di fatto che all’interno dei nostri apparati di sicurezza si scontrano almeno due anime: la prima considera il terrorismo islamico come la principale minaccia alla sicurezza interna e internazionale; la seconda ritiene che si tratti di un’esagerazione, peggio ancora, di una strumentalizzazione della paura collettiva per fini di potere. Ebbene è quest’ultima che sta oggi prevalendo e sembra prossima a imporre la propria linea, con il conforto del governo di centrosinistra. Sul piano internazionale la svolta rilevante è stata la decisione di accelerare il definitivo ritiro dall’Iraq, sulla base del consenso contro la «guerra ingiusta», ignorando le ragioni della lotta al terrorismo invocate dalle autorità irachene e presenti nelle risoluzioni dell’Onu 1511 e 1546. E ora, a quanto pare, ci si avvia a regolare i conti con il «partito della guerra» all’interno dell’Italia.
In quest’ambito si sta rischiando di fare dei servizi segreti la valvola di sfogo dei mali della classe politica. L’aria che tira la si può desumere persino dalle due immagini in circolazione di Abu Omar. Nella prima compare sorridente, sbarbato, snello, in giacca e cravatta mentre legge un giornale. Nella seconda si vede un faccione gonfio, sguardo severo, corpo appesantito, barba lunga e la divisa «afghana » degli estremisti islamici, camicione e pantaloni bianchi larghi e informi. Ebbene, a seconda della tendenza a voler colpevolizzare il Sismi o Abu Omar, sulla stampa compare l’una o l’altra. Significativamente, con il Sismi nella bufera, viene più gettonata la foto di Abu Omar «buono». Ha ragione Sergio Romano quando ieri sul Corriere ha ricordato che se i servizi sono sospettati «delle peggiori malefatte » non possono svolgere il loro compito istituzionale. Ma a mio avviso non peccano di «eccessiva dipendenza dall’intelligence americana».
Casomai è vero l’opposto: ci vorrebbe molta e più proficua collaborazione con gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo. C’è una guerra in atto scatenata dal terrorismo e dall’estremismo islamico globalizzato. L’Italia deve decidere da che parte stare: mi auguro che non si schieri dalla parte di Abu Omar.
08 luglio 2006


Lux-86
00sabato 8 luglio 2006 15:05

Difficilissimo farsi un'opinione, qui entrano in gioco molti fattori: fino a che punto i servizi segreti, in quanto tali, devono sottostare alle leggi come polizia e carabinieri? Ci consideriamo in guerra contro il terrorismo o no? E' normale che i servizi segreti debbano chiedere ad un magistrato il permesso di intercettare o no? E' sbagliato che i servizi segreti "facciano un favore" alla Cia, in un quadro di collaborazione tra tutti i servizi segreti occidentali?
Non ho ancora nulla da dire di mio, mi limito a pubblicare due riflessioni:



Io non mi considero in guerra con il terrorismo, semplicemente perchè è una grandissima cazzata una affermazione del genere. I servizi segreti dovrebbero badare alla sicurezza nazionale in ogni momento, non solo quando viene dichiarata una "guerra" ad un nemico invisibile. Detto questo in Italia c'è bisogno di una riforma dei servizi segreti anche per il mtovio che dici tu: non sono autorizzati a fare praticamente nulla, teoricamente il SISMI è un servizio solo di analisi ed ogni volta che deve fare qualcosa deve sfruttare i carabinieri o fare da solo, e quando fà da solo non è tutelato da nessuno perciò rischia sempre di finire sotto inchiesta.
Parisi ha parlato proprio in questo senso ed ha detto che i servizi andrebbero autorizzati a fare cose del genere, anch'io sono d'accordo: se è arischio la sicurezza nazionale trovo comprensibile il prelevamento coatto di una persona, quello che non sta bene è che poi questa persona venga mandata in giro per il mondo.
Ora andiamo nello specifico, tralasciamo per un attimo le responsabolità di Abu Omar. Non si è trattato di fare un favore alla CIA, è un problema di sovranità nazionale. Se al primo terrorista che si fà esplodere da qualche parte svendiamo la nostra sovranità e lasciamo fare a tutti quello che vogliono in casa nostra siamo proprio un popolo di babbei debosciati; il problema però è più complesso: perchè gli esponenti del precedente governo non si decidono a dire se era un'azione autorizzata? Se lo fosse stata scagionerebbero il SISMI da ogni accusa, salvo poi assumersi le loro responsabilità.
Poi vorrei rispondere che Abu Omar dovrebbe essere in prigione in Egitto e trovo piuttosto difficile che torni in Italia visto che in Egitto non sono noti per concedere viaggi premio, a meno che non l'abbiano liberato prosciogliendolo dall'accusa di terrorismo, accusa che in Egitto è fra le più gravi visto che danneggia il loro settore chiave: il turismo.
So però che ha chiesto 10 milioni di danni a berlusconi.

