Vivere nel mondo come veri adoratori di Dio

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MARIOCAPALBO
00lunedì 30 gennaio 2012 17:13

Vivere nel mondo come veri adoratori di Dio

  Cesare Nosiglia, arcivescovo di Vicenza (19 agosto 2005)



vi "consegno" questo meraviglioso discorso di questo pastore "illuminato" dall'Amore di Dio fatto ai giovani ad una GMG sulla necessità di adorare Dio e delle conseguenze nella vita di tutti i giorni. L'ho trovato molto saggio ed edificante, buona lettura!

Chi ha Dio non manca di nulla


I falsi idoli del nostro tempo sono tanti e si impongono in modi forti e coinvolgenti. L’inganno che in genere propongono è affascinante: diventare più liberi e poter decidere di sé come meglio piace. In realtà, seguendoli si diventa sempre più succubi e schiavi e ci si lega al loro potere, che, a poco a poco, diventa come una droga, impossibile da dominare o distruggere. L’idolatria è una schiavitù che si traduce in costume di vita e governa i propri sentimenti e le proprie azioni.L’uomo non può fare a meno di adorare Dio, magari un suo dio costruito, come il vitello d’oro dell’Esodo (cap. 32) a proprio uso e consumo. C’è chi erige a dio il sesso e se ne lascia sedurre e conquistare diventandone servo fino alle più estreme conseguenze; chi il denaro e la ricchezza di beni materiali; chi il potere e il primato sugli altri.
Anche la negazione di Dio, il più puro ateismo, in realtà conduce ad adorare qualcuno: se stesso. Il proprio io è eretto ad assoluto, la ragione a dogma e ciò che piace ad unica regola morale da seguire. Conseguenza? L’illusione, la noia infinita, il non senso della vita, la ricerca di esperienze sempre più estreme e ai limiti della stessa vita fino all’autodistruzione di se stessi e alla morte.C’è poi una tentazione molto sottile, che percorre la vita di ogni giorno, quella di credersi comunque capaci di fermarsi sul baratro, di poter smettere e ritornare indietro. Il ragazzo che comincia ad usare le droghe leggere pensa: "Ci provo tanto poi quando voglio smetto" e così passo, passo arriva a quelle pesanti e ne diventa succube. Lo stesso discorso vale per la sete di denaro, di piacere, di soddisfazione ed orgoglio. Il mito del successo, dell’avere sempre di più, del prevalere sugli altri, dell’apparire ed essere ammirato, si accompagna con la ricerca di ritualità misticheggianti, di riti satanici, fatti magari per scherzo, all’inizio, e poi sperimentati in modi e forme sempre più violente e devastanti.
Senza Dio non si può vivere? Bene, allora Dio è dappertutto, è dentro di me ed io posso essere lui, identificarmi, immergermi in lui. Dio è una entità cosmica che tutto abbraccia e comprende dentro di sé, anche la mia persona e la mia vita. La religione vera è il non averne una di precisa, ma al contrario abbracciarle tutte in un indefinito panteismo universale, che tutte le svuota del loro credo e di fatto fa di Dio una proiezione di se stesso.Essere adoratori dell’unico Dio va contro tutte queste forme alla moda, che vengono reclamizzate anche tra i giovani mediante la musica, il canto, internet e i linguaggi metaverbali che raggiungono il cuore prima che la mente e le orecchie. E’ per questo che il Papa afferma perentoriamente: "L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma moderna di idolatria".
1. Che cosa significa adorare l’unico vero Dio?
Non vuol dire solo dire di no a tutte queste forme di idolatria, ma in positivo mettere Dio al primo posto nella propria esistenza e farne il metro di giudizio per le scelte ed i comportamenti. Il vero Dio, rivelato da Cristo, è una persona reale e concreta, entrata nella storia con fatti e parole ed infine nella persona stessa del suo Figlio. Possiamo qui riferirci ad un episodio del Vangelo che tutti conoscete, l’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di Sicar (cfr. Gv 4).
