Welfare e liberismo

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-Kaname-chan
00giovedì 17 novembre 2005 23:12
Lo so che sentivate la mia mancanza, quindi rieccomi per la gioia di tutti i fan [SM=x751605]

Il welfare più famoso del mondo è riuscito a riconvertire se stesso ed a rendersi competitivo nell’economia capitalistica globale. La mossa vincente, attuata dal governo liberale degli ultimi anni, è stata unire alle alte tasse per la spesa sociale, eredità dei socialdemocratici e che avevano portato ad un’elevata efficienza dei servizi pubblici, una flessibilità totale del mercato del lavoro in un sistema economico aperto e concorrenziale unita ad una politica di formazione continua.
Non vi è nessun ostacolo al licenziamento che può avvenire da un giorno all’altro ed a costi molto contenuti per l’impresa, procedura ben metabolizzata dai lavoratori dipendenti che, in media, cambiano azienda ogni 4-5 anni. Ma i periodi di disoccupazione sono ben foraggiati, in quanto lo stato si fa carico del 90% dell’ultimo stipendio dell’ex lavoratore ed in cambio quest’ultimo accetta un corso di formazione professionale e qualsiasi lavoro che si trovi entro un percorso di due ore dalla propria abitazione.
Facciamo un esempio pratico: Jan,39 anni, studi superiori senza università, era impiegato in una piccola impresa, operativa nell’ambito della navigazione marittima. “Mi sono ritrovato disoccupato in Luglio del 2003 (…) capivo che il segmento di mercato del lavoro nel quale ero collocabile era diventato più corto, da una parte molti immigrati svolgevano mansioni vicine alle mie dall’altra erano necessarie specializzazioni che non avevo”. Parte quindi la riqualificazione gestita da un organismo della Confindustria e del sindacato danese: internet, contabilità gestionale, lingua tedesca. Dura quasi un anno. Ma quaranta giorni dopo la fine del corso Jan viene assunto da un’azienda che opera nel settore biomedicale ed esporta in Germania. Guadagna il 15% in più rispetto all’impiego precedente.
Ma anche le industrie hanno saputo reagire alla competizione: l’economia danese ha perso posti di lavoro nel settore industriale ma ne ha guadagnati nel settore biomedico e in quello degli spettacoli e del tempo libero, è il dialogo tra centri di ricerca ed imprese che favorisce il processo di innovazione che porta il paese a competere.
Da come lo interpreto io elementi di liberismo sono compatibili, anzi necessari, anche con una presenza dello stato che rimane forte. In Danimarca lo stato è presente ma non ostacola il libero mercato e la concorrenza né tra le imprese né tra lavoratori: anzi la favorisce. Favorendo però anche l’economia della conoscenza, fondamentale in un mondo competitivo ed aperto. I danesi non hanno paura dell’Asia, perché le industrie a basso valore aggiunto che emigrano o falliscono vengono rimpiazzate da altre ad alto valore aggiunto o da imprese di servizi. Come ho sempre pensato l’Europa e l’Asia sono complementari, d'altronde il nostro continente non si è impoverito all’inizio del XX secolo a causa dello sviluppo impetuoso degli USA. Gli Stati Uniti non ci hanno distrutti così come non lo farà la Cina e quando essa avrà raggiunto il nostro livello tecnologico non sarà più competitiva nei settori in cui lo è adesso. Né più né meno che il Giappone: fino agli anni ’70 era la Cina di adesso, poi hanno raggiunto il nostro livello di sviluppo e hanno cominciato a delocalizzare le industrie manifatturiere non competitive in patria. Questo a mio parere dimostra anche che il mercato aperto lungi dall’impoverire diffonde il benessere in tutto il globo, bisogna però che le varie nazioni si adoperino per restare competitive, tramite adeguate politiche interne che favoriscano la concorrenza, la flessibilità e lo sviluppo umano. Stiamo vivendo un periodo simile alla rivoluzione industriale del XIX secolo, quando milioni di contadini divennero operai: anche allora ci furono resistenze e polemiche contro il nuovo corso, ma alla fine questo si impose e le nazioni che riuscirono ad adeguare le loro politiche economiche ai nuovi tempi ebbero successo. L’esempio danese dimostra che la flessibilità non è precarietà e persino che un welfare pesante possa sussistere insieme al liberismo più sfrenato

Sayonara
DarkWalker
00martedì 27 dicembre 2005 00:01
sono conetnto per i danesi...
per quanto riguarda la cina, eviterei di paragonarla agli USA. Piuttosto, viste le sue scelte aggressive, mi sembra molto più simile alla germania guglielmina che ha provocato-appunto con la sua aggressività economica-la Iguerra mondiale. Se la Cina pensa di poter vncere un conflitto, non ci sono ragioni perchè non ci provi (certo non ora...almeno spero!)
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