Comunque nel 2002 (mi pare) venne arrestato il responsabile di al-quaeda per l'europa (o qualcosa del genere) al-libbi che disse che in Italia non c'erano loro cellule e che quindi al momento non era possibile per lor compiere attentati in Italia. E' scritot in un documento CIA, il SISMI l'ha mai detto a qualcuno?
NO, ha solo parlato di attacchi imminenti, me lo ricordo il nano che ogni giorno esordiva: domani ci sarà un attentato.

il SISMI deve solo morire ed essere sostiuito da un servizio segreto che serva lo stato e non sè stesso.
Lux-86
00sabato 8 luglio 2006 15:16
LO SI può dire con le sette parole che scelse Bruce Springsteen nel 2004. "The press has let the country down". Ma siamo in Italia e noi non abbiamo ancora le certezze del "Boss". Abbiamo soltanto una domanda da fare e allora è meglio aggiungere un punto interrogativo. La stampa italiana ha deluso, ha tradito il Paese, è venuta meno alle aspettative? C'è questa domanda sullo sfondo dell'indagine sul sequestro di Abu Omar, ogni giorno sempre più chiaramente separata in due tronconi. Da una parte, le probabili responsabilità degli uomini del Sismi nella extraordinary rendition del cittadino egiziano.

Dall'altra, le manovre "sporche" dell'ufficio riservato di via Nazionale 230, "agenzia di disinformazione e dossieraggio" mandato avanti in solitario dalla "barba finta" Pio Pompa, diretto in prima persona dal direttore dell'intelligence militare, Nicolò Pollari.

Questa tranche è ancora soltanto abbozzata. Se ne intravede però il disegno con un perverso intreccio tra una cattiva intelligence e una cattiva informazione, e non parlo dei giornalisti al soldo dell'intelligence, poveretti loro, ma di quelli che - in buona o cattiva fede, maligni o sprovveduti, si vedrà - hanno tenuto bordone al gioco di un servizio segreto che, anche in Italia, ha costruito con la disinformazione le condizioni di una mobilitazione permanente della paura. Ha organizzato una "guerra psicologica" non per mettere in difficoltà il nemico esterno, ma destinata esclusivamente al consumo interno, a manomettere stati d'animo e opinioni. Forse, è giunto il tempo di lasciare finalmente cadere la solita litanìa dell'"intelligence è l'intelligence". Ovvero, come ripete spesso Giuliano Ferrara, un lavoro sporco, a cui non si possono imporre regole o limiti o legalità per il superiore interesse della sicurezza nazionale.

Abbiamo imparato che la missione maledetta dell'agente segreto è questa. Bene, lo sappiamo. Ma parliamo di questo quando discutiamo dell'inefficienza e degli illegalismi del Sismi di Pollari? Purtroppo, no. Perché da qualche anno ci sembra di avere sotto gli occhi, e ben squadernato, non il lavoro "grigio" di uomini generosi che proteggono il Paese dal terrorismo, ma le manovre abusive di un'istituzione dello Stato, che usa e abusa della sua "libertà" per terrorizzare il Paese e per proteggere, anche con la diffamazione, la sua separatezza da ogni curiosità. Di questo parliamo.

