Un bilancio (personale) del pontificato di papa Wojtila da un punto di vista psicanalitico

Melin
00sabato 27 dicembre 2008 00:49
Un bilancio (personale) del pontificato di papa Wojtila da un punto di vista psicanalitico, pubblicato da “ADISTA” (n.40).

IL PIÙ AMATO DA DIO

DI LUIGI DE PAOLI

Con l’unica e modesta competenza che mi deriva dal lavoro come psicoanalista di gruppo e delle istituzioni, nonché dall’osservazione partecipata dei fenomeni religiosi, in particolare cattolici, mi permetto di avanzare una ipotesi relativa non alla persona, ma all’impianto del pontificato di Giovanni Paolo II, a partire dal “Codice di Diritto Canonico” (Cdc), che egli stesso ha promulgato nel 1983 senza il consenso esplicito di una assemblea conciliare o episcopale.

Questo testo (Cdc) non solo stabilisce che la Chiesa sia retta da un Capo, che sia pilotata da un Maestro, e che a Lui tutti si rivolgano con il qualificativo di “Santo Padre”, titoli peraltro tassativamente proibiti da Gesù, ma assegna al papa una gamma di funzioni che non è reperibile in nessuna leadership contemporanea.

Egli è: “il supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici (canone 1273); è il giudice supremo di tutto l’orbe cattolico (1442); esercita la potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari (333); convoca o scioglie il Concilio ecumenico (338); nomina liberamente i vescovi (377); convoca il sinodo dei vescovi e ne stabilisce gli argomenti (344); nomina i suoi nunzi sia presso gli Stati che presso le Chiese locali (362); ha la suprema direzione delle attività riguardanti l’opera missionaria (782); concede la dispensa dal matrimonio rato e non consumato (1698);

ha una potestà immediata ed esclusiva sugli istituti di vita religiosa (593), disponendone dei beni temporali relativi (584); sovrintende a tutta la sacra liturgia (838); autorizza la pubblicazione delle Sacre Scritture (825); ha il potere di rimettere la pena (1354); è esente da ogni giudizio (1404) per cui non è possibile appellarsi o fare ricorso contro le sentenze o i decreti del romano Pontefice (333); legittima decreti e atti ufficiali delle Conferenze episcopali (455).

L’autorità del papa è corredata dei seguenti titoli secondo l’Annuario Pontificio:

1) vescovo di Roma;

2) Vicario di Gesù Cristo;

3) Successore del principe degli Apostoli;

4) Sommo Pontefice della Chiesa Universale;

5) Patriarca d’Occidente;

6) Primate d’Italia;

7) Arcivescovo e Metropolita della Chiesa di Roma;

8) Sovrano dello Stato della Città del Vaticano;

9) Servo dei servi di Dio.

Inoltre, in base alla “Nuova legge dello Stato della Città del Vaticano” (del 22-2-01) il papa svolge un ruolo extra-ecclesiale nel consesso dei rapporti tra Stati e organismi sovranazionali, come l’Onu, la Comunità europea, la Fao, il Wto, ecc : “La rappresentanza dello Stato nei rapporti esteri e con gli altri soggetti di diritto internazionale, per le relazioni diplomatiche e per la conclusioni dei trattati, è riservata al sommo Pontefice per mezzo della Segreteria di Stato”.

Attenendoci a questo quadro normativo, il papa mostra di avere diritto a concentrare su di sé non solo tutte le funzioni dottrinali-cultuali, proprie di un leader spirituale, ma anche quelle legislative, giudiziarie e governativo-amministrativo-finanziarie, che sono proprie dei leader secolari, e che nelle società moderne sono rigorosamente separate tra di loro ed esercitate da soggetti diversi.

Nel ripercorrere i compiti che il papato attuale si è assegnato in modo esplicito, la domanda che si pone chi si occupa delle complesse vicende della psiche inconscia potrebbe essere così formulata: con quali “fantasie” (termine con cui per brevità inglobiamo bisogni-pulsioni-desideri, paure) il papa ha delineato “per sé” e “da sé” tale ruolo, avendo la possibilità di configurarlo in ben altro modo? È chiaro che tutte le azioni pubbliche che il papa è andato sviluppando nel corso del suo pontificato, non possano prescindere da quel “gioco fantasmatico macrosociale”, in cui l’ordinamento giuridico e l’ufficialità dei gesti hanno funzionato come messaggio subliminale.

