Un giorno particolare

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Nerio
00venerdì 1 aprile 2005 21:58
Il rumore di passi che si avvicinavano al letto; il ticchettio di un interruttore seguito da un fascio di luce; la voce di un’infermiera che diceva: “ Dal momento che è già sveglio, facciamo la depilazione?”
Quella che avevo appena trascorso non era stata proprio quella che si poteva definire una notte tranquilla, ma adesso la voglia di riposare era l’ultima cosa che mi passava per la mente. Era l’una passata quando avevo lasciato a malincuore la lettura di un romanzo di Ken Follet per andare a dormire e mi ero trovavo su di un letto, per me nuovo, dove il caldo in primo luogo, e il rumore di una ventola appesa al soffitto della camera dell’ospedale non mi aiutavano certo a farlo. Cercavo di pensare a tutto fuorché alla mia vera preoccupazione: l’intervento a cui avrei dovuto sottopormi il mattino seguente. Tutti mi avevano detto e ripetuto che non sarebbe stato niente di eccezionale, ma in ogni caso di interventi non ne avevo mai avuti, poi gli altri avrebbero potuto credere quello che volevano tanto là c’ero io! Ripensandoci non so quanto tempo abbia impiegato per addormentarmi, in ogni caso pochi minuti prima delle cinque, mi ero alzato per andare in bagno e dalla guardiola mi avevano sicuramente visto.
L’infermiera continuò: “ Mi segue?” Ci incamminammo lungo il corridoio dove c’era una tenue luce notturna, e il silenzio faceva da padrone; guardai di sfuggita all’interno delle camere dove erano allineati i letti, tutti sembravano dormire. Il piccolo ambiente angusto dove ci trovammo poco dopo aveva appena lo spazio per contenere un lettino, una sedia, e un piccolo lavandino posto in angolo.
Avrei preferito mille volte un uomo per quel lavoro, ma lì non avevo certo la possibilità di scegliere! Mi sdraiai sul lettino e abbassai fino alle ginocchia calzoncini del pigiama e le mutande; l’infermiera mi interruppe subito: “ Tolga pure tutto!” Presi fiato, mi rimisi a sedere, cercai di darmi un contegno piegando i calzoncini, vi appoggiai sopra le mutande e misi tutto sulla sedia. Appena sdraiato mi tornò subito alla mente che mi ero proposto di rilavarmi quel mattino, l’avevo fatto anche alla sera, ma per una situazione del genere non lo ritenevo ancora sufficiente. A quel pensiero, come non fosse stato già abbastanza, il disagio aumentò. Cercai di rilassarmi; se invece, visto il punto in cui andava a lavorare l’infermiera, fosse successo il contrario? Probabilmente la tensione in cui mi trovavo sarebbe stata sufficiente a farmi stare tranquillo, però!?... In quel momento osservai l’infermiera mentre era intenta al suo lavoro: una donna sulla trentina, già a prima vista dava l’impressione di non curare molto la sua persona: mora con capelli non troppo ordinati, degli occhiali che non le si addicevano proprio, ben piantata come corporatura e con un viso che, avendo voluto essere bonari, era del tutto anonimo. No, non c’era nessun pericolo. Forse se fosse venuta la sua collega... ma era meglio così, l’imbarazzo in cui mi trovavo era già più che sufficiente.
Passò un tempo interminabile, ma dovendo rimanere ancora a lungo decisi di dire qualcosa. Dalla mia bocca uscì una voce in qualche modo strozzata, quasi in farsetto: “E’ già stata in ferie?” Non ci voleva certo una persona laureata in psicologia per capire lo stato d’animo in cui mi trovavo; cercò di sostituire quella che, se si fosse lasciata andare, sarebbe stata una grossa risata, in una specie di sorriso in qualche modo contenuto e disse: “ No, devo ancora aspettare tre settimane...” A questo seguì una marea di parole che riuscirono in qualche modo a togliermi dal disagio. Finito tutto, prima di rivestirmi aggiunse: “ Ho cercato di farle un taglio come fossero calzoncini, se dovesse andare al mare darebbero l’effetto di una diversa abbronzatura” Mi guardai per un attimo: quanto ero brutto! Già, a mio giudizio, un uomo non è mai bello, poi così davo l’impressione di un bambino esageratamente grande nelle dimensioni, o di un adulto , in qualche modo menomato.
Mezz’ora dopo ero in camera, dopo essere passato da una doccia sacrosanta visto che, oltre al caldo, l’imbarazzo mi aveva fatto sudare.
L’intervento era previsto per le dieci circa. Provai di rimettermi a leggere, ma l’interesse della sera precedente era completamente svanito.
Alle otto e mezzo arrivò la colazione, ma purtroppo quella non era per me, sul letto c’era un cartellino abbastanza chiaro: digiuno; non che avessi voglia di mangiare, ma almeno sarebbe stato un modo per ingannare un po’ il tempo. Adesso non avevo più dubbi: ecco perché quelli che vanno in ospedale o dal dottore si chiamano pazienti! Lo devono essere per forza!
L’ora successiva fu una delle più lunghe della mia vita. Entrò un’infermiera per farmi una puntura, almeno fosse stata quella che tutti chiamano puntura del coraggio ( mi avevano detto che con quella si facevano certe risate!); trascorsero ancora diversi minuti e se quella era la famosa puntura a me non aveva fatto proprio nessun effetto. Sicuramente con quella non aveva niente a ché vedere.