Non è "il solito canovaccio italiano", come sostiene Sergio Romano. Il lavoro dell'intelligence di Pollari è stato addirittura fin troppo moderno. E' stato in linea con quanto è accaduto negli Stati impegnati nella "guerra contro il terrore", dove la paura diventata idea politica ha modificato le convinzioni su presente e passato, conflitto e sicurezza, libertà e rischio. Pollari, con tipi bislacchi come Pio Pompa (ma il nostro è un Paese sempre bislacco), è riuscito a "politicizzare" il lavoro dell'intelligence rendendolo essenziale a un progetto modernissimo che ha alimentato, con lo spettro dell'annientamento nucleare, della bomba nelle metropolitane, dei kamikaze, la paura e la collera per la paura. Ha permesso all'esecutivo di "incassare" concentrazione di potere, marginalizzazione dei contrappesi, ampio impegno di risorse e poteri per la sicurezza e, in molti casi, l'aperta violazione di precetti costituzionali a difesa della libertà delle persone.

La guerra al terrore, grazie alla sapienza di Pollari, è stata una location di cartapesta dove sono andati in scena gli effetti speciali di un mondo defattualizzato. In questa "tempesta perfetta" di comunicazioni distorte, da cui (mi pare) non sempre la stampa italiana è riuscita a difendere il lettore, non c'è stato alcun rapporto tra i fatti e le decisioni. Ci siamo trovati a combattere, ripeto, una guerra non contro il terrorismo, ma contro un terrore creato con la menzogna e la manipolazione.

Se Pio Pompa può apparire oggi un tipo troppo insignificante per un così vasto programma, questo racconta quanto sprovveduto è stato chi gli ha creduto e quanto malaccorte siano state le redazioni che hanno creduto alle sue "favole", non l'inefficacia del suo lavoro di "creatore di favole". Con magniloquenza definito al ministero della Difesa "addetto alle fonti aperte", Pio Pompa ha costruito a tavolino minacce che non esistevano, attentati mai progettati, cellule di terroristi mai formate. Ha manipolato il vero, taroccandolo. Ha messo insieme informazioni diffamatorie da riversare, con la collaborazione dei cronisti "amici" o ingenui o ambiziosissimi, contro "i nemici" (politici, magistrati, un piccolo gruppo di reporter). Ha confezionato, sotto la supervisione del Gran Capo, il suo "prodotto" secondo l'interesse del Servizio e per le ambizioni del giornalista che doveva "comprarlo". Le due convenienze, purtroppo, hanno trovato spesso una coincidenza. Sono stati, questi, anni in cui noi giornalisti riuscivamo molto più facilmente a "vendere" un articolo se dentro c'era una minaccia, la paura, Osama Bin Laden e Al Qaeda.

L'intelligence di Pollari aveva lo stesso obiettivo: creare una clima politico artefatto. L'una e l'altra necessità trovavano il punto di contatto nella convinzione, purtroppo condivisa, che qualsiasi cosa provenisse da una "fonte della sicurezza", tanto meglio se confermata da politici, acquisisse un alto grado di credibilità. Al punto che si potevano abbandonare le consuete routine che impongono di cercare almeno una conferma "indipendente" a quel qualcosa che ci veniva propinato. L'operazione aveva bassi costi e massimi profitti per tutti. Il giornalista finiva in prima pagina. La "strategia dell'allarme" ingrassava proteggendo le spalle dei burocrati (in caso di disastro, l'intelligence l'aveva detto), creando un panico politico-sociale che aumentava la domanda di sicurezza nel Paese. Mentre si indeboliva lo spirito critico dell'opinione pubblica, si liberavano risorse impensabili e i "custodi" conquistavano un'assoluta autonomia.

