Tulpan

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verdoux47
00domenica 25 gennaio 2009 22:17


Ancora una volta “Un Certain Regard” si è dimostrato un riconoscimento molto affidabile e l’ultimo vincitore, Tulpan, è un gran bel film e, contrariamente ai suoi ultimi predecessori, è stato distribuito e sarà in sala dal 24 aprile.
È un film più facile da vedere e da godere che non da commentare, perché nel commentarlo si incorre facilmente nel già detto, che farebbe pensare ad un già visto, e non è così.
Tulpan è un film assolutamente originale che brilla di luce propria; solo di sfuggita, si può accennare ad un film sulla la lotta dell’uomo per la sopravvivenza contro una natura ostile, all’elemento paesaggistico come protagonista del film, come pure la polvere e l’ululato del vento nella steppa, il belato del gregge, eccetera; un film che mostra la vita nomade di gente dal cuore inaridito dalla durezza della vita, di gente che sogna la città ed una vita diversa e migliore; ma tutto questo è vero solo in parte, solo in piccola parte, perché noi vediamo il film con occhi di cittadini italiani, per i quali la steppa è un luogo orrido dove non si può vivere, al più è un luogo dell’anima dove fuggire dalle proprie angosce esistenziali, ben inteso dentro ad una sala cinematografica.
Per un kazako invece la steppa è la propria casa, dove ci sta benissimo e ci sta da sempre; la città non sembra tanto lontana, arriva l’acqua, arriva il carburante, se chiamato arriva il veterinario e sotto la tenda arriva anche l’eco della “civiltà tecnologica” moderna; non sembrano condizioni di vita estreme, i bambini gridano, allegri e disobbedienti, le donne cantano, gli uomini comandano, o almeno vorrebbero farlo.
Rispetto agli omologhi film mongoli recenti, manca l’elemento favolistico ed apologetico; il racconto, le immagini, i dialoghi sono ridotti all’osso e improntati alla massima semplicità; il paesaggio piatto e polveroso non soccorre l’inquadratura del regista; il film non è un “National Geographic”, ma piuttosto una atipica commedia della steppa, dove non mancano spunti ironici e divertenti, con caratteri che si contrappongono e che configgono, sia in modo aperto come i protagonisti maschili Ondas, il capofamiglia, ed Asa, il rampollo ambizioso, sia sotto la cenere (o la polvere) come Tulpan, la bellissima e caratteriale protagonista femminile.
Volendo si può accostare questo film a “Calura”, un film girato da Larisa Sepitko nel 1963; la tenda,( lo yourt), è proprio identica; anche quel film era incentrato sul conflitto sorto all’interno di un Kolchoz tra un compagno capo, esperto e prepotente, ed un novizio imbranato che ne subiva il mobbing; a sorpresa la spunta il soggetto più debole; (o quello che sembrava tale).
Bisogna essere molto bravi per far sembrare semplici le cose difficili ed il regista Sergei Dvortsevoy, ottimo domatore di pecore, al suo primo lungometraggio, ci riesce con grande capacità tecnica ed inventiva.



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