I miei occhi erano sempre puntati ai movimenti nel corridoio, qualcuno da lì sarebbe arrivato per portarmi via. Entrò un’infermiera, sembrava diretta agli altri letti, li guardò tutti e, per ultimo si rivolse a me: “Ah... è lei che devo preparare!” Avevano cambiato turno e quella era senza ombra di dubbio una bella donna, ma in quel momento era l’ultima cosa a cui pensavo. Prese dentro il carrello e, dopo aver chiuso le porte, esordì tranquillamente dicendo: “ Si tolga pure tutto... compreso anello, orologio, catenina...” Non potevo far altro che adeguarmi, quel giorno andava proprio così. Appena rimasto come mamma mi aveva fatto, iniziarono gli addobbi per la sala operatoria. Per cominciare mi allungò subito una cuffia di carta verde, seguirono due calzettoni bianchi di materiale plastico, decisamente larghi, che allacciò alle caviglie e al polpaccio. Forse calzettoni non era proprio il termine adeguato, guardandoli assomigliavano più ad un paio di Moon Boot. Finì aiutandomi ad indossare una camicia senza maniche e bottoni , che fermò con due laccetti su cui fece un nastro al collo. Il commento che seguì non poteva certo essere evitato: “ Queste camicie sono corte per le persone normali, lei poi che è lungo...” Cercai mentalmente di vedermi dall’alto al basso. Papalina verde in testa che, con un elastico alla base, nascondeva completamente i capelli; camicia con un fiocco al collo appena di misura da coprire l’ombelico; un depilè da grido (di paura) e per finire quegli scarponi, per fortuna che mi coprì subito con un lenzuolo! Mi vennero in mente dottori ed infermieri della sala operatoria: come facevano a non ridere vedendo scene del genere? Sicuramente erano abituati.
Nel letto così come mi avevano preparato non rimasi molto, appena pochi minuti dopo arrivò il lettino per portarmi in sala operatoria. Arrivato là ed entrato, capii che nonostante la scritta fuori dalla porta mi trovavo in un locale di attesa, prima di entrare in quella che sarebbe stata la vera e propria sala operatoria. Ancora una puntura e pochi secondi dopo la riconobbi, quella era sicuramente la puntura del coraggio! In pochissimi istanti avevo abbandonato tutte le preoccupazioni, ed ero appoggiato completamente al lettino come se in quel momento, avesse acquistato la forma anatomica del mio corpo; probabilmente se al suo posto fossi stato steso su di un sasso l’effetto sarebbe stato lo stesso. “Qui c’è l’aria condizionata, se ha freddo le metto un panno” Era la voce dolce di un’infermiera che avevo al fianco, completamente coperta di verde, ma che da un viso sorridente sembrava capire il momento di benessere in cui mi trovavo. “ No, grazie non sono mai stato così bene” Ancora un suo sorriso, poi quel relax era troppo bello, chiusi gli occhi e mi sembrò di volare; lì avrei potuto aspettare pure un’intera settimana che non me ne importava più niente.
Senza riaprirli, sentii il carrello che si muoveva, probabilmente stavo entrando in sala operatoria ma quella di non ho nessuna immagine.
“Guardi che le abbiamo fatto solo un’anestesia locale, può pure svegliarsi” Era la voce del chirurgo che in quella mattina non avevo ancora visto e sicuramente aveva già finito. “Sì, sì...” risposi in qualche modo, ma pochi secondi dopo dormivo più di prima.
Dopo un tempo indefinito vidi Carla a fianco del mio letto. “Devo andare in bagno” e, dimenticando flebo e abbigliamento non troppo confacente, mi ero già scoperto e pronto a partire. Mi bloccò immediatamente e, mentre chiedeva aiuto alle infermiere temendo che mi alzassi, io dormivo ancora.
Mi parve di sentire una voce da lontano, era quella del chirurgo che, invece al fianco del letto, diceva a un’infermiera vicino a lui: “Basta con la flebo, ma questo dorme sempre! Se riuscisse a svegliarsi potrebbe anche andare a casa!” Ero più che contento, mi vestii, provai ad alzarmi e tutto andava bene, però prima di lasciare l’ospedale pensai di riposare ancora un attimo. Mi svegliai dopo quattro ore.
Erano le sei quando, lasciato l’ospedale e arrivato a casa, salutavo i vicini increduli nel vedermi già così in forma. Stavo benissimo e a dire il vero, che fosse andato tutto così liscio, sembrava strano pure a me.
Potevo essere vero che me la fossi sbrigata così semplicemente? Senza dubbio no, ma per capirlo avrei impiegato alcuni giorni prima di rendermene veramente conto
mara48
00domenica 3 aprile 2005 01:10
Neriooooooooooo
ma tutto questo quando è successo?''' forse è da poco perchè non ti ho proprio visto più...ora come stai?...
dacci tue notizieeeeeeeeee..
ciaoooooooooooooooooo
clarice
00lunedì 4 aprile 2005 08:29
Nerio potresti scrivere un libro.Ho letto il tuo post appassionatamente e mentre ti leggevo, erano nitide e reali le tue vicissitudini.Mi hai fatto ridire,quando ti sei descritto,
ho immaginato il tuo imbarazzo ma ho pensato anche alla tua figura di uomo molto dignitoso e capace di sdrammatizzare,
un momento anche così difficile.[SM=x89533]
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