Melin
00sabato 27 dicembre 2008 00:50

L’orizzonte fantasmatico

I titoli e le funzioni di cui il papa si appropria evidenziano la fantasia sottostante di sentirsi come un soggetto unico, eccezionale, perfetto, santo, incensurabile, senza limiti nell’esercizio del potere.

Solo a partire da una simile percezione e convinzione inconscia è possibile ritenere di essere in grado ed avere diritto ad esercitare il compito di giudicare-legiferare-governare un miliardo di

cattolici, senza subire né limiti né censure.Se si considera che nella relazione con i fedeli il papa esige non solo l’obbedienza, ma la “comunione”o l’assoluta fedeltà (gravata da un giuramento per gli ecclesiastici), allora il quadro psicodinamico assume una tonalità emozionale particolare, che fa pensare al bisogno di essere il “prediletto della Chiesa”, il soggetto più amato dalla collettività, senza alcun dovere di reciprocità. Il fatto stesso di prescindere persino dalle opinioni del collegio episcopale, per non parlare dei semplici fedeli, evidenzia l’unilateralità della relazione affettiva e l’incapacità di condividere oneri ed onori con i propri fratelli, di “amarli come egli ama se stesso”, dal momento che quel che preme è l’esaudimento di bisogni primari individuali.

Alla luce dei documenti ufficiali statuiti dallo stesso pontefice è evidente la pulsione a conquistare la posizione di chi è amato senza condizioni, del beniamino che scalza ogni pretendente dal cuore della Chiesa. Ma se quest’ultima è teologicamente omologata alla Madre che da la vita (Madre Chiesa), e se il papa è il “Santo Padre”, allora egli ne è la sposa e ne gode l’amore privilegiato. Non è un caso che quando nel linguaggio comune si dice: la Chiesa ha dichiarato... la Chiesa ha scomunicato... la Chiesa ha canonizzato... si intenda il papa, il suo legittimo e unico referente. Nell’immaginario collettivo l’accoppiamento Chiesa-papa è immediato, appunto perché solo il papa “possiede” la Chiesa in senso operativo e ne riceve un amore incondizionato. L’orizzonte giuridico in cui il papa si colloca è psicologicamente omologo a quello del figlio “prediletto”, che desidera ardentemente unirsi e possedere la madre, scalzando il padre per goderne le funzioni. Questa vicenda nella letteratura psicoanalitica è stata connotata come “edipica”, il cui perno è l’incesto. Va chiarito che tale vicenda antropologica attraversa ogni persona a qualsiasi latitudine e potrebbe coincidere con quello che in teologia è stato designato come “peccato originale”, evento che affresca la trasgressione originaria della Legge, rappresentata dal Padre (Eterno) nel mito di Adamo ed Eva.

La caratteristica più importante dell’Edipo, inteso come scenario mitico, non è tanto la natura fisica del congiungimento con il genitore del sesso opposto, reso quasi impraticabile dal tabù in tutte le civiltà, quanto l’illimitatezza di un desiderio, che tende ad esondare dagli argini della Legge, la quale costantemente pone limiti alle pretese stravaganti e capricciose delle pulsioni, a partire dagli inizi della vita. Solo una paziente ed amorosa cura dei genitori riesce ad addomesticare l’Io del bambino fino a renderlo capace di accettare la realtà, rinunciando alla nostalgia di un amore assoluto da parte della madre. Quando il papa si autodescrive ed agisce come colui che ha la possibilità mentale e reale di esercitare un ventaglio eccezionale di funzioni legislative-giudiziarie-politiche-cultuali-dottrinali, con la pretesa di essere il facente funzione di Dio (Vicario di Cristo), mostra di non accettare i propri limiti creaturali, ed esibisce il suo sogno-bisogno di essere amato al sopra di tutti i fratelli e venerato come un soggetto divino.