La donna si scandalizza che Gesù parli con lei ed adduce come motivo il fatto che lei è samaritana e lui giudeo. Poi quando viene messa davanti alla sua situazione di vita, ricca di contraddizioni e di non felicità, riconosce che Gesù è un profeta ed aggiunge: "I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare Dio". Gesù le risponde: "Credimi, donna, è giunto il momento che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Ma è giunto il momento ed è questo in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". Questo significa che dal momento in cui Gesù è venuto sulla terra, Dio si è reso visibile e vicino, chi lo vuole adorare lo può fare accogliendo lo Spirito del Signore e la sua Parola di verità. Come dire: lo deve adorare nell’Amore e nella verità. Chi adora Dio nell’amore vive di amore e lo manifesta nelle sue azioni come faceva Gesù. Chi lo adora nella verità non si lascia fuorviare da falsi messaggi ed idoli e cerca l’incontro con la Verità che è Cristo stesso. La donna samaritana, che crede in Cristo e lo riconosce Messia, diviene adoratrice di Dio in spirito e verità e subito testimonia e parla a tutti gli abitanti di Samaria di quello che ha udito e visto e di come Gesù le abbia rivelato la verità della sua vita e le abbia donato l’acqua viva che disseta la sua sete di amore e di verità.Così siamo chiamati a fare noi che crediamo in Cristo e vogliamo vivere ogni giorno come veri adoratori di Dio in spirito e verità.
2. Quali sono le scelte coraggiose di testimonianza del Dio vero nel nostro ambiente di vita?
I Magi ce ne indicano subito una molto importante: "per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2, 12).Questo cambiare strada indica la conversione che chiunque incontra Gesù è invitato a compiere. Convertirsi non è questione di un momento, ma di una vita. Sempre siamo in via di conversione. Ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio essa ci svela ombre e luci della nostra vita e ci sprona affinché abbiamo il coraggio di tagliare ciò che va tagliato, egoismi, idolatrie, chiusure in se stessi, scarso amore verso gli altri, e di vincere il male con il bene. La Parola è come lampada che guida i nostri passi verso il Signore in un cammino spesso tenebroso ma segnato dalla fiducia in lui. Convertirsi significa anche lottare con coraggio contro le opere della carne, che impediscono allo Spirito di fruttificare in noi. Infatti, l’uomo vecchio con le sue passioni ingannatrici tende sempre a risorgere e a riconquistarci, ma lo Spirito, che viene in aiuto della nostra debolezza, ci sostiene per risultare vincitori. Il giovane ricco, che non ha il coraggio di lasciare le proprie ricchezze, mostra di non volersi convertire, perché è troppo legato alle sue sicurezze e non si fida di Cristo, malgrado abbia ricevuto da lui segni forti di amore. Desidererebbe tenere i suoi soldi e avere la vita eterna: Dio e il denaro. Ma non si può servire due padroni (cfr. Mt 6, 24).
Convertirsi significa anche seguire positivamente Gesù ed imitarlo: "Come ho fatto io fate anche voi". La sequela è certamente l’aspetto più coinvolgente della fede: come i Magi si sono fidati della stella e l’hanno seguita fino a Betlemme, così ogni credente deve fidarsi di Cristo e seguirlo senza timore. Lui è la via, la verità e la vita piena per ogni uomo (cfr. Gv 14, 6)."Vieni e seguimi": questa parola risuona anche oggi in molti di noi come è risuonata nel cuore dei primi discepoli. Per seguire il Signore bisogna alzarsi e andare dietro a lui; non bisogna voltarsi indietro, nostalgici di quello che abbiamo lasciato, perché chi mette mano all’aratro e poi si volge indietro, dice Gesù, non è degno di me (cfr. Lc 9, 62). Certo, le condizioni della sequela non sono facili, ma impegnative e a volte anche dolorose. Gesù non promette a chi lo segue ricchezza, potere, soddisfazione e beni materiali, carriera e riuscita nella vita. Al contrario, indica la via della croce, del perdono, della povertà più radicale, della purezza e della lotta per la giustizia. E’ deciso nelle sue richieste: "Se vuoi essere mio discepolo, va' vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Chi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me.... Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (cfr. Mt 13.19).
Trovare Cristo significa trovare il tesoro più prezioso, la perla più ricca per cui vale la pena vendere tutto, rinunciare ad ogni altra cosa al mondo per possederla. Nei vangeli il discepolato e le condizioni per seguire Gesù rappresentano una delle catechesi più presenti e concrete con cui si misura la nostra vita. E sono sempre condizioni che riguardano tutti i cristiani, non solo alcuni prediletti.
Ascoltiamo queste famose parole, profonde e cariche di amore appassionato per Dio, di una grande santa, Teresa di Avila, la quale dice:

Nulla ti turbi, nulla ti spaventi.
Tutto passa, Dio non cambia. Chi ha Dio non manca di nulla.
Dio solo basta.

Mi direte: "Teresa era una monaca ed è normale che parlasse così!". Io vi dico che questa esperienza è possibile anche a ciascuno di voi. Dio si comunica ad ognuno così. Tocca a noi saperlo accogliere con la stessa intensità di amore di santa Teresa. La via della sequela diviene possibile e quotidiana, se osserviamo una regola di vita semplicissima: imitare Gesù. Poiché lui è uomo come noi, la sua umanità ci è di esempio circa la possibilità di vivere anche noi la nostra umanità nei suoi vari aspetti ogni giorno."Come ho fatto io, fate anche voi": come si comporterebbe Gesù se fosse al mio posto? Proviamo ad applicare questa regola ad ogni nostra azione e scelta di comportamento e vedremo quanto diventa fattibile l’imitazione di Cristo, almeno come programma e obiettivo da perseguire. Così Cristo diviene il nostro maestro e la nostra via. Egli, lo sappiamo, non sta solo davanti a noi, come un modello, ma è anche dentro di noi con il suo Spirito e questo rende possibile imitarlo veramente, perché lo Spirito ci trasforma in lui. San Paolo arrivò a dire: "Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me" (Gal 2, 20). E ancora: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1, 21).
Più uno si immette in questa prospettiva di sequela-imitazione e più gli si aprono davanti orizzonti grandi di impostazione di vita. Per me è stato così. Quando frequentavo la scuola superiore, ho meditato a lungo su questo tema e ho cominciato a sentire dentro di me il desiderio di orientare la mia vita sulla via del sacerdozio. A volte si sente dire che la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata nasce dal desiderio di dedicarsi agli altri, ai poveri, ai più bisognosi. E questo è certamente vero, perché donare la vita per gli altri fa parte delle vocazioni di speciale consacrazione. Io penso però che la radice e la motivazione vera di una vocazione non stia fuori di noi, non stia nel fare ma nell’essere, stia cioè dentro di noi. Essa sta nell’amore di Cristo che fa risuonare la sua chiamata dentro il cuore dell'uomo, lo vuole, lo interpella. Rispondere significa fare un patto d’amore, innamorarsi e decidere di cementare tale patto con il sì di fedeltà a Cristo. Egli, infatti, vuole che la vita dell'uomo diventi una cosa sola con la sua e così si offra agli altri in pienezza di amore come ha fatto lui."Li chiamò perché stessero con lui…e per mandarli a predicare": così la chiamata dei Dodici sottolinea questo discorso in modo evidente. La chiamata di Cristo è sempre per la felicità e la vita, come sottolinea Gesù stesso nel Vangelo rivolgendosi al giovane ricco: "Se vuoi essere felice e avere la vita eterna, seguimi" (cfr. Mc 10).
Anche qui voglio dirvi che chi risponde alla chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata non lo fa rinunciando a qualcosa o a qualcuno, ma lo fa per acquistare qualcosa e qualcuno. E’ per amore di Cristo e dei fratelli che ci si fa preti o suore. La rinuncia ai beni della terra o a farsi una famiglia non è in primo piano, ma segue di conseguenza l’altra scelta d’amore totale per Cristo. "Se mi ami devi darmi tutto di te stesso e di te stessa" dice Cristo e questo diviene lo scopo primo della vocazione da cui scaturisce poi la forza di rendere unico ed assoluto tale amore, accogliendo in esso non una persona soltanto, ma tutte le persone; non un gruppo, una famiglia, una comunità, ma tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra, se necessario. Questa totalità d’amore sta a fondamento del "per sempre" che il chiamato o la chiamata pronunciano davanti a Dio e alla Chiesa. Cosa del resto propria di ogni vocazione, a cominciare dalla vocazione battesimale dove il sì a Cristo conferma un patto di alleanza che nulla potrà mai distruggere per arrivare al matrimonio, al sì definitivo ed indissolubile che pronunciano gli sposi.
