Umberto Saba - In riva al mare

Nausica17
00domenica 7 marzo 2004 11:06

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In riva al mare

Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al faro, in quelle
parti ove s'ode beatamente il suono
d'una squilla, la voce d'un fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all'ampio mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
a un culmine del mio dolore umano.

Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell'onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.

Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d'amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.

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Vorrei fare solo una piccola precisazione, sullo spunto di alcuni commenti suscitati dalla lettura della precedente poesia di Saba. Mi preme molto sottolineare che l'argomento di questa sezione del forum "Commentiamo poeti famosi" comprende ogni tipo di commento, vale a dire le sensazioni che una poesia ha suscitato, le immagini a cui l'associamo, i nostri gusti personali ("mi piace", "non mi piace"), così come un'analisi stilistica del testo o quant'altro. Dunque invito tutti i lettori a sentirsi completamente liberi nel postare i loro commenti e le loro impressioni, senza preoccupazione e imbarazzo alcuno (non ce n'è motivo[SM=g27823] ).

ciao a tutti
Nausica
Massimo DM
00lunedì 8 marzo 2004 17:57
mio commento
ANALISI-COMMENTO DELLA POESIA
“IN RIVA AL MARE” DI U. SABA

Nausica… prendi la “bacchetta” e redarguiscimi adeguatamente per ogni imprecisione e/o stupidaggine!!!![SM=g27817]

Componimento articolato su tre ottave di endecasillabi perfetti.
Canzone di tipo leopardiano!??
L’autore, Umberto Saba, in questa poesia non fa uso di rime, ma rispetta con esattezza la struttura formale suindicata. Inoltre, utilizza un linguaggio chiaro e comprensibile, piuttosto “discorsivo”. L’interpunzione non è strettamente “alla Nausica”.

L’esternazione dei suoi stati d’animo si alterna e si fonde con la descrizione dei luoghi e dei tempi reali.

Nella prima strofa, l’importante momento interiore è collocato con molta precisione nello spazio e nel tempo materiale. Il poeta delinea l’ora, la giornata, il paesaggio (consueto) con le particolarità dell’ attimo (… il bambino che parla, grida, gioca…). La scena si svolge davanti all’ampio mare. Più di ogni altra cosa, però, tutto segna un culmine negativo di dolore al quale interiormente è giunto.

Nella seconda strofa, il poeta sembra rovistare tra ricordi con le finestre aperte al sole… (così fa l’uomo quando è sconfortato… cioè rivisita i suoi ricordi) e, tra i sassi che usava per lanciarli nel mare come tiro a bersaglio, ritrova una terracotta ormai sciupata e quasi informe. I luminosi colori dell’esterno contrastano con lo stato d’animo d’angoscia che egli vuole comunicare (antitesi): sul finire della strofa, l’autore spiega tale angoscia, paragonando la situazione dell’uomo tormentato a quel coccio consunto.

Attimi dopo di quel triste pomeriggio (terza strofa), e siamo a continuare quanto narrato nella prima strofa: passò una barca con la vela gialla che tinse il mare di giallo e scese un totale silenzio. Evidentemente: 1-quell’effetto visivo (caratterizzato dal giallo) si è saldato inscindibilmente al momento quasi di disperazione ed al doloroso ricordo di esso; 2- è probabile, inoltre, che tale colore abbia un valore simbolico (in tal caso lasciamo ai nostri bravi animatori l’appropriata risposta). Il silenzio sta quasi a sottolineare in quel frangente la drammaticità del fluire dei pensieri del poeta.
La parte finale del testo “ Io della morte non desiderio…” rappresenta la “chiave” della poesia. L’autore si racconta affermando che quel pomeriggio quasi desiderò la morte, vergognandosi di non riuscire ad amare lei (la morte) sopra tutte le cose della vita, anche sopra un’entità che non intende nominare direttamente, che vive, si muove sulla terra, t’illude (cioè la donna… ed, in particolare, una determinata donna… “n.d.r.”!) attraverso il suo bel viso, facendoti innamorare ma poi disilludendoti.