Annotazioni su alcune conseguenze

1 La struttura anti-comunitaria

Una volta che un segmento della vita psichica infantile diventa ipertrofico e decreta che è titolare di tutto, ne consegue che gli altri sono nulla. È fuor di dubbio che i cattolici possono fare molte cose nella Chiesa: ma per il papa sono oggettivamente nulla, sono nessuno, sono privi di dignità e di autorità in qualsiasi ambito ecclesiale.

Secondo il Cdc il Collegio episcopale è nessuno senza il papa, ma il papa può decidere tutto senza di esso. Il Sommo Pontefice, a suo piacimento, può permettere un metodo anticoncezionale (Ogino) e bocciarne un altro (pillola); può emettere un proprio “Catechismo” e invalidare quello di una Conferenza episcopale (ad esempio olandese); può delegittimare una corrente teologica (liberazionista) e legittimarne un’altra (opusdeista); può riconoscere alcuni diritti umani nella Chiesa e disconoscerne altri (pochi sanno che fino al 1995 su 103 accordi internazionali sui diritti umani la Santa Sede ne aveva sottoscritti solo 10).

Il papa può cassare le proposte provenienti da un Sinodo di una Chiesa (austriaca), chiamare a rapporto i vescovi che hanno osato ascoltare le opinioni dei propri fedeli su temi ritenuti indiscutibili, e distillare alcune sentenze, di cui quella centrale è che “la Chiesa non è una democrazia”. In questo slogan c’è la quintessenza del Cdc, è cioè che la Chiesa non è un “popolo sacerdotale, profetico e regale”, come aveva delineato il Concilio Vaticano II, ma una massa

che non ha titolo per alcuna autodeterminazione, alcun controllo sull’operato dei capi, alcuna partecipazione nelle decisioni e nelle elezione degli incaricati. Il messaggio profondo di tali pronunciamenti è che Dio non ama tutti i suoi figli, ma solo il figlio prediletto, suo Vicario in terra.

Questo non significa che il pensiero adulto del papa non stimi la democrazia: ripetuti sono gli apprezzamenti di tale modulo politico e costanti gli inviti perché i cattolici la sviluppino nelle rispettive società. Ma è proprio il nucleo infantile-edipico-grandioso che non gli consente di concedere valore a coloro che gli sono fratelli nella fede e di orientare la Chiesa in senso comunitario. Nel suo lungo pontificato non si ha notizia di una sola enciclica e di un programma pastorale tesi a fare della Chiesa una comunità che si regga sulle dinamiche dell’uguaglianza, della condivisione fraterna e della libertà.

Salvo eccezioni, si può ragionevolmente ritenere che la quasi totalità dei cattolici non ha mai fatto nella propria parrocchia o diocesi una esperienza di discernimento evangelico collettivo, di partecipazione ai problemi ecclesiali e di condecisione relativamente alla scelta dei propri diaconi o ministri. Reso analfabeta in campo biblico, privato di dignità e persino del diritto di evangelizzare, il cattolico praticante non è in grado di essere significativo (lievito) per il mondo, anche perché egli è portatore inconsapevole di una sostanziale sfiducia su di sé e sui propri simili. Dopo decenni di pastorale inneggiante il primato assoluto del papa, è naturale che prediliga capi piuttosto che gruppi di riflessione, che accetti come naturali (se non soprannaturali) le diseguaglianze, siano esse sociali,

economiche o di genere. E così diventa naturale che il cattolico osservante, in alta percentuale, tenda a supportare politiche autoritarie e favorevoli ai potenti, prediligendo partiti di “destra”, come dimostrano impietosamente le statistiche.

Melin
00sabato 27 dicembre 2008 00:50

2. La clericalizzazione, sacralizzazione dell’Edipo

Durante il suo pontificato, Giovanni Paolo II ha visto uscire dalla sua Curia, con la firma di otto cardinali, una “Istruzione”, dal titolo e dai toni alquanti intimidatori, volta a stabilire che tra “sacerdozio battesimale”, proprio di tutti i cristiani, e sacerdozio ministeriale, proprio del clero “ordinato”, c’è una differenza di “essenza” e non di “grado”. Tale precisazione risale al Vaticano II: con la differenza che la Curia, non solo non tiene conto degli avanzamenti teologici maturati nei decenni seguenti, ma estende oltre ogni immaginazione il sacro. Nell’Istruzione l’aggettivo sacro è usato quattro volte per l’eucarestia, una volta per i “paramenti”, ben diciannove volte per il sacro ministero del clero (sacri ministri, sacri pastori, sacra potestà, sacra ordinazione).