L'agenzia delle "favole" di via Nazionale ha fabbricato, lungo questa via, realtà tanto artificiose quanto minacciose; un mondo fittizio rispetto a quello reale; un mondo immaginario attraversato da kamikaze armati di cianuro da versare negli acquedotti; di bombe da far esplodere nelle metropolitane e nelle cattedrali; di missili da lanciare contro San Pietro.

Questa rappresentazione posticcia della realtà, creata dalle "barbe finte" e subìta o avallata da una stampa non vigile (non importa qui che ci fosse anche una stampa complice) ha disperso energie, utili alla sicurezza nazionale, per metterle al servizio di una politica di guerra e della volontà di potenza e le tentazioni di potere dei burocrati della sicurezza. Di questo si dovrebbe parlare perché questo è accaduto. Questo ha privato l'intelligence italiana delle due doti - rispetto e fiducia - che giustamente Sergio Romano invoca per i servizi segreti. Gli esempi se ne potrebbero proporre a decine. Forse uno, li sintetizza tutti.

E' il luglio dello scorso anno, la Cia trasmette al Sismi un documento con due notizie. Catturato, a 60 chilometri da Peshawar, il "responsabile delle operazioni in Occidente per Al Qaeda" Abu Farai al-Libbi sta collaborando.

E' la prima "voce di dentro" che può raccontare se, come e quando al Qaeda ha cercato di colpire il nostro Paese. A quanto riferisce la Cia al Sismi, al-Libbi confessa che "al Qaeda non dispone in Italia di collegamenti utili ad organizzare un'operazione". Dovrebbe essere una buona notizia. Dovremmo tirare un sospiro di sollievo, pur senza far cadere l'attenzione. Non è così per gli interessi del Sismi. Non è notizia che si può divulgare, magari per abbassare la tensione di un'opinione pubblica scossa dall'attentato di Londra. Al contrario, la nostra intelligence monta una "favola" capace di inquietarla. La "favola" è che esiste a Milano una "scuola di kamikaze". Il sindaco Albertini prende sul serio la minaccia. La città ne è spaventata.

Anche se la notizia è destituita di ogni fondamento (come per tempo hanno dimostrato le indagini dei carabinieri), Pollari consiglia a Gianni Letta di confermare l'allarme in Parlamento. "Abbiamo la percezione che la "scuola" è forse ancora attiva", dice il sottosegretario ai servizi segreti alla commissione parlamentare di controllo. La cattiva notizia scaccia la buona. Di Al-Libbi non parlerà mai nessuno. Non vi pare che sia giunto il momento, per il giornalismo italiano, di chiedersi se non ha deluso il Paese?

(8 luglio 2006)
kurt2409
00sabato 8 luglio 2006 16:06
Ho letto anch'io questo articolo su Repubblica di stamattina, se non erro è quello di D'Avanzo no? Bhe stiamo attenti, perchè D'Avanzo è (giustamente) incazzato nero, e tanto l'articolo di oggi quanto quello di ieri mi sembrano anche pieni di rancore per il fatto di essere stato intercettato e pedinato.

...il "responsabile delle operazioni in Occidente per Al Qaeda" Abu Farai al-Libbi sta collaborando.
E' la prima "voce di dentro" che può raccontare se, come e quando al Qaeda ha cercato di colpire il nostro Paese. A quanto riferisce la Cia al Sismi, al-Libbi confessa che "al Qaeda non dispone in Italia di collegamenti utili ad organizzare un'operazione".