O voi che leggete, guardatevi quindi da queste strane, affascinanti, imprevedibili creature che sono le donne…!!![SM=g27828]
Che ne dici, Nausica?? [SM=g27823]
A te, in particolare, e a tutte le donne “grazie di esserci” e vale per tutti i giorni e non solo per l’8 marzo (così nessuno mi “mangia”!).[SM=g27823] [SM=g27823] [SM=g27823]

Che poi, spesso, molti uomini non sono da meno, quanto a crudeltà in amore!![SM=g27833]

Suvvia… il commento è finito! Alfin tornaste a riveder le stelle…[SM=g27811]


Massimo
algamarina
00martedì 9 marzo 2004 23:55
le mie sensazioni
Un giorno chiaro,la solitudine quasi protetta da un faro,l'infinito mare ed il dolore umano.Tutto appare immerso in una quiete irrealmente silenziosa;neanche i sassi lanciati nelle onde o la voce di un fanciullo muovono questa tela dipinta dai pensieri.Della barca che passa non s'ode rumore ma il giallo della vela tingendo il mare, imprime il suo movimento.Nel silenzio estremo del tutto,un pensiero estremo...quello della morte che rompe la quiete,un pensiero fragoroso quanto la vergogna di non aver avuto il coraggio di sceglierla e di preferire ad essa l'unica cosa che esce quasi in punta di piedi dal contesto del mare,del silenzio e della quiete,l'unica cosa che il poeta riporta ad umana realtà:lei,lei che si muove e ferma la morte col suo soave viso.
Nausica17
00mercoledì 10 marzo 2004 15:26
Chiedo scusa a tutti per il ritardo nella mia risposta, ma in questi giorni sono veramente pressata dagli impegni di lavoro

... e vengo alle questioni sollevate da Massimo:

in primo luogo devo rivelare che non mi sono mai dotata di bacchetta, anche perché non sono favorevole alle punizioni corporali, ma chissà... potrei cambiare idea prima o poi[SM=g27822]

Riguardo alla individuazione della forma metrica e strofica utilizzata, direi che non fa una piega. Aggiungerei solo che Saba in questo caso rimane più aderente alla tradizione di quanto consenta in genere canzone libera (o, appunto, leopardiana, dal più illustre autore che ne fece uso): la canzone libera infatti lascia piena libertà anche nel numero di sillabe del verso, mentre qui Saba rimane fedele all'endecasillabo e, pur non inserendo rime, crea delle regolari stanze di otto versi.

Torno anche un attimo sulla questione del colore della vela della barca, dove Massimo si domanda se probabilmente il giallo ha un valore simbolico. Non so rispondere a questa domanda, non saprei quale simbologia potrebbe assumere in questo contesto... mi piace pensare che Saba abbia semplicemente espresso un'impressione visiva intensa che lo ha colpito particolarmente e che associa alle sensazioni interiori che sta evocando.
Per questo trovo molto bella la lettura che ne ha fatto Algamarina (mi sembra di ricordare che il tuo nome sia Anna, ma non vorrei fare figuracce!!![SM=g27823]), di un colore che emerge nel silenzio.


Alla prossima
Nausica

giusy45
00mercoledì 10 marzo 2004 16:56
Ci sono anch'io!!!
CI tento!
Come in tutta la poesia di Saba, esiste anche in questa lirica la scissione tra l’uomo che vede la vita, il meglio della esistenza, e l’uomo che è contraddetto dalla tristezza profonda, dalla disperazione che lo esclude dalla vita stessa. Da un lato l’empatia con la vita, dall’altra la disperazione di non farne parte completamente.
Saba è un raro uomo che sa guardare e sa ascoltare la vita, è un poeta che narra la vita osservandola nella sua semplicità, ma non è la visione pascoliana dell’amore per le piccole cose, Saba
guarda le cose con l’occhio di chi partendo dall’analisi perviene alla sintesi, e la sintesi rappresenta l’accettazione della vita, con il suo male, la sua disperata corsa verso la morte.
Questa lirica in particolare, articolata in tre sezioni, ha uno scorrere fluido e veloce, grazie alla presenza continua dell’enjambement che ci permette di fruire ininterrottamente del suo pensiero lieve, solare, di un uomo che guarda ciò che lo circonda, ed immediatamente getta uno sguardo dentro sé, sottolineando il contrasto violento con la sua disperazione di essere umano.
Ed ancora, la seconda parte, nell’analisi attenta di un oggetto rinvenuto casualmente, innocente nella sua semplicità, e il paragone con il suo essere stato forgiato, assottigliato dall’esistenza.
La morte riempie di sé la terza parte, ed ancora la speranza di un essere umano che riesce ad amare ancora la vita nonostante la disperazione, l’appiglio è ancora una volta un elemento casuale, una vela che diviene simbolo della vita stessa, felicità illusoria. Questa lirica è un grande esempio della poesia di Saba, continuo altalenare di due termini dialettici: la disperazione cupa, la solitudine da un lato, e l’incessante necessità di perdersi nella vita e negli altri che lo spingono a credere a delle illusioni che sa perfettamente essere tali.

