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Tiziano A.
00giovedì 12 maggio 2005 22:21
Forse ci stiamo avvicinando sempre più velocemente a ..

Dopo aver letto questo articolo sul rallentamento della corrente del Golfo http://www.unknowncountry.com/news/?id=4595
Segnalo questo sito [URL]www.ecplanet.com[=URL]www.ecplanet.com e gli ultimi articoli sul clima.

Il buco d'ozono si allarga
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Conto alla rovescia per la Terra
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[Modificato da Tiziano A. 12/05/2005 22.22]

Gian1976
00venerdì 13 maggio 2005 12:44

Scritto da: Tiziano A. 12/05/2005 22.21
Forse ci stiamo avvicinando sempre più velocemente a ..

Dopo aver letto questo articolo sul rallentamento della corrente del Golfo http://www.unknowncountry.com/news/?id=4595
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...al momento della verità![SM=g27981]
Tiziano A.
00sabato 14 maggio 2005 19:33
A Nassiriya per il petrolio

Inviato da Agustarello

venerdì 13 maggio 2005
Inchiesta di Rainews che scopre un dossier italiano di sei mesi prima della guerra - Un affare da 300 miliardi di dollari legato ai giacimenti di oro nero opzionati dall'Italia proprio in quella regione - Era questa la vera missione militare? - La notizia su Rainews24.it, Apcom, Velino, Repubblica e L'Unità--------------------------------------------------------------------------------

Il partito di quelli favorevoli alla guerra contro Saddam, assai diffuso tra la gente, aveva già ricevuto un brutto colpo quando anche i più testoni dovettero ammettere che non c'erano armi di distruzione di massa; ora viene fuori che c'erano interessi nascosti, che quindi il terrorismo non c'entra, libertà e democrazia ancor meno.
Chi era in malafede è definitivamente scoperto, chi era in buonafede sa di aver fatto la parte del coglione.
L'inchiesta (evviva, la Rai è viva e il giornalismo resiste!) è visibile con real player su Rainews24.it

Agustarello

Di seguito la notizia da Rainews24.it, Apcom, Velino, Repubblica e L'Unità

Rainews24.it

Nassiriya, 13 maggio 2005
Un dossier commissionato dal Ministero delle attività produttive sei mesi prima della guerra. Vi si indica il luogo migliore per una presenza italiana: è proprio Nassiriya. E si parla dell'oro nero e di un affare da 300 miliardi di dollari. E' quanto emerge da un'inchiesta di RaiNews 24, realizzata da Sigfrido Ranucci e trasmessa stamani. Una serie di foto e documenti sull'attività del contingente italiano dimostrano come uno dei motivi pricipali della nostra presenza a Nassiriya sia la protezione di oleodotti e raffinerie, in una zona ricchissima di giacimenti. Una promessa vecchia che risale a metà degli anni novanta fatta da Saddam all'Eni, alla nostra azienda petrolifera per lo sfruttamento dei giacimenti di Nassiriya. Il quinto per importanza in Iraq con riserve stimate tra i 2,5 i 4 miliardi di barili. Una promessa fatta all'Eni ma anche ad altre aziende petrolifere di Francia, Russia e Cina, tre paesi del consiglio di sicurezza dell'Onu, con la speranza che votassero contro l'intervento militare in Iraq. Ma quella promessa e quel dossier scritto sei mesi prima dell'inizio della guerra gettano un'ombra sulla missione italiana, e il sospetto, che sia ancora una volta l'oro nero al centro di ogni conflitto.

