Vita da poeti

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caleidos
00venerdì 5 gennaio 2007 23:17
***
E' straodinario come ancora siano estremamente attuali le vicissitudini e gli stati d'animo di questi poeti plurimillennari!

Caleidos [SM=g27822] [SM=g27822]



LUCREZIO



La depressione non l’abbiamo inventata noi moderni: sono portato a pensare che ne abbia saputo qualcosa Tito Lucrezio Caro, un altro intellettuale latino che, secondo me, fu certamente afflitto da quel mal de vivre da cui spesso vengono attanagliati gli uomini dell’età moderna, e che si dice sia morto suicida o pazzo per abuso di una qualche sostanza stupefacente. Nulla di nuovo sotto il sole.

Non fu una vita felice la sua, e della sua interiorità ferita e sofferente ha fatto eco la sua opera più significativa, il “De rerum natura”, La natura delle cose: opera che riflette l’ansia gravosa di chi cerca costantemente, e vanamente, una serenità interiore che attenui pene e fatiche dell’esistenza umana.

Una serenità che, per Lucrezio, può trovare appagamento solo nell’apprendimento della scienza: il mondo e l’universo sono terrore per chi non li conosce; solo chi ne studia e ne intende la natura trova sollievo e pace interiore. E la stessa morte non farà più paura.

"Non saranno dunque nè i raggi del sole o il chiarore del giorno a squarciare le tenebre o il terrore dell'animo, ma l'osservazione razionale della Natura." (libera traduzione dal libro I del De Rerum Natura).

Il vasto complesso di temi che compongono la sua opera (si va dalla nascita del mondo, al problema dell’anima e della morte, al tema dell’amore che è visto come una malattia distruggitrice) può far pensare a un arido e difficoltoso lavoro di carattere scientifico più che letterario; ma vi emergono anche ampi scorci di elevata contemplazione della vita e delle forze vitali, poeticamente deificati nel simbolo dell’amore universale, Venere.

“Nasce l’uomo a fatica - dirà secoli dopo il nostro Leopardi - e (chi lo ha generato) il prende a consolar dell’esser nato”. Lucrezio aveva già meditato su questo aspetto della condizione umana: l’uomo, come un fanciullo che ha paura del buio, si scopre piccolo e debole in questo mondo di forze estranee e ostili. E tuttavia, pur travolto dalle passioni, sopraffatto dalle malattie e dalle umane vicende, vinto dall’ineluttabile morte, ha saputo dominare il tumulto che gli sta intorno perché ha indagato e conosciuto le leggi dell’universo e, dominandole, ha raggiunto la serenità.

Ma a quale serenità - mi chiedo - può riferirsi Lucrezio, la cui concezione della vita fu solo cupa e tenebrosa? Forse, solo a una rassegnata accettazione della rerum natura, della natura del mondo e della vita, da cui l’uomo, più che dominatore, è dominato.

Quasi che il vinto poeta latino stesse preparando il cammino ai versi sublimi, e altrettanto vinti, del nostro Salvatore Quasìmodo: “Ciascuno è solo sulla crosta della terra. Trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera”.











CATULLO



Gioia di vivere e di amare, invece, in quest’altro poeta latino, dalla vena poetica fresca e vivace, la cui linfa nasce dalla vita di ogni giorno, nella finezza di una squisita esecuzione artistica.

Raffinata ed elegante nella composizione, la poesia di Catullo pulsa in un complesso vivo di sentimenti comuni a ogni uomo nella vita di tutti i giorni: gioie e delusioni, odi ed amori.

Vita breve, la sua, ma intensamente vissuta nella scìa di un amore travolgente. Nel mondo della Roma aristocratica che si trovò a frequentare, conobbe e s’innamorò di quella che nei suoi versi egli chiamò Lesbia.

Ed è questa Lesbia che il giovane poeta innamorato ricopre col manto della sua poesia, fatta di volta in volta di tenerezza e furore, affetto e odio, devozione e disprezzo. Forse ne aveva qualche motivo...

Poeta vivo, Catullo, uomo fra gli uomini, amante fra gli amanti. Così come viva e appassionata è la sua poesia, avviluppata in un amore che tenne avvinto il giovane come una malattia (e che cos’è l’amore, se non una malattia?), in un concatenarsi di intense gioie e delusioni cocenti, fino all’estremo abbandono dell’ingrata amante.

Uomo passionale che si fa cogliere da reazioni violente, da odi, rancori e sofferenze che tuttavia non sanno prevalere sull’amore. E artista di delicati sentimenti e sensibilissime immagini poetiche, come quando parla in tenui versi del passero amato da Lesbia e del dolore di lei per la morte del piccolo uccello; o quando, con gioia intensa ed esclusiva, esprime la passione dell’intimità amorosa in un tripudio di baci, che qui mi proverò a evocare con semplici parole mie:

“Da mihi basia mille - Dammi mille baci, e poi cento e poi mille. E ancora cento e ancora mille. E quando ce ne saremo dati mille e mille, conturbàbimus illa, li mescoleremo insieme. Per non sapere, e perché nessuno sappia, quanti ce ne siamo dati” .



(Per la cronaca, questa Lesbia è da identificarsi con Clodia, una esponente dell'alta società che Cicerone definì "una ragazza da quattro soldi" per la sua moralità piuttosto disinvolta; una donna sposatissima che andava a letto con mezza Roma e per la quale il nostro Catullo era solo uno dei tanti. Probabilmente, i mille baci del nostro ingenuo poeta, per lei erano solo una piccola percentuale...

Mi viene in mente quella vecchia canzone di Julio Iglesias - ve lo ricordate?

"Bella, eri bella, ed un poco anche mia. Ma di tutti, poi, sentivi nostalgia...."

Povero Catullo, giovane e illuso: anche la tua decantata Lesbia, mentre faceva l'amore con te, aveva nostalgia. Chissà di che cosa...)


*****

"Tratto integralmente dal sito Sala di lettura" http://www.alalba.it


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:12.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com