E' bella la poesia di Saba, non credete?
Ciao a tutti.
Giusy
luigi38
00giovedì 11 marzo 2004 18:32
E dopo tutto questo fior fior di commenti, mi dici caro Fabio, cosa potrei ancora aggiungere io ?
Solamente che sono felicissimo di leggerli e di vedere quanti talenti nascosti ci sono dentro i vari nick.
Questa volta siete stati tutti, ma tutti, nessuno escluso, dei " gatti " nel redigere il commento.
Vorrei forse dira a Nausica che è il momento di passare a poeti un pochino più difficoltosi, e quindi io immagino dove approderai la prossima volta : vai tranquilla, sono pronti anche per il tuo grande Amore ( in poesia, of course ). Ciao
Luigi
Nausica17
00venerdì 12 marzo 2004 12:18
Mi piace aggiungere a margine dei bellissimi commenti alla poesia che abbiamo letto una frase di Saba che mostra bene come questo continuo ispirarsi alla quotidianità e alla concretezza (in questo caso particolare significate nell'immagine del coccio), non sia per Saba una "semplificazione" del reale (né del suo fare poesia), ma l'unico modo attraverso cui tentare di recuperare un equilibrio, di colmare il diaframma fra la propria interiorità e il flusso della vita. In questo senso è molto interessante vedere come in questa poesia il coccio rappresenti sì un appiglio per colmare appunto questo diaframma, ma anche un'immagine del desiderio (che è insieme angoscia) dell'uomo di "farsi cosa" per sfuggire/reagire alla dolore del reale.

... ora basta con le chiacchiere... ecco la citazione di Saba:

"Il Canzoniere non è - come voi e qualche altro con voi pensa - un'opera di salute, né poteva esserlo, dato che sono stato sempre, più o meno, conraddittorio e ammalato. Fu appena un'opera di aspirazione alla salute."


Alla prossima
Nausica
Marina24
00venerdì 16 aprile 2004 19:13
Sono rimasta ammirata dalla competenza e sensibilità, dimostrate dagli autori dei vari commenti; oltre a tutto, hanno una pazienza nell'evidenziare ed esprimere le loro idee, che vorrei avere anch'io. Non penso, quindi, di aver molto da aggiungere; vorrei solo sottolineare che Saba è "semplice" solo in apparenza, a causa della classicità della sua forma metrica e anche lessicale (dovuta in parte al suo essere triestino, e quindi un italiano periferico, bisognoso di accentuare la sua italianità, acquisita per lui, abituato ad esprimersi in dialetto). Questa sua classicità arriva addirittura a forme quasi da operetta, e quindi non più classiche nel senso aristocratico del termine, ma popolareggianti.
Questa sua poesia è bellissima per il contrasto intenso, quasi straziante, tra la limpidezza del paesaggio ( un arioso paesaggio di mare, la sua Trieste, o i dintorni da lui amati), e lo stato d'animo molto cupo e depresso, quasi disperato, del poeta. Ciao a tutti
Marina
euroroscini
00martedì 5 ottobre 2004 11:54
Re: (con un po' di ritardo... ma avevo i miei olivi!)

Scritto da: Nausica17 07/03/2004 11.06

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In riva al mare

Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al faro, in quelle
parti ove s'ode beatamente il suono
d'una squilla, la voce d'un fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all'ampio mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
a un culmine del mio dolore umano.

Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell'onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.

Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d'amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.

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Vorrei fare solo una piccola precisazione, sullo spunto di alcuni commenti suscitati dalla lettura della precedente poesia di Saba. Mi preme molto sottolineare che l'argomento di questa sezione del forum "Commentiamo poeti famosi" comprende ogni tipo di commento, vale a dire le sensazioni che una poesia ha suscitato, le immagini a cui l'associamo, i nostri gusti personali ("mi piace", "non mi piace"), così come un'analisi stilistica del testo o quant'altro. Dunque invito tutti i lettori a sentirsi completamente liberi nel postare i loro commenti e le loro impressioni, senza preoccupazione e imbarazzo alcuno (non ce n'è motivo[SM=g27823] ).

ciao a tutti
Nausica




IN RIVA AL MARE (Canzoniere del ’21)

Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al Faro, in quelle
parti ove s'ode beatamente il suono
d'una squilla, la voce d'un fanciullo
giocante in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all'ampio mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
al culmine del mio dolore umano.
Tra i sassi che prendevo per scagliare
nell'onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al verde
della campagna, e che da me s’aveva
l’ultimo moto. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.
Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della morte
non desiderio provai, ma il rimorso
di non averla ancora unica eletta,
d'amare più di lei io qualchecosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.