Apc-IRAQ/ IL PETROLIO DIETRO MISSIONE ITALIANA A NASSIRIYAH (UNITA')
E' quanto emerge da un'inchiesta di Diario e Rainews24
Roma, 13 mag. (Apcom) - C'è il petrolio dietro la missione italiana in Iraq. Secondo un'inchiesta condotta dal settimanale Diario e da Rainews 24 - di cui riferisce oggi l'Unità - a portare l'Italia a Nassiriyah è stato "l'oro nero", di cui l'Iraq è il secondo produttore mondiale.
Un mese prima dell'inizio del conflitto, nel marzo 2003, il governo italiano riceve un voluminoso dossier redatto dal professore Giuseppe Cassano, docente di Statistica economica a Teramo, per conto del ministero delle Attività produttive. Nel suo studio, Cassano sostiene che l'Italia possa puntare ai "giacimenti di Halfaya e Nassiriyah". Il professore ipotizza infatti che, a guerra conclusa, in Iraq si avrà prima una "fase emergenziale", quindi si aprirà la corsa per la ricostruzione. E "la seconda fase - scrive il professore - sarà più interessante della prima".
Nel 1997, l'Eni aveva già raggiunto un accordo per lo sfruttamento delle riserve irachene di petrolio; tuttavia, l'accordo rimase sulla carta perché Saddam pretendeva come contropartita la fine dell'embargo. Una fonte diplomatica ha confermato all'Unità che alcuni funzionari dell'Eni si sono già recati a Nassiriyah, "ma solo per brevi periodi", e hanno constatato che le attuali condizioni di sicurezza non consentono ancora di poter avviare la fase della ricostruzione.
Sim
130659 may 05GMT

Iraq, Idv: interrogazione su vicenda di Nassiriya

Roma, 13 MAG (Velino) - I senatori dell'Italia dei valori, Nello Formisano e Massimo Donadi, hanno presentato oggi, al presidente del Consiglio, un'interrogazione concernente le presunte motivazioni di carattere economico sul presunto sfruttamento di pozzi petroliferi a Nassiriya che avrebbero determinato la scelta di partecipare alla missione di pace in Iraq, secondo quanto riportato dall'inchiesta di Rai News 24, in ordine ai pregressi rapporti tra Saddam Hussei e l'Eni. "L'Italia dei valori - hanno sostenuto i due senatori - auspica totale chiarezza sulla vicenda viste anche le inquietanti coincidenze tra gli studi commissionati a esperti di economia sul petrolio nella zona solo pochi mesi prima dello scoppio della guerra e il fatto che la base operativa italiana sia collocata di fronte alla raffineria di Nassiriya". Secondo Formisano e Donadi, per fare piena luce sulla vicenda "e' opportuna l'istituzione di una speciale commissione d'inchiesta". (com)
131340 MAG 05 NNNN

Repubblica

Peacekeeping e business: un'inchiesta di Rai News 24 va alle origini della missione italiana in Iraq
La missione "Antica Babilonia" e il petrolio di Nassiriya
In un dossier del governo scritto sei mesi prima della guerra si indicava la provincia irachena come località strategica per l'Italia

ROMA - Siamo in Iraq per il petrolio. Certo anche per scopi umanitari e di salvaguardia dell'immenso patrimonio archeologico di quel paese - non a caso la missione si chiama "Antica Babilonia" - ma l'oro nero c'entra e come.

L'inchiesta di Sigfrido Ranucci, in onda oggi su Rai News 24, documenti alla mano, prova a dimostrarlo. E non sarebbe nemmeno un caso che i nostri militari siano stati dislocati a Nassirya e non altrove, perché il capoluogo della provincia sciita di Dhi Qar era proprio il posto in cui volevamo essere mandati. Perché? Perché sapevamo quanto ricca di petrolio fosse quella zona. In gran parte desertica, ma letteralmente galleggiante su un mare di quel preziosissimo liquido che muove il mondo.

Un vecchio accordo tra Saddam e l'Eni, che risale a metà degli anni Novanta, per lo sfruttamento di un consistente giacimento (2,5-3 miliardi di barili) nella zona di Nassiriya induce quantomeno a sospettarlo. Così come qualche dubbio lo insinua lo studio commissionato dal ministero per le Attività produttive, ben sei mesi prima dello scoppio della guerra, al professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica all'università di Teramo. Un dossier nel quale si conferma che non dobbiamo lasciarci scappare l'occasione in caso di guerra di basarci a Nassiriya, "se non vogliamo perdere - scrive Cassano - un affare di 300 miliardi di dollari".

