UN SOLO GREGGE UN SOLO PASTORE

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S_Daniele
00sabato 24 ottobre 2009 05:50

UN SOLO GREGGE UN SOLO PASTORE

Riemenschneider Tilman - Altare dell'Ultima Cena - Rothenburg, Sankt Jakob (1499-1505)


Articolo pubblicato su Petrus - www.papaweb.it


di Francesco Colafemmina

La decisione del Santo Padre di accogliere nel seno della Chiesa Cattolica alcuni gruppi di anglicani dissidenti rispetto a talune scelte della comunione anglicana (sacerdozio femminile e omosessuale), può essere letta seguendo un duplice registro.

Il giorno seguente la comunicazione ai media di questo storico evento, i giornali si dividono fra una lettura "ecumenica" ed un'altra più "tradizionale" o addirittura "tradizionalista". Da un lato, si dice, il Papa ha voluto accogliere questi anglicani "senza patria", ormai orfani della loro Comunione ed in aperto contrasto con essa a causa delle sue terribili aperture mondane. E lo avrebbe fatto non solo dando ascolto alle richieste del suddetto gruppo di anglicani (vescovi, ministri e fedeli), ma anche facendo seguito ai dialoghi ecumenici con la Comunione Anglicana per un progressivo riavvicinamento.

Dall'altro lato, invece, questo atto benevolo e paterno di Sua Santità è interpretato come un mezzo per unire la Chiesa Cattolica attorno alla "tradizione", integrando così "selettivamente" gruppi quali la FSSPX o la TAC (Traditional Anglican Communion), soltanto mirando al loro rispetto per la tradizione.

A questo punto bisognerebbe guardare ad una terza via: il Papa riconduce alla comunione con Roma quei gruppi di cristiani che riconoscono il primato petrino e credono fermamente nei dogmi e nel magistero della Chiesa Cattolica. Cosa c'è di più semplice?

Nonostante la retorica ecumenicistica e le vacue panzane dialogiche, è infatti evidente che il Santo Padre persegue quanto già espresso chiaramente durante la sua meravigliosa Omelia del 24 Aprile 2005, quando iniziava il ministero petrino:

"Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell’immagine del pastore che in quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all’unità. “Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch’esse io devo condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione: “sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò” (Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità, che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!".

L'unità è però evidentemente intesa in un senso che sfugge ai commentatori e spesso agli stessi fedeli. Rileggiamo quanto affermava il Card. Ratzinger nel lontano 1986:

"Subito dopo l'attenuarsi del primo slancio conciliare, era affiorato il contromodello dell'ecumenismo «di base», il quale mirava a far sorgere l'unità «dal basso» se non era possibile farla discendere dall' alto. In questa concezione è giusto che l' «autorità» nella Chiesa non può realizzare nulla che non sia prima maturato nella vita della Chiesa, quanto a intelligenza ed esperienza di fede. Dove, però, non si faceva riferimento a questa maturazione, ma si andava affermando una divisione della Chiesa in «chiesa di base» e in «chiesa ministeriale», non poteva certo emergere una nuova unità di qualche rilievo. Un ecumenismo di base di questo genere crea alla fine soltanto dei gruppuscoli, i quali dividono le comunità, e tra loro stessi non realizzano un'unità più profonda, nonostante una propaganda comune di ampiezza mondiale. Per un certo lasso di tempo parve che le tradizionali divisioni delle chiese sarebbero state superate mediante una divisione nuova e che si sarebbero in futuro trovati contrapposti, da una parte dei cristiani «impegnati» in senso progressista e, dall'altra, dei cristiani «tradizionalisti», che avrebbero ambedue fatto adepti nelle diverse chiese finora esistenti. In tale ottica nacque allora il proposito di omettere del tutto dall'ecumenismo le «autorità», perché un eventuale accostamento o perfino unione su questo piano non avrebbe che rafforzato l'ala tradizionalista della cristianità e si sarebbe impedita la formazione di un cristianesimo nuovo e progressista.
Simili idee oggi non sono ancora del tutto spente, ma sembra tuttavia che il tempo della fioritura sia ormai alle spalle. Un'esistenza cristiana, che si definisce quanto all'essenza secondo i criteri dell' «engagement», è troppo labile nei suoi confini per poter alla lunga creare unità e generare solidità in una vita cristiana comune. Le persone perseverano nella chiesa non perché vi trovano feste comunitarie e gruppi di azione, bensì perché sperano di trovarvi le risposte a domande vitali indispensabili.Tali risposte non sono state escogitate dai parroci o da altre autorità, ma vengono da un'autorità più grande e sono fedelmente mediate e amministrate, semmai, dai parroci. Gli uomini soffrono anche oggi, forse ancora più di prima; non basta ad essi la risposta che viene dalla testa del parroco o da qualche «gruppo attivistico». La religione penetra oggi come sempre in profondità nella vita degli uomini per attingervi un punto di assoluto e, a tanto, serve solo una risposta che viene dall' assoluto. Là dove i parroci o i vescovi non appaiono più come i mediatori di quanto è assoluto anche per essi, ma hanno solamente da offrire le loro proprie azioni, è allora che diventano una «chiesa ministeriale» e, come tali, superflui."

