Tra la Vita e la Morte

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jack_daniels.
00lunedì 23 marzo 2009 23:42
Non riuscendo a trovare una sezione adeguata dove postare questo scritto scippato dal blog di un amico in rete ho pensato bene di postarlo qui.
E' un bellissimo spunto di riflessione.

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In una loro canzone di diversi anni fa, i C.C.C.P. Fedeli alla Linea affermavano che “la morte è insopportabile per chi non riesce a vivere” continuando poi lodando Mishima e Majakovkskij, entrambi suicidi.
Uno degli atti dei samurai giapponesi più noto ai “non addetti ai lavori” è il “seppuku”, il suicidio per protesta, per colpa o per non cadere nelle mani del nemico, compiuto tagliandosi il ventre (hara-kiri). Ai più l’atto può sembrare cruento e spietato, e spesso ci si chiede come potessero questi uomini, per quanto coraggiosi ed abituati a guardare la morte in faccia in quasi ogni giorno della propria vita, affrontare con calma e distacco una fine così drammatica e dolorosa.
Tutto sta nel come si inizia la giornata; ecco un buon metodo tratto dal "Budo Shoshin Shu" (letture elementari sul Bushido) pubblicato nel 17° secolo all'inizio dello Shogunato dei Tukugawa. L'autore è un samurai erudito, Daidoji Yuzan (1639-1730) allievo di Yamaga Soko (1622-1685) celebre confucianista.
Buona lettura, e buona riflessione...

“Un samurai deve custodire, vivo in lui, più che qualsiasi altra immagine, dal festino del nuovo anno fino a quando l'anno finisce, il pensiero della morte.
E' solo pensando continuamente alla morte che si può conservare in sé le due virtù fondamentali: la lealtà verso il proprio signore e la pietà filiale.
Allo stesso tempo ci si protegge dai vizi e dagli infortuni, si conserva un corpo sano e si può vivere a lungo.
Il carattere si nobilita.
Questi sono i profitti che ci porta il pensiero della morte.
Spieghiamoci meglio.
La vita dell'uomo, come il rosso crepuscolare, è vuota ed effimera. E cosa v'è di più priva di speranza della vita di un samurai?
Molti fra loro, per altro, s'immaginano che vivranno a lungo e serviranno il loro signore ed i loro parenti, trascurando, allo stesso tempo, i loro doveri verso questo e quelli Quando si sa, al contrario, che la vita può finire domani, che il giorno che si vive è forse l'ultimo in cui si potrà ricevere gli ordini del proprio signore, oppure vedere i propri parenti, allora ci si volge verso essi con il cuore colmo di sincera devozione.
E' così che si può compiere ciò che esigono da noi la lealtà verso il proprio signore la pietà filiale.
Ma se si giunge a dimenticare questo pensiero della morte, si diventerà imprudenti; si perderà il senso della modestia sempre necessaria; si arriverà a bisticciare per opinioni poco fondate e contraddittorie.
Si ribatterà al posto di lasciar parlare gli altri. Ci si andrà a mostrare, senza ritegno, nei luoghi popolosi ove la plebe va a divertirsi. Ci si metterà in combutta con buoni a nulla, si litigherà con loro, ed anche a volte ci si lascerà la propria vita. Così si intacca l'onore del proprio signore, mentre si creano preoccupazioni ai propri genitori.
E tutte queste cose non sono che il risultato di questa prima imprudenza: aver trascurato di conservare presente in sé il pensiero della morte.
Se si pensa sempre alla morte, al contrario, con una coscienza viva di ciò che esige l'onore di un samurai, si peserà ogni parola prima di pronunciarla, si attribuirà a tutte un eguale importanza, ci si chiederà prima di parlare o di rispondere, se ciò che si ha da dire sia vero.
Così non ci si impegnerà in dispute insensate; così non si andrà in luoghi sconvenienti, quand'anche vi ci si fosse invitati; ed in tal modo non si correrà il rischio di incidenti imprevisti. E` così che ci si può preservare da tutti i mali e da tutti gli infortuni.
Ciò vale per le alte classi della società come per le basse; è per aver dimenticato il pensiero della morte che ci si abbandona all'intemperanza, troppo mangiare, troppo bere, troppo amare. Si arriva a conoscere la malattia e si muore giovani, o almeno, se non ci si spegne completamente, si rimane un malato invalido ed incurabile.
Mentre, pensando sempre alla morte un uomo giovane, benché ancora pieno di salute e di vigore, prenderà cura di sé stesso, mangerà con moderazione, eviterà le voluttuosità, sarà riflessivo ed onesto, così conserverà sempre un corpo pieno di vigore. Così potrà vivere tanto a lungo quanto Dio lo permetterà.
Al contrario, se si è impregnati dalla convinzione di vivere automaticamente a lungo, si sarà vittima di ogni tipo di desiderio, si diverrà avari, volendo impadronirsi delle proprietà di un altro, non volendo dare ad un altro ciò che gli appartiene, il carattere diverrà simile a quello di un plebeo.
Se si conserva sempre il pensiero della morte l'avarizia scompare naturalmente: i caratteri viziati dall'invidia e dall'avarizia non si manifestano più, la personalità diverrà nobile.
Olympia78
00martedì 24 marzo 2009 00:12
e' come dire vvi al massimo oggi perche' domani non sai se ci sarai [SM=g10395] ..e non c'e' da dargli torto...
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