Cerco di capire perché questa poesia di Saba non mi piaccia… Dissonanze, esagerazioni, immagini poco credibili, una simbologia che mi pare sprecata, qualche grossolanità, l’abborracciatura complessiva del linguaggio: cosa esattamente?… Il linguaggio di questo poeta – dico – così poco liceale, così poco letterario; o almeno malavvezzo alla cultura colta del tempo (basti pensare al D’Annunzio). Soprattutto, penso al suo atteggiamento spirituale: che riesco a desumere da codesto suo frangente circostanziato ‘in riva al mare’, che descrive fra l’oracolo e l’epigrafe; il quale mi sembra di persona incazzata e vinta, volubile, istericoide, radicale e vile… Sì, un po’ introspettiva, ma al minimo. E plateale al massimo, come lo sono i comici di grado inferiore e le soubrette che battono i teatri di periferia (tutta gente sana e rispettabile – intendiamoci) che finiscono col farti dolere le mascelle.
Ma vado con ordine qui… (Perché vorrei veramente capire il disagio che ha finito col crearmi internamente questa poesia.)
L’attacco mi sembra ridicolo: alle sei del pomeriggio! E non dici neppure così, Saba, ma “Eran le sei del pomeriggio…” a far cadere per forza il primo accento del verso sulla quarta sillaba. L’effetto è tuttavia come di un ‘ei fu siccome’ di manzoniana memoria, strombettato carduccianamente e finito a gambe all’aria in una sottospecie di lamento lorchiano. Viene voglia di chiederti: hai visto veramente bene l’orologio?… sei certo che non fossero le sei meno dodici? Il dettaglio da casalinga indaffarata che sta attenta ai rintocchi va poeticamente o trattato come metafora (nel “Lamento di Ignazio” la ripetizione delle ‘cinque della sera’ è la campana che suona a morto) o senz’altro omesso ché ci si fa più bella figura.
“Dietro al faro…”: Saba, mettiamoci d’accordo. Un faro sta in faccia al mare – è il mare il suo grande punto di riferimento: tra lui e il mare – cioè – ci può essere un po’ di sabbia e qualche macigno, tutt’al più. Ed io, con la mia nave, ci passo davanti, al faro! Dietro il faro c’è solitamente altra sabbia e molto cemento (anche se siamo all’inizio del secolo scorso), il porto se del caso e più lontano ancora la città. Ora proprio in quello spazio interno, dal faro, prima di giungere al porto eventuale, ci si può trovare in abbandono di anni anche un rottame di “naviglio” – parola che ti suggerisco – e più facilmente di barcone o di chiatta… (Ma rottame di nave addirittura, anzi di navi assai/più d’una, no, Saba: e che?, c’è addossato al faro un intero deposito di navi in disarmo, dio mio!) Per cui navi a parte, ritornando al discorso, se io lì intorno – poniamo – me ne sto a lanciar sassi in acqua per i cavoli miei, vuol dire che sto davanti al faro e non dietro al faro.
Ma la cosa che mi urta in questi primi tuoi, Saba, è il ragazzino che giuoca da solo senza corredo d’altri ragazzini (li hai visti mai giocare insieme, tu, i bambini?). Metafora di cosa?… la solitudine del giuoco del ragazzino – vuoi dire – che prelude alla solitudine del dolore dell’uomo? Tu chiamalo pure ‘fanciullo giocante’, ma se io ne vedessi uno aggirarsi sulla carcassa d’un barcone di sera e in riva al mare (figuriamoci nell’immensità cimiteriale di cotanto deposito di navi!) la sentirei, quella figuretta, in tutta la sua improbabilità teatrale, evocativa, misterica… Come a tirarmela fuori da un quadro di De Chirico. (Fra l’altro me lo fai star seduto il tuo fanciullo giocante sulle carcasse delle navi… – ma va!)
L’immagine di te che scagli i sassi sull’acqua poi (sorvolo sul bersaglio puerile e forzato del travotto, anzi della travotta – altra metafora? – che galleggia) è patetica… Patetica, in primo luogo, perché sproporzionata al dolore che dici di vivere. E patetica perché è di per sé divertita/curiosa, dinamica/forzuta, giovanilistica/spensierata (penserei, ecco, che lo faccia se mai il fanciullo che dici, ma non tu in quello stato). Oltre tutto – altra annotazione di fondo – mi sembra che tu stia, per come ti racconti, non tanto al culmine del dolore, ma soltanto all’inizio: perché reagisci, sbraiti e tiri sassi stupidamente al mare. Ma chi tocca veramente il culmine del dolore sperimenta – penso – il silenzio tragico della maschera immobile che guarda…. Giacché se mai guardi il mare, lo fa/lo vede come lo vedrebbero gli occhi d’una perla dentro l’ostrica: nero, annullato, nullificato (vorrei dire, ad inventarmi una parola che mi suona, ‘nullico’).
Ed eccoci al coccio… Va bene, ammettiamolo: fra le mani che grufolano per terra in cerca di sassi, ti capita un coccetto di qualche cosa che ti si presta ad un paragone, ad una metafora, ad una analogia (io ho il culto dell’analogia). Anche se mi sembra che tu la fai un po’ brodosa (tanto che alcuni tuoi esegeti hanno pensato/potrebbero seguitare a pensare che il coccio è di un oggetto proprio che ti è appartenuto!). Addirittura, nella prima edizione del tuo Canzoniere, del ’21, ci aggiungi giustiziere e teleologico “e che da me s’aveva | l’ultimo moto” (dico il coccio, lanciandolo in acqua, eh!… e che comunque elimini nella trascrizione del ’65 perché solo vuoi dare alla tua una distribuzione di tre ottave – tutto qui).
E arrivo in ultimo alla tua ‘barca gialla’ assai naïf. Qui non ho molto da dirti se non che riguardi il mero verseggiare elegante e ordinato in endecasillabi… Io ti propongo, Saba, la mia trascrizione, a seguire… In cui rendo la tua visione meno realistica e più trasognata, come conviene – ad esempio – alla metafora della Morte, che si vuole nell’immaginario nostro noiosamente giallognolo/pallida. Inoltre, il tuo stato d’animo è più credibile (ripristinando, fra l’altro, in luogo di ‘vergogna’ del ’65 zeppo di risentimento il ‘rimorso’ del ’21 meno sdegnato). Infine ti rendo più comprensibile, a noi mortali, il tuo pensiero – mi sembra… (Ma certo penso fra me quanto ti meritassi iroso e geloso com’eri quel giorno in quella tua riva quel ‘soave viso’.)