Bene, siamo d'accordo: ma teniamo presente che è sempre un terrorista, sinceramente mi fido molto poco delle sue parole e mi fido di più di quelle dei servizi segreti... Ovviamente un terrorista dice "non preoccupatevi" per far abbassare la guardia, ma credo che un attentato in Italia sia stato e sia probabilissimo, come credo ne siano stati sventati più d'uno (una volta ricordo lo dissero anche gli Usa, non solo il Sismi).
Lux-86
00sabato 8 luglio 2006 16:25
Re:

Scritto da: kurt2409 08/07/2006 16.06
Ho letto anch'io questo articolo su Repubblica di stamattina, se non erro è quello di D'Avanzo no? Bhe stiamo attenti, perchè D'Avanzo è (giustamente) incazzato nero, e tanto l'articolo di oggi quanto quello di ieri mi sembrano anche pieni di rancore per il fatto di essere stato intercettato e pedinato.



e perchè lo intercettavano? Quale minaccia alla sicurezza pubblica rappresentava D'avanzo?
Ricordiamoci che repubblica è sempre stata in prima linea contro i servizi segreti deviati, furono gli scandali seguiti alle inchieste di scalfari a portare allo scioglimento del SIFAR


Scritto da: kurt2409 08/07/2006 16.06
...il "responsabile delle operazioni in Occidente per Al Qaeda" Abu Farai al-Libbi sta collaborando.
E' la prima "voce di dentro" che può raccontare se, come e quando al Qaeda ha cercato di colpire il nostro Paese. A quanto riferisce la Cia al Sismi, al-Libbi confessa che "al Qaeda non dispone in Italia di collegamenti utili ad organizzare un'operazione".

Bene, siamo d'accordo: ma teniamo presente che è sempre un terrorista, sinceramente mi fido molto poco delle sue parole e mi fido di più di quelle dei servizi segreti... Ovviamente un terrorista dice "non preoccupatevi" per far abbassare la guardia, ma credo che un attentato in Italia sia stato e sia probabilissimo, come credo ne siano stati sventati più d'uno (una volta ricordo lo dissero anche gli Usa, non solo il Sismi).



e allora cosa li rapiscono e li interrogano per fare?
ovviamente non è che al-libbi dice che non c'è pericolo allora gli agenti del SISMI vanno tutti in ferie, più che altro si poteva evitare il clima da morte imminente.
da notare comunque che tutti i piani svenmtati ernao in potenza e non in atto.
Lux-86
00lunedì 17 luglio 2006 13:48
MILANO - L'ultima verità è in una lettera. Un documento scagionerebbe il numero uno del Sismi, Nicolò Pollari, e dimostrerebbe che anche il governo Berlusconi sapeva del piano degli americani. Dell'accordo tra la Cia e la nostra intelligence militare per la rendition di Abu Omar. Per la seconda volta in pochi giorni l'inchiesta della procura di Milano sul sequestro dell'imam fa un balzo in avanti.

Dopo l'arresto lo scorso 5 luglio di Marco Mancini (ex capo del controspionaggio e, all'epoca del sequestro, responsabile dei centri Sismi del nord Italia) e Gustavo Pignero (predecessore di Mancini al Controspionaggio e suo superiore gerarchico nel febbraio 2003), giovedì scorso il generale Nicolò Pollari è stato indagato.

Sabato, l'interrogatorio. Davanti ai procuratori aggiunti Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, il generale, assistito dagli avvocati Franco Coppi e Titta Madia, sceglie la linea del silenzio. Si avvale della facoltà di non rispondere. Le contestazioni che gli rivolgono i pubblici ministeri sono puntuali, precise. Sono fonti di prova fornite da altri indagati. A chiamare in causa Pollari sarebbe stato per primo Marco Mancini, indicando come riscontro Gustavo Pignero, che avrebbe confermato nel corso di due interrogatori fiume.

Il generale non ha molti margini di manovra. Per dimostrare la sua estraneità deve documentare, come ha ipotizzato il gip Enrico Manzi, che l'"avallo gerarchico" che ha offerto all'operazione illegale ha "una copertura politica". Per farlo, spiegano i suoi legali, chiede alla procura di acquisire un "documento" che non è più nella sua disponibilità ma è nelle mani del governo.