Premesso che tale terminologia è sconosciuta a Gesù, che annunzia un nuovo tipo di adorazione in “spirito e verità” e la fine del tempio, di cui “non rimarrà pietra su pietra”, resta il fatto che Woityla

ripropone la antica scissione tra chi è omologato al “sacro” (prete-ordinato) e chi lo è al “profano” (laico-non ordinato). I laici, cioè il 99% dei battezzati cattolici, in buona sostanza, sono marchiati da un handicap ontologico, per cui non possono nemmeno “proferire le orazioni o eseguire i gesti riservati al sacerdote”; e se si sentissero chiamati dallo Spirito a tenere l’omelia dovrebbero chiedere niente meno che un esplicito “permesso alla S. Sede”.

Se il pontefice arriva a privare i fedeli di simili possibilità, delimitando le appartenenze al sacro (riservato al clero, suo dipendente in senso giuridico, amministrativo ed economico) e al profano (per i laici, non dipendenti), lo si deve all’esistenza di un nucleo edipico-infantile, che si sente narcisisticamente eccezionale ma, allo stesso tempo, vulnerabile. Di qui l’urgenza di auto-proteggersi ricorrendo ad una auto-sacralizzazione. Onde mantenere una zona di sicurezza da “incontri rav-vicinati”, si ammanta di paramenti, dignità, e potestà “sacri” con cui immagina di godere una superiorità metafisico-ontologica rispetto ai propri “fratelli”, trattati sostanzialmente come fantasmi. Forse non esiste prova migliore della datazione edipica di tale nucleo se si osserva che la sacralizzazione dell’”ordine clericale” si sviluppa in parallelo con la “castrazione” delle potenzialità fecondative dell’intero popolo di Dio. Edipo e castrazione, in sostanza, sono inscindibili.

3. L’ambiguità

Nell’Annuario pontificio il papa si auto definisce da una lato “successore del Principe degli Apostoli”, “Sovrano dello Stato Pontificio”, e dall’altro “Servo dei servi”. Nella logica normale il successore di un principe e il sovrano hanno una dignità e un potere che sono opposti a quelli di un servo. Quando una opinione o un comportamento si prestano a varie interpretazioni, che causano incertezza e confusione, si parla di “ambiguità”. Essa viene percepita solo dall’osservatore, non dal soggetto che vive l’ambiguità, poiché egli non vive né la confusione, né il dubbio.

L’ambiguità dipende da una deficiente differenziazione dei termini contrastanti (sovrano-servo), che coesistono (o si alternano) senza contraddizione o conflitto. In altri termini: l’ambiguità si definisce per un tipo particolare di organizzazione psichica caratterizzata dalla compresenza di nuclei non integrati (nucleo edipico e nucleo maturo), per cui manca la coscienza della contraddizione. Dato che la parte edipico-infantile resta svincolata da quella matura, dottrine ed azioni possono essere interpretate o sentite dall’Altro come confondenti, di natura incerta e finalizzate a mete tanto onorevoli come disonorevoli. Inoltre l’ambiguità impedisce di assumere un progetto e di condurlo in porto. Ritengo che il papato di Woityla sia proprio contrassegnato dalla carenza di elaborazioni programmatiche, di azioni collettivamente partecipate, di pianificazioni pastorali motivate.

Forse l’unico progetto che i commentatori attribuiscono a Giovanni Paolo II è il contributo dato per la caduta del comunismo russo, ma in tal caso la strategia vaticana è rimasta occulta, frutto di accordi segreti con Reagan e la Cia, non certo esplicitata e progettatta con il miliardo di cattolici.

Nel bilancio di papa Woityla sono molteplici i gesti e i pronunciamenti che il mondo ha avvertito come coerenti, tanto nel campo pastorale come sociale, ecumenico e politico internazionale. Ma sono anche rilevanti le prese di posizione “ambigue”, segnate da contraddizioni che non sono riconosciute dall’autore, ma solo dall’utente-fedele-suddito-ascoltatore.