E aggiungeva:

"Ma, stando così le cose, che cosa dobbiamo fare? In vista di una risposta mi è assai di aiuto la formula che Oscar Cullmann ha coniato per tutta la discussione: unità attraverso pluralità, attraverso diversità. Certamente la spaccatura è dal male, specie quando porta all'inimicizia e all'impoverimento della testimonianza cristiana. Ma se a questa spaccatura viene a poco a poco sottratto il veleno dell'ostilità e se, nell'accoglimento reciproco della diversità, non c'è più riduzionismo, bensì ricchezza nuova di ascolto e di comprensione, allora la spaccatura può diventare nel trapasso una felix culpa, anche prima che sia del tutto guarita. "

Questa "diversità nell'unità" affermata dal Cardinal Ratzinger non è tuttavia una sorta di "relativismo" interno all'unità ecclesiale, perchè si rapporta al contrario con l'unica Verità che è Cristo. Il Santo Padre allo stesso modo intende dimostrarci che il reintegro della comunità lefebvriana, come quello della comunione anglicana tradizionale sono evidenti gesti che tendono ad armonizzare ed arricchire la Chiesa alla luce della Verità di Cristo. Riunire le membra del Corpo Mistico, significa glorificare Cristo e procedere in armonia verso di Lui.
D'altra parte questa idea di ecumenismo cattolico, inteso quale ritorno alla Verità, quale accoglienza positiva e gioiosa (ricordate le parole dell'Omelia succitata!) delle pecorelle smarrite, non può non accadere grazie al Vicario di Cristo ed alla sua amorevole azione riconciliatrice, al suo ministero di unione paterna del popolo di Dio.

Svaniscono dunque decenni di tronfia ed insulsa retorica ecumenicistica, fatta di parole, abbracci, concelebrazioni, fondati sulle buone intenzioni ma raramente su saldi ed autentici principi. Svaniscono semplicemente perchè costantemente vissuti quali tentativi di minimizzazione e negazione delle differenze e delle divisioni che tuttora sussistono, come se snaturando la propria identità fosse più semplice il dialogo e la ricerca di unità.
No. L'unita è appunto frutto di una ricerca, di un percorso comunitario di necessario e volontario ritorno all'unità. E quell'unità non può che consistere nella stessa Chiesa Cattolica e Pietro. Non è la Chiesa Cattolica ad aver negato l'unità di Anglicani, Lefebvriani e Protestanti. La Chiesa Cattolica è stato il seno da cui sono emerse realtà scismatiche o più semplicemente nel caso della Fraternità San Pio X, realtà fedeli a Pietro che hanno però leso l'unità ponendo in essere l'atto scismatico dell'ordinazione episcopale senza mandato pontificio.

Come dichiarava nel 2006 l'Arcivescovo John Hepworth della Traditional Anglican Communion, a proposito dell'ordinazione di donne sacerdoti: "nello stesso momento le grandi dottrine della Creazione, Incarnazione e Redenzione sono negati. La vita sacramentale della Chiesa, attraversol la quale Gesù porta la grazia salvatrice della redenzione di ciascuno di noi, diventa oggetto di sospetto ed incertezza. Mettere una donna sacerdote in una diocesi è sempre una "rottura della comunione", perchè rende l'atto autentico della comunione impossibile". Se dunque sono queste le ragioni "essenziali" del ritorno al Cattolicesimo della comunione anglicana tradizionale, come si può continuare a parlare di un vago "ecumenismo" decontestualizzato ed imcomprensibile? Come si può affermare che i fedeli della TAC sarebbero semplicemente dei "fuori posto" nell'anglicanesimo e pertanto li si stipa oggi nelle fila dei cattolici, quasi come accadeva alle popolazioni balcaniche quando agli inizi del secolo scorso gruppi etnici venivano scambiati fra una nazione e l'altra di quella tormentata regione?