Pollari non può appellarsi al segreto di stato, ma lascia intendere che sul documento che ha indicato ci sia il segreto di Stato. Questa circostanza ha fatto credere che il direttore del Sismi abbia opposto alla procura il segreto di Stato. Non è così. Per legge (articolo 202 del codice penale) infatti è soltanto il testimone che può opporre il segreto. Non un indagato come è Pollari, accusato di concorso in sequestro di persona aggravato.

La difesa di Pollari chiede dunque l'acquisizione di quel documento in nome soltanto del diritto alla difesa. È un'interpretazione che i pubblici ministeri, anche se sono già in possesso di significative fonti di prova, hanno accettato. Vogliono verificare se davvero quel documento indirizzato al governo libera il numero uno dei Servizi segreti. Se davvero in quella carta, il generale dà conto dell'operazione congiunta con la Cia sulla rendition di Abu Omar (17 febbraio 2003), esprimendo il suo "dissenso".

Non è una difesa di grande respiro. Perché se il direttore del Servizio ha sempre l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria una notizia di reato, l'autorità politica può solo autorizzare che questa comunicazione avvenga in ritardo.

I due magistrati che coordinano l'indagine, Spataro e Pomarici, hanno comunque avviato la richiesta a Palazzo Chigi "per rendere il più ampio possibile l'accertamento dei fatti".

La lettera potrebbe essere determinante per definire non tanto il ruolo di Pollari, che l'indagine ha ormai ben disegnato, ma la responsabilità di "terzi" nella vicenda. Di nuovi protagonisti nel rapimento e nell'inchiesta, parla il gip nel provvedimento di sabato scorso, con cui è stata revocata la misura degli arresti domiciliari per Mancini e Pignero. La lettera che da oggi Prodi è chiamato a liberare da ogni discrezione potrebbe far fare un ennesimo salto all'inchiesta, conducendola in un territorio politico.

A chi infatti Pollari può aver dato notizia dell'operazione congiunta Cia-Sismi esprimendo il suo dissenso? Soltanto al governo. Ma a chi nel governo? A Berlusconi, presidente del Consiglio? A Gianni Letta, sottosegretario con delega ai Servizi? Ad Antonio Martino ministro della Difesa? Quale che sia il nome del destinatario della missiva di Pollari, il documento e la confessione del direttore del Sismi smentiscono quanto in questi anni ha sempre ripetuto l'esecutivo Berlusconi: "Non sapevamo". A quanto pare, è questa l'ultima verità di comodo che l'indagine deve eliminare.

(17 luglio 2006)

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la faccenda mi puzza alquanto.
Lux-86
00mercoledì 26 luglio 2006 16:18
MILANO - Sequestro di Abu Omar e caso Telecom: due novità. Primo: due civili, secondo un'ipotesi della Procura, avrebbero partecipato al rapimento, forse due uomini del servizio di sicurezza Pirelli o di un'agenzia di investigazioni privata. Secondo: nelle 400 pagine dei brogliacci che riportano le intercettazioni telefoniche di Pio Pompa si parla di un incontro ad Arcore tra Giuliano Tavaroli - il responsabile della sicurezza prima alla Pirelli e poi alla Telecom - e il "Ciambellano". Una figura che a leggere le intercettazioni delle telefonate di Pompa pare di poter identificare nell'ex sottosegretario di Berlusconi: "Stanno cercando di coinvolgere Letta", dice Pompa.

I due civili coinvolti - "Le risulta che al sequestro di Abu Omar abbiano partecipato due uomini della sicurezza Pirelli?". È la domanda che i pm hanno posto a indagati e testimoni delle inchieste Telecom e Abu Omar. Ottenendo tra le altre una risposta precisa: "Mi è stato riferito che al rapimento hanno partecipato due uomini di Emanuele Cipriani", il manager (indagato per associazione per delinquere nel caso Telecom) che controlla diverse agenzie di investigazione privata.