Qual è il problema?, si chiederanno molti. In fondo che male c'è se dopo aver preso parte a una missione così onerosa e rischiosa, alla fine ce ne viene qualcosa? Salvaguardare "anche" il buon andamento dei nostri affari petroliferi, suggerisce il sottosegretario alle Attività Produttive Cosimo Ventucci, intervistato da Ranucci, è una scelta "intelligente".

Certo, bastava ammetterlo - questa la tesi di Ranucci - e rispondere alle interrogazioni parlamentari in materia senza nascondersi dietro formule di circostanza. Ammettere che in realtà la ragione petrolio era tanto più importante di quella umanitaria: "Ho cercato di occuparmi di progetti di ricostruzione - denuncia Marco Calamai, che ha lavorato con il governatore di Nassiriya per un periodo - ma la ricostruzione non è mai veramente partita. L'America esporta la democrazia a parole, in effetti ne ha impedito la crescita dal basso".

I nostri carabinieri hanno pertanto scortato barili di petrolio e sorvegliato oleodotti. E la strage di Nassiriya, come ha scritto il corrispondente del Sole24 Ore Claudio Gatti all'indomani dell'attentato, non era diretta contro il nostro contingente militare, ma contro l'Eni.

D'altronde, l'Iraq è la vera cassaforte petrolifera del pianeta. Con scorte che secondo Benito Livigni, ex manager dell'americana Gulf Oil Company e successivamente dell'Eni, sarebbero superiori a quelle dell'Arabia Saudita: "Secondo una stima le riserve dell'Iraq ammonterebbero a 400 miliardi di barili di petrolio, e non i 116 dei quali si è sempre parlato. Nel Paese ci sono vaste zone desertiche non sfruttate".

(13 maggio 2005)

L'Unità

13.05.2005
Nassiriya, una missione all'ombra del petrolio
di Toni Fontana

In un documento datato 11 novembre 2004, un anno dopo la strage di Nassiriya (12 novembre 2003), che il ministro degli Esteri Franco Frattini inviò alla Camera, venivano riassunti i motivi che sono alla base della partecipazione italiana alle missioni militari all’estero, ed in special modo in Iraq. La Farnesina, in sintesi, spiegava che «l’impegno italiano per la sicurezza internazionale» è determinato da «un calcolo razionale del nostro interesse». A pagina 2 questa filosofia viene ulteriormente specificata: il ministro Frattini spiega che «il nostro impegno nelle missioni di pace rappresenta un solido investimento» e che, di conseguenza, «possiamo attenderci considerevoli benefici economici dalla stabilizzazione di regioni sensibili per i nostri approvvigionamenti e per le prospettive di apertura di nuovi mercati e di nuove aree di collaborazione». A quali approvvigionamenti si riferisce il ministro degli Esteri, oggi commissario europeo?

Secondo un’inchiesta che sarà pubblicata oggi dal settimanale Diario e trasmessa su Raitre (l’autore è Sigfrido Ranucci di Rainews24) l’interesse dell’Italia in Iraq è «l’oro nero», il petrolio del quale il paese mediorientale possiede il secondo giacimento al mondo. Mai, nei tanti dibattiti parlamentari che si sono tenuti da due anni a questa parte, il governo non ha mai citato il petrolio tra le ragioni che hanno portato alla decisione di inviare le truppe a Nassiriya. Fin dagli esordi della spedizione (alle Camere se ne parlò per la prima volta il 14 e 15 aprile 2003, pochi giorni dopo la caduta di Baghdad) Frattini, e successivamente Fini, hanno solo ed esclusivamente parlato di «iniziativa umanitaria». Secondo l’inchiesta che uscirà oggi pochi giorni prima dell’inizio dell’attacco anglo-americano contro l’Iraq di Saddam il governo italiano aveva ricevuto un voluminoso dossier redatto dal professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica a Teramo, per conto del ministero delle attività produttive. L’analisi dello studioso era iniziata sei mesi prima della guerra e aveva come oggetto le opportunità che si offrivano all’Italia di sfruttare le risorse petrolifere irachene.

