(da corriere.it)
La sentenza ha punito con 300 euro di multa un triestino che aveva apostrofato un parcheggiatore
Cassazione: vietato dire «tu non sei nessuno»
«Affermare che una persona è una nullità lede la dignità»
ROMA - Ricordate Gli intoccabili ? E ricordate quando Robert De Niro, nei panni di Al Capone, se la prende con l’agente che lo sta arrestando, «Tu non sei niente, solo chiacchiere e distintivo»? Bene, la Cassazione italiana avrebbe condannato Al Capone non per omicidio, come non avvenne nemmeno negli Stati Uniti. Non per evasione, come invece riuscirono a fare i giudici di Chicago. Ma per ingiuria. A essere precisi Giulio C., triestino, si è concesso una leggera variazione sul tema. Non ha detto «tu non sei niente» ma «tu non sei nessuno». Forse perché davanti non aveva Kevin Costner e Sean Connery ma Stefano S., di professione parcheggiatore, col quale stava litigando proprio per il posto della sua auto. In ogni caso per la Cassazione avrebbe fatto poca differenza. Nella sentenza che ha reso definitiva la multa di 300 euro decisa dal tribunale di Trieste, i giudici di Piazza Cavour hanno approfondito la questione: «La frase tu non sei nessuno significa precisamente tu sei una nullità; affermare che una persona è una nullità è, per coscienza comune, certamente offensivo perché lesivo del decoro di una persona, ovvero della dignità fisica, sociale e intellettuale».
Per questo il tribunale di Trieste ha fatto bene a rilevare gli estremi dell’ingiuria, reato punito dal nostro codice con la multa fino a 516 euro, scesi a 300 perché l’imputato aveva scelto il rito abbreviato. A questa somma Giulio dovrà adesso aggiungere i 500 euro che la Cassazione ha deciso di fargli pagare come spese processuali. Un’aggravante su cui ha influito il fatto che «l’espressione ingiuriosa non fosse peraltro giustificata dal comportamento della parte lesa che fu pacato ed educato». E forse anche la testata che Giulio aveva rifilato al parcheggiatore per poi fuggire in auto e sostenere che lo scontro era stato «casuale».
Non è la prima volta che la Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla questione. Anzi, nel corso degli anni ha costruito una sorta di guida alla legittima offesa, forse non sempre coerente. Qualche esempio.
Non è ingiuria dare del rompic... «espressione indubbiamente scorretta ma di uso ormai invalso». E
non è minaccia dire «ti spacco il c...» perché si tratta di una «dura reazione che va intesa in modo figurato». E’ invece
colpevole di ingiuria chi se ne esce con «non capisci un c....», parole che «pur se di uso comune hanno indubbiamente capacità offensiva del prestigio e della dignità». Stesso discorso per il classico vaffa..., specie se «accompagnato da gesti osceni con chiaro intento ingiurioso», e «sei una testa di c....». Nella lista nera ci sono anche espressioni insospettabili come «bambino» e
«don Abbondio». Qui contano soprattutto le persone a cui erano rivolte: il capoufficio nel primo caso, un magistrato nel secondo.