Proprio sul ruolo del reparto sicurezza di Pirelli e Telecom nel sequestro i pm stanno compiendo approfondimenti decisivi. Molte le circostanze che meritano attenzione a partire dalle intercettazioni di Pio Pompa. Ecco una recentissima telefonata del 15 giugno 2006 tra Pompa e un personaggio indicato come "il direttore" (un giornalista). Pompa: "Allora due dipendenti Telecom sono entrati nell'inchiesta su Abu Omar, civili eh". Direttore: "Ma che cosa c'entrano questi qui?". Pompa: "Avrebbero fornito cose ai tre dei Ros... Poi c'è un certo G. V. sempre di Telecom... è rientrato nell'inchiesta Milano-Firenze perché si sono dati da fare per fornire tabulati o schede fasulle".

L'incontro di Arcore - Il primo giugno 2006 Pompa parla con il vice-direttore di Libero, Renato Farina (indagato dai pm milanesi). Farina: "Allora sarebbe andato Tavaroli nel periodo caldo di Parmalat, cioè a gennaio del 2004". Pompa: "Ma con chi? Il Ciambellano?". Farina: "Sì, dal Ciambellano". Pompa: "Ma ad Arcore?". Farina: "Ad Arcore". I pm stanno valutando se Farina avesse informazioni di prima mano o riferisse voci di cui era venuto a conoscenza da altri colleghi.

Tavaroli e la Cia - Pompa in una telefonata del 25 maggio 2006 dice che circola una voce, "cioè che Tavaroli era stato pagato quindicimila dollari o euro al mese dalla Cia ed è una cosa che circola tra gli investigatori... a questo punto vuol dire che il nesso Tavaroli, Cia e Abu Omar è chiaro". Pista concreta o un depistaggio?

Le accuse a Bove - Telefonata del 14 giugno tra Pompa e Farina. Il giornalista parla di tabulati telefonici richiesti abusivamente. Farina: "... Sono stati richiesti a uno di quelli che aveva accesso a quel sistema da parte di Bove o Tavaroli". Il giorno dopo Pompa parlando con il direttore di un giornale non identificato dice: "Lui (Bove, ndr) le ha fatte e ne esiste traccia, adesso per conto di chi non lo so, però lui ha fatto questa richiesta. Ci sono sei, no cinque nominativi, dopo la rendition e poi dal 24 aprile 2002 ci stanno i numeri di Geronzi". Anche il cellulare.

I giornalisti e Luttwak - Decine le telefonate ai giornalisti. Ma soprattutto sono frequentissime le telefonate tra Pompa e il politologo Usa Edward Luttwak, in cui i due si scambiano notizie e opinioni di ogni genere. Anche sul caso Abu Omar. L'8 giugno 2006 annotano gli investigatori nei brogliacci "Edward chiede a Pio informazioni sull'indagine del sequestro di Milano. Poi Pompa lo richiama sul telefono fisso".

"Baffetto" e Condoleezza - È il 28 maggio di quest'anno quando Pompa riceve i complimenti di un "interlocutore non identificato" per "il genio e le capacità politiche dimostrate nel redigere un documento che sarà utile in vista di giugno, quando il "baffetto" (Massimo D'Alema, ndr) andrà da Condoleeza Rice". Ma D'Alema compare anche in un'altra telefonata. Il 20 maggio 2006, Pompa ha una conversazione di 10 minuti e 21 secondi con il "suo amico Gianfri". Che alla fine dice: "Zio Pio, io ancora aspetto che il capo mi fa questa bella telefonata a D'Alema, così almeno mi accredita per bene".

Prodi e Dio - Il 20 maggio ecco l'ennesima telefonata tra Pompa e Farina. Pompa attacca Prodi: "Non ha fatto altro che portare al governo i nemici della Chiesa, quando va in chiesa non so che c.... gli racconta a Cristo, Prodi".

(26 luglio 2006)

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