Propongo tre esempi

A. Sono innumerevoli gli apprezzamenti che il papa fa della “donna”, la cui dignità è straordinaria, perché in essa nasce il Figlio di Dio, fatto che la rende “rappresentante e archetipo di tutto il genere umano” (Mulieris dignitatem). Ma allo stesso tempo la donna non può rappresentare, a partire dalla sua umanità, il divino che la abita, per cui non può “essere ordinata” al sacerdozio, tanto meno all’episcopato. Per il papa queste due posizioni non sono contraddittorie, ma per la donna cattolica sono fonte di una confusione che la fanno oscillare tra idealizzazione e svilimento. Che la donna sia un oggetto degradato nella Chiesa sembra un fatto accertato.

B. In campo ecumenico sono ragguardevoli i tentativi fatti dal papa per giungere ad un riavvicinamento e ad un maggiore rispetto e comprensione tra le religioni, fino alla richiesta esplicita e ripetuta di perdono per le violenze perpetrate dai cattolici nei secoli. Accanto a tale nucleo adulto coesiste quello edipico-grandioso, che in vari documenti ufficiali tratta le Chiese cristiane (e le religioni non cristiane) come oggetti declassati, privi della perfezione che caratterizzerebbe quella cattolica. Ancora una volta la contraddizione non appare tale al papa, ma solo alle Chiese “sorelle”, che reagiscono con forza a una arbitraria e supponente superiorità,vera “pietra d’inciampo” nel processo di riconciliazione.

Parlando di papato è impossibile evitare di accennare ai messaggi e ai gesti “politici”. Chiunque abbia visto come è ricevuto e trattato il papa nei suoi viaggi non può che restare confuso e incerto circa l’interpretazione da assegnare ai ruoli che egli assume: poiché da un lato si dichiara “pellegrino”, o padre spirituale che conferma nella fede i fratelli, mentre le immagini lo colgono quasi invariabilmente salutato con gli “onori militari” come si addice ad unCapo di Stato, o accanto a re, governanti e persino dittatori golpisti. Una cosa analoga si potrebbe dire per i problemi sociali: anche in questo caso i pronunciamenti a favore dei poveri e della giustizia, potrebbero riempire le biblioteche: ma la realtà vista dalla parte dei poveri è che durante il pontificato di Woityla questi ultimi hanno visto aumentare la loro miseria, mentre i ricchi moltiplicavano le loro fortune finanziarie e proprietarie.

A chiusura di queste annotazioni, certamente sommarie, mi preme dar atto a Giovanni Paolo II di aver riconosciuto che il papato deve subire cambiamenti. Nell’enciclica Ut unum sint (1995) egli si propone di ascoltare “la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. Ma che altro è la “situazione nuova” se non il lutto dell’onnipotenza e la gioiosa rivoluzione di tutte quelle credenze ed illusioni che caratterizzano l’Io edipico-infantile?

MauriF
00domenica 5 aprile 2009 22:17
Scusami ma la tua analisi mi sembra uno stravolgimento della questione...





Semplicemente il discorso si rifà al cosiddetto "ministero petrino" che è un servizio di unità nella Chiesa.

E' un servizio che anche le Chiese Ortodosse riconoscono, ma che, dal punto di vista del diaologo ecumenico, non si riesce ad attualizzare.

Le Chiese Ortodosse, infatti, considerano il Vescovo di Roma come "primus inter pares", rifacendosi all'antica pentarchia.

La Chiesa Cattolica invece, con gli anni, si è strutturata diversamente allontanandosi dal concetto pentarchico.

Il dialogo è molto importante, ma come da parte Cattolica è giusto tenere in considerazione l'autonomia delle tradizioni orientali...
Da parte ortodossa è inevitabile che si debba riconoscere un primato con determinate autorità.
Altrimenti il ministero petrino diverrebbe qualcosa di astratto, allontanando la Chiesa di oggi dalla Chiesa delle origini.

Il lavoro di sicuro è lungo e difficile, ma si confida in quell'unità che il Signore Gesù ha auspicato e profetizzato.

Ciao!
Mauri.
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