DAVANTI AL VECCHIO FARO (trascrizione di Euro Roscini)

(Quel giorno d’ore… «Quali?» Tutte!) – un giorno
chiaro, di festa, appresso al faro, in quello
spazio in cui cogli lieto/lieve il suono
d’una sirena… E voci di fanciulli
giocare intorno a una carcassa di
naviglio: chi corre/chi resta, o chi
più in là sta ritto al mare. Lì – ricordo –
vi giunsi al culmine del mio dolore.

Scagliando sassi per dispetto all’onda.
(Forse mirando a un legno galleggiante?)
Quand’ecco vidi un coccio e me lo presi…
Di ciotola o boccale – un tempo gaia
e utile forma, forse in cucina,
magari aperta la finestra al sole,
sulla campagna… E lo scagliai anch’esso.
E pensai: fino a questo io rassomiglio?

Passò una barca con la vela gialla
che il mare intorno mi sembrò tingesse.
Silenzio estremo… Ebbi della morte
– che non volevo – sorta di rimorso
per non averla eletta unica diva.
Ma continuare a amare – più di lei –
altra diva… Che mi si muove intorno
e m’illude soave col suo viso.

Cometa del Sud
00lunedì 18 ottobre 2004 00:53
Componimento articolato su tre ottave di endecasillabi perfetti.
Canzone di tipo leopardiano!??
L’autore, Umberto Saba, in questa poesia non fa uso di rime, ma rispetta con esattezza la struttura formale suindicata.


Riguardo alla individuazione della forma metrica e strofica utilizzata, direi che non fa una piega. Aggiungerei solo che Saba in questo caso rimane più aderente alla tradizione di quanto consenta in genere canzone libera (o, appunto, leopardiana, dal più illustre autore che ne fece uso): la canzone libera infatti lascia piena libertà anche nel numero di sillabe del verso, mentre qui Saba rimane fedele all'endecasillabo e, pur non inserendo rime, crea delle regolari stanze di otto versi.


Gentile Nausica, come afferma correttamente Massimo DM, è un componimento articolato su tre ottave di endecasillabi perfetti; non si tratta, infatti, come giustamente dici tu, di "canzone libera o leopardiana", bensì di semplicissimi e comunissimi versi sciolti (attenzione, "sciolti",non "liberi"), forma metrica conosciutissima che non ha nulla a che vedere con nessun genere di canzone.

Grazie infinite per il colto impegno che ci regali.




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