3. Vivere in questo mondo come adoratori del vero Dio significa infine raccontare a tutti l'esperienza di incontro con Gesù Cristo. Quando si incontra Cristo e si accoglie il Vangelo la vita cambia e si è spinti a comunicare agli altri la propria esperienza. Si è spinti, ma purtroppo spesso non si ha il coraggio di farlo, perché l’ambiente che ci circonda appare refrattario, indifferente o perché non si ritiene necessario disturbare un amico con simili proposte, alle quali magari non crede oppure crede ad altri messaggi religiosi. Ognuno ha diritto di avere la propria religione e a non essere forzato a cambiarla. Rispettiamoci così come siamo. La missione non è dunque una indebita ingerenza nella vita delle persone, le quali, nella nostra società, possono agevolmente e liberamente decidere se credere o non credere, se credere in Cristo o in un’altra religione. Un falso concetto di libertà fonda una cultura che, in materia religiosa, diviene neutra e dice no ad ogni forma di proselitismo o di coinvolgimento forzato. Questo principio è profondamente cristiano. Gesù tante volte dice: "Se vuoi essere mio discepolo" e rimprovera i giudei perché per fare un proselito passano il mare e i monti per rendere poi schiava la persona di precetti, che sono opera umana e non vengono da Dio.
La missione non è proselitismo, ma testimonianza ed invito che parte dalla propria esperienza non da principi ideologici o da volontà di ricavarne un vantaggio. La missione parte da altri presupposti, soprattutto l’amore a Cristo e all’uomo, e si realizza sul piano dell’annuncio accompagnato da segni concreti di solidarietà e di amore verso tutti, in particolare i più poveri e sofferenti, così come faceva Gesù.
Ci ricorda, in particolare, sant’Alberto Magno, sepolto nella chiesa di S. Andrea , e santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, perché come i Magi hanno saputo cercare la verità mediante la fede e la ragione mostrando che non c’è contraddizione tra queste due realtà, entrambe doni di Dio. Un invito che mi sembra oggi particolarmente importante per rendere la nostra fede motivata e sicura e dare alla nostra ricerca, intellettuale oltre che vitale, una solidità di riferimenti insieme biblici e culturali.
Se vuoi che la tua fede cresca e diventi forte, non devi tenerla chiusa in te stesso o dentro la tua vita, ma donarla, portarla agli altri senza timore, perché, alla fine, ti accorgerai che essa è diventata forte anche nel tuo cuore. Dio, infatti, scrive in grande quello che noi scriviamo in piccolo e trasforma in giardino anche il deserto là dove sembra tutto arido e dove è inutile piantare o irrigare. Ma il cuore dell’uomo, di ogni uomo, anche se appare un deserto, ha sempre un piccolo terreno buono dove il seme della Parola di Dio e del buon esempio può attecchire e produrre un frutto abbondante di conversione e di vita nuova. Non stanchiamoci, dunque, di evangelizzare, mai! Facciamolo con gioia, perché solo chi mostra di essere contento della propria fede in Cristo trasmette, quasi per osmosi, la buona notizia del Vangelo e apre vie impensabili di incontro con lui nel cuore di ogni persona ed in ogni ambiente. Amen.
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