La realtà è invece un'altra. La Traditional Anglican Communion ha serenamente e coerentemente basato il suo avvicinamento a Pietro ed alla Chiesa Cattolica sui fondamenti della Dichiarazione di Saint Louis del 1977: fedeltà ai dogmi, fedeltà alla morale, fedeltà alla tradizione. Principi che già furono ribaditi quali cardini di un percorso ecumenico da Papa Paolo VI e dal Primate Anglicano Ramsey nel 1966: "Quam mutuam necessitudinem fovere ac provehere volentes, proponunt, ut inter Ecclesiam Catholicam Romanam et Communionem Anglicanam sedulo instituantur colloquia, quorum veluti fundamenta sint Evangelium et antiquae Traditiones utrisque communes, quaeque ad illam unitatem pro qua Christus oravit, in veritate perducant."

Diceva quindi la loro dichiarazione congiunta: "siano considerati quali fondamenti dei colloqui fra Chiesa Cattolica Romana e Comunione Anglicana il Vangelo e le antiche Tradizioni (con la T maiuscola) ad entrambe comuni, perchè conducano nella verità a quella unità per la quale Cristo pregava".

Oggi però si adempie non solo la preghiera del Signore, ma anche il paterno e benevolo auspicio del grande Papa Leone XII! Infatti fu egli nella Bolla Apostolicae Curae nell'anno 1896 ad affermare, dopo aver dichiarato invalide le ordinazioni compiute con il rito anglicano, quanto segue:

"Rimane questo: con lo stesso nome e con lo stesso animo del "grande pastore" con cui ci siamo adoperati per dimostrare la verità assoluta di una realtà così importante, vogliamo dare coraggio a coloro che con volontà sincera desiderano e ricercano i benefici degli ordini e della gerarchia. Forse fino ad ora, pur ricercando l'ardore della cristiana virtù, riflettendo più devotamente sulle divine Scritture, raddoppiando le pie preghiere, si sono tuttavia arrestati, incerti e inquieti, di fronte alla voce di Cristo che già da tempo esorta interiormente. Vedono già esattamente che Colui che è buono li invita e li vuole. Se ritornano al suo unico ovile conseguiranno veramente sia i benefici richiesti, sia i rimedi della salvezza che ne conseguono, e di cui egli stesso ha fatto ministra la chiesa, quasi custode perpetua e amministratrice della sua redenzione fra le genti. Allora veramente "attingeranno l'acqua con gioia dalle fonti del Salvatore", i suoi meravigliosi sacramenti; da questi le anime fedeli, rimessi veramente i peccati, sono restituite all'amicizia di Dio, sono nutrite e rafforzate con il pane celeste, e con gli aiuti più grandi pervengono al raggiungimento della vita eterna. Assetati realmente di tali beni, "il Dio della pace, il Dio di ogni consolazione", voglia benigno con questi ricolmarli e appagarli. Vogliamo poi che la Nostra esortazione e i Nostri desideri riguardino soprattutto coloro che sono considerati ministri della religione nelle loro comunità. Gli uomini che per l'ufficio stesso sono superiori in dottrina e autorità, e ai quali senza dubbio sta a cuore la gloria divina e la salvezza delle anime, vogliano mostrarsi particolarmente alacri e obbedire a Dio che chiama, e dare di sé un chiarissimo esempio.
Certamente la madre chiesa li accoglierà con gioia specialissima e li abbraccerà con ogni bontà e con ogni cura, perché una più generosa forza d'animo li ha ricondotti al suo seno attraverso ardue difficoltà. Per tale forza, è impossibile dire quale lode sia loro riservata nelle assemblee dei fratelli per l'orbe cattolico, quale speranza e fiducia davanti a Cristo giudice, quali premi da lui nel regno celeste! Noi poi, per quanto sarà possibile, con ogni mezzo, non cesseremo di favorire la loro riconciliazione con la chiesa; dalla quale e i singoli e gli ordini, cosa che desideriamo con forza, possono prendere molto per imitarla. Frattanto preghiamo tutti e supplichiamo per le viscere di misericordia del nostro Dio affinchè cerchino fedelmente di assecondare l'abbondante flusso della verità e della grazia divina."

Grazie dunque a Sua Santità Benedetto XVI per questo grande dono che ci ha elargito accogliendo nella Chiesa tanti nuovi fratelli e sorelle nel Signore che con gioia abbracciamo e cui va il nostro amorevole benvenuto!

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