Il relatore è convinto che l’Italia possa puntare sui «giacimenti di Halfaya e Nassiriya». Sul fatto che l’Eni avesse raggiunto, come altre aziende e governi europei, un accordo con gli iracheni non vi sono dubbi. Di questo parlano anche i documenti citati nel rapporto sull’energia che Bush ebbe dal suo vice Cheney all’inizio del suo primo mandato. Viene citato un accordo, datato 1997, e realizzato tra gli iracheni da un lato e le compagnie Eni e Repsol (Spagna) dall’altro per lo sfruttamento di immense riserve, varianti tra i 2,5 e i 4 miliardi di barili. Tra la metà degli anni novanta ed il 2000 (come conferma l’ex dirigente Eni Benito Li Vigni) l’Eni aveva dunque raggiunto un’intesa con Baghdad che però (come per altri accordi realizzati coi i russi ed altri paesi occidentali) non si tramutò nello sfruttamento dei pozzi perché Saddam pretendeva come contropartita la fine dell’embargo che solo gli americani erano in grado di decretare. Il professor Cassano, nel dossier consegnato al governo, guarda però al «dopo Saddam» ipotizzando che, a guerra conclusa, vi sarà dapprima una «fase emergenziale» e quindi si aprirà la corsa per la ricostruzione.

La «seconda fase - scrive il relatore - sarà più interessante della prima». Come abbiano appreso da una fonte diplomatica funzionari dell’Eni si sono recati a Nassiriya «ma solo per brevi periodi» e, anche se gli americani sono orientati a confermare i contratti realizzati ai tempi di Saddam, le condizioni di sicurezza non hanno finora permesso l’avvio della ricostruzione. A Nassiriya vi è una grande raffineria nella quale sono in funzione impianti relativamente moderni realizzati dai russi negli anni settanta, ma la produzione è modesta. Il documento del professor Cassano dimostra dunque, prove alla mano, che poche settimane prima della guerra e fin dalla metà degli anni novanta il governo italiano e l’Eni avevano puntato gli occhi sul petrolio di Nassiriya. Mentre, in Parlamento, Frattini chiedeva voti per la «missione umanitaria», nei cassetti della Farnesina c’erano già i piani per «solidi investimenti» e soprattutto per garantire «i nostri approvvigionamenti».

Gian1976
00lunedì 16 maggio 2005 12:53
Ricomincia il festival delle falsità?
Ecco due esempi diversi, in perfetto stile orwelliano, di come si cerchi di giustificare lo stato di "guerra permanente" in cui viviamo:

Rice: "Siria ostacolo alla pace"

Dura attacco degli Usa a Damasco

Continua l'offensiva diplomatica e politica degli Stati Uniti contro la Siria, Paese da tempo nel mirino della Casa Bianca perché nella lista dei cosiddetti Stati canaglia, al fianco del terrorismo internazionale. Il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, in un'intervista al New York Times durante la sua visita a Baghdad, ha dichiarato che la Siria "intralcia il desiderio di pace del popolo iracheno".
La Rice in Iraq

"Ci sono motivi di grave preoccupazione riguardo ai paesi vicini all'Iraq e mi sono stati riferiti timori specifici riguardo la Siria - ha aggiunto il segretario di Stato - riguardo al fatto che le organizzazioni terroristiche si raccolgono lì per poi attraversare il confine". La Rice, al pari di Bush, considera senza mezzi termini il governo di Damasco troppo connivente con qul fondamentalismo islamico che, a detta degli Stati Uniti, ha dichiarato guerra all'Occidente.

Bush ha più volte affermato che Assad non fa nulla per evitare o contrastare le infiltrazioni terroristiche. Anzi, Damasco è accusata di foraggiare i kamikaze, e proprio per questo si cerca di bloccare il flusso di denaro e armi proveniente dalla Siria. A questo proposito le forze Usa hanno lanciato una vasta offensiva nella zona irachena vicina al confine siriano, che ha causato finora la morte di almeno 125 guerriglieri. "La Siria non è al passo con quanto sta accadendo nella regione", ha concluso la Rice.

