VIOLATORI - Lawrence Mc Pav

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Kudrak
00giovedì 22 aprile 2004 18:01
Tu mi disprezzi, sento l’astio con cui pronunci la parola “mercenario”, ma se mi offri un'altra coppa d’idromele per togliermi l'arsura dalla gola ti racconterò la storia mia e della mia gente e allora capirai che era l’unica scelta possibile.

...Nacqui in un caern arroccato come un'aquila tra i monti centrali dell'isola di Emie Valad ove per qualche tempo, mentre la guerra consumava le spiagge e le pianure del sud, la nostra gente continuava tranquilla una vita semplice ma dura tra le impervie cime perennemente innevate.
Io ebbi i natali durante gli anni ricordati come "l'attacco del lupo", in una piccola casa dal tetto di terra posta poco fuori il villaggio, sono il primo di tre fratelli, figli del cerusico e della maestra della comunità. Da subito mi fu fornita istruzione e amicizia dalla mia famiglia e dagli altri giovani del villaggio e, poiché mio padre veniva spesso chiamato a curare i mali di una vita passata nei campi, anche dai villaggi vicini.
Ho ancora ricordo di un’infanzia passata a giocare e ad esplorare le cime vicine, in compagnia di un’allegra combriccola di ragazzi tanto eterogenei quanto uniti. Molti di loro, dopo gli anni di guerra, non li ho più rivisti, staranno banchettando presso gli dei, scaldandosi al tepore del sacro fuoco, e saziando la loro eterna sete di birra, guerra e donne.
Prima che la guerra ci raggiungesse, fui mandato per tre anni come apprendista in una fucina ad alcuni giorni di viaggio presso una città della valle. Li imparai sotto la paziente guida di Lucas come fondere, temprare e dar forma ai grezzi minerali ferrosi, appresi come di potesse dare la vita ad un materiale informe e come questo potesse poi toglierla al proprio nemico. Mi furono forniti i primi rudimenti sul combattimento e dell’arte della guerra, fui portato nelle profonde miniere dei nani per scegliere il metallo migliore da battere senza sosta sull’incudine, a scuoiare la cacciagione e a trattane la pelle per confezionare preziosi foderi.
Quando infine tornai al mio villaggio, trovai le prime avvisaglie che la guerra stesse per abbattersi sulle nostre montagne con la furia della più terribile delle fredde tempeste invernali. Già molti giovani avevano lasciato le proprie case per ricongiungersi con i padri che combattevano per la propria terra, e altri si accingevano a seguirli. Tra i loro volti, rigati dalle lacrime o dalla pioggia, come asseriva senza convinzione qualcuno, scorsi molti dei miei vecchi compagni di giochi.
Furono lontani dalle loro case per più di un anno e ancora immagino il loro cuore farsi pesante ogni volta che ripensavano alle loro montagne.
Al loro ritorno molte madri piansero i figli partiti e più tornati, non per seguire un ideale o per cercare il sacro fuoco, ma solo per difendere le proprie terre dalla ceca furia di una guerra di cui più nessuno ricordava l'inizio.
Passò così un altro inverno, i passi furono chiusi dalle abbondanti nevicate e un bianco sudario coprì le vallate sporche del sangue versato.
Con il ritorno della bella stagione, come corvi neri forieri di cattive notizie, gli echi delle battaglie infransero il tepore primaverile ripresentando con urgenza il bisogno di giovani braccia per impugnare non più fiori o cetre ma neri strumenti di morte.
Venne quindi il nostro turno di abbracciare i nostri genitori con la vaga speranza di poterli un giorno rivedere, con la certezza che la nostra spensierata giovinezza ci era stata rubata e non ci sarebbe mai stata restituita.
Partì con me, oltre a tanti ragazzi, anche uno dei miei fratelli, Mattew Mc Pav dal cui fui presto diviso dal fragore della battaglia e che più non rividi.
L’orrore durò diversi anni, la guerra continuava ad esigere il suo tributo di morte e sangue, villaggi venivano saccheggiati e bruciati, eserciti si scontravano ormai senza scopo distruggendo tutto al loro passaggio, ma del sacro fuoco nessuno trovò traccia, ma anche la follia infine, rapidamente come era nata, cessò.
Non ce l’abbiamo fatta a fermarci, avevamo combattuto una vita ed era l’unica cosa che sapevamo fare, e per Ghash la sapevamo fare bene.
Il resto della storia, del viaggio e delle peripezie affrontate sino a giungere su Elea vi sono già note così come l’incontro con la ribellione, con il principe Malakay e di come ci siamo uniti al suo esercito.
Perché proprio l’esercito dei Violatori? Secondo me è stata la scelta più saggia che potessimo fare. Erano gli unici che manifestavano apertamente le loro intenzioni, erano professionisti della guerra e non poveri braccianti scappati dai campi ne bestie sbavanti del Caos. E poi avevano di che pagarci. Un bell’ideale o la ceca fedeltà al proprio dio sanguinario non aiuta a riempire la pancia, ne a comprare l’acciaio che mettiamo in vendita.

Solo una cosa non capisco, mi confonde, l’astio che ci segue ogni volta che pronunciamo la parola “Mercenari”.
Cos’altro potevamo fare!? Abbiamo bruciato la nostra giovinezza nelle voraci fauci della guerra, sappiamo solo combattere e allora perché non sfruttare questa nostra abilità.
Voi ci disprezzate, ci definite uomini privi di ideali, attaccati solo al profitto ma forse non capite: Questa non è la nostra terra, non è la nostra guerra e neanche la nostra gente.
Noi non mutiliamo, non bruciamo ne uccidiamo perché ci piace, non lo faremo mai. Non nascondiamo le nostre azioni dietro vaghe ed effimere scuse. Se guardate dietro le parole gridate dall’altare di un tempio, da chi urla che tutto ciò è necessario per appagare le voglie di un dio sanguinario, da chi motiva le sue stragi con vuote parole di ribellione, ebbene, lì vedrete l’odio e la brama di sangue. Vedrete uomini o condottieri pronti a bruciare un villaggio con tutti gli innocenti che contiene solo perché di un’altra razza o religione, o per il mero capriccio della loro divinità.
Questo modo di fare non ci appartiene, sappiamo quanto valore abbia la vita, e per questo chiediamo un sacco di soldi.




[Modificato da - Artax - 17/05/2004 12.48]

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