Un mare di dollari. Falsi e strani

di Maurizio Blondet

Una storia stranissima. La polizia delle Filippine (National Bureau of Investigation, NBI) ha arrestato due cittadini britannici che stavano per spedire – tenetevi forte – 3 miliardi di dollari falsi. E non si tratta delle comuni banconote, ma di US Federal Reserve Negotiable Certificates, ossia moneta vera e propria della Banca Centrale, in gergo “bearer bonds”.
Come ha spiegato il direttore dell’NBI Reynaldo Wycoco, i due arrestati – Paul E.J. Flavell e Sam Beany – sono stati presi sulla base di una segnalazione, il 14 aprile scorso, mentre consegnavano grosse scatole con costole di metallo alla DHL (lo spedizioniere globale) perché fossero recapitate a Zurigo. All’interno, i pacchi di banconote false.
I due hanno pagato con carta di credito (sic), e non hanno opposto resistenza. La polizia filippina sta ora ricercando altri due sospetti, anch’essi di nazionalità britannica, Seki Mehmet Bayram e Peter Whittkamp.

I due arrestati sono stati rilasciati su cauzione.
Strano. Ancora più strano che i cosiddetti “grandi” media americani ed europei non abbiano fatto parola di questo evento.
Tre mila miliardi di dollari falsi sono una cifra enorme, ad occhio e croce il triplo del Pil italiano, e la loro diffusione sui mercati monetari mondiali poteva provocare una catastrofe finanziaria. Ancora più strana la spedizione verso Zurigo. A che scopo?
I falsari, di solito, spacciano le loro banconote diffondendole alla spicciolata in negozi e casinò, e attraverso una catena di “passaggi” più vasta possibile, alcuni dei quali complici volontari che pagano una quota del valore facciale delle monete.
La spedizione a Zurigo invece, e il grosso taglio delle contraffazioni, fa pensare che la destinazione fosse una banca.
A che scopo?

La comparsa di 3 trilioni – a meno che non si tratti di un errore di stampa del giornale filippino - nell’economia Usa può provocare un’inflazione esplosiva.
Chi disponesse di una tale cifra e fosse disposto a “perderla” (cosa non poi tanto importante, se le monete sono false) può far crollare la Borsa di Wall Street.
La presentazione di 3 trilioni di certificati della Federal Reserve all’incasso, attraverso banche di Zurigo, potrebbe per assurdo obbligare la Fed a chiudere lo sportello, perché nemmeno la Banca Centrale Usa ha a disposizione contante o oro sufficiente a pagare una tale cifra.
Chi ha interesse allo tsunami finanziario che ne seguirebbe?
Una delle risposte che corrono su internet è: la Casa Bianca. L’Amministrazione Bush ha bisogno di una “attacco terroristico” per giustificare la prossima invasione dell’Iran, e l’operazione-catastrofe organizzata con l’anonimato di banche svizzere sarebbe l’ideale per accusare poi l’Iran del disastro economico americano.
Chi sostiene questa ipotesi fa notare che vigono in Usa “ordini esecutivi” della FEMA (l’agenzia di protezione civile per catastrofi) che consentono al Presidente di sospendere la Costituzione in caso di crisi economica acuta.

Ciò spiegherebbe anche il silenzio dei “grandi” media, avendo l’arresto dei due britannici mandato all’aria il progetto.
A chi scrive viene in mente un’altra ipotesi: forse il sistema bancario internazionale (che ha uno dei suoi cuori in Svizzera) è tanto svuotato e fallimentare da dover ricorrere allo spaccio di moneta falsa per continuare a far funzionare il grande Casinò Globale.
Forse si tratta di nascondere falsi di un disastro già avvenuto a causa dei “derivati”? Il taglio delle note sembra indicare un impiego interbancario.
O sono possibili altre ipotesi? Aspetto suggerimenti dai lettori.
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